Tumgik
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Sto correndo per le scale.
Il giubbotto freddo, umido di pioggia, mi appesantisce, facendomi tremare le gambe un po’ di più ad ogni gradino.
Quando, finalmente, raggiungo la porta di camera mia, allungo un braccio per aprirla, e mi ci rovescio, letteralmente, dentro.
Mentre faccio scattare la serratura dietro le mie spalle, mi accorgo che non riesco più a respirare.
Spalanco la bocca per inghiottire più ossigeno, ma continuo a sentirmi soffocare, come se tutto ciò che riuscissi ad annaspare fosse bambagia che va man mano a riempirmi i polmoni, a sigillarmi la gola.
Mi lascio cadere sulle piastrelle gelate della stanza, con lo sguardo chiazzato di macchie scure, mentre cerco di tenere insieme disperatamente, senza riuscirci, tutti i pezzi del mio cuore, che continua a rompersi ad ogni battito.
Steso, stretto fra gli armadi e la scrivania, con gli occhi fissi contro un soffitto pallido quanto me, cerco di riprendere il controllo.
Cerco di concentrarmi sul mio respiro.
Lascio che i minuti mi scivolino sopra come le gocce di pioggia su un impermeabile.
E poi, ecco ritornare le vecchie abitudini; come se potessi concentrare tutta la forza in un singolo punto del mio corpo, alzo il braccio sopra la mia testa e sferro un pugno fortissimo contro il muro.
Ecco.
Non sento più il freddo del mio giubbotto zuppo nel quale mi sono avvolto, nascondendomi, e nemmeno il ticchettio delle gocce di pioggia contro il vetro della porte finestre poco distanti da dove sono steso.
Sento solo il sangue caldo che traccia una ragnatela rossa sul dorso della mia mano, riaprendo con un bruciore intenso i tagli sulle mie nocche.
Adesso, finalmente, ho un motivo per piangere.
La mia gola brucia, le mie labbra sono impastate di lacrime, di sale, e in bocca un sapore amaro fa contrarre i lineamenti del mio volto stanco in una smorfia.
Solo ora riesco a sentirla, la nostra canzone, intendo.
No, non é una canzone triste…é quel genere di canzone che é diventata triste perché ti ricorda qualcuno che ti manca.
Qualcuno che ti manca tanto da farti male.
Da farti male anche senza bisogno di sentire il suo nome, o di incrociare per la strada una persona che ha il profilo pericolosamente simile al suo.
Perché é quel qualcuno che é inciso sulle tue ossa, che striscia sotto la tua pelle e scorre dentro al groviglio delle tue vene.
É sempre con te; quel male non ti abbandona mai.
Chiudo gli occhi, mentre premo le nocche sanguinanti contro il pavimento freddo.
Mi concentro sul respiro.
In testa ancora quella canzone, la nostra canzone, che come una patina copre tutto ciò che mi circonda, isolandomi da quella realtà livida.
Raccolgo frammenti di lei man mano suonano le note e la melodia avanza, spalmandosi su tutte le pareti di camera mia, fino a posarsi anche sulle mie ciglia, sulla punta del mio naso, fra le crepe della mia pelle.
Se fosse qui, le direi che mi manca.
Lei era ossigeno, e senza di lei è come stare continuamente in apnea.
Se fosse qui, le direi che da quando non c'è più ogni spazio mi sembra eccessivamente vuoto.
Come se, senza di lei, nulla si possa realmente considerare pieno, nemmeno la mia classe che non é a norma perché ci sono troppi banchi per le sue minute dimensioni, nemmeno l'autobus il giovedì pomeriggio, quando é così pieno da non riuscirci ad entrare e da essere costretto a prendere sempre quello successivo.
Le direi che mi sembra sempre che ci sia un enorme spazio vuoto, ovunque.
E che lei, solo lei, poteva riempirlo.
Ed é lo stesso spazio vuoto che ha creato dentro me.
Intendo davvero, come se ci fosse un buco, al posto del mio stomaco. Un enorme buco al posto del mio petto. Un enorme buco in cui sono scivolato, e lì dentro non c'è mai la musica, non splende mai il sole, ed ogni cosa é fredda, e dura, e non fa altro che ricordarmi che passerò il resto della mia vita senza di lei.
Sospiro.
Sospiro.
Sospiro.
Sferro un altro pugno contro il muro, con l'altra mano.
Appoggio le nocche crepate sulla bocca, lascio che il sapore metallico del sangue mi faccia venire voglia di sputare dal disgusto.
Il sapore dei suoi baci sulle mie labbra, però, é ancora lì, e non se ne va.
Come un fantasma, rivendica la sua presenza ogni volta che me le sfioro.
Lei é diventata il pensiero triste che ti strappa quelli felici.
Per carità, ci sono tanti bei ricordi che ho di lei, ma sono stati tutti spazzati via.
Sono stati spazzati via dai suoi lunghi pianti accasciata contro la parete di camera sua al posto che contro di me.
Dai silenzi in cui preferiva affogare, quando le chiedevo cosa aveva, rispondendomi con quel terribile, freddo sguardo del “tu non capiresti”.
E forse é vero; non capivo.
Non capivo cosa intendeva col suo concetto di perfezione, una perfezione che a suo dire era una costrizione di numeri, e calorie, e diete assurde, e docce gelate, e menzogne su menzogne su menzogne per saltare i pasti.
Forse é vero; non capivo il suo concetto di perfezione composto da bottiglie d'acqua, da bilance, da esercizi, ed esercizi, ed esercizi, ed esercizi.
Ma ci provavo, ci provavo cazzo; provavo a capire perché chiamava perfezione i chili che perdeva ogni settimana, perché chiamava perfezione il modo in cui la sua pelle dava l'impressione di essere bucata dalle sue ossa, perché chiamava perfezione le sue costole sporgenti, le sue anche vistose, le sue dita scheletriche.
Ci provavo, davvero.
Ma tutto quello che vedevo io, era la mia ragazza rimpicciolirsi sempre di più dentro ai suoi vestiti, dentro ai miei abbracci, nei suoi sorrisi, che erano diventati spenti, così tirati da non trasmettere più nulla.
Era la mia ragazza che si sottoponeva a una violenza terribile, tanto da perdere i suoi bellissimi capelli, secchi e anch'essi, in qualche modo, sbiaditi, e il rossore che le colorava le guance, e la sua voglia di ridere.
Era la mia ragazza che smetteva di uscire con le sue amiche perché “doveva raggiungere la perfezione”, che declinava i miei inviti perché “doveva raggiungere la perfezione”, che smetteva di scrivere, e di dipingere, e di scattare foto, e di passare i pomeriggi di pioggia stravaccata sul divano con il volto immerso fra le pagine del suo libro perché “doveva raggiungere la perfezione”.
Quante volte l'ho guardata in quegli occhi vuoti e non sono riuscito ad accendere nemmeno una scintilla.
Quante volte, quando la guardavo, mi sembrava di avere affianco a me un fantasma, lo stesso fantasma che é diventata dopo “quel giorno”.
“Quel giorno” che nessuno vuole ricordare, che fa voltare dalla parte opposta i suoi genitori, nel tentativo di nascondere quell'ombra scura di panico e terrore che gli attraversa il volto quando sentono il suo nome, che fa perdere a tutti le parole.
“Quel giorno” in cui il suo cuore, stremato dalla fatica, esasperato dagli ordini severi della sua mente, che la tormentava in continuazione, ha ceduto.
Si é fermato.
“Non aveva più energia. Senza cibo, il suo organismo aveva bruciato tutti i muscoli, compreso il suo cuore”.
Sferro un altro pugno contro il muro.
E un altro.
E un altro.
E adesso il sangue mi ha chiazzato i jeans, e la t-shirt, ed il mio volto e le mie labbra sono sporche di rosso, e le mie dita sono appiccicose e dai miei occhi non escono più lacrime.
E lì, steso per terra, sporco di sangue, capisco che é esattamente come mi sento; un assassino.
Uno sporco assassino. Perché l'ho lasciata distruggersi. L'ho lasciata sgretolarsi.
Dovevo fare qualcosa. Io potevo fare qualcosa, potevo impedirlo, e non l'ho fatto.
Sono stato zitto. Non ho chiesto aiuto. L'ho lasciata sola.
Mi giro su un fianco, mi porto le ginocchia al petto e le stringo con forza.
Come scariche elettriche, il dolore mi si irradia dalle mie mani per tutto il corpo.
Con lei, avevo imparato a controllare i miei scatti di rabbia.
Senza di lei, sono tornato alle vecchie abitudini, ma solo perché infliggermi dolore é l'unica maniera che ho per sopprimere quello che mi ha causato lei.
Sospiro.
Respiro.
Espiro.
Sospiro.
Non me l'ha mai chiesto.
Non gliel'ho mai detto.
Ma il mio concetto di perfezione, era lei, stesa nel mio letto, con addosso una mia maglietta che le stava decisamente troppo grande, ed i suoi capelli aggrovigliati sulle spalle, le incorniciavano il volto in modo tale da non riuscire a smettere di guardarla e pensare a quanto fosse bella, con gli occhi ancora chiusi e spruzzati di sonno, senza trucco, rivelando la sua pelle chiara e screziata da qualche impurità, che mi ricordavano tanto le perle grezze, e le labbra screpolate socchiuse, mentre il suo corpo si abbassava e si alzava seguitando il ritmo dolce del suo cuore.
Non era perfetta, non come voleva lei, con le sue occhiaie livide che le cerchiavano gli occhi e le unghie mangiucchiate, irregolari, e sporche di sangue per le pellicine che si strappava coi denti, ma per me era bellissima.
Per me, era perfetta.
Perché, cazzo? Perché non glielo ho mai detto?
E fu in quel momento che lo realizzai; l'avevo lasciata andare, senza mai dirglielo, senza mai farle sapere come la vedevo io.
Forse, proprio quello, avrebbe potuto salvarla.
-Alessia Alpi, scritta da me.
(-Volevoimparareavolare on Tumblr)
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“Può pagarsi il conto al ristorante ma preferisco farlo io. Non tolgo nulla alla sua femminilità. Ha due mani ma amo versarle del vino anche se può farlo benissimo da sola. Si tratta di un’attenzione che amo dare. Si tratta che ti accorgi che ha il bicchiere vuoto, il che significa che stai attento a lei. Si tratta di farla sentire importante. E lei ti farà sentire importante a tempo debito. Il giorno dopo andrà a lavorare, combatterà perché i suoi successi siano attribuiti al suo impegno e non alle sue tette. Non ha niente a che fare con te e lei, lei che tira fuori il portafoglio e tu che non la lasci pagare. Si tratta di attenzioni. E le attenzioni si riservano a chi è importante. Darle la tua giacca se ha freddo è una gentilezza che non le toglierà nulla, al massimo la farai tornare a casa con la consapevolezza che il corteggiamento non è una cosa che si sogna. Perché essere uomo è cosa comune, ma essere galantuomo è cosa da pochi.
- Labellezzadellepiccolecose - (via labellezzadellepiccolecose.)
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“Amo le fotografie. Perché rimangono così come sono,anche se le persone cambiano.”
— unaragazza-mortadentro
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“Io vi auguro di sbagliare tanto. Di fare una marea di cazzate. Di ritrovarvi col tempo a dire “ma chi me l'ha fatto fare?”, di ripensare all'indietro senza un briciolo di nostalgia. Di dire “sono stato un idiota” oppure “è il ricordo più bello che ho”, ma senza un solo frammento di rimpianto. (Non negatevi nulla.) Vi auguro di trovare l'amore della vostra vita solo dopo aver aperto ferite incolmabili per quella sbagliata, o non sarete mai capaci di apprezzarla davvero. Vi auguro di arrivare a capire che la felicità è uno stato d'animo e non una condizione di vita, che non la si prova in assenza di delusioni ma nonostante. Mi auguro che troviate il coraggio di ritrovarvi in meno libri, film, canzoni, e più in voi stessi. Vi auguro di sentirvi a terra, allo stremo, di dire che non potete più farcela solo per sorprendervi del fatto che invece, ancora una volta, potete. Di imparare a non giudicare le scelte degli altri, anche se in minima parte lo facciamo tutti, solo perché le sentiamo distanti e in contrasto con le nostre. Di ricevere gentilezza, tenerezza, dolcezza e non per forza da un partner, ma da qualsiasi persona sappia capire che a volte per stare bene basta qualcuno che ci ascolti e si prenda cura di noi. Anche nel suo piccolo, anche da lontano. Per una volta, io non auguro a nessuno l'amore, la salute, la felicità o i soldi, ma la vita.”
— 🌷
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Tieniti stretto chi lo sa perfettamente quando hai bisogno di essere stretta in un abbraccio, senza che tu dica niente.
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“A volte, abbiamo bisogno soltanto di un gesto impercettibile. Uno sguardo, o un sorriso. Qualcosa che sappia ancora farci tremare il cuore.”
— Roberto Pellico
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Riusciamo
a trasformare
anche un sentimento
bello come l’amore,
in puro dolore.
Jazmin Lóng
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Ormai fa parte della routine
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Riesco a rovinare tutto ogni fottuta volta.
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“Dico troppo spesso ‘grazie’ e ‘scusa’, come se non meritassi mai niente, come se sbagliassi sempre qualcosa”
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mi pentirò di avere un cuore così debole. Marco Polani
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Il dolore è ancor più dolore se tace.
— G. Pascoli
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“Quando eravamo bambini, pensavamo che una volta cresciuti non saremmo stati più vulnerabili. Ma crescere vuol dire accettare la vulnerabilità. Essere vivi significa essere vulnerabili.”
— Madeleine l’Engle.
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Se l'amore non esiste,
dimmi perché mi sento triste.
E d'amore non si muore,
però mi fa male il cuore.
Jesto
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