Tumgik
evilvenator · 4 years
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evilvenator · 4 years
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LA DRUIDA
Prologo
Caleb le lanciò uno sguardo interrogativo, l'arco puntato sui tre uomini che avevano fatto l'errore di avvicinarsi troppo al loro accampamento.
«Allora? Che ne facciamo di loro?» Chiese.
Castalia scrollò le spalle. «Se li lasciamo andare, ne arriveranno altri.» Portò una mano all'elsa della spada, avanzando verso i tre malcapitati.
Il compagno ghignò, soddisfatto della risposta. «Hai ragione...»
Il primo uomo non ebbe nemmeno il tempo di girarsi per fuggire, che la freccia di Caleb gli si conficcò dritta nel petto, all'altezza del cuore. Il secondo cercò di farsi scudo con le braccia, ma la spada di Castalia gli andò a tranciare gli avambracci, conficcandosi nella clavicola. Il terzo riuscì a fare una decina di metri, prima di essere abbattuto dalla seconda freccia del Druido.
«Ah, le comodità dell'arco: rapidità, meno schizzi di sangue, in più il poter colpire a distanza è un bel vantaggio...» Cantilenò Caleb scherzosamente, guardando la compagna estrarre la spada dal corpo dell'uomo. Uno spruzzo di sangue si levò dal cadavere mentre crollava a terra. Castalia non lo degnò di risposta, mentre puliva la lama sui vestiti del morto e la rinfoderava con facilità.
«Cosa ne pensi della caverna che dicono di aver trovato?» Gli chiese, scrutandosi intorno. «Potrebbero anche essere un mucchio di sciocchezze, per quanto ne sappiamo.»
Caleb si rigirò tra le mani la tavoletta con le inscrizioni che i tre gli avevano consegnato. «Non lo so, questa deve pur venire da qualche parte. E ci sono rovine nascoste per tutto il Khanduras, magari stiamo per trovare qualcosa di grosso.»
«Dovremmo parlarne con mia Madre...» Suggerì Castalia, poco convinta.
«Non mi dire che credi a quegli stupidi?» Le chiese Caleb, scoppiando in una risata incredula. «Avranno probabilmente visto un orso, altro che mostro...»
«Ma se ci fosse davvero?»
La squadrò divertito, sollevando un sopracciglio. «La grande cacciatrice ha paura di un orso!» La sbeffeggiò, accarezzando l'impennaggio di una delle frecce che portava nella faretra sulle spalle. «Non preoccuparti, fortunatamente ci sono qua io.» Le diede un buffetto sulla spalla, per poi incamminarsi nella direzione che quei tre poveracci avevano indicato.
«Proprio di questo mi preoccupo...» Borbottò risentita Castalia, seguendolo.
Si fecero strada tra gli alberi, in silenzio, attenti ai suoni della foresta attorno a loro. Incontrarono delle tracce fresche di lupo, segno che uno dei numerosi branchi della foresta di Brugge era uscito a caccia.
Raggiunsero l'ingresso della caverna stranamente senza intoppi.
«Ehi, non mi ricordo di averla mai vista prima d'ora...» Commentò sorpreso Caleb, avvicinandosi a quella che un tempo era stata una colonna di pietra, che giaceva in pezzi e ricoperta dal sottobosco. Un sentiero di rocce coperte di muschio conduceva in profondità, mentre dal soffitto pendevano stalattiti e rampicanti.
«Continuo a pensare che sia una pessima idea.» Castalia poteva quasi percepire che c'era qualcosa di sbagliato da quelle parti. «Possiamo avvisare tua Madre e tornare qui con qualche persona in più. Non hai idea di cosa potrebbe esserci là sotto!»
«Siamo cacciatori, servirà più di qualche storiella su un mostro dagli occhi neri per spaventarci... Anche se non posso dire la stessa cosa di te.» Le appoggiò una mano dietro la schiena. «E poi, se mettiamo in agitazione tutto il clan per niente, ci prenderanno per stupidi!»
Castalia sbuffò, odiava dargliela vinta, ma sapeva che se fosse tornata indietro, lui sarebbe entrato là dentro da solo. E almeno così poteva controllare che non finisse mangiato da qualche ragno gigante.
Rabbrividì al pensiero. “Non esistono grotte senza ragni giganti…” Si fecero strada tra i rovi che crescevano avvinghiati alle rocce, scendendo sempre più in basso, finché la vegetazione non lasciò il posto alla nuda roccia. Passarono sotto un antico arco di pietra, sbucando in una sala, anch'essa di pietra, sorretta da larghe colonne decorate.
Le enormi radici della foresta si erano scavate la strada fin là sotto, facendo crollare parte del soffitto. Dall'alto filtrava un po' di luce, che con la polvere del luogo si diffondeva in modo sinistro per tutta la stanza.
Castalia si ritrovò suo malgrado ad ammirare l'abilità architettonica di coloro che avevano costruito quel posto: sembrava antico di chissà quanti secoli, eppure aveva resistito tutto quel tempo. Un ticchettio sinistro la fece subito tornare sull'attenti. Sfoderò la spada, facendo segno a Caleb di stare in allerta. Non riuscì a fare più di tre passi che una sagoma nera, grossa un paio di volte lei, le piombò addosso dal soffitto.
Schivò buttandosi alla propria destra, frapponendo la spada tra lei e la cosa, che si rivelò essere un ragno gigante, le chele che schioccavano fameliche grondanti veleno.
Senza pensarci due volte, Castalia menò un potente fendente dal basso, tranciando una delle zampe pelose della bestiaccia, che soffiò e si tirò indietro, pronta per attaccare nuovamente, quando una freccia dall'impennaggio bianco gli si conficcò in uno dei troppi occhi. Furente, il ragno emise un lamento acuto, indietreggiando e dimenandosi, perdendo sangue. In suo aiuto spuntarono altri due ragni, leggermente più piccoli del precedente.
«Fenedhis lasa!» Grugnì, colpendo una delle creature e sbilanciandola. Quella cadde su un fianco, le zampe che si dimenavano freneticamente. «L'avevo detto che non era una buona idea!» Conficcò la lama nella testa della bestia, estraendola poi velocemente, stando attenta che il veleno schizzato dalla ferita non la colpisse. Si girò verso Caleb, in tempo per vederlo finire l'altro ragno.
Insieme, fronteggiarono l'ultima creatura, che sibilava ferita, schioccando minacciosamente le chele, abbattendola.
«Meno male che c'eri anche tu, no?» Le sorrise sardonico lui, andando a recuperare le frecce.
«Ugh. Non dirmi che le riutilizzi dopo che sono finite in quella roba.» Commentò Castalia, indicando il veleno verdastro che colava da esse.
«Perché sprecarlo? Potrebbe far comodo.»
Lo guardò raccogliere le frecce una ad una, ispezionarle per vedere se fossero ancora utilizzabili, e rimetterle nella faretra.
Si addentrarono ulteriormente tra le rovine, oltrepassando una vecchia porta di legno ormai marcito. Incontrarono ancora un paio di ragni, che non diedero troppi problemi.
Girando tra i corridoi, passarono accanto ad uno scheletro ricoperto di ragnatele, probabilmente di qualche sventurato avventuriero. Aveva ancora addosso parti dell'armatura, arrugginita e inutilizzabile, l'elsa spezzata di un pugnale in mano. Svoltarono per un lungo corridoio, notando altri resti umani.
Ad un certo punto, Caleb accelerò il passo, fermandosi di fronte ad una statua, che ritraeva una figura snella, con una falce in mano priva di volto.
«Non è possibile! Guarda, lo riconosci?» Esclamò lui, indicando la statua.
Castalia squadrò l'oggetto, indecisa. «Forse. Sembra familiare.»
«Lui è Malthael, è un Nephilim» Spiegò, l'eccitazione per la scoperta era palpabile nella sua voce.
«Queste allora sono antiche rovine Nephilim… la cosa non mi piace.» Commentò lei guardando l’inquietante statua senza volto.
«Questo è fantastico... chissà quali tesori ci sono qua sotto!» Il Druido lanciò un'ultima occhiata alla statua, prima di incamminarsi a passi veloci lungo il corridoio, impaziente.
«Come sapevi della statua?» Gli chiese lei, rompendo il silenzio che la stava innervosendo.
«Era in uno di quei libri che la tua Madre non lascia toccare a nessuno. L'ha chiamato “l'amico dei morti” ... Qualcuno che portava le anime dei defunti verso il loro ultimo riposo, o qualcosa del genere.»
«Amico dei morti?» Sbuffò Castalia. «Questo sì che porta fortuna...»
«Non era considerato un essere malvagio…» Ribatté Caleb.
Castalia si guardò attorno, quel posto metteva i brividi. «Cosa pensi sia questo posto?»
Caleb scosse la testa. «Non ne ho idea. Forse un tempio, ma... forse alcuni dei nostri antenati vivevano sottoterra.» Fece una smorfia. «Personalmente, sceglierei mille volte di stare là sopra, piuttosto che qua sotto.»
«Nessuno vivrebbe volontariamente in un luogo del genere...»
«Non lo so, Castalia, ho una strana sensazione. Come se avessimo... disturbato qualcosa, venendo qua sotto.» Il Druido si guardò intorno, scrutando accigliato la penombra che li circondava. Si riscosse subito dopo. «In ogni caso, ci vorrà bel altro per spaventare un cacciatore come me.»
«Te lo ricorderò, quando staremo a testa in giù in un bozzolo di tela di ragno, in attesa di essere mangiati vivi.» Commentò lei.
«Beh, se non volevi venire, potevi tornartene all'accampamento. A proposito,» Si girò a guardarla, nascondendo a malapena un sorrisetto divertito. «Non dovevi aiutare Ilen oggi?»
Lei si arricciò una ciocca di capelli corvini attorno al dito e guardandolo di sottecchi. «Forse... Ma non potevo certo lasciarti cacciare nei guai da solo, no?» Gli si avvicinò, sorridendo. «Non sia mai che mi perda il divertimento di essere mangiata viva da un aracnide sovrappeso.»
«Ah, quindi mi hai seguito per la fauna locale e il brivido dell'avventura...» La afferrò per i fianchi, tirandola a sé. Una mano salì a carezzarle la nuca, mentre i loro nasi si sfioravano.
«Mi conosci, mai una giornata tranquilla!» Ridacchiò Castalia, socchiudendo gli occhi e lasciando che il profumo di lui la inebriasse: sapeva di foglie secche in autunno e di resina di pino.
Quando le labbra di Caleb si posarono su quelle morbide di lei, Castalia sembrò dimenticarsi del luogo in cui si trovavano, contavano solo i loro respiri, le mani di lui sulla sua schiena, la sua lingua che le carezzava la propria. Gli passò una mano tra i capelli neri, scompigliandoli e traendolo maggiormente a sé.
Dopo qualche attimo, Caleb si staccò da lei, un sorriso soddisfatto stampato in faccia. «Vedo che scendere qui è servito a qualcosa...»
«La prossima volta, possiamo semplicemente sgusciare dietro un cespuglio, sai? Non è necessario rischiare la pelle.» Lo canzonò lei, sfiorandogli la guancia col dorso della mano.
Le diede un buffetto sulla fronte. «Ora vediamo cosa c'è in fondo a queste rovine e andiamo ad avvisare la Somma Madre, prima di ritrovarci come quel tipo laggiù.» Indicò ciò che restava di uno scheletro, appoggiato tristemente ad una radice che sporgeva dal terreno. Si voltò, riprendendo l'arco in mano e proseguendo per il corridoio buio.
Castalia lo seguì dopo un attimo di esitazione. Per un momento, quel posto le era sembrato meno terribile, ma quel momento era ormai passato. Sfoderò nuovamente la spada, affrontando le tenebre.
Stavano procedendo spediti, quando un rumore metallico rimbombò per i corridoi di pietra. Si fermarono immediatamente, cercando di capire da dove provenisse. Sentirono un rumore di passi strascicati, seguito da un grido rauco e disumano, che fece loro gelare il sangue nelle vene.
«Fenedhis lasa!» Esclamò con orrore Caleb, mentre uno scheletro avanzava verso di loro, le cavità dove dovevano esserci stati gli occhi ora delle braci ardenti, pezzi di armatura che pendevano dal corpo e spada a due mani alzata.
Lo sgomento durò poco, incoccando dopo un attimo una freccia e mirando alla testa. Colpì sfortunatamente l'elmo, rimbalzando via.
Castalia, ignorando il cuore che le batteva all'impazzata menò un fendente al petto del cadavere. Quello parò con la sua spada, il metallo vecchio che risuonò sinistramente con l'impatto, le ossa che sferragliavano assorbendo il colpo.
Senza dargli il tempo di contrattaccare, Castalia gli sferrò un calcio sulle ossa del bacino, facendolo barcollare all'indietro. Afferrò saldamente la propria spada, mentre con tutta la forza che aveva in corpo staccò la testa alla creatura, che caracollò al suolo, le ossa che si sparpagliavano per il pavimento.
«Cos'era quella cosa?!» Esclamò Caleb, sconvolto. «Ci deve essere della magia oscura, per far risvegliare i morti.»
«Beh, buona fortuna a questo qua, se vuole risvegliarsi di nuovo.» Ribatté lei, dando un calcio alla testa dello scheletro e mandandola a rotolare ancora più lontano. «Questo posto è sempre meglio, direi.» Commentò sarcastica, avanzando lentamente verso una grande porta di legno sormontata da un arco in pietra, pronta ad attaccare qualsiasi cosa fosse saltata fuori dalle tenebre.
La porta era chiusa, ma riuscirono a sfondarla con una spinta ben assestata.
La ragazza entrò per prima, avanzando di qualche passo incerto verso il centro della sala. Qualcosa di grande e luccicante attirò la sua attenzione, ma prima che potesse capire cosa fosse, un ruggito aggressivo la colse di sorpresa. Qualcosa di grosso e peloso le si abbatté contro, scaraventandola a terra. Sbatté la testa sulla pietra dura, la visione che le si oscurò per qualche secondo, cercando di liberarsi da quella che doveva essere una zampa, più grossa di lei, premuta contro il suo petto.
«Ehi!» Sentì Caleb urlare, poi il peso su di lei sparì.
Cercando di riprendere fiato, barcollò per rimettersi in piedi. Un guaito segnalò che una delle frecce del compagno era andata a segno. Senza perdere tempo, recuperò la spada che era scivolata poco più in là e si lanciò all'attacco con un affondo, sorprendendola alle spalle e lasciando uno squarcio sul fianco della bestia. Quella emise un lamento acuto, per poi fronteggiarla di nuovo.
Si prese un attimo per capire cosa fosse: aveva la forma di un grosso orso, la pelliccia strappata e sanguinolenta che lasciava spazio a degli spuntoni ossei, e sotto di essi carne violacea, malata e nauseante. Emanava un puzzo di marcio e putrefazione.
Un'altra delle frecce di Caleb si conficcò nella spalla della bestia, dandole l'opportunità di menare un altro fendente alla zampa posteriore. La creatura crollò a terra, cercando di rialzarsi spostando il peso sulle altre zampe. Il Druido la colpì prima sulla spalla, poi in un occhio, facendola ringhiare di dolore e dando spazio di manovra alla compagna, che raccolse tutte le energie in un ultimo fendente al fianco della bestia, conficcandole la spada tra le costole, spingendo con tutto il suo peso finché non fu dentro quasi fino all'elsa. La creatura cadde su un fianco, sussultando in preda agli spasmi, per poi afflosciarsi sul pavimento, una chiazza di sangue nerastro che si allargava sotto di essa.
Castalia cadde a terra, esausta, le mani sulle ginocchia.
«Odio questo posto.» Esalò, chiudendo gli occhi e cercando di riprendere fiato.
«Ti ha ferita?» Le chiese Caleb, preoccupato.
Lei scosse la testa. «Non credo...» Stese le gambe, che ancora le tremavano. «Che cos'era quella cosa?»
Il Druido si strinse nelle spalle. «Non lo so e non lo voglio sapere. Spero solo non ce ne siano altre.» Lo sguardo gli si posò al centro della stanza. Rimase incantato.
Castalia si voltò nella stessa direzione, notando un enorme sfera luccicante che sembrava composta da un materiale simile al vetro, sorretta da due grandi statue in pietra che sembravano sorvegliarla.
«Meraviglioso, non è vero?» Esclamò Caleb, avvicinandosi. La Druida si rialzò faticosamente in piedi, una brutta sensazione ad attanagliarle lo stomaco.
«Mi chiedo cosa significhino le incisioni...» Vide Caleb salire i tre gradini che portavano alla sfera, rapito da essa.
«Probabilmente, non toccare.» Lo avvertì lei, affrettandosi a raggiungerlo e prendendogli la mano prima che potesse toccare qualcosa.
«Tranquilla, non riusciremmo a romperla nemmeno provandoci, credo. Vedi quanto è pulita la superficie? Nemmeno una crepa, o un granello di polvere, è fantastico! Vorrei proprio sapere che cosa dicono le scritt…Ehi!» Sobbalzò, liberando la mano da quelle di Castalia con uno strattone. «Hai visto? Si è mosso qualcosa!» Scrutò il vetro con sguardo febbrile.
«Caleb, per favore, allontanati. Potrebbe essere pericoloso.» Lo pregò lei. Quella sfera aveva qualcosa di sinistro.
«Non preoccuparti, voglio solo... Ecco! L'ho visto di nuovo! L'hai visto?!» Sobbalzò eccitato, avvicinandosi ancora di più al vetro, fin quasi a toccarlo.
A Castalia sembrava di aver visto qualcosa, come un riverbero, nella superficie della sfera. Fece un passo indietro, spaventata. «Caleb, andiamo via.»
«Lo senti? Credo sappia che siamo qui.» La ignorò lui, concentrato solo sul vetro. «Vedo qualcosa... sembra un castello?» Sfiorò la superfice, che reagì al suo tocco con una serie di increspature concentriche, come se avesse buttato un sasso dentro una pozza dall'acqua cristallina in una giornata senza vento. «E una grande oscurità...» Sobbalzò, sgranando gli occhi in un’espressione di terrore. «Mi ha visto! Mi ha visto! Non…non riesco a distogliere lo sguardo...»
Caleb emise un guaito d'orrore. «Aiuto!» Urlò, mentre sulla superficie della sfera si creavano molteplici increspature.
«Caleb!» Castalia schizzò in avanti per afferrarlo, ma prima che potesse raggiungerlo venne scaraventata indietro, da una luce bianca accecante che sembrava spaccarle la testa.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 1
Ichabod sbuffò, incenerendo l'ultimo ragno gigante in quel dannatissimo magazzino. Si grattò la barba rossiccia, irritato. Non solo Archer aveva trascinato Katrina in quel piano ridicolo, ma si era fatto coinvolgere pure lui in quella follia. “Che idiota che sono!” Pensò l'uomo, agitando una mano e rovesciando con un incantesimo uno degli scaffali appoggiati al muro, solo per il gusto di farlo. “La sta usando solo per riuscire a scappare...”
Ignorò la fitta di gelosia, dirigendosi a passo sicuro verso l'uscita del magazzino.
«Oh, già di ritorno?» Gli chiese l'Incantatrice Anziana Leorah.
«Ovviamente.» Ribatté Ichabod, tendendole il modulo di richiesta per la verga di fuoco. «Ora, se potesse firmarmi questo...»
«Certamente, certamente.» Borbottò l'Incantatrice, scarabocchiando la sua firma sul foglio. «Se avessi bisogno in seguito, un giovane così promettente...» Gli riconsegnò il foglio.
«Non esiti a chiamarmi.» Rispose prontamente lui, afferrandolo e chinando leggermente la testa prima di allontanarsi. “Razza di indolente.” Pensò schifato. L'Incantatrice non aveva nemmeno provato a disfarsi di un paio di ragni nel magazzino della Torre, come pretendevano potesse insegnare qualcosa agli Apprendisti, o persino ai Maghi che avevano già superato il Tormento?!
Sulla strada verso il magazzino di Owen, si imbatté in uno degli Inquisitori che avevano assistito al suo Tormento, un giovane alto dai capelli ricci e biondi e gli occhi chiari.
«Ichabod. Sono contento tu abbia superato il Tormento.» Gli disse quello, salutandolo con la mano. Ma il giovane mago non aveva tempo da perdere, soprattutto con un uomo che il giorno prima non avrebbe esitato un attimo ad ucciderlo in nome del Creatore.
«Sì, immagino che la perdita di un promettente prigioniero sarebbe stata devastante per l'Ordine.» Lo sbeffeggiò. Quello sembrò risentirsi, perché aggrottò le sopracciglia e cercò di ribattere.
«Non tutti gli Inquisitori amano uccidere i maghi. E voi siete nella Torre soprattutto per essere protetti.» Ichabod non sapeva se l'idiota fosse effettivamente convinto di quello che stava dicendo oppure era addestrato a ripetere la stessa frase a comando ogni volta che se ne presentava l'occasione. Se davvero i maghi fossero stati liberi, non avrebbero avuto bisogno di alcuna protezione dal mondo esterno, anzi, sarebbe stato l'esatto contrario. Se soltanto la Fratellanza non avesse addestrato così meticolosamente i suoi soldatini a dare la caccia a qualsiasi mago libero al di fuori dalle Accademie...
«Servo il Creatore, e finché sono guidato da Lui, non posso fallire.» Recitò l’Inquisitore.
«Mi sento davvero rassicurato, grazie mille Arthur...» Ribatté beffardo il mago.
«Onestamente, non ho mai visto un Abominio... Né ne ho mai ucciso uno.» Ammise il giovane Inquisitore.
«Ma non mi dire.» Commentò Ichabod.
Arthur tornò sulla difensiva, incrociando le braccia davanti al petto. «Il Comandante Gregor mi avrebbe aiutato. E qualcosa deve pur succedere.» Esitò un attimo. «Anche se... Nel caso non succedesse nulla, potremmo non accorgercene? Magari in questo momento degli Abomini…»
«Sapevo che voi Inquisitori siete paranoici, ma non fino a questo punto.» Lo interruppe Ichabod. «Se davvero l’Accademia fosse infestata da Abomini, voi sareste già tutti morti, o peggio, e noi maghi saremmo fuori da qui a goderci questa bella giornata di sole sull'altra sponda del lago, sorseggiando calici di sangue per i nostri orrendi sacrifici umani.»
L’Inquisitore sgranò gli occhi, per un attimo spaventato. Si riprese in fretta, però, e gli lanciò un'occhiataccia. «Non è divertente. Potresti essere preso sul serio.»
Ichabod sollevò un sopracciglio, guardandolo di traverso. «L'unico qui che rischia di essere preso sul serio, per un codardo, sei tu. Buona giornata. Ehi attento agli Abomini, hanno una preferenza per i giovani biondi, ho sentito dire.» Girò sui tacchi e si allontanò in fretta, lasciando il giovane Inquisitore alle sue preoccupazioni. Aveva altro a cui pensare. Ripercorse velocemente la strada fino al magazzino di Owen, recuperando senza problemi la verga di fuoco.
L'Adepto della Calma lo faceva rabbrividire. Pensare che potesse succedere a chiunque di loro, appena avessero sgarrato dal codice che gli Inquisitori e la Fratellanza imponevano ai maghi dell’Accademia, era terrificante. Essere privato dei propri poteri magici come di qualunque emozione... Se Katrina correva davvero un rischio simile, Ichabod avrebbe fatto qualsiasi cosa, qualsiasi, pur di non lasciare che gli accadesse nulla. Persino lasciarla fuggire con quello stupido di Archer.
Si affrettò verso la cappella, dove l'amica e Archer lo stavano aspettando.
«Hai fatto in fretta!» Commentò la ragazza, entusiasta.
«Sì, beh, già che devo fare tutto io, almeno non mi perdo in chiacchiere.» Rispose acido Ichabod.
«Spiritoso…» Disse l'altra con una smorfia.
«Al deposito, allora! La libertà ci aspetta.» Esclamò Archer. Ichabod dovette trattenersi dal lanciarle uno sguardo di fuoco, letteralmente. Quella sua voce lo innervosiva come poche cose.
«Katrina, posso parlarti un attimo?» Chiese alla ragazza, ma quella scosse la testa, afferrandolo per un braccio e trascinandolo fuori dalla cappella.
«Ne possiamo parlare quando saremo nel deposito.» Esclamò. Ichabod notò con fastidio che l'altra sembrava non avere occhi che per Acher, che camminava a passo spedito davanti a loro. Sbuffò di nuovo, arrendendosi. Scesero le scale verso il primo piano, dov'era l'accesso ai sotterranei. L'ingresso al deposito era bloccato da una grande porta in pietra, ricoperta da rune e intagli.
«La Fratellanza chiama questo ingresso la “Porta della Vittima”. È formata da duecentosettanta tavole, una per ognuno dei primi Inquisitori. È un promemoria dei pericoli rappresentati da chi è maledetto dalla magia.» Spiegò la rossa con fare saccente.
«Non mi pare di aver chiesto una lezione sugli insegnamenti bigotti della Fratellanza.» Tagliò corto Ichabod. «Vediamo se questa verga di fuoco funziona, piuttosto.» Estrasse l'artefatto, soppesandolo.
«Prima, la parola d'accesso.» Lo fermò nuovamente Archer. «L'ho ottenuta da un Inquisitore che ha recentemente accompagnato un mago nella cassaforte...»
«E non ha sospettato nulla?» Chiese Ichabod, scettico.
«Abbiamo chiacchierato in diverse occasioni.» Rispose l'altro.
«Ichabod!» Si intromise Katrina. «Piantala di essere così diffidente, sei qui per aiutarci, te lo ricordi? Smettila.» Lo sgridò.
Le sue parole lo colpirono come un incantesimo di ghiaccio. Abbassò lo sguardo.
«Hai ragione, Katrina.» Disse, ingoiando l'orgoglio. Guardò l'iniziata, pregando che nessuno dei due riuscisse a capire cosa gli stesse ronzando in testa in quel momento. «Le mie scuse, Archer.» Sperò bastasse. Solo pronunciare il nome di lui gli dava il voltastomaco. Katrina gli sorrise. «Hai appena superato il tuo Tormento, e noi ti abbiamo coinvolto in questa cosa... è normale che tu sia nervoso. Grazie per aver accettato di aiutarci.» Gli sorrise, rassicurante prima di dagli un bacio sulla guancia.
“L'ho fatto per te”, pensò Ichabod.
«Spada del Creatore, Lacrime dell'Oblio.» Pronunciò Archer avvicinandosi alla porta. Qualcosa scattò, segno che la parola d'accesso aveva funzionato. «Ora, deve ricevere il tocco del mana. Andrà bene qualsiasi incantesimo, ma sbrigatevi.» Lui e Katrina si scambiarono uno sguardo d'intesa, per poi lanciare i propri incantesimi sulla porta.
La porta si aprì di scatto, lasciandoli passare.
Con la seconda serratura, non ebbero altrettanta fortuna.
«Non funziona!» Si lamentò Katrina, dopo che la verga di fuoco si rivelò inutile. Ichabod la impugnò saldamente, riprovandoci. Il raggio di fuoco colpì la serratura e svanì nel nulla. «Sembra che dovremo trovare un altro modo per raggiungere i filatteri...» Commentò pensoso.
«Ehi.» Lo chiamò Katrina. «Qualcosa non va. Non è possibile lanciare incantesimi qui, hai notato?» Gli chiese, preoccupata, mostrando il palmo della mano come per provare quanto appena detto. L'altro provò a sua volta a lanciare una sfera di fuoco, ma non riusciva a trasformare l'energia che sentiva scorrere dentro di sé in qualcosa di concreto. «Hai ragione.»
Si avvicinò alla porta, esaminando le rune incise nella pietra. Non le riconobbe con precisione, ma era facile capirne la provenienza. «Questi sigilli, sono sicuramente opera dei Mistici della Fratellanza. Annullano ogni tipo di magia lanciata all'interno della loro area di influenza.»
«Ecco perché Irving e Gregor usano delle semplici chiavi! Quelle magiche non funzionano!» Commentò la ragazza. Ichabod poteva avvertire una nota di panico nella sua voce.
«Manteniamo la calma. C'è un'altra porta, là in fondo. Vediamo dove conduce.» Indicò il corridoio alla loro destra.
«Probabilmente porta ad un'altra parte del deposito... Che probabilità ci sono che esista un altro ingresso?» Si lamentò Katrina, visibilmente preoccupata. Ichabod si strinse nelle spalle. «Siamo arrivati fin qui, no? Tanto vale provare.» Li precedette verso l'altra porta. Era anch'essa chiusa, tuttavia era in legno, e non vi erano rune o sigilli visibili. Fece un nuovo tentativo con la verga di fuoco, che finalmente si rivelò utile, fondendo la serratura. Aprì la porta con un calcio.
Uno sferragliare di metallo lo fece sobbalzare, girandosi di scatto. Una delle armature a guardia del corridoio, spadone e scudo pronti a colpirli, stava avanzando minacciosamente verso di loro. «Oh, allora non sono così scemi come pensavo.» Sogghignò Ichabod, preparando una palla di fuoco nella mano destra e prendendo la mira. Aspettò che Katrina sferrasse uno dei suoi incantesimi di ghiaccio, congelando le giunture della sentinella, prima di farla esplodere in un vortice di fiamme e ferro fuso.
«Dobbiamo muoverci.» Esclamò Archer.
«Hai ragione Andiamo via di qui.» Rispose Ichabod. Ci voleva ben altro per fermarli. Si fece strada verso il corridoio, pronto ad attaccare qualsiasi cosa si fosse mosso.
«Non preoccuparti Katrina, ci siamo noi a proteggerti.» Sentendo Archer rassicurare la ragazza, provò l'ormai familiare fitta allo stomaco. Fortunatamente, a distrarlo dai due piccioncini ci pensarono altre sentinelle in armatura, che si gettarono loro addosso appena svoltato l'angolo. Con un incantesimo di telecinesi, Archer ne spedì due lontano da sé, facendo cadere la lancia ad uno di essi. Il terzo venne bloccato al suolo da Katrina, gli scarponi intrappolati in un blocco di ghiaccio. Senza perdere tempo, Ichabod evocò un glifo di paralisi, impedendo ai due per terra di alzarsi e finendoli poi con una serie di palle di fuoco. Archer disintegrò l'ultimo con un quadrello arcano. Si fermarono a riprendere fiato, e lui e Katrina si scambiandosi uno sguardo complice. La ragazza gli si avvicinò, alzando una mano e sfiorandogli la barba. Il cuore di Ichabod saltò un battito. L'altra ridacchiò, dandogli un buffetto sul mento come a scacciare qualcosa. «Continuo a ripetertelo, prima o poi andrai a fuoco.» Ichabod non fece caso alla scintilla che lei aveva allontanato, troppo preso ad evitare di arrossire e diventare del colore dei propri capelli.
«Ah. Grazie.» Riuscì a dire, sperando che l'amica non notasse niente di strano. Prima che potesse aggiungere altro, Katrina si era già voltata verso Archer, stringendolo a sé in un abbraccio.
Mandando giù la bile di gelosia nel vederli così vicini, Ichabod si costrinse a ricomporsi.
«Diamoci una mossa.» Li spronò, precedendoli.
Incontrarono altre sentinelle, ma se ne liberarono velocemente.
«Non vedo l'ora di andarmene da qui. Queste cose... non sono creature del Creatore.» Si lamentò Katrina, distogliendo lo sguardo dai resti fumanti di un'armatura.
«Alcuni nella Fratellanza direbbero la stessa cosa dei maghi.» Ribatté acido Ichabod, non dando nemmeno il tempo di rispondere agli altri due e finendo con un incantesimo l'ultima sentinella ancora in piedi.
Sbucati in una stanza piena di scaffali impolverati, vennero aggrediti da un piccolo branco di cacciatori oscuri, che non si provarono una sfida, nonostante la pellaccia dura e squamosa che li ricopriva e i denti aguzzi. Prima che il capobranco, che aveva spedito a terra, riuscisse ad afferrare la gamba di Ichabod, Archer si affrettò a lanciargli un quadrello arcano, uccidendolo sul colpo.
«Non c'è di che.» Esclamò.
«Grazie...» Ribatté Ichabod con una smorfia.
Affrontarono ancora alcune sentinelle, per poi sbucare in una ampia stanza, stracolma di oggetti, libri e altri manufatti dall'aspetto intrigante. Un grosso baule con inserti dorati attirò l'attenzione di Ichabod, che senza pensarci andò ad aprirlo.
«Ora sì che ragioniamo!» Esclamò, estraendone un bastone da mago di legno scuro e ferro, intrecciato e contorto su sé stesso. «Niente male.» Commentò soppesandolo, girandoselo abilmente tra le mani. Era ora che trovasse un bastone magico suo, che non fosse uno di quelli standard che l’Accademia dava in uso ai propri membri. Inoltre, solitamente nella torre solo i maghi affermati e gli Incantatori giravano portando i propri bastoni sulle spalle, mentre ai giovani maghi era sconsigliato girare armati senza un ottimo motivo. Ecco perché si era dovuto addentrare lì sotto senza, non volendo destare sospetti.
Gli scaffali erano pieni di libri, e Ichabod si ritrovò a studiarne le copertine, rapito. Chissà quali segreti e incantesimi proibiti dalla Fratellanza contenevano...
«Ehi! Non è il momento per fare il topo di biblioteca, non ti pare?» Lo richiamò alla realtà Katrina. «Piuttosto, questa statua, non ti sembra strana?» Gli chiese, indicando un lupo di pietra rivolto verso la libreria che Ichabod stava esaminando.
«Perché l’Accademia tiene così tanti manufatti nel suo deposito?» Chiese l'iniziata.
«Sono parte della storia, e sono affascinanti.» Le rispose Archer.
Tra le molte cose che avevano in comune lui e Katrina, vi era l'interesse per gli incantesimi e gli artefatti antichi, soprattutto quelli che possibilmente sarebbero stati considerati pericolosi o illegali dalla Fratellanza e i suoi Inquisitori.
Spesso, seduti di fronte alla finestra dell'ultimo piano della Torre, avevano fantasticato su come sarebbe stato scappare dall’Accademia. L’Impero Samuren era ovviamente la prima meta che era venuta loro in mente, l'unica nazione di tutto il mondo ad accettare i maghi non come mostri da imprigionare ma come membri della società. Lì, la magia non era temuta, ma onorata. Non vi erano Inquisitori né Venator che li uccidevano o imprigionavano, rispetto al resto del mondo erano un faro di speranza per tutti coloro nati diversi.
Eddard, uno degli Apprendisti che a volte trascorreva del tempo con loro, aveva ribattuto che nell’Impero Samuren era comune l’antica e misteriosa Magia del Sangue, che comportava sacrifici umani: i Maghi Vampiri erano noti per sacrificare in gran quantità i propri schiavi, pur di raggiungere i propri obbiettivi di potere.
Gabriel, un altro degli Apprendisti, era rabbrividito all'idea, affermando che preferiva la tranquillità e sicurezza dell’Accademia. “Certo, se ti piace essere sorvegliato giorno e notte, senza sapere quando ti uccideranno.” Aveva commentato Ichabod, notando che Katrina era rimasta in silenzio, con un'espressione preoccupata in volto.
«Credo che quest'affare serva come amplificatore, l'ho letto da qualche parte.» La voce di Katrina lo riportò a concentrarsi sulla stanza. «Ehi, dammi una mano a spostare la libreria, ho un'idea.» Insieme, riuscirono a spostare da un lato il pesante mobile di legno antico, rivelando una parete di calce ammuffita dietro di esso.
«Fammi indovinare, verga di fuoco?» Scherzò Ichabod indicando la statua del lupo, una volta che ebbero spostato la libreria.  La statua assorbì l'energia del manufatto, proiettando a sua volta un raggio che mandò in frantumi la porta in un'assordante esplosione.
«Questa l'avranno sentita di sicuro.» Commentò Archer aspettando che la nube di fumo e detriti si depositasse. L'iniziata era in preda ad un attacco di tosse.
«La stanza dei filatteri!» Esclamò Katrina sollevata, attraversando di corsa il varco nel muro. Gli altri due lo seguirono a breve distanza. «Non dovrebbe essere difficile, non ce ne sono molti, qui.»
Prima che potesse finire la frase, vennero assaliti da nuove sentinelle, che fecero la stessa fine delle precedenti. Salirono una rampa di scale, raggiungendo gli scaffali contenenti i filatteri. Esaminarono ciascun ripiano, con crescente impazienza, fino a che Ichabod non trovò quello che stavano cercando.
Era su un tavolino basso, assieme ad un altro paio di filatteri. “Strano che non sia sugli scaffali come gli altri...” Pensò Ichabod. Se davvero i sospetti di Katrina erano fondati, probabilmente il Primo Incantatore l'aveva lasciato fuori in attesa di compiere a breve il Rituale della Calma.
Lo porse all'amica.
«Lo hai trovato!» Esclamò raggiante lei. «Non riesco a credere che questa piccola fiala si frapponga tra me e la libertà.» Ne accarezzò la superficie con le dita, delicatamente. «Così fragile...» Sussurrò rapito, «così facile da eliminare, per spezzare la stretta che ha su di me...» Aprì le mani, lasciando che cadesse a terra, frantumandosi e spargendo il contenuto sul pavimento in pietra.
Ichabod rimase a fissare la chiazza di sangue che si faceva strada tra le crepe.
«Finalmente, sono libera!» Disse con enfasi Katrina, un gran sorriso sul volto.
Ichabod non la vedeva così felice da tempo, e non poté fare a meno di sorridere a propria volta. «Come ci si sente?» Gli chiese.
«Chiedimelo di nuovo quando saremo fuori di qui.» Rispose l'amica. Gli appoggiò la mano sulla spalla, stringendola. «Grazie, Ichabod. Non ce l'avremmo fatta senza di te.» Gli disse, improvvisamente più seria.
L'altro dovette di nuovo sforzarsi per darsi un contegno. «Figurati, sei più che capace di cavartela da sola, lo sai.» Rispose, stringendo a sua volta il braccio dell'amica. «Peccato solo che il mio filatterio sia stato già spedito a Tristram.»
Katrina cercò di rassicurarlo. «Sei troppo potente per preoccuparti di un paio di Inquisitori. Se dovessero trovarti…»
«Quando, intendi dire. Non c'è modo di evitarli, se hanno il mio sangue.» Lo interruppe l'altro.
«In ogni caso, te ne sbarazzeresti senza problemi. So che puoi farcela.» Continuò imperterrita Katrina. Suonava così sicura, l'espressione sul viso seria e determinata, che Ichabod finì per crederci. Gli occhi scuri dell'amica brillavano alla luce delle candele bluastre sulle pareti della stanza, e improvvisamente si rese conto di quanto erano vicini.
Poteva quasi sentire il respiro di Katrina, veloce ed eccitato dalla nuova sensazione di libertà. Deglutì a vuoto, allontanandosi di scatto e voltandosi di lato, sperando che la penombra e la barba gli nascondessero il rossore sulle guance.
«Muoviamoci, abbiamo poco tempo.» Disse per rompere il silenzio.
«Non voglio restare qui un momento di più.» Convenne Archer. Ichabod sbuffò, per un attimo si era dimenticato della presenza di quel tipo. Si diressero verso la porta d'ingresso principale, che scoprirono spalancarsi senza difficoltà se aperta dall'interno. Percorsero in fretta il corridoio che portava all'uscita.
«Ce l'abbiamo fatta!» Bisbigliò Katrina, contenendo a stento l'euforia. «Quasi non ci credo! Ora, dobbiamo solo…»
«Allora, avevi ragione Archer.»
Ichabod sentì il sangue gelarsi nelle vene. Si voltarono, atterriti, per veder sopraggiungere il Comandante Gregor, accompagnato da altri due Inquisitori, e il Primo Incantatore Irving. Non riuscì a trattenere un'imprecazione volgare.
«Un'iniziata che cospira con un mago del sangue. Sono molto deluso, Katrina.» Prese la parola Gregor. Si avvicinò, come per esaminarla. Ichabod si spostò automaticamente davanti alla ragazza, a farle scudo col proprio corpo. «Sembra sconvolta, ma in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Non è opera del mago del sangue, quindi.» Continuò il Comandante, per nulla impressionato, voltandosi poi Archer. «Avevi ragione. Archer, questa iniziata ci ha tradito. La Fratellanza non permetterà che resti impunita.» Lo sguardo severo del Comandante si posò poi su Ichabod, che d'istinto strinse i pugni attorno al suo nuovo bastone magico, pronto a difendersi. «E costui, un vile mago del Sangue.»
«Non è colpa sua!» Intervenne Katrina. «È stata una mia idea!»
«Katrina.» La zittì Ichabod con voce ferma. Era grato all'amica per aver preso le sue difese, ma dopotutto la colpa era colpa sua. Era stato lui a volerla aiutare. E se dovevano combattere per uscire da lì, avrebbero affrontato Gregor e i suoi Inquisitori, Irving e tutti gli altri, non importa se fossero morti. Era comunque preferibile a quello che aspettava entrambi se li avessero catturati vivi.
«Ora basta!» Li interruppe Gregor. «Come Comandante del Sacro Ordine degli Inquisitori, condanno questo mago del sangue a morte.» Portò la mano sinistra dietro le spalle, ad afferrare l'elsa della spada a due mani che portava sulla schiena. «E questa iniziata si è presa gioco della Fratellanza e dei suoi voti. Portatela ad Aeonar.» Gli Inquisitori dietro di lui obbedirono, facendo qualche passo in direzione della ragazza, che tremava aggrappata al braccio di Ichabod.
«La... la prigione dei maghi. No, vi prego, no. Non laggiù!» Balbettò lei in preda al panico, indietreggiando.
«No! Non vi permetterò di toccarla!» Urlò Ichabod, estraendo qualcosa di scintillante dalla veste.
Fu un attimo.
La lama calò agile sulla pelle, causando uno schizzo di sangue che andò a spargersi sul tappeto. Una nube rossastra si alzò da essa, i suoi tentacoli che si innalzavano diramandosi attorno al mago. Ichabod raccolse l'energia sprigionatasi, facendola convergere sugli Inquisitori, che vennero colpiti in pieno senza avere il tempo di difendersi, mandandoli a terra e stordendoli.
«Katrina, dobbiamo andarcene.» Chiamò, cercando di farla muovere. «Katrina!» Urlò, non ottenendo risposta.
L'altra era impietrita, lo sguardo fisso nel vuoto, l'unico rumore nella sala, finché uno degli Inquisitori non si girò su un fianco, l'armatura che strideva contro la pietra del pavimento.
«Katrina!» Urlò di nuovo Ichabod, afferrando saldamente il bastone magico e lanciando sull’Inquisitore una runa di paralisi, impedendogli di rialzarsi. «Dobbiamo andare!» L’afferrò per un braccio, scuotendola.
L'altra sembrò riprendersi, voltandosi a guardarlo. «Tu sei...?» Balbettò.
«Sono furioso, ma non c'è tempo ora per prenderti a schiaffi!» La zittì Ichabod, spingendolo verso la porta d'uscita. Infilarono velocemente il corridoio, correndo a perdifiato per il piano terra della Torre. Incontrarono alcuni Apprendisti, che ebbero la prontezza di spostarsi. Colsero di sorpresa un altro Inquisitore, Ichabod lo colpì alle spalle con un incantesimo di telecinesi, per poi lanciare una runa di paralisi. Senza nemmeno controllare che avesse avuto effetto, si scapicollarono giù per le scale. Fortunatamente, la sala d'ingresso conteneva solo altri due Inquisitori.
Ormai, però, non potevano più contare sull'effetto sorpresa.
I due, tra cui Ichabod riconobbe esserci il giovane biondo che aveva partecipato al suo Tormento, Arthur, li stavano aspettando ad armi sguainate, minacciosi.
I maghi sapevano di non dover dare loro il tempo di lanciare un'aura di antimagia. Tenendosi a distanza dalle loro armi, si prepararono a combattere.
Ichabod lanciò una palla di fuoco in direzione dei due guerrieri, costringendoli a buttarsi di lato per evitarla: uno di loro venne colpito dall'incantesimo di ghiaccio di Katrina, che lo fece cadere a terra.
Arthur si riprese in fretta, lanciando la sua aura di antimagia contro Katrina, che era la più vicina al portone d'uscita. La ragazza barcollò, colpita dagli effetti, dando l'opportunità al giovane cavaliere di sferrare un attacco con la spada.
Prima che potesse colpirlo, Ichabod lanciò sull'amica un incantesimo di protezione, donandogli una protezione magica temporanea che permise a Katrina di incassare il fendente senza quasi subire danni. Il guerriero non si perse d'animo, e con un grugnito si preparò a colpire di nuovo, questa volta usando lo scudo, scaraventando Katrina a terra.
Ichabod urlò il nome dell'amica, la paura che gli attanagliava le viscere.
«Eccoli!» Sentì qualcuno urlare alle loro spalle.
“Gregor”. Riconobbe la voce. “La ucciderà.”
Realizzò quello che doveva fare. Guardò Katrina, che stava cercando di allontanarsi dall’Inquisitore che troneggiava sopra di lei, la spada alzata, pronto a sferrare il colpo di grazia.
Ichabod inspirò profondamente, raccogliendo le ultime energie rimaste.
Scagliò un incantesimo di telecinesi sull'amica, spedendola dall'altra parte della sala, vicino al portone d'ingresso, sperando di non farle troppo male.
L’Inquisitore lo guardò stranito, prima di prepararsi a lanciare nuovamente la sua aura antimagia. Ichabod strinse spasmodicamente il bastone magico, alzandolo davanti a sé. Urla concitate e uno sferragliare di armature segnalarono che Gregor e i suoi Inquisitori li avevano raggiunti.
Prima di lanciare l'incantesimo, incrociò lo sguardo atterrito di Katrina. Vide l'amica muovere le labbra, ma l'energia che stava raccogliendo e il frastuono che regnava nel salone gli impedirono di sentire le sue parole. Gli sorrise un'ultima volta, prima di rilasciare una palla di fuoco gigantesca contro il soffitto, facendo esplodere tutto il salone in un inferno di fiamme e detriti.
Quando riprese conoscenza, si accorse che qualcosa gli impediva i movimenti. Era buio, l'aria sapeva di muffa e umidità. La schiena poggiava su quella che sembrava roccia, fredda e scivolosa. Scosse le braccia, e dal rumore metallico capì che era incatenato. Provò a muovere le gambe, inutilmente. L'avevano immobilizzato. Dalla nausea che lo attanagliava e la testa che gli martellava, erano probabilmente catene incise con rune che annullavano la magia. Qualcosa di viscido gli colava sulle palpebre, e sentiva la barba incrostata di sporco. Una fitta al petto particolarmente dolorosa gli fece notare che era in pessime condizioni, probabilmente con numerose escoriazioni, ustioni e ferite varie sparse per il corpo.
A dirla tutta, era sorpreso di essere ancora vivo.
«Questo mi insegna a far esplodere i soffitti.» Gracchiò, la voce rauca che rimbombava sulle pareti spoglie della cella angusta. Gli faceva male la gola, aveva sete e non aveva idea di quanto tempo fosse passato dal loro tentativo di fuga.
“Katrina.” Ce l'aveva fatta? Era riuscito a dargli abbastanza tempo per fuggire, oppure era stata catturata dopo pochi metri fuori dalla Torre? Il terrore di non sapere cosa fosse accaduto all'amica era ancora più grande di quello per sé stesso.
Appoggiò la nuca sulla pietra, sentendosi senza energie.
Non sapeva quanto tempo era passato, ma ad un certo punto qualcuno lo svegliò con uno schiaffo. Alzò lo sguardo, mettendo a fuoco uno degli Inquisitori, l'armatura scintillante che brillava al buio, la spada al fianco e uno scudo sulle spalle.
Si trattava di Arthur.
Non che importasse veramente come fosse equipaggiato, in quelle condizioni Ichabod dubitava sarebbe riuscito persino a camminare sulle proprie gambe, tentare di stordire l’Inquisitore e darsi alla fuga era fuori discussione, persino se non fosse stato inchiodato al pavimento con quelle catene.
«Tu prova a fare qualsiasi cosa, e ti stacco la testa, mago. Capito?» Minacciò l'uomo. Non ottenendo risposta, gli tirò un manrovescio in pieno volto. «Non ho sentito!» Gli urlò in faccia.
«Capito.» Gracchiò il mago, sentendo il sapore metallico del sangue in bocca.
«Arthur, deve essere in grado di parlare.» Una seconda voce, Gregor.
Il Comandante degli Inquisitori fece il suo ingresso, occupando la maggior parte del suo campo visivo e costringendolo a guardarlo dal basso all'alto.
Ichabod rabbrividì, temeva quello che sapeva stavano per fargli. L'avrebbero trasformato in un Adepto della Calma, privato di qualsiasi emozione. Niente più eccitazione nell'usare la magia, o curiosità nello sfogliare un libro, niente più... qualsiasi cosa fosse che provava quando pensava a Katrina. Per un attimo, il sorriso luminoso di lei si sovrappose all'espressione di odio negli occhi ridotti a fessure del Comandante.
«Irving.» Chiamò quello, facendo spazio al Primo Incantatore. L'anziano mago sembrava ancora più vecchio e debole del solito. Guardò il prigioniero con disgusto.
«Mi aspettavo di più da te, Ichabod.» Prese la parola Irving. «Come hai potuto aiutare a fuggire un’iniziata? Aiutarla a distruggere il suo filatterio, per giunta. Mi ha molto deluso.» Scosse la testa, come a rafforzare le sue parole.
«Dovrebbe interessarmi?» Rantolò Ichabod. Sputò un grumo di sangue per terra, facendo sobbalzare l’Inquisitore che l'aveva schiaffeggiato. «Ho aiutato la donna che amo a fuggire da questa maledetta prigione. E lo rifarei mille volte, ammazzandovi tutti, se necessario.» Ricambiò lo sguardo dei due, sfidandoli.
Gregor scoppiò in una risata denigratoria. «Ah! Pensi che facendoci perdere le staffe ti garantiremo una morte rapida?» Lo schernì, guardandolo dall'alto in basso. «No, non sarà così semplice. Prima, ci dirai dove è scappata quella stolta, poi, quando tutti saranno di ritorno, ti sottoporremo al rituale della calma. Finirai a pulire le latrine per il resto dei tuoi giorni, traditore.»
“Quando saranno tornati?” Ichabod faticò a trattenere una risata isterica. Parlava sicuramente di tutti i maghi che erano partiti per Ostagar. Voleva che fosse reso un Adepto della Calma quando tutta l’accademia fosse stata presente, in modo da farne un esempio. Nella maggior parte dei casi il rituale era fatto in sordina, per evitare che i maghi si spaventassero e iniziassero a tramare piani di fuga, o di rivolta... Ma Ichabod e Katrina si erano spinti troppo in là, qualunque cosa gli avessero fatto adesso gli Inquisitori, avrebbero avuto tutto il supporto dell’Accademia, riuscendo a debellare sul nascere le polemiche sull'eccessivo controllo della Fratellanza che ultimamente circolavano nella Torre.
«Non ho idea di dove sia.» Disse, ed era la verità.
«Vedremo, se non ti torna in mente qualcosa.» Lo minacciò il Comandante. «In ogni caso, tra qualche settimana, ti sarà impossibile resistere. Dopo il Rituale, basterà chiederti dove si trova quella puttana traditrice, e tu ci fornirai tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno, senza battere ciglio.»
Detto questo, girò i tacchi, andandosene a passi veloci. Irving, che non aveva proferito parola, ma era rimasto a guardarlo tutto il tempo con quell'espressione tra il disgusto e la delusione, gli rivolse un cenno col capo, prima di seguire il Comandante fuori dalla cella. Rimase solo con quell’Inquisitore, che gli sferrò un calcio al costato prima di uscire dalla cella, che chiuse a chiave. Si sedette poi su una panca, posta esattamente di fronte all'ingresso, senza staccargli lo sguardo di dosso da sotto l'elmo decorato con due ali di metallo. Ichabod si concesse un gemito di dolore, raggomitolandosi su sé stesso per quanto le catene glielo permettessero.
Rimase per giorni nell'oscurità, a rimuginare su quello che avrebbe potuto fare per uscire da lì.  Sospirò, risentito.
Chissà se Katrina ce l'aveva fatta. Non sarebbe stata la prima maga a riuscire a fuggire dalla Torre, soltanto pochi mesi prima un altro era riuscito ad eludere gli Inquisitori e darsi alla macchia... e a quanto si diceva, non erano ancora riusciti a riacciuffarlo.
Dei passi lo risvegliarono dai suoi pensieri.
Davanti alla porta della cella comparve un volto familiare, che lo guardava preoccupato.
«Ichabod?» Chiamò quello, avvicinandosi ulteriormente fino a toccare le sbarre.
Il prigioniero cercò per quanto possibile di mettersi seduto, sfoderando un tentativo di sorriso verso l'amico. «Gabriel. Non pensavo avrebbero permesso a qualcuno di farmi visita.»
«Cosa vi è saltato in mente?!» Lo rimproverò l'altro, mettendosi quasi ad urlare.
Ichabod sospirò. Gabriel non avrebbe mai capito il desiderio di libertà che li aveva spinti a cercare di evadere dalla Torre. «Gabriel, non vuoi immischiarti in questa faccenda, fidati.»
«Fidarmi!» Esclamò l'altro. «Come puoi anche solo dirmi una cosa del genere! Prima Nathan, poi tu e Katrina! Possibile che ogni amico che ho decida di impazzire?»
Ichabod tenne a bada l'irritazione che lo pervadeva ogni volta che sentiva nominare Nathan. «Non è colpa nostra se tu sei contento di passare la tua vita in gabbia, Gabriel. Alcuni di noi vorrebbero vedere cosa c'è al di fuori di questa maledetta torre, senza dover aspettare di essere chiamati al servizio di qualche Lord o Re che ci metterebbe un collare e una catena.» Ribatté risentito.
«Parli come Nathan.»
«Perché aveva ragione!» Gridò Ichabod perdendo la pazienza. «Aveva dannatamente ragione, e avremmo potuto essere fuori di qui già da un pezzo, se non avessimo avuto troppa paura di affrontare gli Inquisitori! E giustamente, non ci ha aspettato, e ora sarà a godersi la libertà da qualche parte, mentre io sono chiuso qua dentro ad aspettare che quei cani bastonati dei grandi Incantatori tornino e decidano se ammazzarmi o rendermi un burattino, senza nemmeno sapere se la donna che amo è viva!»
Seguì un lungo silenzio, disturbato soltanto dalle gocce d'acqua che cadevano dal soffitto ticchettando sul pavimento di pietra.
«Non l'hanno ancora presa.» Disse finalmente Gabriel. «Gregor è furioso, sta mandando tutti gli Inquisitori che può a cercarla, ma tra quelli che ha mandato ad Ostagar a combattere l’Orda e quelli che devono restare qui, non sono in tanti. Probabilmente Katrina sarà già nell’Impero Samuren.»
Ichabod trattenne il fiato, lieto della notizia e grato all'amico per avergliela riferita.
«Piuttosto, io mi preoccuperei di te stesso, Ichabod. Hanno tutte le intenzioni di fare un processo in grande. Girano da mesi voci di magia del sangue e ribellioni, e il vostro tentativo di fuga non ha fatto altro che rafforzare l'idea di Gregor che dobbiamo essere tenuti sotto controllo più stretto.» Continuò Gabriel. «Vogliono fare di te un esempio, in modo da scoraggiare possibili imitatori. Appena tutti torneranno da Ostagar...»
Ichabod ascoltò l'amico senza battere ciglio. Quello che aveva appena detto non faceva altro che confermare quello che già sapeva. Non sarebbe uscito bene da lì, in nessun caso.
«Almeno ci ho provato.» Disse semplicemente. «E Katrina è scappata da questa prigione.»
Gabriel lo guardò, e nel suo sguardo Ichabod intuì che l'amico sapeva più di quanto dimostrasse. «Devo andare, ora. Mi hanno concesso solo qualche minuto.» Disse. «Vorrei che me l'aveste detto. Magari sarei riuscito a dissuadervi.»
«Ti saresti soltanto messo nei guai, e per niente.» Ribatté Ichabod. «Non è colpa tua, non avresti potuto fare niente per impedircelo, e nel peggiore dei casi saresti incatenato qua di fianco a me.»
L'amico sembrò voler ribattere, ma l'altro lo interruppe prima che potesse aprire bocca.
«È meglio se torni di sopra, prima che inizino a sospettare anche di te.»
Gabriel annuì. Lo salutò con un cenno della mano, per poi voltarsi e sparire lungo il corridoio.
Ichabod si appoggiò nuovamente alla parete, non riuscendo a trattenere un sorriso triste. Almeno, dei suoi amici due erano riusciti nel loro intento, e uno non si rendeva conto della vita da prigioniero che conduceva.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 2
Castalia aprì gli occhi a fatica, guardandosi attorno. Era sdraiata su un pagliericcio. Si mise a sedere, la testa che le girava, le budella che sembravano essere in fiamme. “Caleb.”
Un ronzio insistente alle orecchie le impediva di pensare lucidamente, ma trovare Caleb era importante.
Si mise in piedi barcollando e a passi incerti raggiunse Lanaya, che sedeva sotto un albero poco lontano da lei.
«Castalia sei sveglia, devi avere gli Dei dalla tua parte!» La salutò calorosamente. «Eravamo tutti preoccupati per te, come ti senti?»
«Caleb. Dov'è?» La interruppe lei.
L'altra esibì un'espressione preoccupata. «Non lo sappiamo. Lo straniero che ti ha portata qui ha detto di non averlo visto da nessuna parte.»
«Straniero?»
«Si… credo sia un Venator, è lui che ti ha riportata qui due giorni fa... Davvero non ricordi?»
«Due giorni?!» Esalò Castalia, sconvolta. «Due giorni che non sapete dov'è Caleb, e nessuno è ancora andato a cercarlo?!» Un giramento di testa la prese alla sprovvista, facendola barcollare.
Lanaya fece per afferrarla, ma lei si scostò in malo modo. «La maggior parte dei nostri cacciatori sono fuori a cercarlo, ma quel Venator non ci ha detto dov'è la caverna dove ti ha trovata. Dice che il suo codice glielo impedisce.»
Castalia lo ignorò, non le interessava sapere nulla su quel Venator, voleva solo accertarsi che Caleb fosse vivo.
«In ogni caso, tua Madre ha detto che voleva parlarti, appena ti fossi svegliata, vado a chiamarla. Siediti.» Continuò Lanaya, allontanandosi poi in tutta fretta e tornando con la Somma Madre.
Castalia aveva camminato avanti e indietro per tutto il tempo, incapace di sedersi e in preda all'ansia.
«Vedo che stai meglio. Siamo stati fortunati che Rylan ti abbia trovato. È stato difficile persino per la mia magia liberarti da qualsiasi cosa fosse quell'oscurità, sembrava succhiarti via la vita.»
«Quindi, qualunque cosa sia, potrebbe aver preso anche Caleb?» Chiese Castalia, un nodo alla gola.
«Se ha incontrato la stessa entità, sì. Il Venator dice di averti trovata all'esterno di una caverna, già colpita dal male. Quel tipo pensa che ci potrebbero essere stati dei Risvegliati, in quelle caverne... è vero?» Le chiese la donna.
Castalia scosse la testa. «Ricordo solo la sfera Madre.» Rispose.
«Una sfera? Una sfera ha fatto tutto ciò? Non ne ho mai sentito parlare, in tutte le mie ricerche.» Sospirò. «Speravo di ottenere delle risposte, ma a quanto pare le domande aumentano. E Caleb è ancora scomparso, e la sua vita è più importante di qualsiasi artefatto. Se è stato infettato nello stesso modo in cui sei stata colpita tu, è in gravi condizioni. Rylan è tornato alla caverna per cercare i Risvegliati, ma non possiamo contare solo su di lui per ritrovare uno dei nostri.»
«Andrò io. So dov'è, e Caleb...» La interruppe Castalia, bloccandosi subito. Anche solo pensare che gli fosse capitato qualcosa era doloroso.
«Ti sei ripresa abbastanza?» Le chiese la Somma Madre.
La ragazza cercò di apparire più risoluta possibile. «Sto bene Madre. E sono l'unica qui a sapere dov'è la caverna. E se fosse successo qualcosa a Caleb...» Inspirò profondamente, ricacciando indietro le lacrime. «Devo trovarlo, Madre, lui lo farebbe per me....»
La donna accennò un sorriso stanco. «Molto bene. Ho dato ordine al clan di preparare i bagagli, partiremo verso le montagne, è tempo di spostarci Castalia. Porta Merril con te, andate in queste rovine e trovate Caleb, se potete.»
Castalia annuì, per poi allontanarsi senza aggiungere altro.
Lanaya la rincorse. «Castalia!»
Lei non si fermò neanche. «Sì?»
«Stai andando a cercare Caleb? Vengo con te.» Annunciò la ragazza. Era una cacciatrice esperta, e avere un’altra spada su cui contare le faceva sicuramente comodo. Castalia la ringraziò, mentre andavano a recuperare Merril.
Sulla strada, incontrarono Junar, un altro dei cacciatori, e un Druido che Castalia non aveva mai visto prima. Aveva il viso pulito, non portava alcuna pittura, tuttavia sembrava avere più o meno la stessa età della ragazza.
«Sono contento che ti sia ripresa!» La salutò Junar. «Non eri qua quando Damien è arrivato, vero?» Indicò il ragazzo di fianco, che arrossì leggermente, salutandola a sua volta. «Damien, è arrivato qualche giorno fa da una delle città qui vicino...»
«Scusate, ma ora proprio non mi interessa.» Lo interruppe sgarbatamente Castalia, proseguendo per la sua strada. Che qualche abitante di città si fosse rifugiato dal Clan non era una novità, ma la maggior parte di essi tendevano a non durare a lungo. Non erano cacciatori, addestrati da una vita e cresciuti nella foresta. Non come lei, o Caleb.
Caleb era forte, e scaltro, se la sarebbe cavata.
Raggiunsero Merrill, che li aspettava già pronta al limitare dell'accampamento.
«Come apprendista della Somma Madre, potrei scovare qualcosa che vi è sfuggito. In ogni caso, l'obbiettivo primario è trovare Caleb.» Li rassicurò la maga, mentre si dirigevano verso le rovine.
La foresta sembrava più cupa e ostile del solito, mentre i tre la attraversavano.
Improvvisamente, Castalia si accorse di qualcosa tra la boscaglia. Tese le orecchie, facendo segno agli altri di stare in allerta e preparare le armi. Merrill sfoderò il suo bastone magico, mentre Lanaya impugnava il suo arco.
Castalia si avvicinò furtivamente alla creatura: più bassa e tozza di lei, aveva però forma umana. Senza chiedersi cosa fosse, partì alla carica, cogliendola di sorpresa e disarmandola con un fendente preciso. Lanaya scagliò due frecce, una colpì l’cchio destro della creatura, l’altra il torace.
Il mostro cadde a terra morto.
Si fermarono ad esaminarla: di familiare, a parte avere due braccia, due gambe e una testa, non aveva altro. La testa era deforme, con denti appuntiti che uscivano dalla bocca e la faccia contorta in un ghigno malevolo, la pelle che sembrava essere stata fusa con dei pezzi di metallo inchiodati al cranio. Un'accozzaglia di pezzi di materiale e foggia diversi componevano l'armatura leggera, ricoperta da spuntoni di metallo aguzzo. L'arma, una spada dall'aria sinistra, era stata chiaramente assemblata rozzamente, e sembrava più un coltellaccio da macello che una spada vera e propria.
«Cos'è questa cosa? Un Risvegliato?» Chiese Merrill, chiaramente turbata.
«Non ne ho idea. In ogni caso, se ce ne sono altri, dobbiamo muoverci. Caleb potrebbe essere in pericolo.» Rispose bruscamente Castalia, rimettendosi in cammino e affrettando il passo. I ragni giganti erano una cosa, ma Risvegliati? Non erano addestrati a combattere quella roba. Dovevano trovare Caleb e andarsene da lì il prima possibile.
Prima di raggiungere la rovina, incontrarono altre due di quelle creature, che eliminarono velocemente, seppur con qualche difficoltà. Castalia si rese conto che, nonostante fingesse di essersi ripresa, sentiva le gambe molli e le mani che reggevano la spada le tremavano leggermente.
Entrarono nella caverna, Merrill che si guardava intorno stranita. «Interessante.»
Castalia decise di ignorarla, mentre quella continuava ad analizzare le rovine.
«Dobbiamo trovare Caleb. O quel che resta di lui, dubito che sia ancora vivo, con quei mostri in giro...» Sentì dire da Lanaya.
Castalia si girò di scatto, fronteggiandola, furente. La superava di mezza testa. «Stai zitta. Non puoi saperlo.» Ringhiò, guardandola dritta negli occhi.
L'altra sembrò rendersi conto delle sue parole, perché chinò la testa in segno di scuse. «Mi dispiace, hai ragione. Scusa.»
«Non perdiamo altro tempo.» Dichiarò Castalia, voltandosi e ricominciando a camminare, la spada tenuta davanti a sé. Avrebbe ritrovato Caleb, non importava se avesse dovuto affrontare tutti i Risvegliati dell’Oblio.
Si inoltrarono tra i corridoi, ripercorrendo la strada che lei e Caleb avevano fatto due giorni prima. Incontrarono piccoli gruppi di quei mostri, ma riuscirono in qualche modo a cavarsela, anche e soprattutto grazie agli incantesimi di Merrill. Finalmente, raggiunsero la stanza che conteneva la sfera. Entrarono, sorpresi di trovarci già qualcuno.
Castalia provò una stretta al cuore, realizzando che la figura non era Caleb, bensì un umano.
«Ah, sentivo qualcuno combattere contro i Risvegliati. Tu sei la giovane Druida che ho trovato nella foresta, vero? La figlia di Almanna. Sono sorpreso di trovarti già guarita.» La salutò quello.
«Non ho idea di chi tu sia.» Lo squadrò guardinga.
«Anche se non ti avesse salvato la vita, un Venator merita rispetto.» La redarguì Lanaya.
Merrill abbassò il capo in segno di rispetto.
Castalia provò un moto di stizza nei confronti delle compagne. Poteva anche essere la Divina in persona, non le importava un bel nulla.
Prima che potesse ribattere, il Venator la interruppe, alzando una mano. «Non mi devi niente. Era mio dovere riportare al clan uno dei suoi cacciatori feriti, i Venator e i Druidi sono alleati da lungo tempo.»
«Stiamo cercando Caleb, il nostro compagno.» Tagliò corto Castalia, che non aveva alcuna intenzione di perdere tempo a parlare con Venator di cose futili. «Ero qui con lui, ha toccato la sfera e poi...» Restò in silenzio, incerta su cosa fosse realmente accaduto.
«La Sfera è un manufatto Nephilim, attira i Risvegliati. I Venator hanno trovato altre sfere prima d'ora, si crede che fossero usati dagli antichi per comunicare. Col passare del tempo, alcuni si ruppero, restando contaminate dalla stessa corruzione che ha ucciso i Nephilim. Se Caleb ha toccato la sfera, deve averla fatta uscire. È questo che ti ha infettato, e sicuramente ha infettato anche lui.» Spiegò l'uomo.
Castalia ascoltò attentamente. Qualcosa non le tornava, ma questa “corruzione” avrebbe spiegato il perché si sentisse così debole, nonostante le cure dei guaritori del Clan. «Quindi, ho contratto una malattia.»
Rylan annuì gravemente. «So che puoi sentirla dentro di te. Le cure sono solo temporanee, posso sentire come si stia diffondendo. E fintantoché questa sfera esiste, potrà infettare altri.»
La ragazza rimase in silenzio. Probabilmente, quello che l'uomo stava dicendo era la verità.
«Per ora, dobbiamo occuparci della sfera.» Sentenziò Rylan, estraendo uno dei due pugnali che portava sulle spalle e voltandosi verso l'artefatto. Sferrò con forza un colpo, mandando il vetro in frantumi, sprigionando un'energia che Castalia non seppe identificare. «Andiamocene, devo parlare con la Somma Madre riguardo ad una cura per te...» Disse l'uomo.
«E Caleb?!» Sbottò lei, furente.
«Non c'è nulla che possiamo fare per lui.» Rispose stoico l'altro.
«Non vado da nessuna parte senza di lui!» Urlò Castalia, furiosa. Che il Venator se ne andasse, non aveva bisogno né di lui né della sua cura. «Fen'Harel ma halam, shemlen, sei libero di andartene!» Si spostò di lato, per permettergli di levarsi di torno.
Lui restò impassibile di fronte al suo scoppio di collera. «Sarò chiaro: non c'è nulla che puoi fare per lui. Sono passati tre giorni da quando è stato infettato, senza che fosse curato. Tu sei sopravvissuta grazie alle cure della vostra Somma Madre, e alla tua volontà. Ma Caleb, non ha speranza. Devi fidarti di me.»
Castalia perse definitivamente le staffe. «Fidarmi?! Non ho alcuna intenzione di abbandonarlo, dovessi affrontare un centinaio di quei Risvegliati!» Fece due passi verso l'uomo, incurante del fatto che fosse molto più in alto di lei, più grosso e sicuramente più avvezzo al combattimento. «Non me ne frega nulla se morirò entro qualche giorno, non abbandonerò Caleb. E la tua fiducia te la puoi anche ficcare nel…»
«Castalia!» La interruppe Lanaya.
«Non intrometterti!» Le urlò lei, girandosi di scatto a fronteggiarla.
La guardavano come se fosse impazzita. Da Merrill se lo aspettava e degli estranei non c'era da fidarsi... ma Lanaya?! Guardò negli occhi quest'ultima, quasi implorandolo. «Non puoi pensarla come loro. Non puoi abbandonare il tuo migliore amico.»
Lanaya sfuggi al contatto visivo, abbassando lo sguardo. «Castalia... se è davvero la corruzione dei Risvegliati, credo che il Venator abbia ragione. Non c'è niente da fare per lui.»
La ragazza dovette trattenere le lacrime che le pungevano gli occhi. Come potevano tradirla in questo modo? Come potevano abbandonare Caleb ad un destino così orrendo? Scosse la testa. «Avremmo almeno dovuto trovare il corpo.»
«I Risvegliati l'avranno portato via.» Disse Rylan. Il suo tono era quasi dolce, come se stesse assecondando i capricci di un bambino. Castalia sentiva montare ancora di più la rabbia, verso di lui, verso i suoi cosiddetti amici, soprattutto verso sé stessa. Era tutta colpa sua.
La verità la colpì come un macigno: era colpa sua. Avrebbe potuto fermare Caleb, dirgli di tornare indietro, supplicarlo, convincerlo in qualche modo. E invece aveva creduto di poter affrontare qualsiasi cosa si nascondesse in quelle rovine. Si era lasciata convincere dal compagno, e ora era lui ad averne pagato le conseguenze, e lei ad essere rimasta sola.
Strinse i pugni, lasciandosi sfuggire un singhiozzo, le braccia rigide lungo il corpo. Abbassò lo sguardo, in segno di resa.
«D'accordo.» Acconsentì, guardando in basso verso il pavimento, i pezzi di vetro della sfera sparsi per la stanza, ora innocui. Gli altri la precedettero verso l'uscita. Merrill fece per avvicinarsi a lei ad un certo punto, ma qualcosa la fece desistere.
Raggiunsero l'accampamento dei Druidi senza problemi, anche se Castalia si rifiutò di estrarre la spada per combattere contro i Risvegliati che incontrarono lungo la strada.
«Siete tornati, è un sollievo.» Li accolse la Somma Madre. «Rylan, non mi aspettavo di rivederti così presto.» La donna li scrutò, un'espressione affranta in volto.
«Non mi aspettavo nemmeno io di essere di ritorno a breve, Almanna.» La saluto Rylan.
«Avete notizie di Caleb?» Chiese.
Castalia non rispose, restando in silenzio a fissare l'erba. Se si fossero messi subito alla sua ricerca, se quel Venator non avesse tenuto nascosto il luogo dove si trovavano le rovine, forse qualcuno dei cacciatori avrebbe trovato Caleb prima dei Risvegliati.
«È ormai troppo tardi per lui, non abbiamo trovato nulla.» Rispose.
La donna sospirò, affranta. «Ciò che temevo. Rylan, ho bisogno di parlarti un momento. Castalia, parleremo in seguito della tua cura. E riferisci ad Hahren l'accaduto, dovrà preparare una funzione per il morto.»
“Morto”.
La parola continuò a rimbombare nelle orecchie di Castalia ore dopo che la Somma Madre l'aveva proferita. A parlare con l'Hahren c'era andata Lanaya, vedendo come era ridotta l'amica. Aveva poi tentato di confortarla, ma non c'era niente che potesse fare.
Mentre l'intero clan si stringeva attorno al falò per commemorare uno dei loro cacciatori, Castalia li osservava da lontano. I Druidi non piangevano la morte, ma la accettavano come un evento naturale della vita.
Stronzate. Tutte stronzate.
Non poteva essere naturale. Sparito nel nulla a causa di una malattia magica portata da una sfera maledetta. Dov'era la normalità in tutto questo?!
Sopraggiunse la notte, e mentre venivano accesi fuochi per tutto l'accampamento, i Druidi si riunivano per dare un ultimo saluto ad uno di loro.
«Castalia, è il momento...»
La ragazza alzò lo sguardo, riconoscendo Lanaya.
Prese la mano che lei le offriva per alzarsi, per poi avvicinarsi agli altri. Erano tutti raccolti in cerchio, intorno a dove avrebbe dovuto esserci il corpo. Castalia avanzò verso il centro. Sua Madre le porse un oggetto, piccolo, di forma ovale. Un seme di qualche albero, che la ragazza non riconobbe. Non le importava neanche. Non ci sarebbe stato nessuno sotto le radici di quell'albero, non aveva senso.
Si inginocchiò, appoggiando le mani sulla terra umida e appena smossa, inspirandone l'odore.
«Ir abelas, ma vhenan. Tax’Din enasal enaste.» “Piango la tua perdita, mio cuore. Che Tax'Din ti guidi”. Sentiva le lacrime scorrerle giù dalle guance, ma non fece nulla per fermarle. «Che ti possa ritrovare presto, emma sa'lath.» “Mio unico amore, ci rincontreremo presto.” L'unica consolazione di quella corruzione, era che non avrebbe dovuto attendere a lungo.
«Tunkr'Din enasal enaste.» Recitarono in coro tutti gli altri. Uno ad uno, piano piano ognuno se ne andò, finché rimase da sola, accovacciata sulla terra umida. Non seppe per quanto a lungo rimase lì, ad aspettare che la Corruzione prendesse anche lei, ma quando sua Madre le appoggiò una mano sulla spalla, il cielo era ormai illuminato dalle prime luci dell'alba.
«Ti devo parlare.»
La seguì obbediente, senza più forze. Sua Madre Almanna la condusse da Rylan, che era rimasto in disparte, rispettoso del dolore del clan.
«Io e tua Madre abbiamo parlano a lungo Castalia, e siamo giunti ad un accordo che ti riguarda. Il mio ordine ha bisogno di aiuto, e tu hai bisogno di una cura. Me ne andrò tra poche ore, e spero che tu scelga di venire con me. Saresti un eccellente Venator.» L'uomo sembrava sincero. A Castalia non interessava.
«Grazie, ma non è necessario.» Rifiutò senza troppi giri di parole.
«Forse non hai capito la tua condizione. La Corruzione non può essere curata, alla fine ti ucciderà lo stesso. Le cure che hai ricevuto hanno rallentato la diffusione, ma nel giro di qualche tempo sarai morta, o peggio. Unirti ai Venator può impedirlo.»
«Non mi interessa.» Scosse la testa.
«Noi Venator stiamo combattendo contro qualcosa di orribile, la stessa cosa che ha ucciso Caleb e infettato te. Ci servono guerrieri. Il nostro ordine è l'unica cosa che può contrastare il Signore dei Vermi, e le sue armate di Risvegliati, non capisci?» Le chiese Rylan. Dal tono, cominciava a spazientirsi. «Non lo faccio per pietà, ma perché credo tu abbia del potenziale.»
«Il Signore dei Vermi?»
«Il suo nome è Urthemiel, e ha l’aspetto di un enorme Drago nero. Lui e la sua orda di Risvegliati stanno distruggendo qualunque cosa incontrano, e la Fratellanza ha bisogno di gente in gamba per combattere quel mostro.»
«Oh, non ne dubito.» Lo interruppe Castalia. «Ma ho il diritto di rifiutare. Se devo morire, morirò nel modo che preferisco. E sarò grata quando arriverà il momento.»
«Castalia ora basta! Non è da te piangerti addosso in questo modo!» Esclamò sorpresa sua Madre. «Capisco che la morte di Caleb sia stata un duro colpo, so che eravate… innamorati, ma non avrebbe voluto vederti gettare via la tua vita! Non quando puoi dedicarla a qualcosa di più grande di tutti noi.»
«Non sapremo mai cosa avrebbe voluto Caleb. È morto no?» Ribatté furiosa la ragazza. «Mentre io sono ancora qua. No, Rylan Venator della Fratellanza, non andrò da nessuna parte con te.»
L'uomo perse la pazienza.
«Allora non mi lasci altra scelta.» Si schiarì la voce. «Invoco il Diritto di Coscrizione su questa ragazza, Castalia del clan Mahariel.» Annunciò.
«E io lo riconosco, Rylan Doheris Venator della Fratellanza.» Rispose la Somma Madre.
«Mi dispiace che non sia stata una tua decisione, ma la minaccia è troppo grande per essere ignorata.» Concluse l'uomo.
Castalia sgranò gli occhi. «Non può farlo!» Rantolò verso sua Madre.
Aveva preso la sua decisione, era pronta a morire, perché lasciava che questo estraneo la portasse via contro la sua volontà?!
«Castalia, lo faccio per il tuo bene. Non lasciarti morire, ma combatti per tutti noi.» Rispose semplicemente sua Madre, guardandola con occhi pieni di compassione.
La rabbia si impossessò nuovamente della ragazza, che si scagliò contro Rylan in un attacco di furia cieca.
Non avesse avuto altro che il piccolo pugnale che portava alla cintura, sarebbe anche stata una possibile minaccia per l'uomo, ma così ridotta, stanca, debilitata e quasi disarmata, fu facile per lui stordirla con un colpo alla testa.
«Hai carattere ragazzina. Sarai un ottimo Venator.»
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 3
Il castello della nobile famiglia Von Meyer nella Contea di Melwatch fremeva di attività: i preparativi per la partenza dei soldati erano quasi completi, le ultime provviste venivano caricate sui carri, i cavalli strigliati e sellati, gli uomini controllavano l'equipaggiamento, affilavano le lame e sostituivano le corde degli archi, lucidavano le armature e, soprattutto, salutavano la famiglia che avrebbero lasciato a casa.
Ellena li guardava con invidia, mentre camminava a passo spedito verso il salone del castello. Suo fratello maggiore, Oliver, sarebbe partito quella sera stessa assieme a suo padre, mentre lei sarebbe rimasta a casa a badare alla Contea e al Castello.
Era ingiusto.
«Cucciola, non ti avevo vista.» La salutò suo padre. «Lechner, vi ricordate di mia figlia?» Chiese all'uomo accanto a lui.
L’Arciduca Rendon Lechner, un uomo dal volto allungato e il naso adunco, vestito in abiti eleganti, la salutò con un cenno del capo. «Vedo che è diventata un'adorabile fanciulla. Piacere di rivedervi, mia cara.»
«Il piacere è mio, Arciduca.» Rispose cortesemente Ellena, nonostante l'uomo non le piacesse particolarmente. Aveva un modo di fare un po' viscido, come se pensasse una cosa e ne dicesse sempre un'altra. Tuttavia, era un vecchio amico e compagno d'armi di suo padre, e non aveva mai dato prova di slealtà nei confronti della Contea di Melwatch.
«Mio figlio Thomas ha chiesto di voi.» Disse Lechner. «Forse dovrei portarlo con me la prossima volta...» Lasciò la frase in sospeso. La ragazza fece un sorriso di circostanza. Il terzogenito di Lechner era sette anni più giovane di lei, a malapena poteva considerarsi uno scudiero. Avendone lei ventuno, il ragazzino aveva sviluppato nei suoi confronti una certa adorazione, che ovviamente l'Arciduca voleva sfruttare in vista di un possibile matrimonio che avrebbe unito le due casate.
«Non vede l'ora di affrontarvi di nuovo a duello.» Continuò, una punta di sdegno nella voce: era chiaro che non approvasse l'addestramento che i Von Meyer avevano dato alla figlia.
«Mi farebbe piacere.» Rispose prontamente lei.
«Ad ogni modo, figlia mia, ti ho fatta convocare per un motivo.» Le disse il padre, prendendole una mano tra le proprie e guardandola serio negli occhi. «Mentre tuo fratello ed io saremo via, ti affido il castello.» Lei stava per replicare, ma lui la fermò prima che potesse aprire bocca e lamentarsi nuovamente. «So che vorresti venire anche tu, e non ti lascio a casa perché mi preoccupo per te, bensì il contrario. Porteremo con noi il grosso del nostro esercito, lasciando la Contea largamente sguarnita e vulnerabile: è compito tuo difendere il castello e la nostra famiglia, in caso qualcuno dei nostri nemici decidesse di approfittarne per attaccarci o... la battaglia contro le Orde del Signore dei Vermi non dovesse andare a buon fine.»
«Padre...» Ellena sapeva che era la mossa più saggia, tuttavia si sentiva abbandonata. Mentre suo fratello e suo padre avrebbero rischiato la vita combattendo una gloriosa battaglia per salvare il mondo dalla minaccia del Signore dei Vermi, lei sarebbe rimasta in disparte, a casa, a badare alla famiglia e ad un castello mezzo vuoto. «Capisco perché volete che resti a casa. E farò del mio meglio.» Gli assicurò.
Il padre si concesse un sorriso, guardandola con affetto. «È quello che volevo sentire. Ora va', dì a tuo fratello di condurre le truppe ad Ostagar senza di me e che lo raggiungerò domani assieme agli uomini di Lechner.»
Ellena annuì, facendo una piccola riverenza e dileguandosi alla ricerca del fratello.
Prima che potesse salire la rampa di pietra che portava alle stanze dei Von Meyer all'ultimo piano del castello, venne fermata da uno degli uomini del padre, Valmyr Olmorik.
L'uomo era di bell'aspetto, i capelli biondi portati lunghi che ricadevano sulle spalle massicce, accentuate dall'armatura di metallo che indossava.
«Eccovi qui! Vostra madre mi aveva detto che il Conte vi aveva mandata a chiamare, perciò non volevo interrompere.»
«Salute anche a voi, Valmyr .» Lo salutò Ellena, sorpresa di trovare il cavaliere ancora in giro e non a supervisionare i preparativi per l'imminente partenza.
«Ah! Perdonate la mia scortesia, mia signora. È solo che vi ho cercata ovunque.» Si scusò lui.
«Non c'è bisogno, Ser. Credo che avermi vista sporca di terra e affaticata per gli allenamenti in cortile, ed esserci scambiati più di qualche colpo, renda superflue le formalità.» Lo rassicurò lei. «Dunque, perché tanta fretta?»
«Temo che il vostro lupo stia nuovamente creando scompiglio in cucina.» Rispose l'altro. «Sansa minaccia di andarsene.»
Lei si lasciò scappare un risolino. «Sansa minaccia di andarsene da quando era la mia balia, ed è ancora qui. Comunque, sarà il caso di andare a recuperare Tundra.» Fece segno al cavaliere di seguirla, mentre si avviava alle cucine.
Sentirono le urla rabbiose della vecchia cuoca ancora prima di svoltare per il corridoio.
«Quando Sansa è scontenta, fa in modo che lo sappiano tutti...» Commentò Valmyr ridacchiando.
«Ricordo ancora le scenate quando tornavo sporca di fango in tempo per la cena.» Ellena scosse la testa, ripensando a quante volte la povera balia aveva dovuto ripulirla da capo a piedi in tutta fretta e in tempo per il pasto con la famiglia, dopo che lei aveva passato la giornata tra spade e combattimenti.
«Eravate una bambina terribile, a detta sua.» Confermò il cavaliere, rendendosi conto subito dopo di aver parlato a voce alta e scusandosi immediatamente.
Lei lasciò correre con un cenno della mano. «Oh, per piacere. Ha probabilmente ragione.» Raggiunsero la cucina, dove un’arrabbiatissima Sansa stava sbraitando contro due poveri servitori.
«Cacciate quel maledetto cane pulcioso dalla dispensa!»
I due servi si scambiarono sguardi terrorizzati. «Ma signora, non si lascia avvicinare!»
La vecchia sembrò, se possibile, arrabbiarsi ancora di più. «Se non riesco ad accedere a quella dispensa, giuro che vi scuoierò entrambi come conigli!»
Valmyr accorse in aiuto dei due poveretti. «Calmatevi, buona donna, siamo qui per aiutarvi.»
Quella si girò inviperita, squadrando i nuovi arrivati con un cipiglio rabbioso. «Voi! Il vostro maledetto bastardo continua ad infilarsi nella mia dispensa! Quella bestia dovrebbe essere soppressa!» Sbraitò, puntando un indice nodoso all'altezza del petto di Ellena.
Lei sospirò, abituata alle scenate della donna. «Mi dispiace Sansa, sai che Tundra non resiste al profumo di cibo...»
La vecchia sembrò calmarsi un poco. «Fate in modo che se ne vada! Ho già abbastanza problemi ad occuparmi di un castello pieno di soldati affamati!»
Ellena scrollò le spalle, aprendo la porta della dispensa.
Tundra, era un grosso lupo dall'arruffato pelo color neve. Un incrocio probabilmente tra un lupo dei boschi e un mastino da guerra. Suo padre diceva che poteva staccare di netto il braccio di un uomo con la stessa facilità con la quale un cane comune uccide un ratto. Il grosso animale si girò verso di lei, abbaiando due volte. «Stai di nuovo infastidendo Sansa, razza di goloso.» Lo redarguì lei, incrociando le braccia al petto. Quello uggiolò sonoramente, per poi puntare qualcosa alla sua destra e abbaiare di nuovo, le orecchie all'indietro e la coda ritta, in posizione d'attacco.
Ellena si stupì molto. «Che c'è, trovato qualcosa?»
Il cane si girò brevemente verso di lei, tornando poi a puntare dei sacchi di tela sul fondo della dispensa. La ragazza tese le orecchie, captando uno scalpiccio sul pavimento di pietra.
«Sembra ci sia qualcosa...» Annunciò Valmyr , estraendo la spada.
Lei fece lo stesso. «Avanti Tundra, prendilo!» Ordinò al grosso lupo, che scattò in avanti con un balzo, rovesciando i sacchi per terra. Un lamento acuto segnalò che aveva azzannato qualcosa con le sue fauci possenti.
Una decina di ratti di grosse dimensioni fuggirono dal loro nascondiglio, correndo in direzione dei due nuovi arrivati, che si affrettarono ad eliminarli.
Valmyr  rivoltò uno con un piede, osservandolo da vicino. «Questi ratti vengono dalle Paludi di Ferwal. È meglio non dirlo a Sansa, è già abbastanza infuriata.»
«Sì, con Tundra.» Ribatté Ellena. «Almeno così saprà che stava solo facendo il suo lavoro di cane da guardia. Vero, bello?» Si chinò ad accarezzare il cane dietro le orecchie, facendolo scodinzolare allegramente.
Sansa non fu contenta di sentirsi raccontare dei topi giganti che avevano invaso la sua dispensa, ma per lo meno sembrò far temporaneamente pace con il cane, a cui offrì un biscotto.
Il cane, lo mangiò di gusto, leccando affettuosamente la mano della vecchia e facendola inveire di nuovo. Scapparono dalla cucina prima che potesse trovare altro di cui accusarli. Sull'uscio, trovarono i due servi che la vecchia stava strigliando quando erano arrivati.
«Sì è un po' calmata. Mi dispiace dobbiate subirvela tutti i giorni...» Disse loro Ellena. I due la guardarono allarmati, scuotendo la testa e inchinandosi profondamente, bofonchiando delle scuse agitate e ringraziandola per la sua preoccupazione, per poi scappare di nuovo nelle cucine.
«Beh, mia signora, ora che avete il cane sotto controllo, posso andare a prepararmi per l'arrivo degli uomini dell'Arciduca.» Annunciò Valmyr .
«Aspettate.» Lo fermò Ellena. «Partirete domani con mio padre, vero?»
L'altro annuì. «Sì, il Conte mi ha richiesto nella sua scorta personale.»
Lei prese fiato. «Tenete d'occhio mio padre, Ser. Può essere avventato, e non...»
«Lo farò, mi signora.» La interruppe l'uomo, portandosi il pugno chiuso all'altezza del cuore. «Proteggerò il Conte con la mia stessa vita, vi prometto che tornerà sano e salvo.»
«Grazie, Valmyr . So che siete un uomo di parola, e la vostra fedeltà a mio padre è salda.» Ellena si strinse nelle spalle. «Vorrei solo venire con voi.»
«Lo so, mia signora. E sono certo che le vostre conoscenze strategiche e militari saranno di grande aiuto in futuro, tuttavia il Conte vi ha dato un compito importante quanto quello di guidare uomini in battaglia: non è semplice governare, ed egli si fida ciecamente di voi.»
La ragazza sapeva che era vero: era stata istruita al meglio, sapeva quali casate nobiliari fossero fidate e da quali invece guardarsi, conosceva le leggi e le necessità del popolo di Melwatch e, in caso di necessità, confidava di poter gestire un attacco al castello da parte di forze nemiche. Tuttavia, il non poter accompagnare il fratello e il padre ad Ostagar la faceva sentire come se la stessero proteggendo.
Salutò Valmyr , augurandogli buon viaggio e buona fortuna.
Salendo la rampa che portava al piano di sopra, incrociò sua madre, la Contessa Eleanor Von Meyer. Era una donna ancora molto bella per la sua età, qualche ruga le solcava il volto austero, i capelli grigi, una volta biondi come quelli della figlia, erano legati in due chignon alla base della nuca.
«Ah, ecco la mia splendida figlia!» La salutò. «Dalla presenza del vostro molesto lupo , immagino che la situazione nelle cucine si sia risolta.»
Tundra uggiolò in risposta, cercando di convincerli con la sua espressione più innocente. La Contessa non diede segni di cedimento, fissandolo con disapprovazione.
I suoi ospiti, Lady Landra, suo figlio Dairren e una serva che doveva essere la dama di compagnia, lanciarono sguardi divertiti al cane.
«Sì madre, Sansa è già tornata al lavoro.» Rispose Ellena, dando una grattatina dietro le orecchie del cane, che scodinzolò contento. «Tundra aveva solo un po' di fame.» Pensò che era meglio non parlare di ratti giganti di fronte agli ospiti, soprattutto quando la cena della sera sarebbe stata preparata proprio nelle cucine infestate.
«Speriamo che abbia lasciato qualcosa per nutrire i nostri ospiti... Tesoro, ti ricordi di Lady Landra, la moglie del Duca di Lokwood?»
«Ma certo, ci siamo viste alla festa di primavera...» La salutò cortesemente Ellena. La donna in quell'occasione era ubriaca marcia, ma anche su quello era meglio soprassedere. «È un piacere rivedervi. Spero vada tutto bene a Lokwood.»
«Oh, cara, sei troppo gentile. Se ricordo bene, ho trascorso metà della festa a cercare di convincervi a sposare mio figlio...» Lady Landra ridacchiò, accennando al ragazzo di fianco a lei.
«E con ben misere argomentazioni, se posso aggiungere...» Si intromise quello, facendo un largo sorriso ad Ellena. «È un piacere rivedervi, mia signora. Siete più bella che mai.»
«Dairren, ben trovato.» La ragazza ricambiò il sorriso. Era un uomo piacevole e di bell'aspetto, aveva più o meno la sua stessa età e le madri erano amiche di vecchia data.
«Anche lui non si è ancora sposato!» Aggiunse Lady Landra.
Il ragazzo, imbarazzato, spostò il peso da un piede all'altro. «Non date retta a mia madre...»
«Magari possiamo incontrarci più tardi in biblioteca e parlare un poco?» Gli chiese Ellena, sapendo già che lui avrebbe accettato.
«Ma certamente. Ne sarei molto felice.» Le assicurò immediatamente lui.
«Oh, meraviglioso!» Commentò raggiante Lady Landra. «Oh, questa è la mia dama di compagnia, Iona.» Aggiunse indicando la ragazza dietro di loro, un po' in disparte. «Dì qualcosa, cara...»
Quella, una giovane donna bionda e molto carina, fece una riverenza verso Ellena. «È un vero piacere, mia signora. Siete davvero bella come vi descrive vostra madre.»
«E lo dice dopo avervi vista percuotere uomini imbottiti in cortile, sudata come un mulo...» Si intromise Contessa Eleanor.
Ellena si trattenne dallo sbuffare. Anche la madre ai suoi tempi si diceva fosse stata capace di far fuori un uomo ancora prima che quello capisse che sotto l'elmo vi era una donna, ma non l'aveva mai vista combattere. Contessa Eleanor Von Meyer era una Lady in tutto e per tutto, e dopo la nascita dei figli aveva appeso l'arco al chiodo, dedicandosi alla famiglia e alle pubbliche relazioni con gli altri Lord del Khanduras, oltre che all'amministrazione del castello di Melwatch.
«La maestria di vostra figlia con la lama è davvero impressionante.» Concordò Dairren.
«Ai miei tempi, ero anch'io una discreta guerriera.» Ammise la Contessa. «Ma credo siano state arti più delicate a permettermi di trovare marito.»
Ellena scrollò le spalle. «Credo che l'uomo che sposerò debba essere in grado di apprezzare sia le mie arti delicate sia le mie abilità con la spada, madre.» Scoccò uno sguardo a Dairren, che annuì imbarazzato in segno di approvazione.
Eleanor Von Meyer roteò platealmente gli occhi al cielo.
«Ora scusate, ma dovrei andare a cercare mio fratello.» Si accomiatò Ellena. «Dairren, a dopo.»
Fece un lieve inchino agli ospiti, per poi proseguire lungo il corridoio.
Bussò alla porta della camera del fratello. «Oliver?»
Leixia, la moglie, venne ad aprirle. Aveva gli occhi gonfi e rossi, segno che aveva pianto. Ellena le poggiò una mano sul braccio, ben sapendo che qualsiasi parola di conforto sarebbe stata inutile contro l'ansia che la donna provava a vedere il marito partire per la guerra.
Il piccolo Connor non condivideva le stesse paure e saltellava emozionato per la stanza.
«Ellena!» Esclamò Oliver, girandosi a guardarla. Indossava la sua armatura, tirata a lucido, e portava spada e scudo sulle spalle. «Sei venuta anche tu a salutarmi?»
«Non potevo lasciarti partire senza, no?» Ribatté lei. «E nostro padre mi ha detto di cercarti.»
«Mi porterai una spada, vero?» Chiese Connor al padre, tirandolo per un braccio e richiamando la sua attenzione.
Oliver si inginocchiò di fronte al bambino, accarezzandogli una guancia. «Ma certo. La più grande che riuscirò a trovare. E sarò subito di ritorno, te lo prometto.»
«Vorrei tanto che la vittoria fosse certa come la fai sembrare...» Commentò la moglie, preoccupata.
«Oh, non spaventare il bambino, amore mio. Ti dico che è vero.» Cercò di rassicurarla lui, dando un buffetto sulla testa del piccolo.
Oliver sembrava sicuro di sé, ma Ellena sapeva che era bravo a nascondere le sue vere emozioni. Non poteva certo far preoccupare la famiglia, ma la guerra di fronte a loro sarebbe stata pericolosa, e nessuno era certo dell'esito.
«Nessun mostro o drago potrà toccare mio fratello!» Confermò lei, dandogli una pacca sulla spalla e facendo risuonare gli spallacci di metallo. «Mi mancherai, sai?»
L'altro si aprì in un sorriso gioviale. «Vorrei che potessi venire anche tu. Sarà stancante uccidere tutti quei mostri da solo... Ma qualcuno deve pur farlo.»
La sorella ricambiò il sorriso. «Avrei voluto poterti guardare le spalle.»
«In Antiva, una donna sul campo di battaglia sarebbe vista come... insolita.» Commentò Leixia, che era però ormai abituata all'idea che Ellena fosse abile nel combattimento quanto Oliver.
«Ma se ho sempre sentito che le donne di Antiva sono alquanto pericolose!» Ribatté il marito, ammiccante.
«Solo con la gentilezza e il veleno, marito caro...»
Lui scoppiò a ridere. «Detto dalla donna con cui prendo il tè tutti i giorni!»
«Nostro padre dice che ci saranno anche i Venator e gli Inquisitori della Fratellanza, guidati sul campo dalla Divina Adelasia.» Disse Ellena, pensierosa. «E tutti i lord sono stati chiamati alle armi, l'intero Khanduras.»
«Venator?!» Esclamò entusiasta il bambino. «I guerrieri della Luce?»
«Si Connor.» Rispose la madre.
«Sì, lo so. Un esercito così unito non si vedeva da... Beh, dalla guerra d’Indipendenza!» Commentò Oliver. «Il che fa ben sperare. Quell’essere immondo e la sua accozzaglia di mostri non avranno speranza.»
«Se non sbaglio ci sarà anche Re Ulfric Manto di Tempesta.» Ellena aveva una sorta di adorazione per l'uomo, avendo letto tutto il materiale reperibile sulla guerra di liberazione. I racconti di come l'esperienza e l'intuito del Signore del Nord, assieme alla prontezza di spirito e al suo coraggio, avessero spesso volto le battaglie a favore dell’esercito del Khanduras erano i suoi preferiti. «Avrei voluto conoscerlo.» Si lamentò Ellena.
«Farò in modo di convincere nostro padre a portarti a palazzo una volta vinta la guerra, sorellina.» Le assicurò Oliver. «Così potrai inondarlo di domande e farti cacciare come disturbatrice della quiete dopo averlo esasperato.» Sogghignò.
L'altra non finse nemmeno di essersi offesa. Conoscere l'eroe della sua infanzia era uno dei suoi sogni. E magari, se fosse stata abbastanza fortunata e il Re fosse stato particolarmente di buon umore (non che fosse conosciuto per il suo buon carattere, s'intende), sarebbe anche riuscita a tirare di spada con lui.
L'invidia tornò a roderle il fegato. Se avesse combattuto assieme al fratello e al padre, avrebbe avuto qualche possibilità di essere notata dal Primo Inquisitore.
«A proposito di nostro padre.» Disse lei. «Gli uomini da Lostwich sono in ritardo, ha detto di partire senza di lui e che partirà domani assieme a Lord Lechner.»
«Ah! Sembrano camminare all'indietro da quanto sono lenti ad arrivare!» Commentò Oliver, un leggero disprezzo nella voce. Lechner non piaceva particolarmente nemmeno a lui. «Farei meglio ad andare, allora. Ho un sacco di mostri da decapitare, e il tempo stringe!»
Si chinò ad abbracciare un’ultima volta il figlio, dando poi un bacio alla moglie. «Sarò presto di ritorno, amore mio.» Le disse. Fecero il loro ingresso anche il Conte e la Contessa. «Spero, mio caro, che volessi aspettarci prima di sgattaiolare via?» Chiese Adrian Von Meyer, sorridendo.
«Che il Creatore ti protegga, figlio mio. Pregherò per il tuo ritorno ogni giorno.» Aggiunse la madre abbracciandolo stretta.
«Oliver non avrà problemi, madre.» Cercò di tranquillizzarla Ellena.
«Continuo a dirvelo, non mi farò un graffio!» Confermò Oliver sicuro di sé.
«Che il Creatore ci protegga tutti. Che preservi i nostri figli, i nostri mariti e i nostri padri, e che li riconduca da noi sani e salvi.» Recitò Leixia.
«E che ci mandi birra e donne, già che c'è!» Aggiunse Oliver. «...Per gli altri uomini, ovviamente.» Si precipitò ad aggiungere, dopo che madre e moglie l'ebbero squadrato con disapprovazione.
Ellena scoppiò a ridere.
«Perché le donne?» Chiese Connor nella sua innocenza.
«Perché sanno versare bene la birra.» Rispose prontamente Adrian Von Meyer.
«Oliver!» Lo rimproverò Eleanor. «Sembra di vivere con due bambini. Fortunatamente, ho una figlia.»
Ellena continuò a ridere. «Che, ripetete continuamente, non è tanto meglio.»
La Contessa scosse la testa, sconfitta.
«Mi mancherai, madre. La terrai d'occhio, vera sorellina?» Le disse Oliver, stringendo Ellena.
Lei gli diede una gomitata giocosa. «Credo proprio sappia cavarsela da sola, fratellone.»
«Beh, Oliver, direi che è ora di mettersi in partenza, altrimenti non uscirai più da quella porta, tua madre e tua moglie finiranno per incatenarti qui.» Commentò il Conte. «Ci vediamo tra qualche giorno.» I due uomini si strinsero le mani.
«Allora vado. A presto, famiglia!» Annunciò Oliver, prima di dare un'ultima carezza ai capelli del figlio e uscire dalla porta. Ellena lo guardò allontanarsi con un nodo alla gola.
«Non preoccuparti per lui, cucciola.» La rassicurò il padre. «Oliver sa badare a sé stesso.»
Lei si strinse nelle spalle, inquieta. «Lo so, padre.» Scambiò uno sguardo preoccupato con la madre, ma entrambe non aggiunsero altro. Vedere partire entrambi, e non poter accompagnarli, era frustrante per entrambe.
«Partirò anch'io tra qualche giorno, cara.» La informò la Contessa. «Lady Landra mi ha invitata da lei, e credo che non avermi in giro farà solo bene alla tua autorità.»
«Madre!» Esclamò Ellena. «Ma non c'era bisogno. Anzi, mi farebbe molto piacere che tu restassi, lo sai. Non ci sarà molto da fare, dopotutto, e non dovete partire solo per farmi sentire più importante.»
«Lo so cara, ma sia io che tuo padre la pensiamo allo stesso modo. Vedilo come una prova, sarà la prima volta che sarai la sola e unica responsabile di Melwatch.»
Ellena sospirò. «Capisco, madre. Questo castello sembrerà parecchio vuoto, senza tutti voi.»
«Oh, cucciola, saremo presto di ritorno.» Disse il Conte.
Connor la tirò per un braccio. «Quindi sarai tu a badare a me e alla mamma, zia?»
«Esatto, piccoletto. Sarà divertente!» Rispose lei, cercando di sembrare convincente. Sarebbe stato difficile distrarre il bambino dall'assenza del padre e dei nonni.
«E se il castello venisse attaccato? Ci saranno dei draghi?» Le chiese quello. Sembrava tremendamente eccitato alla sola idea di vedere una gigantesca creatura volante, sputafuoco e ricoperta di squame. “Bambini...” Anche lei segretamene avrebbe voluto vederne uno, ma da molto lontano e possibilmente non incrociandone la strada.
«I draghi sono creature malvagie, Connor. Si dice infatti che il Signore dei Vermi abbia l’aspetto di un mostruoso drago nero!» Lo rimproverò la madre, inutilmente.
«Ma ci sono anche draghi buoni!» Continuò imperterrito lui.
«Questo è perché tu e Oliver continuate a raccontargli certe storie...» Borbottò Leixia, guardando Ellena di traverso. L'altra scrollò le spalle.
Connor richiamò di nuovo la sua attenzione. «Mi insegnerai ad usare la spada, zia? Così potrò combattere i mostri cattivi anche io!»
La ragazza gli sorrise. «Certo. Domani stesso!» Lo assecondò. «In un paio d'anni, sarai così bravo che andremo a caccia di draghi!»
Il bambino gridò felice, abbracciandola stretto. «Sei la migliore zia del mondo!»
Lei lo lasciò fare, ignorando gli sguardi corrucciati della madre e di Leixia. Dopotutto, non c'era niente di male ad addestrare Connor all'uso delle armi, era anche ora. Lei e Oliver avevano iniziato più o meno alla sua età.
«Cara, non dovresti avere un appuntamento con qualcuno in biblioteca?» Le ricordò la Contessa.
«Oh?» Si intromise Adrian Von Meyer, interessato. «Non sarà mica con il giovane Dairren?»
Ellena arrossì. «Siamo solo... soltanto per scambiare qualche parola, padre. Niente di che.»
«Ma certo, ma certo... Ricordo quando io e tua madre ci siamo conosciuti...»
Prima che il Conte potesse rivangare il passato, Ellena sgattaiolò via, Tundra che le trotterellava dietro allegramente.
Il ragazzo era seduto ad uno dei tavoli di legno della biblioteca, immerso nella lettura di un pesante tomo storico, con un ricamo sulla copertina che lo identificava come proveniente dall’Impero Samuren.
«Dairren?» Lo chiamò lei. Quello sollevò lo sguardo, sorpreso.
«Siete venuta!»
«Ma certo.» Gli si sedette di fianco. «Era uno dei preferiti di mio nonno, quello, sapete?» Commentò, indicando il libro. «Tutta questa biblioteca era il suo piccolo mondo privato.»
«È molto fornita... Questo libro, credo sia stato bandito dal Khanduras qualche secolo fa!»
Ellena ridacchiò. «Sì, se lo fece spedire direttamente dall’Impero Samuren. C'è un intero settore di libri sulla magia, nonostante qui nessuno abbia mai avuto sangue magico. E tutta l'ala alla nostra destra è sulla storia del mondo, sia fatti che leggende. Mentre più avanti ci sono testi di medicina, erboristeria e alcuni vocabolari. Abbiamo anche un paio di volumi direttamente da Par Vollen.»
Sperò che non sembrasse di starsene vantando. Amava quel luogo, ed il suo sogno era leggere ogni singolo volume in quella biblioteca, proprio come avrebbe voluto il nonno.
«Affascinante.» Commentò Dairren. «Non si vede tutti i giorni una così vasta collezione. Il vostro preferito?» Le chiese, chiudendo il tomo che stava leggendo e appoggiandolo di fianco a sé.
Ellena ci pensò su un poco. Ne aveva parecchi. «I Draghi dell’Impero Samuren, forse. L'ho letto tre volte.»
«Ottima scelta!» Esclamò il ragazzo, colpito. «Le teorie di Levisus Stanilias sulla natura dei draghi e sulla loro connessione con i Nephilim sono estremamente interessanti!»
«Sì, beh, tra qualche settimana avrete la possibilità di chiedere conferma ai maghi dell’Accademia, no?» Gli disse. «Domani cavalcherete con mio padre per Ostagar.»
L'altro annuì. «Sarò il suo secondo... Non più di uno scudiero glorificato, gli terrò pulita l'armatura, sellerò il suo cavallo e cose così... è un grande onore per me.»
«E con lui combatterete l’Orda.»
«Lo spero. Ammetto di essere un po' in ansia all'idea. Ma è necessario combatterli. E sconfiggerli.»
Lei gli fece un sorriso incoraggiante. «So che vi distinguerete in battaglia.»
«Se posso... Sono sorpreso che non veniate con noi, mia signora.»
Ellena sospirò. «Credetemi, se dipendesse da me, sarei al fianco di mio fratello in prima linea. Tuttavia, la mia presenza è richiesta qui. Una Von Meyer deve rimanere.» Cercò di nascondere l'amarezza che la pervadeva. Sarebbero partiti tutti.
«Se volete, posso cercare di scrivere tutto quello che accade durante la battaglia. Non sono granché come scrittore, ma farò del mio meglio.» Si offrì lui. «E vi terrò costantemente aggiornata.»
«Lo gradirei molto.» Lo ringraziò lei. «Dubito che Oliver o mio padre si ricorderanno di scrivere qualcosa. E torneranno a casa raccontando solo le cose più inutili, come la birra dopo la vittoria.»
L'altro le mise una mano sulle sue, guardandola negli occhi. «Sarebbe un onore.» Si rese conto dell'audacia, ritirando subito la mano. «Sapete, è il mio sogno scrivere di un avvenimento così importante. Un giorno, uno dei miei libri potrebbe essere in una biblioteca come questa.» Lei allungò a sua volta la mano, poggiandola sulla sua e sfiorandogli le dita. «Sono certa che sarà così.» Si sporse un poco più in avanti, verso di lui.
«Mia signora...» Balbettò Dairren.
Prima che potesse fermarla, Ellena azzerò lo spazio tra di loro, appoggiando le labbra sulle sue in un casto bacio, solo per un attimo. Si ritrasse velocemente, lasciandogli la mano.
«Attenderò con ansia il vostro ritorno.» Disse, prima di alzarsi e andarsene in fretta, lasciando il ragazzo attonito e imbarazzato. Ellena schizzò nelle proprie stanze, seguita da Tundra.
«Lo so, forse sono stata troppo intraprendente.» Disse al cane, che la guardava con occhi intelligenti che sembravano sapere quello che le ronzava in testa. «Ma è carino, e tutti pensano potrebbe essere un buon partito e gli piacciono i libri e...» Sospirò, sdraiandosi sul letto e guardando il soffitto. «E potrebbe non tornare.»
Tundra saltò sul letto, leccandole una mano.
«Tutti loro potrebbero non tornare.» Abbracciò il lupo, in cerca di conforto. Quello uggiolò triste.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 4
Kyra sbadigliò sonoramente, alzandosi dal letto. Aela, sua cugina, le aveva messo una certa agitazione, facendo irruzione in camera sua e invitandola poco gentilmente a darsi una mossa.
Si diresse verso lo specchio, afferrando la spazzola e cercando di dare un senso alla massa di capelli neri che sparavano in tutte le direzioni. Li pettinò vigorosamente, raccogliendone piccole ciocche in due trecce ai lati della testa e lasciando gli altri a caderle sulle spalle in morbidi riccioli.
Notò che grazie alle ore di sonno in più, le occhiaie che aveva di solito erano sparite. Per fortuna.
Quello era il gran giorno.
Doveva ammettere che all'inizio non era entusiasta di sposarsi con un perfetto sconosciuto, ma avendo chiesto informazioni sul futuro marito, le era stato descritto come un ottimo partito.
Apprendista alla forgia di un fabbro, niente meno.
Aprì il baule che conteneva i pochi vestiti che possedeva, estraendone l'abito per la cerimonia. Consisteva in un vestito bianco con lo scollo a barca, decorato con pietre dure, le maniche lunghe e leggermente larghe verso il fondo. Si guardò un'ultima volta allo specchio prima di uscire: il bianco dell'abito era quasi accecante, e si abbinava bene al suo colorito color avorio. O almeno, credeva che somigliasse all'avorio, non l’aveva mai visto per davvero, ma un mercante aveva cantato le lodi di quel materiale, comparandolo alla sua bellezza. Ovviamente era stata una tattica, nemmeno troppo celata, per portarsela a letto. L'uomo si era beccato un educato rifiuto, ma il complimento le era rimasto in testa.
Si rassettò la gonna, andando nel salotto della piccola casa, dove suo padre era in attesa.
«Ah, la mia bambina.» La salutò lui. «Questa è l'ultima volta che posso chiamarti così...» Si giustificò, vedendo la figlia sbuffare infastidita. «Sei splendida, tesoro. Vorrei tanto che tua madre potesse vederti.» La strinse in un abbraccio affettuoso, gli occhi lucidi.
«Anche io, padre.» Ricambiò l'abbraccio Kyra. «È quasi ora.» Disse, cercando di nascondere la tensione nella propria voce.
«Vai a cercare Soris. Prima comincia la cerimonia, meno possibilità avrete di svignarvela.» Disse Ceylon carezzandole la guancia, prima di farsi da parte, indicando la porta con un cenno del capo.
«Non preoccuparti, stavolta faremo i bravi.» Cercò di rassicurarlo lei.
Stava già aprendo la porta, che il padre la interruppe nuovamente. «Ah, tesoro, un’ultima cosa…»
Si girò a guardarlo, interrogativa.
«Quello che ti ha insegnato tua madre, a tirare con l'arco, a maneggiare i coltelli... Forse è meglio lasciare all'oscuro il tuo sposo, per il momento.» Le suggerì preoccupato.
«Prima o poi lo verrà a sapere in ogni caso, padre.» Rispose lei, stringendosi nelle spalle. «Comunque, non è proprio il primo argomento di conversazione che mi sarebbe venuto in mente.» Lo salutò con la mano, prima di aprire la porta e uscire.
Il frastuono dell’esterno la accolse come qualsiasi altro giorno. Persone indaffarate camminavano sotto il peso di grossi sacchi e cassette, mentre cani dall'aspetto smunto li rincorrevano o li osservavano da lontano. Un paio di brutti ceffi dall'aria ubriaca erano seduti su dei barili di fronte al negozio della vecchia Selma, dove probabilmente avevano speso le poche monete di rame che possedevano in vino di pessima qualità. Alcuni bambini si rincorrevano nel fango, agitando bastoncini di legno a mo' di spade, per quanto piccolo e povero il villaggio di Bravil era casa sua.
Camminò in fretta verso la piccola piazza notando che qualcuno aveva aggiunto delle piccole decorazioni al grande albero che cresceva li in mezzo, probabilmente in onore della cerimonia di quel giorno. Un paio di ragazze vestite da domestiche la salutarono agitando le mani, sorridenti.
«Kyra?» La chiamò qualcuno.
Si guardò attorno, non riconoscendo la voce. Una coppia, probabilmente dell'età di suo padre, le fecero segno di avvicinarsi.
«Come sei cresciuta!» La salutò la donna, un sorriso benevolo sul volto. «Cara, è un giorno così importante oggi!»
Kyra sorrise a sua volta, incerta su cosa dire e cercando di nascondere l'imbarazzo.
«Non preoccuparti.» La rassicurò l'altro, mettendo un braccio intorno alle spalle della compagna. «Tesoro, non può ricordarsi di noi.» Disse alla moglie.
Quella si strinse le mani. «Oh, certo. Scusaci. Il mio nome è Mina, e questo è mio marito Albert. Eravamo amici di tua madre, sai.» Si presentarono. «Non ti vediamo da quando lei...»
«Molto piacere.» Disse Kyra, stringendo la mano che la donna le stava porgendo.
«Adaia era bellissima, e così vivace. E un po' scatenata.» Continuò la donna, guardandola di sottecchi e non smettendo di sorridere. «Chissà che tu non le assomigli.»
«È così triste che lei non sia qui, che non possa vederti così cresciuta.» Convenne il marito, triste.
«Dicono tutti fosse una donna straordinaria.» Kyra non sapeva bene cosa dire. La madre era morta quando lei era bambina, quasi dieci anni prima. Si ricordava le favole che le raccontava prima di andare a dormire, di cavalieri, maghi ed eroi, e quando le aveva regalato il suo primo arco, le prime lezioni con esso, quando la freccia andava a finire lontano perdendosi nel fango e spaventando i gatti che si nascondevano nei vicoli umidi di Bravil.
«Volevamo vederti, oggi, e farti i nostri migliori auguri.» Spiegò la donna. «Siamo così contenti di vedere che stai bene.»
Il marito porse a Kyra una piccola sacca di pelle, gonfia. «Abbiamo messo da parte qualcosa, per aiutarti a cominciare la tua nuova vita.»
La ragazza accettò il regalo, commossa. «Grazie, ma non dovevate...»
«Ci fa solo piacere, cara.» La interruppe lui. «Che il Creatore ti protegga.»
«Ora va', non vorrai arrivare tardi alla cerimonia!» La spronò a donna, dandole una carezza affettuosa sulla spalla. «Ho sentito dire che lo sposo è proprio in gamba!»
Li salutò di nuovo, mettendo in tasca la sacchetta di denaro. “Che gentili”, pensò, mentre cercava il cugino tra la folla di gente che si affaccendava per la piazza.
«Soris!» Lo chiamò, vedendo il giovane dai capelli rossi appoggiato sotto un'impalcatura di legno. «Pensavo fossi scappato.»
«Ah, eccoti finalmente, la mia fortunata cugina!» Esclamò lui. «Pronta a festeggiare la fine della nostra indipendenza?»
«Ehi, siamo ancora in tempo per fuggire.» Scherzò Kyra.
«Certo, potremmo cercare i Druidi per i boschi come da bambini, scommetto saranno facili da scovare.» Ribatté lui.
Kyra sapeva che, nonostante si stesse lamentando tanto per quel matrimonio, Soris non avrebbe mai avuto il coraggio di andare da nessuna parte. I bassifondi erano la loro casa dopotutto.
Puzzolente, mal frequentata e spesso preda di persone che adoravano spadroneggiare sui più deboli, ma pur sempre casa.
«Piuttosto, la fai facile tu. Il tuo promesso sposo è un sogno che si realizza. La mia futura moglie, invece, quando apre bocca sembra un topo in agonia.» Continuò il cugino, demoralizzato.
«Soris!» Lo rimbeccò l'altra. «Nemmeno tu sei esattamente un principe, lo sai?»
Lui scrollò le spalle. «Se vuoi facciamo cambio.»
Kyra scoppiò a ridere. «Certo, sono sicura che accetteranno di sicuro. Coraggio, andiamo, prima che debba trascinarti sull'altare legato come un salame.» Lo spronò, facendogli strada verso la piattaforma in legno che era stata allestita per ospitare i due matrimoni.
Sulla strada, vennero interrotti nuovamente da un tizio biondo, che Kyra conosceva di vista.
«Ah, ecco l'uomo del momento! Come te la passi, Soris?» Esclamò quello, dando una pacca sulla spalla all'amico.
L'altro lo salutò poco convinto. «Tutto bene. Questa è mia cugina, la sposa... Beh, l'altra sposa, non la mia sposa, ovviamente!» Arrossì violentemente, mangiandosi le parole. Kyra non riuscì a trattenere una risata.
Il ragazzo la salutò cortesemente. «I miei migliori auguri ad entrambi...» Sembrava turbato da qualcosa. «Soris, i miei fratelli non verranno. Se ne sono andati a combattere ad Ostegar. Gira voce che sarà una battaglia epica e che sarà presente pure la Divina Adelasia» Sbuffò, poco convinto.
Il gruppo di bambini che aveva visto prima giocare coi bastoncini sfrecciò loro davanti, rincorrendosi e menando fendenti con le loro armi di legno.
«Mi ricordano noi.» Commentò Soris con un sorriso.
«Oh, sì. Vincevo sempre io.» Ribatté Kyra divertita. «Ehi, c'è Aela!» Indicò l'amica, ma il sorriso le si congelò sul volto.
Tre uomini, riccamente vestiti, si facevano strada tra la piccola folla di paesani, che si ritraevano spaventati.
«È una festa, giusto?» Sentì dire ad uno di loro, un giovane dall'aspetto sgradevole. «Prendete una puttana e divertitevi!» Scoppiò a ridere, un suono che di gioioso non aveva nulla. Guardò Aela, squadrandola dall'alto al basso con sguardo da predatore. «Gustatevi la caccia, ragazzi. Guardate questa, così giovane e delicata...» Fece per afferrarla, ma la ragazza si ritrasse di scatto.
«Toccami e ti sgozzo, porco!» Gli urlò dietro, per niente spaventata.
«Vi prego, mio signore! Stiamo festeggiando dei matrimoni, oggi.» Supplicò un altro, inchinandosi di fronte all'uomo.
«Stà zitto, verme!» Lo schiaffeggiò quello, mandandolo a terra. Kyra si sentì irrigidire d'istinto.
«So cosa stai pensando, ma magari dovremmo starne fuori...» Provò a fermarla Soris, preoccupato. Ignorando il consiglio del cugino, la ragazza si diresse a grandi passi al fianco di Aela.
«E questa chi è?» Esclamò l'uomo. «Sei venuta a farmi compagnia, dolcezza?» Il suo sguardo viscido si soffermò sull'incavo dei seni di lei, accentuato dal vestito scollato.
Trattenendo l'impulso di tirargli uno schiaffo, Kyra decise di optare per la via diplomatica.
«Non è un buon momento, signori.» Disse, cercando di essere più convincente possibile.
«Ah!» Si offese quello. «Come osi?! Hai idea di chi sia io?!» Le chiese adirato, alzando la voce e avanzando minacciosamente verso di lei.
Kyra non indietreggiò di un passo, sostenendo il suo sguardo nonostante avesse un po' di paura. «Oggi c'è un sacco di movimento, qui. Ed è pieno di ubriachi o tagliaborse, non è certo il luogo dove delle persone come voi possono passare una piacevole mattinata.» Tentò di convincerlo, sforzandosi di apparire preoccupata.
Lui scoppiò a ridere, malevolo. «Se credi che dei pezzenti del genere possano essere un problema per me, non hai idea con chi stai parlando. Sono…»
Non riuscirono a sentire chi egli fosse, perché Aela, che si era chinata ad afferrare una bottiglia di vetro da terra, lo colpì forte dietro la testa, facendolo svenire sul colpo.
«Sei impazzita?! Questi è Torygg Kendells, il figlio del Sovrintendente di Tristram!» Urlò uno dei suoi scagnozzi, correndo a controllare le condizioni dell'uomo.
«Che?!» Esclamò Aela, rendendosi conto della situazione. «Oh, per il Creatore, che ho fatto?!»
Kyra represse un'imprecazione. «Sentite, è stato un incidente.» Provò a dire, ma i due, che avevano sollevato da terra il corpo del compagno svenuto, lanciarono loro insulti e minacce.
«La pagherete cara, vermi!» Urlò uno dei due, prima di battere in ritirata.
«Stavolta ho proprio combinato un casino.» Gemette Aela, guardandoli allontanarsi.
«Andrà tutto bene, non oserà dire a nessuno di essere stato steso da una ragazza di diciassette anni!» La rassicurò Soris.
«Non preoccuparti, Aela, si risolverà tutto.» Gli diede man forte Kyra, senza però esserne convinta. Quello era l'erede del Conte di Tristram in persona, non c'era speranza che lasciasse passare un'insubordinazione del genere, soprattutto da parte di una popolana.
Un ragazzo e una ragazza, si avvicinarono verso di loro, confusi.
«Che è successo?» Chiese lei con una voce acuta. Era vestita in modo elegante, un abito dai colori sgargianti e i capelli ben pettinati e intrecciati. Soris si lasciò sfuggire una risata nervosa. «Nulla, solo il figlio del Conte che ha cominciato a bere troppo presto...» Si affrettò a cambiare discorso. «Cugina, ti presento Valora, la mia futura moglie.»
Kyra la salutò con un cenno del capo, la sua attenzione era tutta per l'altro ragazzo, un giovane di bell'aspetto, i capelli biondi e il mento pronunciato.
«Devi essere Henrik. Piacere.» Si presentò imbarazzata. «Sono Kyra.»
«Ma certo, ti ho riconosciuta subito.» La salutò lui. Sembrava molto più sicuro di sé di quanto lo fosse lei.
«Sono certo che avrete un sacco di cose di cui parlare...» Si intromise Soris, salutando e andandosene in tutta fretta, Valora al seguito. Kyra rimase da sola con il suo futuro sposo. Aveva le braccia forti, sicuramente grazie al suo lavoro alla forgia.
«Sei nervosa?» Le chiese lui, cercando di rompere l'imbarazzo che si era creato.
Lei annuì. «Un poco.» Ammise. «Più che altro, è strano sposarsi con qualcuno che non si è mai visto prima, vero?» Accennò un sorriso. L'altro sorrise a sua volta. «Ti capisco. Pensavo che sarei rimasto calmo, ma quando finalmente ti ho vista...» Scosse la testa.
«Come è andato il viaggio dalla Contea di Melwatch?» Gli chiese, mentre aspettavano che la Sacerdotessa della Fratellanza arrivasse e che gli altri completassero i preparativi per la cerimonia.
«Nient'affatto movimentato, per fortuna. La carovana con cui viaggiavamo era così povera da aver tenuto lontani i briganti.» Fecero loro segno di avvicinarsi. Sorella Boann, era finalmente arrivata.
Le due coppie si affrettarono a mettersi in posizione, uno di fianco all'altra. Kyra quasi sussultò quando Henrik le sfiorò la mano. «A proposito, sei… sei davvero splendida.» Le sussurrò.
Gli sorrise imbarazzata, incerta su cosa rispondere. Certo, sposarsi non era il suo sogno nel cassetto, ma in un posto come quello non si poteva essere troppo schizzinosi, o inseguire desideri irrealizzabili. In più, lui le sembrava una brava persona. Era anche piuttosto bello, e questo aiutava parecchio. Sperava sarebbero stati felici. Lui avrebbe trovato lavoro come fabbro, e lei avrebbe continuato a lavorare al mercato, sarebbero stati abbastanza benestanti da permettersi di affittare una casa con una stanza da letto e un salotto, dove avrebbero invitato Soris e Valora a cena...
Sì, una vita così non le sembrava poi male.
Sorella Boann prese quindi la parola. «Nel nome del Creatore, che ci fece nascere in questo mondo, e per il quale recitiamo il Canto della Luce…»
Un frastuono proveniente dal fondo della folla la fece interrompere.
Torygg, il figlio del Sovrintendente, procedeva a passi pesanti verso di loro, il volto contratto dalla rabbia. Lo seguivano i suoi due scagnozzi e quattro guardie cittadine in armatura, dotate di spade e scudi.
«Mio signore?» Esclamò sorpresa la Sorella. «Che sorpresa inaspettata!»
«Scusate l'interruzione, ma sto organizzando una festa e siamo a corto di ospiti femminili!» Annunciò l'uomo, scoppiando in una risata forzata.
Salì senza indugi sulla piattaforma, avvicinandosi a Valora e guardandola malevolo.
Sorella Boann cercò di intervenire, facendogli notare di essere ad un matrimonio.
Torygg spinse da parte Valora, facendola cadere a terra con una risata di scherno. «Se volete vestire a festa i vostri animaletti da compagnia, sono affari vostri. Ma non facciamo finta che sia un matrimonio vero.» Li derise, affrontando minacciosamente la Sorella. «Ora, siamo venuti qui per divertirci, vero ragazzi?» Chiese alle sue guardie, che risposero entusiasticamente.
I tre uomini vestiti elegantemente squadrarono le donne attorno a loro, con aria critica.
«Prendiamo queste due, quella col vestito aderente e…» Cominciò Torygg, cercando tra la folla. «Dov'è quella puttana che mi ha colpito prima?»
«Qui, Lord Torygg!» Urlò uno degli altri due, trascinando Aela per un braccio.
«Lasciami, brutto figlio di p…» Gridò la ragazza, per essere poi zittita con un potente manrovescio.
Torygg sembrava trovare tutto estremamente divertente. «Oh, sarà uno spasso... sei molto giovane…» Si girò poi verso Kyra, che era rimasta in silenzio, il sangue che le ribolliva nelle vene, non volendo rischiare di mettere in pericolo nessuno. Era oltretutto disarmata, e quel vestito, anche se le stava molto bene, non era affatto adatto ad uno scontro.
«Ma guardate la bella sposa!» Esclamò quello. «Hai davvero due belle tette!»
Kyra dovette mordersi il labbro, stringendo la mano di Henrik, che aveva afferrato la sua in modo protettivo. «Non preoccuparti, non lascerò che ti prendano.» Le disse con voce tremante, ma senza lasciarla andare nonostante l'evidente paura.
Non potevano scappare, e anche se fossero riusciti a seminarli, quelli avevano già preso Aela. Resistere avrebbe solo portato altri problemi. Imprecò tra sé e sé.
«Ah, sì, è proprio ben fatta.» Commentò Torygg, passandole il dorso della mano sul collo e afferrandole il braccio con forza, facendole male.
Non avendo alcuna intenzione di dargli la soddisfazione di vederla lamentarsi, Kyra oppose resistenza, cercando di liberarsi con uno strattone. Lui sembrò non accorgersene nemmeno, un ghigno stampato sul volto. «Sono certo che vogliamo tutti evitare ulteriori... complicazioni.» Disse in tono minaccioso, gli occhi ridotti a fessura.
«Lasciami andare!» Ringhiò Kyra, perdendo le staffe e provando di nuovo a liberarsi dalla sua presa, ottenendo solo una risata di scherno.
«Oh, che caratterino!» La strinse ancora più forte, facendole sfuggire un gemito di dolore. «Ci sarà da divertirsi!» Le diede uno schiaffo, forte.
La vista le si oscurò di colpo.
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Capitolo 5
Nell'inferno che si scatenò, Ellena riuscì solo ad urlare a squarciagola, inginocchiata in una pozza di sangue accanto ai corpi senza vita del nipotino e della cognata.
Sentì sua madre trascinarla via.
«Dobbiamo trovare tuo padre!» Urlò per l'ennesima volta, il volto di Eleanor rigato anch'esso dalle lacrime. «Li vendicheremo, tesoro mio, te lo giuro.»
Tornarono nel corridoio, dove Ellena tranciò di netto il braccio ad uno degli uomini di Lechner che cercò di sbarrare loro la strada, trafiggendolo poi al petto. La Contessa abbatté con tre frecce l'altro assalitore. Corsero a perdifiato verso il salone, dove il frastuono del combattimento era più forte. «Valmyr !» Gridò la ragazza, accorrendo in aiuto dell'uomo e recidendo la testa del suo assalitore con un potente fendente laterale.
«Siete salve!» Esclamò lui, sollevato. «Il Conte era terrorizzato, è andato a cercarvi...» Menò un colpo dall'alto vero il basso sulla spalla di un nemico, facendolo crollare a terra urlando.
«Avete visto mio padre?» Gli chiese lei. Un'accetta l'avrebbe colpita al fianco se Tundra non avesse azzannato il braccio dell'uomo con cui stava combattendo, sbilanciandolo e dando accesso alle fauci dell'animale alla gola dell'uomo.
Quando tutti i nemici furono a terra, poterono riprendere fiato.
«Sprangate le porte! Tenete fuori quei bastardi!» Ordinò Valmyr  ai suoi uomini, reggendosi un fianco ferito. «Sua signoria. Mia signora. Se avete una vita di fuga, usatela. Non potremo trattenerli a lungo.» Respirava affannosamente.
«Dobbiamo trovare mio marito.» Ribatté Eleanor Von Meyer. «Sai dirci dov'è andato?»
Il cavaliere scosse la testa. «L'ultima volta che l'ho visto era ferito gravemente. Gli ho suggerito di non allontanarsi, ma era deciso a trovarvi... è andato in direzione delle cucine. Credo voglia usare l'uscita di servizio nella dispensa.»
«Il Creatore ti protegga Valmyr Olmorik.» Disse la Contessa, prima di rivolgersi alla figlia. «Andiamo.»
L'altra guardò l'uomo e le altre cinque guardie nella sala. Non sapeva cosa dire, quegli uomini andavano incontro a morte certa. Se solo Oliver avesse aspettato a partire, avrebbero avuto abbastanza uomini per riuscire a contrastare l'attacco...
«Che il Creatore vegli su tutti noi.» Disse semplicemente il cavaliere, prima di chinarsi in un ultimo saluto e andare verso il portone ad aiutare i suoi uomini a tenerlo chiuso.
Sulla strada per le cucine, incontrarono altri numerosi nemici, tra cui un cavaliere con un enorme martello da guerra. Schivando uno dei suoi potenti colpi, che l'avrebbero sicuramente frantumata anche sotto la sua armatura pesante, Ellena finì per terra, dando l'opportunità ad uno degli arcieri di Lechner di colpirla ad una coscia. Digrignando i denti dal dolore, conficcò la spada sotto l'ascella del cavaliere, sfruttando lo spazio tra le placche della sua armatura, per poi farlo cadere a terra e finirlo con un altro colpo.
Tundra e la madre di occuparono dei due arcieri rimasti. Finalmente, entrarono nelle cucine.
Il corpo della vecchia Sansa era riverso a terra, una ferita da taglio lungo la schiena.
Senza riuscire a trattenere le lacrime, Ellena la superò singhiozzando. Tundra ringhiava, pronto a difendere lei e la Contessa da chiunque.
La ragazza aprì con un calcio la porta della dispensa, sfondandola.
«Padre!» Gridò terrorizzata, correndo verso l'uomo a terra.
Adrian Von Meyer alzò lo sguardo annebbiato da terra, il volto che si apriva in un sorriso sofferente. «Siete... salve...» Ansimò a fatica.
«Adrian!» Esclamò la moglie, inginocchiandosi accanto a lui. «Sei ferito!»
«Gli... uomini di Lechner.» Spiegò lui.
«Dobbiamo portarvi via di qui.» Disse Ellena, cercando di aprire la porta di uscita della dispensa.
«Non... credo di farcela, cucciola.»
La ragazza diede un pugno alla porta, imprecando. «Certo che ce la fate!» Insistette.
«La mia adorata bambina...» Sospirò il Conte. Uno spasmo di dolore lo fece gemere sonoramente.
«Quando gli uomini di Lechner supereranno il cancello, sarà la fine. Dobbiamo uscire da qui.» Gli disse la moglie, esaminandogli la ferita.
«Qualcuno... deve raggiungere Oliver. Dirgli cosa è successo.» Ansimò l'uomo.
«E ottenere vendetta.» Sibilò Ellena. «Lechner non la passerà liscia.»
«Vendetta, sì...» La voce del Conte si faceva sempre più flebile.
La Contessa lo chiamò di nuovo. «Adrian, l'uscita è qui a fianco. Ti troveremo un mago guaritore e…»
Il marito scosse la testa, sofferente. «Il castello è circondato. Non ce la farò.»
«Padre...»
Prima che potesse dire altro, sentirono dei movimenti provenire dal corridoio, almeno una decina di uomini. Tundra tirò indietro le orecchie, scoprendo i denti e ringhiando.
«Andate.» Ordinò il Conte Von Meyer. «Andate, e assicuratevi che Lechner abbia ciò che si merita.»
Ellena provò a ribattere, le lacrime che le bloccavano le parole.
Due uomini fecero irruzione nella cucina., le armi sguainate.
«Eccoli!» Urlarono per avvertire i compagni. Una freccia colpì uno dei due in un occhio, uccidendolo sul posto, mentre l'altro venne buttato a terra e sbranato dal cane.
Tuttavia, era troppo tardi. Altri passi pesanti annunciarono che il grido era stato sentito, e presto la cucina sarebbe stata invasa dai nemici, troppi perché potessero sconfiggerli tutti.
Ellena si girò disperata verso la madre, la quale abbassò un attimo l'arco, guardandola negli occhi con solennità.
«Vai, tesoro.» Disse semplicemente, puntando nuovamente l'arma verso l'ingresso.
«Madre...»
«Non c'è tempo.» La interruppe lei. «Li tratterrò finché possibile.»
La ragazza guardò un'ultima volta i due genitori, che si scambiarono uno sguardo d'assenso.
«Che il Creatore ti protegga, cucciola.» Disse Adrian Von Meyer, appoggiando le spalle contro la parete e chiudendo gli occhi.
«Vai!» Le urlò di nuovo Eleanor Von Meyer, abbattendo il primo uomo ad entrare con una freccia al ginocchio.
Ellena sentì le gambe muoversi da sole.
Entrò nello stretto passaggio, Tundra dietro di lei a guardarle le spalle. L'aria sapeva di fumo, era difficile respirare. Il passaggio curvava più volte su sé stesso, scendendo con ripide scale, le pareti scivolose che rendevano impossibile appoggiarsi.
La ragazza singhiozzava, tirando su col naso e non sentendo nemmeno il dolore quando le ginocchia colpirono violentemente il pavimento, trovandosi a terra senza essersi accorta di aver perso l'equilibrio. Aveva gli occhi appannati dalle lacrime, la gamba che le pulsava dolorosamente. Tastò la ferita, rimettendosi faticosamente in piedi: si guardò la coscia, i pantaloni zuppi di sangue sotto l'armatura, costringendosi a proseguire.
Dopo quella che le parve un'eternità, il lungo corridoio finì.
L'uscita dava sul retro del castello, dove vi erano i cavalli e il fieno per nutrirli. Un'ondata di calore e fiamme segnalò che gli uomini di Lechner avevano dato fuoco alle stalle. I nitriti di dolore dei cavalli e le urla disperate di chi era rimasto intrappolato riempivano l'aria.
Ellena si guardò attorno disperata, non c'era modo di attraversare quell'inferno.
Si girò verso Tundra, che nonostante tutto non indietreggiava davanti alle fiamme. Il lupo la guardò con determinazione, prima di puntare le zampe anteriori nella terra e tendere le spalle.
“È finita.” Pensò la ragazza in preda alla disperazione. Era stato tutto inutile, sarebbero morti bruciati, oppure gli uomini di Lechner li avrebbero trovati e trucidati come avevano fatto con il resto della sua famiglia. E Oliver non avrebbe mai saputo cosa era successo.
Oliver.
Doveva avvisare il fratello, prima che attentassero anche alla sua vita.
Tundra scattò in avanti, gettandosi con un grande balzo tra le fiamme e attraversandole.
Ellena sgranò gli occhi, asciugandosi il volto. «Non così.» Non poteva finire in quel modo.
Si coprì il viso con il braccio e si lanciò anche lei tra le fiamme.
Sentiva qualcosa di umido e viscido leccarle la faccia. Sollevò le braccia da terra con un gemito, cercando di tirarsi in piedi e scivolando sul terreno fangoso. Aprì gli occhi.
Tundra uggiolò rumorosamente, cercando di nuovo di leccarle la guancia. Ellena lo abbracciò, sollevata che fossero entrambi ancora vivi. Si guardò attorno, scoprendo di essere sulla riva del fiume che passava sotto la Contea di Melwatch. Da lontano, poteva scorgere il castello, ancora avvolto da una spessa nuvola di fumo nero. Si costrinse a distogliere lo sguardo, sentendo le lacrime scenderle sulle guance e non facendo nulla per arrestarle.
«Dobbiamo andare da Oliver.» Disse al lupo, che la guardava preoccupato. «Lechner pagherà per quello che ha fatto.»
Si rimise in piedi barcollando, lo sguardo determinato puntato a sud.
Verso Ostegar.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 6
«Creatore, proteggici. Creatore, aiutaci. Creatore, proteggici. Creatore, aiutaci. Creatore, proteggici. Creatore, aiutaci...»
«Piantala!» Si levò la voce di Aela. «Mi stai tirando pazza!»
Kyra aprì gli occhi, tirandosi su a sedere. Le girava un po' la testa. Incontrò lo sguardo preoccupato della cugina. «Per il Creatore, meno male che ti sei svegliata. Ci stavamo preoccupando...» Le disse Aela. Kyra si guardò attorno: erano in una piccola stanza di pietra e tavole di legno, segno che erano state portate nel palazzo di Re Ulfric Rhoynar a Tristram. Sapendo che il loro rapitore era il figlio del Sovrintendente del Re, erano probabilmente in uno dei posti più presidiati di tutto il Khanduras. Uscire da lì sembrava impossibile.
«State tutte bene?» Chiese, cercando di non far trasparire la paura nella sua voce.
Le altre annuirono, mentre una giovane ragazza bionda poco distante, non smetteva di pregare il Creatore, cantilenando ininterrottamente le stesse parole.
«Dobbiamo trovare il modo di uscire da qui.» Affermò Kyra.
«No, non ce la faremmo mai!» Ribatté una delle altre, l'espressione terrorizzata. «Faremo... gli daremo quello che vogliono, poi quando saremo tornate a casa, dimenticheremo tutto.» Valora si dichiarò d'accordo, tentare la fuga era troppo rischioso.
«Sarà peggio se opporremo resistenza.» Disse in tono amaro.
«È molto peggio non farlo!» Si adirò Aela, decisa. Stava per aggiungere qualcosa, ma la ragazza bionda che stava pregando si interruppe di colpo con un gemito di terrore.
«Sta arrivando qualcuno!» Squittì spaventata.
La porta si spalancò di scatto, rivelando cinque guardie in armatura completa. Quello che doveva essere il capitano si concesse un ghigno alla vista delle cinque donne che si ritraevano spaventate. «Salve, ragazze, siamo qui per accompagnarvi alla festicciola di Lord Torygg.» Annunciò.
La ragazza bionda si alzò di scatto, cercando di allontanarsi dagli uomini. «State lontani!»
Prima che Kyra potesse rendersene conto, la ragazza cadde a terra in un lago di sangue. Schizzi cremisi le macchiarono il viso e impregnarono il vestito bianco. Rimase pietrificata, guardando il capitano ammirare la propria opera con la spada sguainata che gocciolava sangue.
Una delle ragazze si lasciò sfuggire un rantolo. «L'avete uccisa!» Esclamò sconvolta.
«Questo è quello che succede quando si cerca di insegnare alle puttane un po' di rispetto.» Ribatté il capitano, per nulla impressionato. Si girò poi verso i suoi uomini. «Voi due, prendete il fiorellino che si nasconde là dietro. Horace ed io ci occuperemo della sposina e della ragazzina.» Ordinò. Quelli eseguirono prontamente. «Voi,» si rivolse agli ultimi due. «Prendete l'ultima rimasta, ma attenzione, è di Torygg.» Indicò Kyra con un cenno del capo, prima di girare i tacchi e andarsene.
«Oh, non preoccuparti.» Disse uno dei due, fingendo di rassicurarla. «Saremo dei perfetti gentiluomini.»
L'altro non ci provò neppure. «Fai la brava, o finirai come la tua amica là.» Minacciò riferendosi alla ragazza a terra.
Kyra si sentiva tremare di paura. «Non fatemi male.» Balbettò, alzando le mani in segno di resa. Più si fosse mostrata debole, pensò, meno quelli avrebbero ritenuto necessarie le maniere forti.
I due uomini sogghignarono, uno dei due andò ad afferrarle un braccio, tirandola verso l'uscita, mentre l'altro le fece scivolare una mano dietro la schiena, palpandole il sedere e facendola sobbalzare. Cercò istintivamente di divincolarsi, cosa che le procurò uno strattone più violento che le fece male alla spalla. La scortarono fuori dalla stanza, in una sala che sarà stata grande quattro volte tutta casa sua. La attraversarono tutta, per poi attraversare un corridoio e superare altre stanze. Per tutto il tragitto, la guardia che l'aveva palpata continuò a stuzzicarla, divertito dai tentativi di ribellarsi della ragazza.
Dopo un tempo che le parve interminabile, raggiunsero il resto delle guardie. Delle altre ragazze non c'era traccia.
«Lord Torygg ha detto di portarla dentro.» Disse il capitano, facendo un cenno verso la pesante porta di fronte a loro. «Ha una sorpresa per lei.»
Kyra trattenne a stento il terrore, sentendosi le gambe molli e pronte a cedere. I due la trascinarono di peso oltre la porta, scaraventandola a terra e chiudendola dietro di sé, sghignazzando.
«Kyra!» Si sentì chiamare.
La ragazza alzò lo sguardo. Soris era tenuto in ginocchio con le braccia legate dietro la schiena, Henrik, accanto a lui, era nella stessa situazione.
«Ora sì che è una festa!» Esclamò Torygg, battendo le mani e guardandola malevolo. «Abbiamo trovato questi due che sgattaiolavano in cucina, armati solo di un coltello.» Aveva in mano la propria spada, che poggiò minacciosa sulla guancia di Soris, la punta che incise la pelle morbida lasciando scorrere una goccia di sangue. «Qualche suggerimento, ragazzi?» Chiese poi ai suoi due compari, che ridacchiarono soddisfatti.
«Sono come i ratti.» Commentò uno di loro, dando un calcio a Henrik, che cadde a terra.
Kyra rimase impietrita, ancora a terra, incapace di muoversi. Sentiva le altre ragazze singhiozzare. Torygg si guardò attorno, valutando la situazione. Dopo qualche attimo, sembrò decidersi sul da farsi, ridacchiando tra sé e sé.
«Mi sento particolarmente magnanimo, oggi. Se volevano partecipare alla nostra festicciola, non vedo perché privarli di questo piacere!» Annunciò, facendo un cenno ai due compagni.
«Imbavagliateli.» Ordinò.
Quelli si affrettarono ad eseguire.
Torygg, senza nemmeno guardarli, si chinò ad afferrare Kyra per i capelli, tirandola in piedi con uno strattone.
«Ma guarda…» disse, accarezzando lascivo il collo della ragazza, per poi scendere verso il basso e afferrarle un seno da sotto il vestito, facendola gemere di dolore, «La nostra ospite è sporca.» Passò il pollice su una chiazza di sangue fresco, portando poi la mano sul viso di lei e premendo il dito sulle sue labbra, lasciando un alone rossastro. «Non possiamo permetterlo!»
Afferrò entrambi i lati dello scollo dell'abito, per poi strapparli con violenza.
La stoffa si lacerò con facilità, le pietre decorative si sparsero tintinnando sul pavimento.
Kyra gli urlò di fermarsi, cercando di coprirsi il seno nudo con le braccia. L'altro le afferrò i polsi, forzandole le braccia ai lati del corpo. «Non fingerti timida, vedrai che ci divertiremo.» Avvicinò il viso al suo, baciandola prepotentemente. Lei reagì divincolandosi con uno strattone, tirandogli una testata sul mento.
Torygg si ritrasse di scatto con un grido di dolore, tirandole uno schiaffo col dorso della mano, facendola barcollare. Uno degli anelli che portava alle dita le procurò un taglio sul labbro, che iniziò a sanguinare. «Maledetta puttana!» Ringhiò il lord. «Legatela con gli altri, ci occuperemo prima delle sue amiche.» Ordinò, andando a prendere Aela, che cercò di strisciare via da lui. Aveva il viso rosso e contuso, segno che aveva opposto resistenza.
«Stupida puttana», sibilò Torygg, prendendola per i capelli e facendola gridare di dolore, «Vi fotteremo fino a farvi sanguinare!» Le due guardie si avvicinarono a Kyra, le corde per immobilizzarla già pronte.
Prima che potessero raggiungerla, la ragazza si gettò di peso su uno di loro, buttandolo a terra. Colto di sorpresa, l'uomo non fece in tempo a reagire, permettendole di afferrare il coltello che portava legato alla cintura. Prima che potesse però farci qualcosa, l'altro uomo la colpì con un calcio al costato, togliendole l'aria e facendola cadere su un fianco. Kyra non si perse d'animo, stringendo il manico dell'arma e conficcandola con forza nel dorso della mano dell'uomo a terra.
L'altro la colpì di nuovo, ma stavolta lei riuscì ad attutire il colpo parandolo con la spalla. Si rialzò di scatto, fronteggiandolo, il coltello alzato in aria e pronta all'attacco.
Un grido terrorizzato la fece trasalire. Si girò di scatto, restando impietrita.
«Gettalo, o la sgozzo come una scrofa!» Ordinò imperiosamente Torygg, che stringeva a sé Aela, la lama della sua spada premuta di taglio sulla sua gola, intrappolandola tra essa e l'uomo. La ragazza respirava a fatica, piangendo e singhiozzando. «Aiutami...» Pregò la cugina.
Non sapeva che fare.
L'attimo di esitazione di Kyra le costò caro. L'uomo alle sue spalle la colpì alle scapole, afferrandole il braccio con cui teneva il pugnale e torcendoglielo dietro la schiena, costringendola a lasciarlo cadere. Le bloccò anche l'altro, facendole male finché non gli implorò di smettere.
«La pagherete cara.» Sputò Torygg, gettando Aela a terra e tenendola giù con un piede premuto sulla sua schiena.
Kyra finì legata e imbavagliata di fianco di Soris e, costretta a guardare Torygg e i suoi uomini approfittarsi delle sue compagne.
La prima ad essere spogliata fu Aela. La presero a pugni e calci finché non smise di dibattersi, cercando di raggomitolarsi al suolo in preda alle lacrime, il naso rotto che colava sangue, e che andava a impestare i suoi capelli.
L'uomo ferito si legò un pezzo di stoffa attorno alla mano, bevendo un abbondante sorso di vino da una bottiglia sul tavolo. Rinfrancato, ignorò il dolore e si unì ai suoi complici, bloccando le braccia dalla ragazza sul pavimento mentre Torygg si muoveva sopra di lei con forza.
Quando il figlio del Sovrintendente ebbe finito, la lasciarono sul pavimento seminuda e sanguinante, rivolgendo la propria attenzione sulle altre due. L'uomo che aveva disarmato Kyra tirò in piedi la ragazza che aveva suggerito di assecondare i loro rapitori, strattonandola. Lei gemette impaurita, ma non oppose resistenza mentre le sollevavano la gonna, gettandola sul letto e schiacciandole la testa contro il materasso.
Soris lottò contro le corde che gli bloccavano le caviglie e i polsi, ringhiando da sotto il bavaglio e contorcendosi nel tentativo di liberarsi.
L'uomo con la mano ferita sembrò trovarlo divertente, perché gli si avvicinò con un ghigno perverso, afferrandogli il mento e costringendolo a guardarlo negli occhi. «Oh, sei preoccupato per la tua mogliettina?» Gli chiese, inginocchiandosi di fronte a lui e avvicinandosi così tanto che i loro nasi si sfiorarono. «Braden sa essere un po' brusco, ma vedi che quando avrò la tua ragazza, la farò urlare per chiederne ancora.» Lo derise, premendo un piede sull'inguine di Soris. «E chissà, magari una volta che avremo finito con loro, potremmo trovare un uso anche a voi due.» Sfregò il tacco contro la stoffa dei pantaloni di Soris, facendolo sussultare.
Un urlo soffocato segnalò che Torygg aveva cominciato ad occuparsi di Valora. La maneggiò come una bambola di pezza, buttandola sul grande letto di fianco alla compagna. «Joney, questa è già pronta per te!» Chiamò il compagno, che si allontanò da Soris con un ghigno, armeggiando con la cintura dei pantaloni.
Kyra nel frattempo stava disperatamente cercando di tagliare le corde ai polsi, sfregandole contro lo spigolo della roccia su cui era appoggiata. La pelle le si stava lacerando in più punti, rendendole le mani scivolose di sangue. Henrik, di fianco a lei, cercò di attirare la sua attenzione con un grugnito soffocato, indicando con un cenno del capo i piedini su cui poggiava la libreria. Strisciarono silenziosamente verso di esso, sfregando le corde contro lo spigolo. La ragazza lavorava febbrilmente, cercando senza successo di ignorare i gemiti provenienti dal letto. Finalmente, dopo un tempo interminabile, sentì le corde cedere.
Si liberò le mani, piene di escoriazioni, e cominciò a slegare la corda che le bloccava le caviglie. Dopo qualche tempo, Henrik le segnalò di essere riuscito a liberarsi.
Quando Torygg si allontanò da Valora, lasciando spazio a Joney, si girò per controllare i prigionieri.
Henrik fece per colpirlo alla nuca con la bottiglia di vino che il compare dell'uomo aveva lasciato sul tavolo, ma mancò il bersaglio, centrandolo sulla schiena. Quello, voltandosi e venendo colpito, si accasciò a terra con un gemito, maledicendolo e afferrando l'elsa della propria spada. Il giovane apprendista fabbro si ritrasse di scatto, lasciando spazio a Kyra, che si buttò contro Torygg con tutto il proprio peso, schiacciandolo a terra e impedendogli di estrarre l'arma, il coltello che le era caduto prima puntato sulla gola dell'uomo.
«Allontanatevi o lo ammazzo!» Urlò, la lama premuta sulla pelle candida del lord. Quello, che probabilmente non aveva mai ricevuto una minaccia del genere in vita sua, la guardò sconvolto.
Henrik era intanto scattato a bloccare la porta, per evitare che le guardie potessero fare irruzione.
Gli altri due si voltarono a guardarla, in allarme e incerti sul da farsi.
«Ho detto di allontanarvi!» Ripeté Kyra, rafforzando il concetto premendo il coltello ad incidere leggermente la pelle fino a far spillare una singola goccia di sangue.
«Fate come vi dice!» Sbraitò Torygg, chiaramente in panico. I due obbedirono immediatamente, alzando le mani e allontanandosi di qualche passo dal letto.
«Cosa intendi fare, eh?» Le chiese poi il lord, cercando di mascherare la paura. «Ci sono almeno una dozzina di guardie qui dentro, e tu hai solo un coltello.»
Aveva ragione, seppure in parte. Si chinò a sguainare la spada dal fodero che l'uomo teneva alla cintura. «Ho anche questa.» Constatò, puntandola a terra. «Possiamo risolvere la situazione pacificamente.» Cercò di convincerla quello. «Lascerò andare le tue amiche, e pure quei due. Hai la mia parola.»
Kyra non sapeva cosa fare. Era certa che l'uomo stesse mentendo per salvarsi la vita, e nel momento in cui avesse tolto la lama dalla sua gola, avrebbe ordinato ai suoi uomini di sfondare la porta e sarebbe stato tutto inutile.
D'altra parte, uccidere il figlio di un Sovrintendente avrebbe comportato una catastrofe non tanto per loro, quanto per l'intero villaggio. Non poteva lasciare che sterminassero tutti gli abitanti per vendicarlo.
Deglutì a vuoto, c'era un'unica soluzione.
«In piedi.» Ordinò all'uomo, tenendo sempre la lama a contatto con la sua pelle mentre gli si toglieva di dosso, permettendogli di alzarsi. Quello la guardò spaesato.
«Adesso aprirai quella porta, e ordinerai alle guardie di riportare tutti a Bravil. Immediatamente.» Gli puntò la spada dietro la schiena, spingendolo verso la porta ma restando nascosta dietro la parete, in modo che non potessero vederla una volta aperta. «Sappi che non importa quante guardie ci siano fuori, sarai morto prima che riescano a muovere un passo.» Lo avvisò, premendogli la punta tra le clavicole per rimarcare il concetto.
Henrik nel frattempo aveva liberato Soris, che corse da Valora. Aela si era rimessa in piedi a fatica. Le elfe si rivestirono faticosamente, tenendo insieme i lembi di stoffa che erano stati strappati. Camminarono malconce verso la porta.
«Ora aprila, e fai come ti ho detto.» Ordinò Kyra a Torygg.
«Kyra, aspetta.» Si bloccò Henrik. «E tu?»
Anche Soris a quel punto si era girato a guardarla ad occhi sgranati. Lei rimase in silenzio, guardandolo con determinazione.
«No, non posso.» Si oppose lui. «Resto io.»
Kyra scosse la testa. «Serve qualcuno che le protegga se le guardie non seguono gli ordini alla lettera.» Spiegò. Poi, punzecchiò nuovamente Torygg con la spada. «Muoviti, apri la porta.»
Quello obbedì, tremante di rabbia. La porta si spalancò, rivelando solo due guardie, che si girarono sorprese saltando sull'attenti.
«Con loro abbiamo finito.» Annunciò il lord. «Riportateli immediatamente nei bassifondi.» Kyra spinse la lama ancora più contro la sua schiena. «Immediatamente, ho detto. Niente deviazioni.»
Le guardie annuirono, confuse, tuttavia sembrarono obbedire agli ordini dell'uomo. Kyra sentì un nodo alla gola. Se solo avesse agito prima... Incrociò lo sguardo di Aela, che chinò il capo. Non c'era bisogno di aggiungere niente. Quando furono usciti, Torygg chiuse la porta di scatto. «Quindi?» Chiese scocciato. Aveva capito di non essere più in pericolo. Kyra inspirò profondamente, facendo due passi indietro e lasciando cadere a terra la spada in segno di resa. Torygg si voltò verso di lei, un largo ghigno che presagiva vendetta stampato in faccia.
Due settimane dopo, una sacca voluminosa venne buttata nel fango davanti alle stalle di Tristram. La vecchia Selma se ne stava seduta ad aspettare una cassa di merce, corse ad investigare. Dalla sacca rotolò fuori il corpo esanime di una ragazza dalla pelle chiara, completamente nuda e sporca di fango e sangue. La donna corse a chiedere aiuto, e insieme ad un paio d'altri riuscirono a portarla dal guaritore.
Harald il guaritore di Bravil stese la ragazza su un piano, controllando se fosse ancora viva. Respirava a stento, le pulsazioni sul polso che si percepivano appena.
Cominciò lavandola e disinfettando le sue numerose ferite: aveva tagli di diverse forme e dimensioni su tutto il corpo, un grosso sfregio sul petto e quello che sembrava un foro profondo fatto con un oggetto molto appuntito, a lato della testa brillavano tre tagli paralleli dai bordi sfrangiati.
Il naso era rotto e incrostato di sangue, il labbro era spaccato, e l’occhio destro era orribilmente gonfio. Sulla schiena presentava numerosi altri tagli, sottili e profondi. Intorno al collo, alle caviglie e ai polsi presentava profonde escoriazioni e segni di sfregamento.
La caviglia era piegata in modo innaturale, le ginocchia sbucciate e le gambe piene di ferite minori. Lividi e contusioni più o meno recenti la ricoprivano quasi interamente.
Una serie di cicatrici dalla forma strana correva per tutto il corpo, come se fosse ricoperta da rovi intricati. I capelli, prima di colore nero, erano ora ridotti a ciocche bianche come il latte mentre al centro dei suoi seni c’era una bruciatura simile ad un marchio.
«Devo chiamare suo padre?» Chiese Selma mentre il guaritore lavorava sulle ferite. «Aspettiamo di vedere se sopravvive alla notte.» Decise l'Harald. «Nessun padre dovrebbe vedere la figlia in questo stato.»  
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 7
Senua spalancò la porta d'ingresso del Corno di Capra.
La ragazza inalò il forte odore di birra e alcol, leccandosi le labbra, ignorando i commenti indignati degli altri clienti alla vista di due marchiati nel locale. Si passò una mano tra la massa di capelli, di color biondo acceso, procedendo a passi decisi verso il bancone.
Il locandiere dietro di esso li guardò con disgusto.
«Non serviamo i senzacasta, fuori da qui!»
Senua si scambiò uno sguardo divertito con il suo compagno, Tahir, rigirandosi tra le mani un coltello dall'aspetto letale.
«Guardaci meglio e ritenta.» Disse all'oste. Quello sgranò gli occhi, fissando prima il coltello, poi i tatuaggi che avevano in faccia, infine di nuovo le armi che portavano addosso.
«Oh, scusate, siete... M…ma certo.» Balbettò. «Posso fare qualcosa per voi?»
«Puoi dirci dove trovare un certo Oskias.» Rispose Tahir.
L'altro deglutì a vuoto. «Sì... è qui, con lo stesso boccale da due ore. Ma ha pagato bene, in anticipo. Che ha fatto?»
Senua si appoggiò al bancone, sporgendosi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi, godendosi lo sguardo intimorito dell'oste. «Tanto per cominciare, non ci ha offerto da bere.»
«Ah... Permettetemi di rimediare!» L’uomo barbuto dietro al bancone si asciugò il sudore sulla fronte col dorso della mano, per poi girarsi, trafficare con due boccali e poggiarli sul bancone pieni fino all'orlo. Li spinse verso i due nuovi arrivati, ritirando rapidamente le mani e rimettendosi a distanza di sicurezza dietro al bancone. «Beh, fate quello che dovete fare, io sono sul retro a sistemare, se avete bisogno...» Balbettò allontanandosi.
Senua e Tahir afferrarono con calma i boccali, battendoli sulla pietra del bancone e facendoli risuonare. La ragazza se lo portò alle labbra, annusandone l'aroma, per poi berne a lunghe sorsate.
«Salroka! Potresti anche gustartela...» La rimproverò il compagno, facendo un lungo sorso e tenendola in bocca per qualche istante.
«E ripensarci per il resto dell'anno?» Ribatté lei. «Meglio non ricordarsela troppo, altrimenti lo schifo che beviamo di solito non farà altro che peggiorare.»
L'altro grugnì il suo dissenso. «Preferisco godermi le cose belle della vita.» Prese due lunghi sorsi, socchiudendo gli occhi. «Una buona birra, una bella donna... a proposito, come sta la tua meravigliosa sorella?»
Senua sbuffò stizzita, sforzandosi di ignorare la fitta di gelosia che le stringeva le budella ogni volta che Tahir faceva un apprezzamento su Rica. Sapeva di non essere bella come lei, di certo non aveva la sua grazia e raffinatezza, le sue mani pulite e le sue labbra rosse e carnose, il viso sempre perfettamente curato... «Mai stata meglio, se tiri fuori i soldi forse… potresti scopartela come tutti in città…» Commentò acida.
Il tono di voce, ovviamente, non sfuggì al compagno. «Salroka, lo sai che non andrai mai a letto con Rica… è come se fosse di famiglia!» Le diede una pacca sulla spalla.
Prima che potesse parlare di nuovo, Senua ricambiò la pacca, mettendoci una discreta forza. Ignorando le proteste dell'altro, buttò giù il resto della sua birra. «Muoviti, che abbiamo del lavoro da fare.»
Di malavoglia, Tahir la imitò.
L’uomo che cercavano, un mercante che veniva dalle pianure, era seduto ad un tavolo di pietra, lo sguardo perso nel boccale. Sembrava aspettare qualcuno.
Senua si sedette prepotentemente sulla sedia di fronte a lui.
«Quel posto è occupato!» Protestò quello, facendo per alzarsi. Tahir gli si piazzò alle spalle, intimidendolo.
«Sì, da me.» Ribatté Senua. «Ora svuota le tasche, senza fare scene.»
Oskias spostò lo sguardo da lei a Tahir, visibilmente spaventato. «Non sapete con chi sono…»
Senua sfoderò il coltello con rapidità, piantando la punta in una delle crepe del tavolo e tenendolo saldamente in verticale. «Chi credi che ci mandi, idiota?» Fece un cenno al compagno, che afferrò la borsa che l’uomo teneva accanto a sé. Quello guaì spaventato, tenendo stretta una delle cinghie.
«Ascoltate... sono sempre stato leale con Beraht, io e la mia famiglia gli dobbiamo molto...» Tahir gli strappò la borsa di mano, rovistando tra il contenuto.
«Ah! Sembra che abbiamo trovato qualcosa.» Commentò poi sorridendo in direzione della ragazza.
Oskias andò nel panico. «E va bene! Ho due pepite d’oro, dovevo venderle ad un mio contatto...» Li guardò implorante. «Vi prego, è la prima volta.»
«Prima e ultima.» Sentenziò Senua. «Anche se da questa storia, potremmo guadagnarci, Tahir.»
L'amico la guardò interrogativamente. «Alle spalle di Beraht?»
Senua si rigirò tra le mani l'impugnatura del coltello. «Non ci saranno testimoni a parlare.»
Oskias scattò in piedi, afferrando l'elsa della propria spada. Prima che riuscisse anche solo ad estrarla per metà, sobbalzò e si accasciò con un gemito sul tavolo, uno dei pugnali di Tahir che gli spuntava dalla schiena, conficcato fino all'elsa. Fece per tentare di rialzarsi, ma Senua lo afferrò per i capelli, sporgendosi e sollevandogli il volto verso di sé.
«Niente di personale.» Gli disse, prima di conficcargli il proprio coltello in un'orbita.
Oskias sussultò violentemente, per poi crollare riverso per terra.
«Non c'è nulla da vedere, qui, abbiamo finito!» Annunciò Tahir ad alta voce, incrociando gli sguardi di alcuni curiosi. Gli altri clienti del Corno di Capra, che avevano capito dall'inizio cosa stesse per succedere, si affrettarono a tornare a fissare intensamente i propri boccali.
Senua recuperò la propria arma, pulendo la lama sulle vesti del cadavere. Tahir fece lo stesso.
«Allora, che hai intenzione di fare con queste?» Le chiese a bassa voce, indicando la borsa aperta ma senza tirare fuori il contenuto. Dopotutto, era probabile che Beraht avesse dei contatti anche lì in quel momento.
«Una la vendiamo, l'altra la usiamo come prova del fatto che lo stesse fregando.» Decise Senua.
«Conosco una persona che ce le comprerà. Cinquanta e cinquanta?»
«Ovvio, come tutto.»
Uscirono dal locale, guardandosi attorno e dirigendosi verso uno dei banchi dei mercanti del quartiere popolare. Tutti coloro che incontravano li guardavano con schifo, a volte lanciandogli insulti. Due senzacasta per il mercato, un vero affronto all'ordine della città.
Da bambina Senua sarebbe arrossita di vergogna, trattenendo a fatica le lacrime. Quel tempo era però passato da un pezzo: gonfiò il petto e tagliò per la piazza a testa alta, ignorando i commenti.
Una lavandaia lanciò un grido di ammonimento, scansandosi con un balzo da loro, nonostante fossero abbastanza lontani da non potersi scontrare in alcun modo.
«State indietro! Queste sono le vesti del Custode del Sapere!» Lì ammonì sgarbatamente.
Senua si limitò a guardarla storto, facendo defilare la serva con uno squittio.
«Sei di buon umore oggi.» Commentò Tahir con un sogghigno.
Si avvicinarono ad un banco che esponeva oggetti di uso comune. Una donna di bell'aspetto li salutò cordialmente. «Tahir! Che ci fai qui, vuoi provare a sedurmi per ottenere altri nastri per la tua ragazza?»
«Piuttosto, voglio convincere te a diventare la mia ragazza, Katja. Sai che il mio cuore langue per te.» La salutò di rimando, sfoderando il suo tono migliore e sorridendo alla donna.
Senua alzò gli occhi al soffitto con una smorfia.
«Non dirlo quando c'è mio marito. Chi è la tua amica?» Ribatté l'altra, guardando Senua.
«Non posso crederci, Tahir non vi ha mai parlato della sua migliore amica?» Rispose la ragazza in tono sarcastico, lanciando uno sguardo velenoso al compagno.
«Ehi, quando sono con una signora, l'ultima cosa a cui penso sei tu.» Disse lui.
«Stronzo.» Sibilò tra i denti lei, attenta però a non farsi sentire dalla mercante.
«Beh, posso farvi uno sconto, dato che siete amici, ma non posso regalarvi nulla.» Disse Katja.
«In realtà, volevamo vendere.» Annunciò Senua, allungandole la borsa. L'altra la prese velocemente, nascondendola alla vista dietro al banco.
«Non so dove l'abbiate preso, né voglio saperlo.» Annunciò Katja. «duecento monete ciascuna.» Offrì loro.
«Solo?!» Si lamentò Tahir. Era ovviamente molto meno di quanto valesse.
«Il prezzo di mercato è questo, e mi ci vorrà del lavoro per rivenderla. E dovrò trovare qualcuno che non faccia domande sulla provenienza.» Spiegò la donna.
«Affare fatto.» Tagliò corto Senua. duecento monete era praticamente quanto riusciva a racimolare in due mesi di lavoro per Beraht.
Presero il denaro, allontanandosi in fretta dal banco.
«Prima di andare da Beraht, lasciami nascondere i soldi a casa.» Disse Senua. «Non vorrei che si mettesse a frugarci nelle tasche...»
«Ottima idea.» Annuì Tahir. «Sempre che tua madre non lo veda e finisca tutto in una pozza di vomito dopo una delle sue solite sbronze.»
«Deve solo provarci.» Ringhiò la ragazza.
Tornarono velocemente verso il Distretto della Polvere. La ragazza fece segno all'amico di aspettarla fuori. Aperta la porta di casa, il familiare puzzo di vino scadente si univa a quello del profumo che la sorella di Senua, Rica, usava per rendersi desiderabile dai clienti del Distretto dei Diamanti.
«Chi è? Che vuoi? Rica, sei tu?»
Senua buffò rumorosamente.
«Sono il Re Barbaro.» Rispose, sbattendo la porta dietro di sé per chiuderla. Il tonfo fece sobbalzare la madre, che quasi lasciò cadere la bottiglia ormai quasi vuota che reggeva in mano.
«Non prendermi per il culo, razza di ingrata! Ti ho fatta io, e ne posso fare un'altra uguale.» Bofonchiò la donna. Il suo alito puzzava di vino scadente e di qualsiasi altra cosa si fosse bevuta durante la giornata. Senua strinse i pugni, le braccia rigide lungo il corpo.
«Sono l'unica ragione per cui non sei morta in qualche vicolo.» Le ricordò velenosamente.
«E allora lasciami morire! Tanto, che motivi ho per restare in vita?» Ribatté la madre, con un singhiozzo finale. Prese un altro sorso dalla bottiglia, scuotendola.
«Me lo chiedo tutti i giorni.» Le voltò le spalle, andando nell'altra stanza. Un baule, riempito perlopiù della roba di Rica, giaceva in un angolo. Dall'altro lato, una rientranza con una tinozza in pietra. Si avvicinò ad essa, spostando un paio di pietre e nascondendoci la sacca di pelle con le monete che aveva ricavato dalla vendita delle pepite. Tornò verso la porta, dove la madre stava bofonchiando qualcosa che non riuscì ad afferrare. «Me ne sto andando. Puoi pure affogartici in quella merda, per quel che me ne importa.»
«Non osare parlarmi in quel modo! È ancora casa mia, questa dove vivi! Casa mia, hai capito?!» Gridò l'altra, incespicando sulle parole e agitando la bottiglia in aria.
Senua perse le staffe. Si avvicinò in tre passi al tavolo, sbattendo entrambe le mani sulla superficie di pietra e facendo tintinnare violentemente tutte le bottiglie vuote abbandonate su di esso.
«Chi cazzo credi che la stia pagando, questa baracca di merda?! Eh?!» Urlò furiosa. La madre si ritrasse sulla sedia, gli occhi sgranati. Senua le strappò la bottiglia dalle mani, agitandogliela davanti al naso. «E di chi cazzo credi che siano i soldi che usi per ammazzarti con questa roba?!» Osservò la bottiglia, poi la scagliò violentemente contro il muro. Quella esplose in mille pezzi, spargendo cocci ovunque e quel poco che restava del vino.
«Non fosse per me, saresti a pregare qualche stronzo di comprarti gli ultimi tre denti buoni che ti restano in bocca, pronta a metterti in ginocchio per un sorso di quello schifo!» La donna la fissava con occhi sgranati. Non era la prima volta che Senua urlava in quel modo, ma non succedeva spesso. Anche perché la ragazza faceva di tutto per passare il meno tempo possibile in casa, e quelle poche volte che tornava per lavarsi e cambiarsi la madre era spesso svenuta sulla sedia o assente a procurarsi altre bottiglie.
«Scegli un modo più economico di morire, perché io ho chiuso con te.» Ringhiò Senua, scostando lo sguardo e andandosene a grandi falcate.
Qualsiasi cosa fosse l'incarico successivo di Beraht per lei e Tahir, sarebbe stato certamente meglio di tutta la merda che doveva sopportare a casa.
  Il Principe Arsim, secondogenito del Re e discendente del grande Bul Khatos, si stava sistemando la barba castana con cura, quando venne interrotto dal suo Secondo, che irruppe nella stanza senza quasi bussare.
«Mio signore.» Si annunciò. «La vostra arma è stata lucidata e affilata.» Gli porse la grande ascia da guerra, che Arsim soppesò per qualche momento, prima di sistemarsela sulla schiena.
«Grazie, Noglar.» Inspirò a fondo. «Possiamo andare.»
Il compagno d'armi sembrò capire alla perfezione la riluttanza del Principe. «Il Re si aspetta la vostra presenza al banchetto, certamente, ma non c'è fretta. Tutti i capi Clan passeranno ore a fare richieste e lamentele di ogni genere a vostro padre...»
«Credimi, amico mio, preferirei trovarmi nelle Vie Profonde ad affrontare un'armata di Falmer, piuttosto che districarmi tra dei vecchi lamentosi e vendicativi.» Commentò Arsim. La politica faceva parte del suo sangue, da sempre i discendenti del Re Immortale Bul Khatos erano saliti al trono, compreso suo padre, ma nonostante tutto lui preferiva la semplice arte della guerra piuttosto che tenere conto di quale vecchio stesse complottando cosa contro chi in favore di chissà cosa. Un Falmer poteva essere un avversario formidabile, ma un'ascia piantata in mezzo al cranio calvo e deforme del mostro era sempre la strategia migliore. La stessa cosa, purtroppo, non si poteva dire riguardo ai complotti giornalieri dei capi Clan dell'Assemblea.
«Proprio di questo si trattava, mio signore. Joritz il Potente ha indetto delle Prove per testare in duello i giovani che vi accompagneranno domani nella spedizione nelle Vie Profonde. Forse dovremmo andare e mostrargli cosa significa davvero combattere.» Si grattò la barba, pensieroso. «Beh, più che altro, voi dovreste mostrarglielo. Io vi darò il mio supporto dagli spalti.»
«Cosa stiamo aspettando, allora? Potrebbe dare una svolta a questa noiosa giornata.» Esclamò il Principe con entusiasmo. Combattere in almeno uno scontro gli avrebbe risollevato di molto il morale.
Si avviarono verso l'ingresso, sorpassando la camera di suo fratello minore Serkan.
Un guizzo di capelli biondi e un forte profumo femminile, seguito da un'esclamazione sorpresa, catturarono la loro attenzione. Sentì la porta della stanza del fratello chiudersi di scatto.
Arsim sospirò profondamente, prima di girarsi e tornare sui suoi passi. Bussò tre volte, per poi entrare senza aspettare risposta.
«Mi... mi scuso tantissimo vostra altezza!» Esclamò una ragazza. La prima cosa che saltò all'occhio del principe fu il tatuaggio che quella aveva sulla guancia destra, segno che ella apparteneva ai senzacasta. Aveva brillanti capelli biondi legati in un'acconciatura piuttosto elaborata e un abito troppo decorato ed elegante per una come lei. «Pensavo foste il Principe Serkan, e io...»
Arsim scosse la testa, alzando una mano per zittirla. «Non importa, niente di grave. Tuttavia, mio fratello sarà al banchetto per il resto della serata. Fareste meglio ad andarvene.» Le suggerì.
La ragazza si inchinò profondamente, mantenendo la schiena dritta, segno che era stata ben addestrata. Come lei, molte altre ragazze, le più carine e prospere, venivano imbellettate e educate ad essere piacevoli e piacenti per i clienti.
«Ma certo, mio signore. Col vostro permesso.» Disse la ragazza prima di filare via. Arsim notò che aveva una grossa collana al collo, che non poteva che essere un regalo da parte del fratello.
«Deve piacerle davvero.» Commentò. «È risaputo che Serkan abbia un debole per le bionde.»
Sentì Noglar ridacchiare. Uscirono dal Palazzo, superando i vari banchi che i mercanti avevano allestito straordinariamente nel Distretto dei Diamanti, mentre il cielo sopra di loro prometteva pioggia. I due si diressero verso l'Arena delle Prove. Sulla strada, due ragazze dall'aria promiscua richiamarono la loro attenzione, ma Arsim non le degnò di un secondo sguardo.
Non era decisamente dell'umore giusto.
Li aspettavano alcune guardie personali del Re, che li scortarono fino all'Arena.
Il rumore della folla che urlava e gridava il proprio supporto ai combattenti li investì molto prima che si affacciassero dal balcone che dava sull'Arena.
«Vostra Altezza, è un onore avervi qui.» Lo salutò il Maestro delle Prove. «Siete venuto a vedere combattere questi prodi guerrieri in vostro onore?»
«Veramente, l'idea era di combattere io stesso.» Lo contraddisse il principe.
«Vostra Altezza, le Prove di oggi sono in vostro onore...» Provò a ribattere l'uomo.
«E allora rendetegli onore facendo ciò che il vostro principe vi ordina.» Lo interruppe Noglar.
Arsim posò una mano sulla spalla dell'amico, fermandolo. Non c'era bisogno di essere così duri con il Maestro, la sua era un'osservazione legittima. «Mia intenzione è di onorare i combattenti di oggi sfidandoli a duello e testando le loro abilità contro di me.» Spiegò all'uomo.
«Ma certo, vostra Altezza, com'è vostro diritto in quanto figlio di Bul Kathos.» Si inchinò l'uomo. Si avvicinò alla balaustra, schiarendosi la voce, mentre Arsim si preparava ad entrare nell'Arena.
«Signori e signore di Harrogath, abbiamo un ingresso all'ultimo momento in queste Prove.» La folla rumoreggiò, in trepidante attesa del misterioso candidato. «Ecco a voi, il Principe Arsim Auducan!»
Un boato si sollevò dagli spalti. Centinaia di uomini si alzarono in piedi urlando la propria approvazione a gran voce, guardando il secondogenito del re fare il suo ingresso.: nella sua armatura di squisita fattura, le spalle possenti, la barba e i capelli curati e il viso autoritario ma al tempo stesso piacevole, era difficile non amare il principe di Harrogath.
«Questa, è una Prova gloriosa, combattuta sotto i vigili occhi dei Campioni di Harrogath!» Annunciò il Maestro.
Arsim alzò il braccio a salutare la folla urlante, per poi squadrare il suo avversario.
«Sua maestà il Principe combatterà contro Aller Bemot, il figlio minore di Lord Bemot del Clan della Vipera!» La folla rumoreggiò il proprio incoraggiamento.
«Mi fate onore, Vostra Altezza.» Disse Aller Bemot, chinando il capo.
Entrambi gli sfidanti si calarono l'elmo sulla testa, sfoderando le proprie armi.
«Il primo a cadere, sarà lo sconfitto. Combattete!»
Il suo sfidante non era male, aveva una buona tecnica e sapeva usare bene il martello da guerra che portava, tuttavia non era all'altezza del principe. Arsim fece durare più a lungo del necessario il combattimento, esibendosi in alcuni colpi esagerati soltanto per dare spettacolo, mentre evitava senza troppe difficoltà i tentativi di Bemot di colpirlo, rendendo tuttavia credibile lo scontro. Non voleva arrecare disonore all'avversario.
Dopo qualche tempo, decise che era il momento di concludere, assestando un colpo preciso sullo spallaccio dell'altro, sbilanciandolo, e mirando poi allo sterno con il piatto della propria arma per mandarlo a terra. La folla si esibì in un boato di apprezzamento.
Arsim si risistemò l'ascia sulle spalle, togliendosi l'elmo e tenendolo sottobraccio mentre allungava una mano verso l'avversario a terra.
Bemot, un po' acciaccato e sanguinante, la afferrò senza pensarci un attimo, rimettendosi in piedi traballante e sorridendo in direzione del pubblico.
L'avversario successivo di Arsim era Hadal Helmi, una guerriera dalla corporatura snella e l'armatura leggera che le permetteva movimenti rapidi e fluidi, con cui riuscì a mettere in difficoltà il principe. Dopo un acceso scontro, e aver riportato un paio di contusioni leggere, Arsim si rivelò nuovamente vincitore.
L'ultimo sfidante era un tizio ormai quasi anziano, calvo e dalla barba grigia, che rispondeva al nome di Arkhut del Clan dell’Orso, Comandante di una legione delle Vie Profonde. «Questo ti sarà di lezione, ragazzo. Cerca di imparare qualcosa, quando sanguinerai.» Esordì quello.
Arsim l'aveva incontrato qualche volta sul campo di battaglia e non gli era mai andato a genio. Aveva sentito tessere grandi lodi sulle abilità militari dell'uomo, ma anche tante lamentele dalle nuove reclute che si ritrovavano a servire sotto di lui.
«Buona fortuna anche a voi.» Ribatté Arsim senza scomporsi. Non c'era bisogno di deriderlo a parole, il vecchio sarebbe finito col culo per terra molto presto. E stavolta, non si sarebbe risparmiato nemmeno un colpo.
Arkhut tornò nella sala d'attesa dei duellanti portato a braccio da quattro uomini, privo di sensi e con il pubblico che urlava a squarciagola il proprio supporto per il principe.
Arsim tornò al proprio posto sulla balconata con un ghigno soddisfatto stampato sul volto.
«Un ottimo spettacolo, mio signore.» Gli disse Noglar.
Non restava altro che guardare gli altri sfidanti affrontarsi tra di loro, per vedere chi avrebbe combattuto contro il principe nello scontro finale.
Un guerriero in particolare attirò l'attenzione di Arsim.
Combatteva con due spade corte, tenendole in modo non convenzionale, muovendosi come un serpente, saettando qua e là e sorprendendo lo sfidante puntando più sulla velocità che sulla tecnica. Messo alle strette, ad un certo punto potè giurare di averlo visto tirare una manciata di terra negli occhi dell'avversario, finendo poi per spedirlo a terra con un calcio nelle parti basse e puntandogli una delle due lame davanti alla feritoia per gli occhi dell'elmo.
«Non è sicuramente un combattente convenzionale, mio signore, ma è efficace.» Commentò Noglar divertito. La folla sembrava condividere le sue idee, perché avevano cominciato a gridare a gran voce il nome del guerriero. Quello sollevò il braccio in segno di vittoria, tuttavia senza togliersi mai l'elmo.
«Everd Bera.» Ripeté Arsim. «Come mai non ne ho mai sentito parlare?»
«Perché prima d'ora era conosciuto solo per essere un gran bevitore e per aver sconfitto a duello soltanto molte botti di birra e qualche nug.» Spiegò Noglar ridacchiando. «Oggi sembra sia la sua giornata buona, però.»
«Se ne sconfigge un altro, il pubblico avrà di che divertirsi.» Commentò il principe. Fece segno ad uno dei servitori lì vicino di riempirgli il boccale di birra al miele, prendendone due lunghi sorsi e osservando Everd prepararsi allo scontro successivo. Il nuovo avversario era una novizia delle Sorelle del Silenzio, Lenka. Se avesse superato la Prova, sarebbe entrata ufficialmente nell'Ordine, rinomato per le sue letali guerriere. Lenka combatteva anch'ella con due lame.
Il Maestro delle Prove annunciò che, date le circostanze, il combattimento era da considerarsi all'ultimo sangue, poiché era la prova finale che la novizia doveva affrontare. Everd non fece una piega, restando impassibile sotto il suo elmo, immobile al centro dell'Arena, le armi già sguainate e pronto all'attacco.
Fu un aspro combattimento dall'esito incerto.
Arsim riconosceva chiaramente la superiorità nello stile della novizia, tuttavia Everd dimostrava una straordinaria capacità di adattarsi ai diversi stili di combattimento degli avversari, cambiando continuamente tecniche, al punto che il principe finì per domandarsi se ne avesse effettivamente una. Gli affondi sembravano completamente casuali eppure andavano sempre a graffiare l'armatura della novizia dove essa era più vulnerabile, saltando subito indietro e schivando le lame dell'avversaria senza che essa riuscisse a sfiorarlo. Everd era sgraziato, brutale e istintivo, non esitava ad usare tutto ciò che aveva a sua disposizione, e tutto ciò funzionava. Arsim quasi sobbalzò sullo scranno, quando l'iniziata riuscì a buttare l'avversario a terra, colpendolo ad un fianco e spillando sangue. Lenka fu però troppo lenta a sferrare il colpo di grazia: Everd, strisciando su un lato, le tirò un calcio da terra, colpendola alla gamba e facendola sbilanciare. Cadde in ginocchio, cercando di rialzarsi, ma Everd con un salto si era già rimesso in piedi, scattando contro di lei e buttandola a terra di peso.
Quando il guerriero con l'elmo si rimise in piedi, una delle sue spade era conficcata nel collo della novizia. Il pubblico, dopo un attimo di esitazione e sgomento, esplose in un boato trionfante, omaggiando il guerriero e pregustando lo scontro finale tra il Principe e il nuovo, improbabile avversario.
Arsim si alzò in piedi, battendo le mani e lanciando un grido di approvazione. «Questo sì che sarà uno scontro degno di nota!» Esclamò entusiasta, finendo la propria birra e infilandosi l'elmo sottobraccio, pronto ad entrare nell'Arena.
Il cuore di Senua batteva all'impazzata.
Il fianco destro, dove quella stronza muta l'aveva colpita, le faceva parecchio male, mentre il sangue che le colava da una ferita sulla fronte le rendeva difficile tenere l'occhio sinistro aperto. Quel maledetto elmo era pesante e troppo grande per lei, così quando era stata colpita da un colpo alla testa, il metallo all'interno le aveva graffiato la faccia. Le spalle le facevano male per il peso dell'armatura, aveva il fiatone e riusciva a malapena a respirare sotto tutta quella maledetta roba.
La folla, appartenenti a tutti i Clan della città, stavano facendo il tifo per lei.
“Tecnicamente, per Everd.” Si disse, tuttavia sotto quell'armatura c'era lei, non quell'ubriacone incapace che tutti credevano che fosse. Lei aveva sconfitto i tre guerrieri che la separavano dalla prova finale, era lei che il pubblico applaudiva a gran voce.
Il Maestro delle Prove si riaffacciò dalla balconata sopra l'Arena, zittendo il vociare eccitato.
«Everd Bera avanzerà allo scontro finale, che deciderà il vero campione dell'Arena, contro il Principe Arsim discendente del Re Immotale Bul Khatos!» Annunciò l’uomo.
Fece il suo ingresso il principe in questione, un uomo di bell'aspetto, la corta barba castana che ricadeva su un'armatura imponente, che probabilmente valeva quanto la somma di tutte le armature dei guerrieri che aveva affrontato in quella giornata. Il principe avanzò baldanzoso, tenendo la gigantesca ascia da guerra e mostrandola al pubblico, che si alzò in piedi in un'ovazione che le rimbombò nelle orecchie, sovrastando per qualche attimo il battito frenetico del suo cuore.
Lei, una senzacasta, una marchiata, la peggiore feccia di Harrogath, stava per sfidare l'amato e venerato Principe, lo stesso che tutti, in città, davano come favorito a sedersi sul Trono di Giada.
Se fosse riuscita a batterlo... Scosse la testa, non era il caso di distrarsi.
«Combatti bene. È un onore avere un avversario così valido.» Le disse il principe, chinando il capo.
“Tahir starà morendo dal ridere. Un principe che si inchina ad una senzacasta...”
Fece del suo meglio per rispondere all'inchino, attenta a non farsi sfuggire una parola, poi sfoderò le sue due spade corte. Erano più lunghe e pesanti dei coltellacci a cui era abituata, ma la lama tagliava il cuoio delle armature e la pelle sottostante come fossero fatti d'acqua. Una delizia.
Vide il suo avversario calarsi in testa l'elmo, mentre il pubblico si zittiva in trepidante attesa.
I due sfidanti iniziarono a girarsi attorno, studiandosi. Senua sentiva su di sé le centinaia di paia di occhi puntati su di loro. Osservò il guerriero di fronte a lei, come si muoveva sicuro di sé, come se non fosse altro che una scaramuccia di taverna di fronte ad un boccale di birra profumata.
Il Principe si fermò di colpo, interrompendo il semicerchio che stavano percorrendo, come ad invitarla a farsi sotto. Senua avrebbe potuto scommettere che quello stesse sogghignando tronfio, sotto la sua bella armatura decorata. Decise di non dargliela vinta, fermandosi e restando ad osservarlo a distanza di sicurezza. “Fatti avanti, stronzo.”
L'altro accettò la sfida. Sollevò l'ascia da guerra, avanzando verso di lei molto più velocemente e con più grazia di quanto si Senua si aspettasse. In un attimo le era addosso, e lei dovette schivare per non ritrovarsi il fianco sfracellato. Era cerca che la sua armatura, per quanto ben fatta, non avrebbe retto un colpo del genere: il principe aveva sì uno splendido equipaggiamento, ma era anche molto bravo, sicuramente la sua fama di guerriero non era esagerata.
Senza darle nemmeno un attimo, l’uomo roteò l'ascia sollevandola dietro la testa e fece per colpirla dall'alto, costringendola a buttarsi nuovamente da un lato. Cogliendo l'opportunità, Senuasi gettò in avanti, superandolo e girandosi su sé stessa, mirando sotto i possenti spallacci, dove l'armatura doveva avere una giuntura. La lama raggiunse la spalla, ma si limitò a scalfire il metallo, poiché il principe si era girato di poco, tornando subito a risollevare la propria arma.
Senua, sbilanciata, non poté fare altro che gettarsi per terra per evitare di ritrovarsi l'ascia in pieno petto. Rotolò di lato nella polvere, schivando un altro fendente dall'alto.
La lama dell'ascia si conficcò momentaneamente a terra, dandole il tempo di scattare in avanti e colpire l'avversario al braccio. Ancora una volta, l'armatura attutì il colpo, lasciandolo illeso.
Il principe liberò con uno strattone la propria arma, facendola ruotare agilmente e costringendo Senua ad allontanarsi con un salto.
Senua dovette fare qualche passo indietro, per riprendere fiato. L’uomo sembrava manovrare quell'affare come se non avesse peso, e quella montagna di metallo che aveva addosso non lasciava praticamente nessun punto libero, a parte qualche centimetro in corrispondenza delle giunture, ma con quello che roteava l'ascia come fosse un nastro di seta, non riusciva ad avvicinarsi abbastanza da colpirlo. Poteva solo schivare.
La folla rumoreggiava, indignata che qualche colpo non fosse ancora andato a segno.
Senua aveva perso completamente la vista all'occhio sinistro, ormai chiuso e incrostato di sangue secco. Le braccia le sembravano in fiamme, e il fianco le faceva terribilmente male, impedendola nei movimenti. Osservò il principe, ma quello sembrava fresco e riposato. Effettivamente, lei aveva combattuto tre incontri di fila prima di quello, mentre lui era probabilmente a bere col culo piazzato su una comoda sedia a godersi lo spettacolo.
Digrignò i denti, facendo due passi avanti e preparandosi ad un nuovo scontro.
Il principe fece fare un giro completo in aria all'ascia, maneggiandola con abilità mentre avanzava verso di lei a passi larghi e sicuri.
La folla si zittì improvvisamente.
«Ehi! Quella è la mia armatura!» Biascicò qualcuno ad alta voce.
Senua si girò di scatto: Everd, la camicia ancora macchiata di birra e vomito, barcollava instabile nella sua direzione, il braccio puntato verso di lei. “Merda.”
«Chi sei?!» Tuonò il Maestro delle Prove. «E come osi interrompere…»
«Lo conosco! È Everd!» Urlò qualcuno.
La folla rumoreggiò di sorpresa.
«Tu!» Urlò il Maestro delle Prove per sovrastare il frastuono, indicando Senua con un cenno imperioso del braccio. «Togliti l'elmo, e fatti vedere!»
Senua indietreggiò spaventata. Se l'avessero vista... Qual era la punizione per una cosa del genere?
«Le tue abilità sono impressionanti, ma sei da solo. Mostrati, o ricorreremo alla forza! Guardie!» Tuonò un uomo dall'alto della balconata. Al suo segnale, altri tre uomini entrarono nell'Arena, circondandola. Il principe si avvicinò anche lui, minacciosamente.
In trappola, la ragazza obbedì. Lasciò cadere a terra le armi, sollevando le mani e portandosele ai lati della testa. Inspirò forte, prima di sollevare l'elmo e gettandolo ai propri piedi.
Gli spettatori urlarono indignati, le guardie rimasero impietrite. Persino il principe si immobilizzò per la sorpresa.
Senua si costrinse ad alzare il mento in segno di sfida.
«Senzacasta!» Urlò oltraggiato il Maestro. «Insulti la natura stessa di queste Prove!»
La ragazza si limitò a sostenere lo sguardo. Qualsiasi cosa avesse provato a dire, sarebbe stata ignorata e sovrastata dal chiasso.
Si lasciò trascinare via dalle guardie, senza opporre resistenza. Mentre la portavano via, vide il Principe togliersi l'elmo, lo sguardo incredulo e irato.
“Chissà quanto gli brucerà il culo, a sapere che è stato colpito da una marchiata.”
Se fosse morta nel giro di qualche ora, almeno se ne sarebbe andata con un sorriso sulle labbra: nessun senzacasta aveva mai osato fare una cosa del genere.
Qualcuno la colpì alla testa, facendole perdere i sensi.
Si risvegliò dolorante, la testa che pulsava e il fianco che sembrava in fiamme. Il sangue secco che aveva in faccia puzzava, quasi quanto l'aria attorno a lei. Era sdraiata con la schiena sulla pietra, il soffitto era basso e pieno di stalattiti. Si mise a sedere a fatica, sfregandosi l'occhio.
«Senua! Sei sveglia?» La chiamò qualcuno con un sussurro. «Mi senti?»
«Tahir ?» Rispose lei con voce impastata, riconoscendo l'amico. «Che ci fai qui?»
«Ho pensato di farti compagnia.» Rispose quello sarcastico. «Appena ti hanno scoperto, sono tutti impazziti. Si sono messi a controllare la casta di chiunque nell'Arena, sugli spalti... quando mi hanno scoperto, hanno subito capito che lavoravo con te. Mi hanno interrogato, ma credo sapessero già chi c'era dietro a tutto...»
«Non è una delle solite celle.» Osservò Senua. «Dove siamo?»
«Beraht deve aver pagato qualcuno. Queste non sono certo le prigioni delle guardie.»
La ragazza imprecò tra i denti. «Qual è la punizione per aver fatto il culo all'intera Casta dei Guerrieri?» Chiese, anche se aveva già un'idea.
«Fustigazione pubblica. Taglio della mano sinistra per aver rubato un'armatura, della mano destra per aver insozzato il lavoro di un fabbro, scorticamento in pubblico per aver impersonato un membro di una casta superiore...» Elencò Tahir. «E se non sei ancora morta, esecuzione per aver dissacrato le Prove.» Concluse con voce funebre.
Senua soffiò forte dal naso, appoggiando la testa alla parete dietro di sé. «Beh, almeno se lo ricorderanno per anni.»
Tahir sbuffò divertito. «Quello sicuro, salroka. Sei stata grandiosa.»
Vennero interrotti da dei passi. Jarvia, la mano destra di Beraht, emerse dal buio con un ghigno.
«Bene, sei sveglia.» Disse. «Avete causato un gran casino e Beraht ha perso cento monete. Le Prove sono state dichiarate invalide e l'Assemblea ha aperto un'indagine. Non puoi neanche immaginare come stesse Beraht quando mi ha detto di venirti a prendere.» La cosa sembrava divertirla terribilmente. «Godetevi l'ultima notte insieme. Peccato vi abbiamo messi in celle separate, o vi avrei augurato un'ultima scopata.» Se ne andò con un ghigno ancora più tronfio di quello con cui era arrivata.
Senua restò in silenzio per un attimo, guardandosi attorno. Intravide delle schegge di metallo sul pavimento. «Tahir , non so tu, ma io non ho intenzione di restarmene qui ad aspettare che quello schifoso ci ammazzi.» Annunciò, prima di mettersi al lavoro sulla serratura della cella.
Era arrugginita, e quelli non erano certo i suoi attrezzi da scasso, ma dopo qualche tentativo la porta si aprì cigolando. Esultante, uscì e si affrettò a fare lo stesso con la porta della cella del compagno.
Si ritrovarono a vagare per i corridoi, recuperando delle armi e evitando gli scagnozzi del capo per non allertare l'intero palazzo. Due volte Senua dovette farne fuori un paio che bloccavano loro la strada, ma se la cavarono senza troppi problemi, arrivando in fretta dove doveva esserci l'uscita.
«Se quella schizzata della sorella non sa stare al suo posto, non me ne faccio nulla nemmeno della troia.» Disse qualcuno, la voce attutita proveniente da dietro una porta.
“Beraht.” Lo riconobbe subito Senua. Si schiacciò contro la porta, per ascoltare meglio.
«Rica?» Commentò un altro. «Volevo da tempo farci un giro, con una bellezza come quella...»
Tahir le fece segno di andarsene, ma Senua non ne aveva alcuna intenzione. Prendersela con lei era un conto, ma non avrebbe permesso a Beraht e ai suoi schifosi scagnozzi di toccare sua sorella.
Spalancò la porta con un calcio, gettandosi contro il suo capo approfittando dell'effetto sorpresa.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 8
Arsim si lasciò cadere sullo scranno, chiudendo gli occhi. Che giornata terribile.
Non soltanto quella senzacasta aveva dovuto scegliere proprio quel giorno per disonorare le Prove e tirarsi contro le ire dell'intera città, ma era pure arrivata a scontrarsi in finale con lui. E gli aveva persino dato del filo da torcere, doveva ammettere. Il Maestro delle Prove era furioso, i Clan in tumulto, chiedevano maggiori punizioni per i senzacasta.
Nel giro di qualche ora, Harrogath era entrata nel caos, quando l'indomani avrebbero dovuto organizzare una delle più importanti spedizioni degli ultimi anni nelle Vie Profonde.
Il principe si massaggiò le tempie, tentando di farsi passare il mal di testa senza grandi risultati.
Il banchetto organizzato in suo onore si era trasformato in un vociare concitato, tutti pronti a suggerire questa o quell'altra soluzione al problema dei marchiati, delle scommesse sulle Prove, dell'organizzazione dei Clan e, probabilmente, su ogni altra questione esistente.
Ronlus del Clan delle Ossa lo guardava in cagnesco dall'altra parte della sala, Zorka del Clan della Pietra, aveva uno sguardo tronfio mentre teneva un discorso tra un altro gruppetto. Arsim non riusciva a sentire le parole, ma era certo che la donna stesse tramando qualcos'altro per arricchirsi a spese altrui: tra i molti pettegolezzi, girava voce che sfruttasse gli orfani senzacasta per farli lavorare senza doverli pagare.
Joritz gli si avvicinò sorridente. «Principe, vostro padre è molto fiero di voi.» Gli disse. «Mi dispiace per quanto successo alle Prove, un affare oltraggioso, a mio dire.»
Come se avesse bisogno di sentirselo dire. Annuì, bofonchiando una risposta.
Il mal di testa continuava a martellargli nelle orecchie, voleva solo andarsene a letto.
«Ovviamente prenderemo provvedimenti, e daremo a quella marchiata una punizione esemplare!» Continuò imperterrito l'anziano capo Clan. «Non possiamo andarci leggeri, altrimenti daremo l'impressione di tollerare certe cose. E altri seguiranno il suo esempio, se non facciamo qualcosa per impedirlo, possiamo starne certi, non ci si può fidare di quella feccia.»
Arsim annuì distrattamente, facendo scivolare lo sguardo per la sala, fino allo scranno del padre, impegnato in una conversazione animata con due rappresentanti della città di Kal Sharok.
«E ovviamente aspetteremo il vostro ritorno per l'esecuzione, in quanto siete stato personalmente offeso.»
Il principe rivolse nuovamente la sua attenzione all’uomo di fronte a lui. «Potrei stare via a lungo.»
L'altro scosse la testa. «Non importa, la terremo in cella. Sarebbe oltraggioso che voi non foste presente.» Insistette.
«Molto bene, allora.» Sospirò Arsim. Come se giustiziare una senzacasta imprigionata per giorni potesse servire a ripristinare il suo onore. Per non parlare dell'onore dei guerrieri che erano stati sconfitti dalla marchiata in questione. Le Sorelle del Silenzio avevano già mandato lettere irritate all'Assemblea, chiedendo un risarcimento per la loro novizia assassinata.
Quando venne chiamato dal padre, sospirò di sollievo.
«Comandante.» Lo salutò Re Endrin. «Trova tuo fratello Volkan e mandamelo. Voglio parlargli.»
Arsim si inchinò leggermente. «Certamente, padre. A domani.»
Uscì in fretta dalla sala, ansioso di liberarsi di andarsene a letto. Noglar lo seguì a ruota.
«Che giornataccia, eh?» Commentò l'amico.
«Non penso potesse andare peggio.» Rispose il principe.
«Non dite così. Ancora non avete parlato con vostro fratello Volkan!» Scherzò il guerriero. Arsim scosse la testa, sconsolato. Aveva tristemente ragione.
Trovarono Volkan nelle sue stanze, assieme al più giovane dei principi, Serkan.
«Sei un Comandante, dunque.» Lo salutò il fratello maggiore. «Ti hanno dato il titolo prima o dopo esserti battuto contro un senzacasta, per di più donna?»
Arsim decise di ignorarlo, come faceva nella maggior parte dei casi. Il fratello sapeva essere insopportabile, ma era sempre sangue del suo sangue, e soprattutto l'erede al trono.
«Nostro padre vuole parlarti, Volkan.» Rispose semplicemente in tono piatto.
«Ovviamente. Dobbiamo discutere della strategia per la spedizione di domani.» Si vantò l'altro, guardandolo con superiorità. «Serkan, goditi la boria del nuovo Comandante, se vuoi, ma vai a letto presto.» Ordinò al fratello minore, per poi andarsene tronfio dalla stanza.
Gli altri tre rimasero un attimo in silenzio, aspettando che se ne andasse.
«Non so davvero come fai, con lui.» Commentò Serkan.
Arsim sospirò. «Sorrido, annuisco e faccio il mio dovere.» Ammise. «Nel migliore dei casi, mi lascia perdere e torna alla sua amata politica.»
Serkan scosse la testa. «Un tempo ti avrei dato ragione, ma sto iniziando a pensarla diversamente, su di lui.» Abbassò la voce, fino a farla diventare quasi un sussurro. «Non avrei mai pensato che il suo tanto declamato onore gli avrebbe permesso di agire seguendo la sua gelosia...»
«Fratello, di cosa stai parlando?» Chiese Arsim senza capire.
«Fratello, Volkan sta cercando di ucciderti.» Rispose Serkan con voce greve.
Arsim rimase a guardarlo, attonito. «Cosa?»
«Ho sentito che ne parlava con alcuni dei suoi uomini.» Continuò il fratello minore. «All'inizio ero sconvolto, come te, ma poi ha iniziato ad avere senso. Volkan ha deciso che sei d'intralcio per ottenere il trono di Giada, e forse ha ragione. Sa che hai successo tra il popolo e sei benvisto dall'Assemblea. Sarebbe insolito per l'Assemblea andare contro il volere del re, ma non sarebbe la prima volta.»
«Ma non mi è mai interessato essere Re, lo sai.» Ribatté Arsim. «Sono un guerriero, nient'altro.»
«Guarda solo quello che hai fatto oggi.» Lo interruppe Serkan. «Hai partecipato alle Prove in tuo onore, per ottenere la gloria e per dare spettacolo al popolo. Se otterrai successo nella spedizione di domani, non farai altro che migliorare la tua posizione come erede al trono. Volkan ha paura che nostro padre lo rimpiazzi appena torneremo. E se non lo fa, l'Assemblea nominerà te Re appena nostro padre morirà. Sai che il suo orgoglio non gli permetterà di farsi semplicemente da parte.»
Arsim si rifiutò di ascoltare altro. «Non ho intenzione di discuterne, Serkan. Volkan è nostro fratello, e voglio credere di potermi fidare almeno della famiglia. Non mi è mai interessato nulla del trono, e anche se l'Assemblea dovesse nominarmi, mi tirerei indietro. Nostro fratello deve rendersene conto, sarà tronfio e orgoglioso, ma non è uno sciocco.»
«A me sembra che questo dimostri che non ci si può fidare nemmeno dei fratelli.» Osservò l'altro.
«Non mi muoverò contro di lui. E impedisco a chiunque di farlo.» Chiuse la questione Arsim, alzando una mano per zittire ulteriori argomentazioni.
«È nostro fratello.»
Giorni dopo, inginocchiato accanto al cadavere senza vita del fratello, quelle parole continuavano a tormentarlo. “Nostro fratello”, come aveva potuto? Chi poteva essere così astuto da organizzare tutto così alla perfezione, incastrandolo per un omicidio che non aveva commesso e mai avrebbe pensato di farlo?
Alzò lo sguardo, incrociando quello del padre, supplicandolo di credergli.
«Figlio mio. Dimmi che non è come sembra.» Disse, la voce che tremava.
Arsim deglutì a vuoto, gli occhi sbarrati, sconvolto che il padre potesse anche solo pensarlo colpevole di un simile atto. «Padre, non sono stato io.» Riuscì a dire, la voce strozzata.
«Ha ucciso Volkan! Proprio come Volkan aveva detto che avrebbe fatto!» Si intromise Serkan, facendosi avanti.
Arsim si volse verso il fratello, senza capire. «Serkan?» Sussurrò.
«Il mio signore è innocente!» Ribatté Noglar, fronteggiando il principe.
«Noglar, la tua lealtà ti rende un testimone inutilizzabile. È compito altrui raccontare l'accaduto.» Dichiarò Joritz. «Tu, esploratore. Dicci, cosa è successo?»
Arsim rimase accanto al corpo del fratello, la mano guantata e sporca di sangue ancora appoggiata sulla spalla di Volkan, incapace di muoversi mentre i due uomini che lo avevano accompagnato raccontavano di come si fosse scagliato sul fratello maggiore, uccidendolo senza pietà in un'imboscata. Nell'altra mano, teneva ancora l'anello con il sigillo dei Figli di Bul Khatos, appartenente a Volkan. Rimase in silenzio a guardare il fratello minore, Serkan, annuire con convinzione mentre i due raccontavano le loro menzogne.
“Nostro fratello.”
Quasi non si accorse di Noglar, che si scagliò contro l'esploratore, e non mosse un muscolo quando due uomini lo trascinarono in piedi di peso. Suo padre lo guardò come fosse un estraneo, chiedendogli se avesse altro da aggiungere.
«Come fate a non accorgervi che è tutto un complotto?» Rispose, scuotendo la testa. Serkan aveva organizzato tutto nei minimi dettagli, probabilmente per mesi, se non addirittura anni. La sua unica speranza era appellarsi all'Assemblea, e sperare che i nobili smascherassero i piani del fratello.
«Vorrei crederti.» Ribatté il Re, voltandogli le spalle.
Mentre veniva legato e scortato fuori dalle Vie Profonde, per tutto il lungo tragitto non si lasciò sfuggire una sola parola, limitandosi a guardare fisso il responsabile di tutto.
La sorpresa per aver scoperto ciò di cui era capace lasciò ben presto spazio alla collera.
Una cieca, bruciante furia che a stento riusciva a controllare. Non desiderava niente di più che fargliela pagare, che strappargli quel sorriso beffardo dal volto, togliergli tutto ciò che aveva appena conquistato. Voleva vendicare il fratello maggiore, certamente, ma ciò che gli rodeva più ardentemente era l'essere stato imbrogliato così platealmente. Non aver capito cosa stesse tramando, non aver fatto nulla per impedire una tragedia del genere.
Lo rinchiusero in una cella angusta, nei meandri delle prigioni sotterranee di Harrogath. Al buio, non gli rimase altro che torturarsi su come avrebbe potuto evitare tutto quanto. Dopo quelle che potevano essere un paio o una dozzina di ore, una guardia arrivò a portare il cibo ai prigionieri, lasciando poi la torcia appesa al suo supporto nella parete. Arsim non degnò di uno sguardo il piatto, limitandosi a coprirsi gli occhi a causa della luce improvvisa.
«Guarda un po', ho compagnia.»
Il principe si voltò in direzione della voce, proveniente dalla cella alla sua destra.
«Un principe, per di più. Che onore.» Continuò la voce, chiaramente femminile. «Com'è che invece di macellare qualche Falmer e le occasionali marchiate alle Prove, hai deciso di assassinare tuo fratello?» Gli chiese.
Arsim finalmente la riconobbe. Con tutte le persone con cui poteva finire in cella, proprio la senzacasta che aveva umiliato tutti i partecipanti alle Prove di qualche giorno prima. Appoggiò la schiena contro il muro ricoperto di muschio, senza nemmeno degnarla di una risposta.
«Puoi ignorarmi quanto ti pare, ma fidati che ammazzeranno prima te.» Continuò quella. La sentì ridacchiare sommessamente. «Se pensavano fosse grave quello che ho fatto io, un principe che ammazza l'erede al trono li avrà fatti impazzire completamente.»
Arsim chiuse gli occhi, cercando di ignorarla.
Era questo che pensavano tutti? Si era già sparsa la voce su come avesse ammazzato il sangue del suo sangue? In quel caso, anche le sue speranze in un'udienza di fronte all'Assemblea erano poche, se non addirittura inesistenti.
«Quello lo mangi?» Gli chiese nuovamente la senzacasta, sporgendosi dalle sbarre per toccare il piatto posto di fronte alla cella del principe. Quando lui non rispose, l'altra riuscì in qualche modo ad afferrare il coccio e portarselo via. «Ah, vedo che non ti hanno dato roba migliore della mia. Peccato, per un attimo avevo sperato in maiale arrosto col miele.» Commentò lei.
La sua voce fastidiosa venne sostituita da un sonoro masticare, che non aveva nulla di aggraziato.
Senua si leccò le dita, passandole poi a raccogliere l'ultimo residuo di cibo nella ciotola. La zuppa era molto più buona di quanto si mangiasse nel suo quartiere, ma il principe sembrava essere superiore alla fame dei comuni prigionieri.
Schioccò rumorosamente la lingua, gustandosi il sapore del cibo, per poi prendere due sorsi misurati dal bicchiere accanto a lei. Non avevano portato altro da bere, quindi occorreva razionare.
Si ritrovò a guardare le macchie di muffa sul muro, per l'ennesima volta.
Erano giorni che era chiusa là dentro, per la maggior parte del tempo sena luce e senza cibo, ma da quando era arrivato il suo vicino di cella, le guardie si facevano vedere molto più spesso, portando cibo e acqua ad intervalli regolari di alcune ore, cambiando la torcia appesa al muro e, cosa molto importante, non rivolgendole più alcuna attenzione. Niente più sputi, niente più calci, niente più raccogliere il cibo da terra dopo che uno di quei bastardi aveva rovesciato la sua cena con un calcio accompagnato da un ghigno soddisfatto. Tutto sommato, però, avrebbe potuto andarle molto peggio. Nessuno aveva approfittato di lei, non l'avevano battuta abbastanza forte da romperle qualcosa e le avevano pure medicato le ferite che si era provocata durante le Prove. Tutto ciò per, ovviamente, farla arrivare viva e in grado di dare spettacolo nel momento della sua esecuzione, ma quella sembrava essere lontana. Giorni impegnativi, per l'Assemblea. Ghignò al pensiero di tutti quei capi Clan dalle barbe profumate che squittivano furiosi e spaventati, il panico che stava probabilmente aleggiando nel Distretto dei Diamanti dopo l'omicidio dell'erede al trono. Sarebbero passati giorni prima che qualcuno si ricordasse di lei.
Dei passi interruppero i suoi pensieri. Tese le orecchie.
Due persone, in armatura, procedevano in fila verso di loro. Una era la guardia, riconobbe l’uomo dal suo incedere traballante a causa dell'alcol.
«Dieci minuti, ser. Gli ordini sono ordini.» Disse la guardia, allontanandosi poi da sola.
Davanti alla sua cella passò un uomo in armatura, equipaggiato con uno scudo e una spada, che la superò senza degnarla di uno sguardo.
«Noglar!» Sentì esclamare il principe.
«Ah, quindi sai parlare!» Commentò a voce alta Senua, non sorprendendosi quando nessuno dei due le rispose. Il nuovo arrivato, Noglar, sembrava portare solo brutte notizie per il principe.
Tra i discorsi di politica e altre cose incomprensibili, riuscì a capire il succo del discorso: a quanto pareva, l'Assemblea non era più dalla sua parte, e il fratello minore non vedeva l'ora di sbarazzarsi di lui. Questo Serkan non sembrava affatto un principe, ma il genere di persona che non si sarebbe stupita di trovare a capo del Karta.
«Verrete mandato nelle Vie Profonde, rinchiuso lì finché i Falmer non vi sbraneranno.» Sentì dire al visitatore.
Seguì un momento di silenzio.
«Mio padre?» Chiese il principe.
«Joritz il Potente dice che il Re si è ammalato. Non ha potuto sopportare il peso di perdere due figli contemporaneamente.»
Di nuovo, il principe rimase in silenzio.
«Ho pregato l'Assemblea di mandarmi con voi, ma non ne hanno voluto sapere.» Continuò l'altro. «È stato un onore servirvi, mio signore. Mi addolora quanto successo.»
«Lo so, Noglar. Ti auguro il meglio, amico mio.» Rispose il principe.
Senua si schiarì la voce, sonoramente.
«Tutto molto commovente, ma se ci fosse un modo per non fare ammazzare il nostro principe, qui, e scendere da queste montagne?» Prese parola, sporgendosi attraverso le sbarre.
Il visitatore si voltò finalmente verso di lei, guardandola con disprezzo.
«E come pensi di poter fare, marchiata?» Le chiese.
Senua sogghignò, leccandosi le labbra secche. «Quanto denaro puoi recuperare nel giro di un paio d'ore?» Gli chiese.
L'altro sembrò non capire. «Stai proponendo di corrompere le guardie? Sei così stupida?»
La ragazza scosse la testa. «Stai zitto e ascoltami. Il Karta ha degli scavatori, professionisti in questo genere di lavori, e ci sono dei tunnel segreti sparsi per tutta la città. Scommetto quello che vi pare che ce n'è uno sotto di noi, da qualche parte.»
«Metterci in combutta con il Karta?!» Ribatté l'altro, ma il principe lo interruppe.
«Noglar, lasciala parlare.»
Senua si leccò nuovamente le labbra. «Se provi a mettere piede nel Distretto della Polvere urlando che vuoi vedere il Karta, ti troverai subito morto in un vicolo.» Lo guardò negli occhi, accertandosi che le prestasse tutta la sua attenzione. «Al mercato, c'è una bancarella vicino al Corno di Capra. Ci lavora una certa Katja. Vai senza imbellettarti e chiedi di Tahir. Dille che stavolta riguarda più di qualche sasso, capirà. Ti metterà in contatto con un uomo, porta tutti i soldi che puoi recuperare e fai esattamente come ti dice, non ha un bel carattere. Digli che ti manda Senua, e che deve trovare della gente in grado di tirarci fuori di qui.» Spiegò brevemente.
L’uomo sembrava confuso. Si girò verso il principe, non sapendo cosa fare.
«Noglar, fai come ti dice.» Gli ordinò quello dopo qualche attimo di silenzio. «Sai dove trovare i soldi, la chiave è nel cassetto dello scrittoio, sotto il doppio fondo.»
«Ma... siete certo di potervi fidare?» Ribatté l'altro.
«Serkan mi farà ammazzare sicuramente. Non ho altre possibilità. Dovessi anche strisciare nella melma, uscirò da qui. E prima o poi tornerò per vendicarmi.» Disse il principe. «Ora vai, non c'è tempo da perdere.»
Senua osservò il visitatore inchinarsi brevemente e uscire quasi di corsa dalle prigioni.
«Sei sicura che possiamo fidarci di questo... tuo amico?» Le chiese il principe, dopo qualche tempo.
La ragazza esitò un attimo. «Tahir?» Sospirò sonoramente. «Se i soldi sono abbastanza, riuscirà a tirarci fuori, sì.» Sperava di avere ragione.
Doveva essere da poco passata l'ora di coricarsi, quando sentirono dei rumori provenire dalla parete dietro di loro. La guardia era passata da poco, e non si sarebbe fatta rivedere prima di sei o sette ore.
Senua si sporse dalla sua cella, facendo segno al principe di darsi una svegliata, per poi afferrare il bicchiere di coccio che le avevano dato e picchiettarlo sulla parete, sperando di riuscire a guidare gli scavatori nella direzione giusta, attenta però a non fare troppo rumore.
Dopo qualche interminabile minuto, qualcuno rimosse con cautela una delle grandi pietre.
«Senua?» Si sentì chiamare.
«Tahir!» Rispose, aiutando gli scavatori ad allargare il buco nella parete. «Ce l'hai fatta!»
Tolsero in fretta altri tre massi, e la testa dell'amico si affacciò dall'altra parte. «Avevi dei dubbi, Salroka?» Le chiese beffardo. Senua si trattenne dall'abbracciarlo. Quasi non ci credeva, il piano stava effettivamente funzionando. Rimossero in fretta le restanti pietre, permettendo a Tahir e altri due uomini di farsi strada nella cella angusta.
«Bel posto.» Commentò l'amico, guardandosi attorno. «Quasi meglio di casa tua.»
Senua scoppiò a ridere. «Qualsiasi posto è meglio di casa mia, là c'è mia madre.»
Tahir le allungò un paio di attrezzi da scasso. «Fai la tua magia.»
La ragazza si avvicinò alla serratura della porta, aprendola senza difficoltà, per poi uscire. Squadrò il principe, che la fissava in attesa appoggiato alle sbarre. Ponderò l'opzione di mollarlo lì, sarebbe stato divertente vedere la sua faccia. Esitò, armeggiando con la serratura.
«Muoviti, abbiamo parecchia strada da fare.» Gli disse, spalancando la porta con un cigolio. Quello le fece un cenno col capo, uscendo in fretta. Se lo avesse mollato lì, avrebbe sicuramente chiamato le guardie, e loro non avrebbero fatto tre passi oltre l'uscita del tunnel.
Si infilarono velocemente nel varco attraverso la parete, ritrovandosi poi in uno spazio angusto, dove un tunnel appena scavato conduceva in profondità. Senza pensarci due volte, si calò giù.
«Allora, stai aspettando la vecchiaia?» Sentì uno dei due scavatori chiamare il principe. Seguì un grugnito di disgusto, mentre anche l'ultimo di loro si calava nell'oscurità. Strisciarono nello stretto passaggio per quello che le sembrò un'eternità, nel buio più assoluto. L'aria era poca e piena di terra, rendendole difficile respirare, mentre il terreno smosso e friabile rischiava ad ogni metro di collassare e seppellirli tutti. Sentiva qualcuno ansimare pesantemente dal fondo, poteva essere solo il principe, non abituato a spazi così ristretti.
I senzacasta, invece, procedevano spediti ma con la necessaria cautela, con la sicurezza di chi l'aveva fatto molte altre volte. Senua ringraziò gli Dei che almeno quella volta non stesse trasportando oggetti ingombranti. Uno scavatore, davanti a lei, si fermò di colpo, per poi tirarsi in piedi e uscire verso l'alto.
La ragazza sentì uno spostamento d'aria e seguì l’uomo su per il condotto.
Era una vecchia cisterna, ora arrugginita, piena di polvere, ragni, muschi e licheni. La scala che dal basso li avrebbe portati al piano di sopra era pericolante e senza qualche piolo. Faceva molto caldo, segno che da qualche parte doveva passare uno dei cunicoli che portavano l'aria calda proveniente dalla lava verso la città.
Salirono in fila indiana, attenti a dove mettevano i piedi, e finalmente sbucarono in un tunnel che la ragazza conosceva bene, uno dei tanti condotti ormai inutilizzati che esistevano vicino al Distretto della Polvere. L’Uomo davanti a lei li condusse in un vicolo, dove li stavano aspettando altri due incappucciati.
«Mio signore!» Esclamò quello che aveva fatto visita al principe qualche ora prima, chiaramente sollevato. Il principe, che Arsim e il percorso le era sembrato provato, sembrava essersi ripreso. Fece un cenno col capo in direzione dell'altro.
«E ora?» Chiese, togliendosi dei residui di terra dai capelli.
«Ora, dovrai toglierti quell'aria regale di dosso.» Rispose Senua, incurante dello sporco che le era rimasto appiccicato ai vestiti e alla pelle. Più fossero stati sgradevoli agli occhi e al naso, meno le guardie cittadine avrebbero prestato loro attenzione.
«Non vi piacerà, mio signore, ma è l'unico modo per tirarvi fuori di qui.» Disse Noglar, facendo un mezzo inchino a mo' di scusa ed estraendo una boccetta di liquido scuro dalle tasche.
Senua lo riconobbe subito, era inchiostro. Del tipo che veniva usato per i tatuaggi temporanei. Si scambiò uno sguardo compiaciuto con Tahir: non capitava tutti i giorni di vedere marchiare un principe come la peggiore feccia senzacasta.
«Non sarà dell'inchiostro in faccia a fermarmi, Noglar.» Dichiarò il principe, facendo segno all'amico di procedere.
Tahir intanto si avvicinò a lei, mettendole una mano sulla spalla. «Il peggio deve ancora venire, Salroka. Farvi uscire dalle prigioni era la parte facile. Quel Noglar mi ha assicurato di avere contattato un passaggio da Harrogath alla città di Albion, ma non potete andarvene come se niente fosse. Vi dovete rendere invisibili e passare dalle uscite che Beraht usava per il suo contrabbando. Poi, quando vi sarete allontanati dalla città, vi unirete alla carovana di mercanti che quel tizio ha contattato. Non c'è pericolo che vi lasci lì, visto come sembra amare leccare i piedi al principe.» Spiegò, lanciando un'occhiata sprezzante ai due nobili.
«Tahir, non so come potrò mai ripagarti.» Gli disse Senua, prendendogli una mano tra le sue. L'altro, che non era abituato a certe manifestazioni di affetto, scosse il capo con un sogghigno.
«Ci ho fatto un po' di soldi, Salroka. E poi, mi hai tirato fuori da certe brutte situazioni, in passato. Non mi devi proprio un bel niente.» La guardò di sottecchi, come a voler aggiungere qualcosa, ma poi rimase in silenzio.
Senua gli lasciò la mano, a disagio. «Tieni d'occhio Rica, senza Beraht il quartiere sarà invivibile per qualche tempo. E lei non ha idea di come vadano certe cose.» Le dispiaceva partire senza salutare un'ultima volta la sorella, molto più di quanto fosse disposta ad ammettere.
«Se la caverà. Ha già trovato qualcuno che la riempie di regali, a quanto pare, quasi è riuscito a distrarla dalla tua situazione. Voleva venire qui, ma le ho detto che era troppo pericoloso.»
La ragazza annuì. «Hai fatto bene. Non voglio finisca nei guai per colpa mia.»
Arsim lanciò un'occhiata ai due senzacasta, che confabulavano poco lontano da loro.
«Muoviamoci, prima che le guardie si accorgano che siamo spariti.» Disse, coprendosi il capo con il cappuccio del mantello sudicio che gli avevano dato per coprirsi. Non bastava l'onta di essersi fatto marchiare, seppur temporaneamente, la faccia, doveva anche andare in giro puzzando come una pila di sterco. Serkan avrebbe pagato pure per quello.
La senzacasta sembrò finalmente ricordarsi che avevano fretta. Vide il suo compare allungarle due pugnali dall'aspetto rozzo e letale, che la ragazza si infilò senza esitare nella cintura, per poi tirarsi su anche lei il cappuccio, a coprirle quella massa di capelli scuri, ingarbugliati e sporchi che si ritrovava in testa.
«Al primo bivio per Albion, subito dopo il passo di Gherelen.» Gli ripeté per la terza volta Noglar. Il suo secondo era chiaramente in ansia all'idea di lasciarlo in mano a dei senzacasta, ma non c'era altra soluzione.
«Noglar, per l'ultima volta, ho capito.» Disse all'amico, cercando di apparire più sicuro di quanto in realtà fosse. «Tra qualche giorno saremo lontani da qui.»
L'amico gli allungò due pugnali, che il principe si sistemò sotto il mantello. Non erano certamente come la sua fidata ascia, ma un senzacasta con un’arma forgiata da un fabbro e così appariscente sarebbe stato giustiziato a vista. Lo salutò un'ultima volta con un cenno del capo, per poi seguire la senzacasta in un vicolo laterale.
Attraversarono parte del Distretto della Polvere senza essere notati da nessuno.
Piccoli gruppi di uomini, con vistosi tatuaggi sul volto e l'aria trasandata, si aggiravano per le strade luride senza curarsi di ciò che stava loro attorno. Molti altri erano buttati agli angoli delle strade, ubriachi o troppo affamati per muoversi, mentre alcuni di loro chiedevano l'elemosina.
Una donna poco svestita lo chiamò con voce gracchiante, offrendogli un servizio a prezzo stracciato. Continuò a camminare senza voltarsi, disgustato dallo stato in cui quella gente viveva.
Entrarono in una catapecchia di pietra fatiscente, la ragazza che faceva loro strada con aria sicura. Doveva aver attraversato quel passaggio altre volte, Perché fece scattare il meccanismo nel muro senza alcuna esitazione, rivelando un tunnel abbastanza largo da far passare due uomini robusti affiancati. L'unica torcia lanciava una luce tremolante attorno a loro, mentre si addentravano in silenzio tra innumerevoli cunicoli che si diramavano in ogni direzione. Probabilmente, pensò Arsim, quei tunnel si espandevano veramente per tutta la città e oltre. Fermare i traffici del Karta, in possesso di quei passaggi nascosti, era un'impresa chiaramente impossibile.
Dopo alcune svolte, il percorso cominciò a farsi strano, a volte interrotto da scalinate scavate nella pietra, altre in cui dovettero far forza sulle braccia per issarsi su delle rocce franate.
L'aria cominciava a farsi sempre più fresca. Dopo un paio d'ore, intravide un raggio luminoso passare dal soffitto della caverna dove stavano passando, come a tagliare l'aria attorno a loro.
La caverna si restringeva di nuovo, portando ad una ripida scalinata.
La ragazza si fermò di colpo, guardando in alto, senza proferire parola.
Arsim la imitò, ma a parte dell'altra luce che filtrava dal soffitto, in maggiore quantità, non vedeva nulla di particolare. Erano vicinissimi all’uscita.
«Non ho mai lasciato questa città.» Ruppe il silenzio la ragazza.
Arsim si girò sorpreso verso di lei. Da quando avevano lasciato il Distretto della Polvere, non l'aveva sentita fare un suono.
«Non possiamo tornare indietro, a questo punto.» Rispose, non sapendo bene se a lei o per convincere sé stesso. Tuttavia, rimase immobile a guardare il soffitto sopra le loro teste.
«Qualsiasi cosa troveremo una volta lasciate le montagne, non può essere peggio di quello che ci aspettava.» Dichiarò la ragazza ad alta voce, per poi cominciare a salire i gradini con decisione.
Arsim, dopo un attimo di indecisione, la seguì.
La scalinata terminava di fronte ad una porta di pietra, dall'aria antica. Era probabilmente uno degli ingressi secondari che il Karta usava per il contrabbando. Era tuttavia stata oggetto di manutenzione costante, perché i cardini sembravano oleati e la serratura nuova.
Mentre la ragazza armeggiava con la serratura, aspettò in silenzio, cercando di ignorare il panico crescente che sembrava immobilizzarlo. Una volta usciti da quella porta, non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. Avrebbe perso il suo nome, il suo diritto di nascita, tutti i suoi diritti e doveri. Sarebbe stato nessuno, agli occhi del suo popolo.
Serkan aveva programmato tutto nei minimi dettagli, per farlo condannare dall'Assemblea come colpevole di fratricidio e farlo esiliare nelle Vie Profonde, il suo nome cancellato da ogni Ricordo dal Custode del Sapere. Pensò a suo padre, caduto malato dopo aver perso entrambi i suoi figli nello stesso giorno: era davvero come gli aveva riferito Noglar, o Serkan era caduto così in basso da attentare alla vita del loro stesso padre? Il volto di Volkan, a terra coperto di sangue, gli balenò in mente, chiaro come se ce lo avesse ancora di fronte. Serkan non si sarebbe fermato davanti a nulla ormai, voleva così tanto quel trono da eliminare chiunque si frapponesse tra lui e la corona.
L'avrebbe fermato, a qualunque costo.
Sarebbe andato a chiedere aiuto alla Fratellanza, e avrebbe trovato il modo di riconquistare il favore dell'Assemblea, a costo di chiedere favori a chiunque e, persino, allearsi con i senzacasta del Karta. Avrebbe avuto la testa di suo fratello, giurò a se stesso.
La serratura scattò.
La ragazza restò un attimo immobile, le mani appoggiate alla superficie in pietra, esitante. Arsim le si avvicinò, appoggiandosi anche lui alla porta.
Presero un respiro profondo, e spinsero.
La sua nuova vita stava per iniziare.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 9
Il viaggio dalla Foresta di Brugge alla fortezza in rovina di Ostagar era stato silenzioso e privo di avvenimenti degni di nota. Castalia non aveva quasi rivolto parola al Venator che l'aveva coscritta contro la sua volontà, limitandosi a rispondere ai pochi tentativi di conversazione di Rylan con occhiate gelide e indifferenza.
L'uomo aveva così ben presto smesso di parlarle, limitandosi a rompere il silenzio solo quando era strettamente necessario.
Dopo più di due settimane di viaggio, gli alberi della foresta iniziarono a diradarsi, lasciando spazio ad una rigogliosa pianura. Viaggiando sulla strada principale, incontrarono alcune carovane di gente, la maggior parte che andavano nella loro stessa direzione: carri pieni di vettovaglie per l'esercito, persone che speravano di ricavare qualche soldo svolgendo mansioni nell'accampamento, soldati che marciavano in file ordinate al seguito dei loro comandanti. Nessuno faceva troppo caso a due viaggiatori solitari.
«Quando arriveremo ad Ostagar, non attaccare briga con nessuno.» Le disse quando i torrioni della fortezza furono in vista. «Molti non hanno nemmeno mai visto un Druido.»
Lei era rimasta in silenzio, non voltandosi nemmeno.
Castalia dovette ammettere che la fortezza era davvero imponente. Era la struttura più grande che avesse mai visto, i muri diroccati tuttavia massicci, le torri in rovina che sfioravano il cielo, con grandi rampicanti che si arrampicavano sulle pietre, standardi e tende multicolori che segnavano le diverse zone dell'accampamento. Un fiume di persone indaffarati correva qua e là. Rimase per un attimo ferma ad osservare tutto quel via vai, sentendosi nervosa di ritrovarsi in mezzo a così tanta gente, per di più estranei.
«Andiamo, le altre due nuove reclute ci staranno aspettando, siamo gli ultimi ad arrivare.» La spronò Rylan, precedendola verso la fortezza.
Castalia si riscosse, cercando di darsi un contegno e non far trapelare il nervosismo. Se aveva altre due reclute, perché era venuto fino alla Foresta di Brugge a cercare nuovi possibili Venator? Scosse la testa, era inutile pensarci. Seguì lo Rylan, oltrepassando un'arcata di pietra e un immenso portone spalancato per permettere il passaggio. Attraversarono un ponte di pietra che sovrastava tutta la vallata sottostante, permettendo una vista spettacolare: la pianura si espandeva sotto di loro, gli alberi che si facevano più fitti man mano che lo sguardo si posava più a sud, verso le Paludi di Ferwal, dove si diceva che la nebbia fosse così fitta da non permettere il passaggio per gli angoli più remoti della foresta. Certo, la stessa cosa veniva detta della Foresta di Brugge, quindi potevano anche essere tutte sciocchezze.
«Comandante Rylan!» Li chiamò una voce. Castalia si girò, osservando una ragazza in armatura dorata venire verso di loro... Aveva lunghissimi capelli biondi e un sorriso stampato in volto.
«Divina Adelasia.» Rispose il Venator con un breve inchino. «Non mi aspettavo…»
«Che la Divina in persona venisse a darti il benvenuto?» Lo interruppe l'altra stringendogli la mano con forza. «Stavo cominciando a pensare che vi sareste persi tutto il divertimento!»
«Non se potrò evitarlo, vostra Santità.» Rispose Rylan.
«Dunque, il grande Comandante Rylan combatterà al mio fianco, dopotutto. Non vedo l’ora. Gli altri Venator mi hanno riferito che avete trovato una recluta promettente... Immagino si tratti di lei?»
Quella che a quanto pareva era la donna più potente al mondo rivolse su di lei la sua attenzione, guardandola con aria amichevole.
«Vostra Santità, permettetemi di fare le presentazioni...» Rylan le lanciò un'occhiata che sembrava significare “non fare stupidaggini”. Castalia faticò a non sbuffare, infastidita. La Divina fece un cenno con la mano. «Non c'è bisogno di essere così formali, Rylan! Presto, sanguineremo fianco a fianco in battaglia, dopotutto. Posso sapere il vostro nome, amica mia?»
La Druida rimase a fissarla. La ragazza la guardava, il sorriso sul volto che non accennava a sparire.
«Castalia.»
«Beh, permettetemi di darvi per primo il benvenuto ad Ostagar. Sono certa che i Venator e tutta la Fratellanza beneficeranno molto del vostro coraggio.» Rimase lì, in attesa di un qualsiasi cenno o risposta amichevole.
Castalia si limitò a chinare lievemente la testa da un lato, sbattendo le palpebre un paio di volte, soppesandola. Era davvero la Divina? La Donna più importante al mondo? Era solo una stupida ragazzina che fantasticava su epiche battaglie Forse era tutto un piano per evitare che la vera Divina venisse fatta a pezzi dall’Orda di mostri di Urthemiel, e quella era solo una stupida ragazza presa da qualche parte e vestita con l'armatura della Divina.
In assenza di una risposta soddisfacente, la donna sembrò rinunciarci. «Beh, mi dispiace farla breve, ma dovrei tornare alla mia tenda. Re Ulfric è ansioso di discutere di strategie.»
«Il Conte Volkhardt manda i suoi saluti, e vi ricorda che i suoi uomini potrebbero essere qui nel giro di una settimana.» Prese parola Rylan.
«Ah!» Esclamò la Divina. «Volkhardt vuole solo prendersi un po' di gloria. Abbiamo già vinto tre battaglie contro quei mostri, e domani non sarà diverso.» Disse la Divina.
“È veramente una sciocca.” Pensò Castalia.
Da come la guardava Rylan, sembrava che il Venator la pensasse allo stesso modo, ma nessuno dei due diede voce alle proprie considerazioni. La Divina continuò il suo discorso, senza accorgersi di nulla. «Non sono nemmeno sicura che sia Urthemiel a comandare quei mostri… i nostri esploratori non hanno avvistato nessun drago nero e poi sembrano terribilmente disorganizzati, come animali insomma niente di cui preoccuparsi.»
«Delusa, Santità?» Chiese Rylan. La Druida percepì chiaramente del sarcasmo, che però passò inosservato da parte della Divina.
«Speravo in una guerra come nelle storie! Un Divina che cavalca a fianco dei guerrieri della Luce per sconfiggere il male!» Gli brillavano quasi gli occhi. «Suppongo che mi dovrò accontentare. Beh, ora devo proprio lasciarvi, prima che Re Ulfric mandi una squadra alla mia ricerca. A presto!» Li salutò con la mano, per poi andarsene seguito dai suoi uomini.
Rylan e Castalia rimasero a guardarla andare via, in silenzio.
«Nonostante le vittorie, l’Orda si fa più grande ogni giorno che passa. Ormai sono più numerosi di noi. Un esercito di Risvegliati assetati di carne umana.» Le disse l'uomo mentre si addentravano nell'accampamento, superando tende multicolori e soldati intenti a prepararsi per la battaglia del giorno seguente. «Ogni recluta deve sottoporsi al Vincolo, per diventare un Venator. È una procedura breve, ma richiede dei preparativi.»
«Come se avessi altre scelte.» Commentò gelida la ragazza, osservando uno dei soldati pulire la lama della propria spada con un panno oleato.
«Spero che tu presto capisca la necessità del nostro Ordine, e la grande opportunità che comporta unirsi a noi. In ogni caso, c'è un altro Venator nell'accampamento, Julian. Vallo a cercare e digli che è il momento di riunire le altre reclute. Fino ad allora, ho degli affari di cui occuparmi.» Rylan se ne andò, lasciandola lì a chiedersi come fare a trovare un tizio qualunque in mezzo a centinaia di persone.
Decise di andare in esplorazione.
L'accampamento ferveva di attività, alle orecchie le giungevano suoni e rumori di tutti i tipi. Vide una donna vestita di colori brillanti in piedi, le mani tese verso un gruppo di soldati in ginocchio che recitavano una cantilena che lei non riconobbe. Proseguì, superando un fabbro che stava sistemando dei pezzi di armatura. Il metallo suonava sotto i colpi precisi del martello e Castalia pensò a Mastro Ilen, a come le sarebbe piaciuto poter stare di nuovo a guardarlo intagliare archi dal legnoferro pregiato della foresta. Con una fitta di nostalgia, passò accanto a due energumeni in armatura pesante, decorate con una spada fiammeggiante.
Quasi fece un salto dalla sorpresa: un gruppo di persone armate di bastone magico stavano facendo incantesimi in cerchio, le espressioni concentrate e sicure di sé. Erano vestiti con delle tuniche lunghe, e apparivano così diversi da Merrill e la Somma Madre...
Sapeva che i maghi nel mondo civilizzato venivano tenuti rinchiusi in una prigione, per essere tenuti sotto controllo dalla Fratellanza, era quindi sorpresa di trovarli lì. Evidentemente, quando si trattava di avere l'aiuto di qualcuno che poteva evocare una pioggia di fuoco a proprio piacimento, la Fratellanza lasciava temporaneamente uscire i propri prigionieri. Lanciò di nuovo uno sguardo verso i due uomini in armatura: dovevano essere Inquisitori, i soldati addestrati a cacciare e uccidere tutti i nemici della Fratellanza. Una signora anziana, con la stessa tunica dei maghi che stavano lanciando incantesimi sotto la supervisione della Fratellanza, era seduta poco distante da lei. La donna, sentendosi osservata, alzò lo sguardo, salutandola con la mano. Castalia rispose con un cenno del capo, per poi sgattaiolare via.
Un odore di carne arrosto le fece borbottare lo stomaco, quindi si mise alla ricerca della fonte, che scoprì essere un gigantesco montone allo spiedo. Un uomo lo stava arrostendo sul fuoco. Qualcuno lo chiamò, facendogli abbandonare il posto e lasciando per il momento il falò incustodito.
La Druida non ci pensò un attimo. Si avvicinò di soppiatto, estraendo il piccolo coltello che portava alla cintura, afferrando una ciotola lì di fianco e tagliandosi una generosa porzione di carne, per poi andarsene indisturbata. Soddisfatta, salì una rampa di scale, arrampicandosi agilmente su un muro alto un paio di metri e sedendosi con le gambe a penzoloni ad osservare il via vai sotto di lei, masticando il suo bottino e buttandolo giù con qualche sorso d'acqua dal suo otre.
«Oh, e io che pensavo stessimo andando così d'accordo!» Sentì dire a qualcuno dietro di lei. Si girò a guardare, leccandosi le dita sporche di grasso: un uomo in armatura leggera stava discutendo con un altro uomo, vestito come i maghi che aveva incontrato poco prima. Era chiaro che tra i due non corresse buon sangue. «Avevo pure deciso di dare il tuo nome ad uno dei miei figli... quello brontolone.» Continuò l’uomo. Castalia sbuffò, leggermente divertita dalla scena.
Il mago sembrava non essere affatto contento, ma sembrò fare come gli veniva chiesto. Se ne andò a grandi passi, borbottando tra sé. L’uomo in armatura si accorse di lei che lo fissava e la salutò con la mano.
«Una cosa bella della guerra, è come unisce le persone!» Le urlò sorridendo, venendo dalla sua parte. «Come una festa. Potremmo metterci in cerchio, tenerci per mano... quello sì che darebbe a Urthemiel qualcosa di cui preoccuparsi!» Le si avvicinò, guardandola dal basso, ridacchiando. «Aspetta, non ci siamo mai visti, vero?» Si interruppe. «Non sei un'altra maga, no?» Le chiese, guardandola con apprensione.
Castalia rimase a fissarlo dall'alto in basso, soppesandolo. «No.»
«Ah, meno male.» Si rilassò nuovamente l'altro. «Non ci sarebbero stati problemi se tu lo fossi, certo... Ah, ma tu devi essere la nuova recluta di Rylan, la cacciatrice Druida! È un piacere, io sono Julian .» Disse tutto d'un fiato, sorridendole.
“Perché tutti quelli che incontro qui sorridono in modo stupido per niente?” Si ritrovò a pensare Castalia, senza rispondergli.
«Vedo che non sei di molte parole... Beh, come membro più giovane dell'Ordine, è mio compito accompagnare le nuove reclute per la preparazione del Vincolo.» Continuò Julian, che sembrava non fare caso all'occhiataccia che Castalia gli stava mandando per aver interrotto il suo pasto tranquillo. «Sono curioso. Hai mai incontrato qualche Risvegliato...?» Le chiese.
«Alcuni.» Ripose asciutta lei, ignorando il tentativo dell'altro di sapere il suo nome. Scese con agilità dal muro, atterrando quasi senza rumore e rialzandosi facilmente. «Se dobbiamo andare da qualche parte, tanto vale muoverci.» Disse, per poi cacciarsi in bocca l'ultimo pezzetto di carne e precederlo verso la tenda di Rylan.
Julian sembrò non fare caso al suo modo di far e la seguì senza fare commenti.
Purtroppo per Castalia, l'accampamento era troppo affollato e caotico per mantenere un senso d'orientamento e finì per ritrovarsi vicino ad un'alta palizzata di legno, da cui provenivano una serie di ringhi e ululati minacciosi. Nervosa, cercò di ritrovare la strada giusta, guardandosi attorno senza risultato. Lanciò uno sguardo risentito al suo compagno, che però sembrava essersi distratto.
«Guarda, hai mai visto dei cani da guerra?» Esclamò estasiato, avvicinandosi alla palizzata.
Castalia lo seguì di malavoglia.
Nel recinto vi erano diversi mastini da guerra, alcuni più grandi persino dei lupi che vivevano nelle foreste, intenti a lavarsi, dormire o mangiare. Alcuni li salutarono con dei ringhi minacciosi, come a sfidarli ad entrare nel loro territorio. La Druida non ci pensava nemmeno, quei cosi avevano l'aspetto letale, anche se a quanto pare erano addomesticati. Era abituata agli animali della foresta ma quei cani erano davvero spaventosi.
«Vi piacciono?» Li interruppe un uomo, alzandosi da terra e uscendo da un piccolo recinto separato dagli altri. «Un vero peccato che la maggior parte di loro domani dovrà essere abbattuta. Sapete, il sangue dei Risvegliati oscura, se lo ingeriscono, nella maggior parte dei casi è fatale.» Indicò il mastino di fianco a lui, l'unico nel piccolo recinto. «Come quello, mi sa che non c'è nulla che possiamo fare.»
L'animale guaì, scostandosi da lui e restando a guardarli afflitto dal fondo del recinto. Era leggermente più grosso degli altri, di colore scuro, quasi nero, mentre il resto dei cani variava nelle tonalità chiare del marrone.
L'uomo li osservò meglio, per poi illuminarsi. «Voi siete Venator, vero?» Chiese loro. Castalia e Julian annuirono. «Se doveste addentrarvi nelle Paludi di Ferwal, potreste cercare un fiore particolare? Ha i petali bianchi, e cresce sui tronchi caduti vicino all'acqua. Potrebbe salvare alcuni di loro dalla corruzione.»
Castalia guardò il mastino, osservando un taglio dall'aspetto infetto sul muso dell'animale, che correva dal naso all'orecchio, reciso in malo modo. Era chiaro che stava soffrendo, e aveva perso quell'aria minacciosa e letale che avevano i suoi compagni nel recinto adiacente.
«Non mi fa avvicinare, e non riesco a curarle le ferite a dovere. Non che serva a qualcosa, senza quel fiore, ma vorrei almeno provare ad alleviarle il dolore.» Spiegò l'uomo, incrociando lo sguardo della Druida. «Se solo riuscissi a metterle il collare, potrei legarla e medicarla...»
Andando contro a tutto il suo buonsenso e spirito di sopravvivenza, Castalia scostò Julian ed entrò nel recinto.
Il cane ringhiò un attimo, in segno d'avvertimento, ma lei continuò ad avanzare, lentamente, tendendo una mano davanti a sé, il palmo rivolto vero l'alto. Con l'altra, prese il collare dalle mani dell'uomo. Mostrò l'oggetto all'animale, attirato verso di lei dalle sue mani che avevano ancora l'odore della carne che aveva mangiato prima.
Castalia si chinò di fronte al mastino, mettendosi in ginocchio e aspettando che venisse da lei.
Dopo qualche attimo di esitazione, l'animale le venne incontro, strusciando il muso contro il suo palmo e non facendo caso al collare che la ragazza le stava mettendo.
Finito il lavoro, Castalia si alzò in piedi. L'uomo la fissava ammirato, mentre Julian sorrideva.
«Cercheremo quel fiore, tu curalo dagli da mangiare.» Disse all'uomo, per poi uscire dal recinto e allontanarsi senza aspettare risposta.
«Wow, come ci sei riuscita?» Le chiese Julian mentre le faceva strada verso la tenda di Rylan. «Non sapevo che anche i Druidi avessero dei cani da guerra!»
«Non li abbiamo, infatti.» Rispose lei, troncando la conversazione sul nascere.
Arrivarono da Rylan. Le altre due nuove reclute li stavano aspettando: uno di loro portava una lunga spada a due mani sulla schiena, mentre l'altro aveva un arco lungo e una faretra piena di frecce. Il Venator assegnò loro due compiti, ovvero recuperare tre fiale di sangue corrotto di Risvegliato, che a quanto pareva sarebbero poi servite per il Rituale, e trovare dei trattati abbandonati in un forziere nel mezzo delle Paludi di Ferwal. Castalia si chiedeva se l'indomani avrebbero combattuto nell'avanguardia assieme al resto dei Venator, oppure se li avrebbero spediti nelle retrovie a fare da supporto. In quel caso, non sarebbe stato troppo difficile sgattaiolare via, una volta ricevuta la cura che le avrebbe impedito di morire per certo, e tornarsene dal suo clan. Avrebbe dovuto cercarli, dato che sicuramente erano già in viaggio, ma sapeva che si stavano dirigendo più a nord...
«Allora, è tutto chiaro?» Chiese loro Rylan, risvegliandola dai suoi pensieri. Le reclute annuirono, per poi seguire Julian attraverso l'accampamento e fuori dalla palizzata che era stata eretta all'uscita dalla fortezza. Il guardiano li squadrò per un momento, prima di riconoscerli come Venator e lasciarli passare.
«Dicono che ci siano lupi mannari, nell’esercito di Urthemiel.» Ruppe il silenzio l'arciere.
Julian scoppiò a ridere. «Lupi mannari? Direi che la maggior parte dell’Orda è composta da Risvegliati Daveth.»
Il secondo guerriero sembrava più sicuro di sé. «Qualsiasi cosa, sono pronto. Mi sono impegnato al massimo per farmi notare da Rylan, non mollerò proprio adesso.»
“Quindi, lui è qui volontariamente?” Si chiese Castalia, ma rimase in silenzio.
L'arciere si voltò poi verso di lei. «Tu invece? Come ci sei finita qui?»
«Chiedilo a Rylan. È colpa sua.» Rispose evitando il suo sguardo. Non le piaceva come la fissava.
Daveth l’arciere sembrò non farci caso. «Quanti anni hai? Sei molto giovane, Che razza di persona trascinerebbe una ragazzina in questo casino... E quella spada è più grande di te!» Esclamò ridacchiando.
Lei si girò di scatto, furiosa. «Venti. E sono abbastanza per usare questa spada e ficcartela…»
«Ehi, Ehi!» Li interruppe Julian, frapponendosi tra loro. «Siamo qui per un motivo, non dimentichiamocelo, d'accordo? E Daveth, lasciala in pace.»
L'uomo alzò le mani, facendo due passi indietro. «Stavo solo cercando di conoscerci meglio...»
“Conoscerai meglio la terra, se non alzi quei maledetti occhi e li punti da un'altra parte...” Pensò Castalia, spostandosi in testa alla fila.
Proseguivano verso il fitto della palude, in silenzio, quando un gemito attirò la loro attenzione: più avanti, una decina di uomini giacevano riversi a terra, coperti di sangue e chiaramente morti, un'espressione di terrore stampata sul volto. Uno di essi si muoveva appena, gemendo debolmente in cerca di aiuto.
«Beh, non è morto come sembra.» Commentò Julian.
«Lo sarà presto.» Rispose Castalia, guardando le ferite dell'uomo. La carne aveva già cominciato a putrefarsi, era infettato da qualcosa. «Andiamocene, non abbiamo tempo.» Si girò, ma qualcuno le afferrò il braccio.
Era Julian. «Non abbiamo tempo? Cos'è, hai un appuntamento urgente?»
Castalia sbuffò, irritata dalla perdita di tempo. Sollevò la spada e, prima che potessero fermarla, la calò con forza sul petto dell'uomo, ponendo fine ai suoi lamenti. «È già morto, vedi?»
«Ma sei impazzita?!» Le urlò Julian, sconvolto.
Lei ricambiò lo sguardo, sfidandolo. «Avremmo perso almeno un'ora a riportarlo indietro, e non sarebbe sopravvissuto alla notte.» Liberò il braccio dalla sua presa con uno strattone proseguendo senza controllare che la stessero seguendo.
«Ricordami di non farmi ferire quando sono vicino a te...»
Non ci fece caso, scrollando le spalle. Se il guerriero di nome Jorah aveva qualcosa in contrario con il fatto che lei fosse lì, che ne andasse a parlare col suo dannato Comandante. Sarebbe stata felice di accontentarlo ed andarsene.
Dopo poche centinaia di metri, incontrarono finalmente dei Risvegliati.
Julian a quanto pareva aveva detto la verità, sul poterli sentire: prima ancora che il resto del gruppo potesse accorgersi che qualcosa non andava, aveva già estratto la propria spada, facendo segno agli altri di stare in guardia. Tre creature dai corpi orribilmente magri sbucarono fuori dal nulla. Le loro mani erano munite di grossi artigli ricurvi, non avevano occhi, ma solo una grossa bocca da cui penzolava una bavosa lingua biforcuta.
Le reclute e il Venator si sbarazzarono in fretta della minaccia. Castalia stava liberando la propria spada dal cadavere dell'ultimo, quando uno di quei mostri riuscì a buttare a terra la recluta volontaria. Fece per aiutarlo, ma un'altra delle creature le si parò davanti, costringendola a schivare un poderoso fendente dall'alto. Con la coda dell'occhio, vide Julian caricare la creatura con lo scudo, liberando il guerriero sotto di essa e permettendogli di rialzarsi e colpirlo alle spalle, conficcandogli la grande spada tra le scapole.
Castalia parò di nuovo un colpo della creatura, per poi far scivolare la sua arma di lato, spostarsi e caricare un colpo dal basso verso l'alto, staccandogli un braccio. Uno schizzo di sangue nero e rancido rischiò di colpirla, ma mentre la bestia urlava di dolore e cadeva in ginocchio, la ragazza le recise di netto la testa.
«Però!» Commentò ammirato Daveth. «Non scherzava quando diceva di saperla usare, la spada!»
Lei sbuffò, estraendo la fiala vuota dalla tasca e riempendola di sangue. Gli altri due fecero lo stesso.
«Ora, ci manca solo di trovare il fiore per quel cane malato, e i trattati per Rylan.» Esclamò Julian, soddisfatto. «Seguendo le indicazioni, dovremmo andare a Nord Est, verso la vecchia fortezza dei Venator... sempre che sia rimasto in piedi qualcosa.»
Si inoltrarono ulteriormente nella palude, dovendo usare a volte i tronchi degli alberi come ponti per attraversare gli acquitrini. Su uno di essi, Castalia raccolse un fiore bianco dall'aspetto simile a quello descritto dall'uomo che curava i mastini nel recinto. Da lontano, individuarono i resti di quella che doveva un tempo essere stata una torre di pietra, probabilmente appartenente alla fortezza dei Venator. Si diressero in quella direzione, eliminando alcuni Ghoul che incontrarono sul loro cammino. La torre era ormai in rovina, sventrata e ricoperta dalla vegetazione, massi enormi che giacevano a terra ricoperti quasi interamente dalla foresta. Attraversarono i resti di un arco in pietra, quasi interamente crollato, facendosi strada con difficoltà e guardandosi attorno.
«Qui c'è qualcosa!» Li chiamò ad un certo punto l'arciere.
Si avvicinarono a lui, guardando i resti di un forziere di legno, ormai marcio e distrutto. Per terra di fronte ad esso giaceva un sigillo con un lupo, il simbolo dei Venator.
Julian si lasciò sfuggire un lamento. «Sembra che qualcuno ci abbia preceduti. E di parecchio. Le protezioni magiche devono essere andate tempo fa.» Commentò esaminando il sigillo.
«Bene bene, cosa abbiamo qui?» Li interruppe una voce femminile, facendoli sobbalzare.
I quattro alzarono immediatamente le armi, pronti a difendersi, mentre una figura femminile appariva dall'interno della rovina.
«Sei un avvoltoio, mi chiedo? Un animale in cerca di carogne, che fruga tra i corpi le cui ossa sono già state spolpate da tempo?» Continuò la donna. Era vestita in modo appariscente, e portava un bastone di legno contorto sulle spalle, chiaramente magico. Gli occhi chiari risaltavano a contrasto con i capelli neri quanto le piume di corvo che le ornavano una spalla. «O forse soltanto un intruso, giunto in queste mie Paludi infestate alla ricerca di facili prede?»
I quattro rimasero a fissarla, attoniti e spaventati.
«Allora? Avvoltoi o intrusi?» Li incalzò la donna.
«Nessuno dei due.» Rispose Castalia, dato che gli altri non sembravano avere intenzione di aprire bocca. «Questa torre era dei Venator.»
«Non è più una torre da un pezzo.» Ribatté l'altra. «Le Paludi ne hanno evidentemente reclamato le spoglie rinsecchite. È un po' che vi tengo d'occhio. “Dove stanno andando?”, mi chiedevo... “Cosa ci fanno qui?” E ora frugate in ceneri che da molto tempo nessuno ha disturbato. Perché?»
«Non rispondere.» La interruppe Julian. «È un’eretica, e questo significa che presto ne spunteranno altri.»
La donna gli fece il verso. «Un valoroso guerriero della luce come te, teme una ragazza sola e armata solo di un bastone?»
Julian le lanciò un'occhiataccia.
«Una strega, ecco cos'è! Ci trasformerà in rospi!» Esclamò l'arciere, terrorizzato.
La donna si limitò a ridacchiare. «Strega? Potrei addirittura offendermi. Tu, Druida.» Tornò a guardare Castalia, indicandola. «Dimmi il tuo nome, e io ti dirò il mio. Noi selvaggi, diamo l’esempio e comportiamoci da persone civili.»
Castalia esitò un attimo, ma decise di rispondere. «Castalia.»
Gli occhi della donna brillarono. «Un nome nobile. Puoi chiamarmi Riful, Castalia. Devo forse indovinare il vostro intento? Cercavate qualcosa in quello scrigno, qualcosa che non è più qui.»
«Non è più qui?» Ripeté Julian. «Li avete rubati, vero? Siete una sorta di ignobile strega ladra!»
«Sei davvero bravo a parlare con una donna. Immagino la fila di donzelle in attesa di essere insultate da te.» Lo sbeffeggiò Riful. «Tuttavia quando il proprietario di un oggetto è morto, com'è possibile rubarglielo?»
«Possibile e facile, parrebbe.» Ribatté il Venator. «Quei documenti sono proprietà della Fratellanza, e vi suggerisco di restituirceli.»
«Non lo farò, poiché non sono stata io a rimuoverli. Invoca pure un nome che non significa più niente qui, se vuoi... non mi sento minacciata. Soprattutto non da un damerino con un bastone infilato nel…»
Castalia li interruppe, avendo la sensazione che avrebbero potuto andare avanti a lungo. «Allora, chi li ha presi, Riful?»
La ragazza sorrise. «In effetti, è stata mia madre.»
«E puoi portarci da lei?»
Riful sembrò soddisfatta. «Ecco una richiesta ragionevole. Mi piaci Castalia. Seguitemi.»
«Farei attenzione. Si inizia con “mi piaci” e poi... “zap!” Rospo.» Si intromise nuovamente Julian.
Castalia sbuffò sonoramente. «Solo perché a voi piace tenere i maghi in gabbia, non è detto che ognuno di loro voglia trasformarvi in rospi. Io, per esempio, ti farei esplodere direttamente con una palla di fuoco.»
«Questo è il discorso più lungo che tu abbia fatto finora. E ho saputo il tuo nome solo dopo che ti sei presentata ad una strega delle Paludi. Credo di non starti esattamente simpatico, vero?» Continuò il Venator con il suo solito tono scherzoso.
«Che intuito.»
«Ci getterà tutti nel pentolone.» Si lamentò l'arciere mentre camminavano nel fango. «Vedrete.»
«Se il pentolone è più caldo di questa foresta, sarà un piacevole sviluppo.» Commentò Jorah.
Riful li condusse fino ad una casetta di legno vicino a delle rovine di pietra, di fronte ad un largo acquitrino. In piedi davanti ad essa stava una donna, dai capelli grigi e il volto segnato da piccole rughe. Li guardò avvicinarsi, scrutandoli uno ad uno come per analizzarli.
«Salute, madre. Ti ho portato quattro Venator, che...» Cominciò Riful.
L'anziana la interruppe. «Li vedo, ragazza. Come mi aspettavo.»
«Dovremmo credere che ci stavate aspettando?» Chiese Julian.
«Non dovete fare niente, tanto meno credere. Chiudete gli occhi o spalancate le braccia; in entrambi i casi, vi starete comportando da sciocchi!» Rispose la madre di Riful.
Castalia sentì le altre due reclute bisbigliare animatamente. «Credete ciò che vi pare. Nello schema delle cose, non cambia nulla. E che mi dici di te?» Chiese, guardando Castalia dritto negli occhi. La Druida si sentì rabbrividire, c'era qualcosa in quella donna, qualcosa di estremamente strano e antico. «L'appartenenza al Popolo Libero ti dà un punto di vista differente? O la pensi come gli altri?»
«Credo che non abbia importanza ciò che siete.» Rispose Castalia. «Ma avete qualcosa che ci serve.»
L'altra rimase per un attimo con gli occhi fissi su di lei, imperscrutabile. «Siete venuti per i trattati, giusto? E prima che iniziate a sbraitare, il vostro prezioso sigillo si è consumato tanto tempo fa. Li ho protetti.» Si girò a prendere qualcosa appoggiato ad un tavolino di legno dietro di lei. «Eccoli.»
Porse a Castalia un pacco di pergamene. La ragazza li osservò, c'erano un mucchio di segni sulla superficie, riconobbe il simbolo dei Venator in un angolo del foglio. Dopo un attimo di esitazione, si risolse a passarli a Julian. «Sono questi?»
L'altro li esaminò un attimo, gli occhi che scorrevano il foglio. «Sono loro.»
«Portateli ai vostri Comandanti e dite loro che la minaccia che dovrete affrontare è maggiore di quanto si pensa.» Li avvertì la madre di Riful. «Ora andate, avete ciò per cui siete venuti. Riful, questi sono tuoi ospiti, riaccompagnali fuori dalla foresta.»
La figlia si lamentò rumorosamente, ma chinò il capo. «Come volete, madre. Seguitemi.»
Grazie a Riful, la strada per tornare ad Ostagar fu molto più breve e non incontrarono alcun pericolo. Dopo appena un paio d'ore, erano già vicini alle torri della fortezza.
Prima che potessero ringraziarla, la donna era già sparita nel nulla.
Segnalarono la loro presenza alle guardie davanti al cancello, che li fecero entrare. Sulla strada per arrivare da Rylan, passarono dal maestro del canile a dargli il fiore per il cane ferito.
«Grazie mille! Questo dovrebbe aiutarlo di sicuro. Chissà se una volta guarito vorrà seguirvi!» Esclamò l'uomo, immensamente grato.
Rylan li stava aspettando davanti ad un grande fuoco. «Dunque, siete di ritorno. Avete avuto successo?» Chiese loro. Annuirono. «Molto bene. Ho già fatto preparare i maghi dell’Accademia. Con il sangue che avete recuperato, possiamo iniziare il Vincolo immediatamente. Julian, portali al vecchio tempio.» Ordinò al ragazzo, che fece loro strada fino ad uno spiazzo di pietra, che dava una spettacolare vista sulla pianura circostante.
Mentre le altre due reclute bisbigliavano concitate tra loro, Castalia sedeva poco lontano, le gambe a penzoloni sullo strapiombo. Le erano sempre piaciute le altezze.
Quando Rylan finalmente li raggiunse, Castalia si alzò per unirsi agli altri. Il guerriero sembrava sempre più preoccupato, le mani che gli tremavano leggermente.
«Finalmente, siamo giunti al momento del Vincolo.» Prese parola Rylan. Nessuno fiatava, mentre il Venator recitava le parole di rito. «I Venator sono stati fondati per proteggere questo mondo, quando l'umanità si trovava sull'orlo dell'annientamento. Fu così che i primi di noi bevvero il sangue dei corrotti e dominarono la malvagità.»
Una delle reclute, il guerriero, lo interruppe. «Dobbiamo... bere il sangue di quei mostri?» Castalia poteva quasi sentire l'odore della sua paura. Non aveva tutti i torti, però, farsi intenzionalmente infettare con quella roba... Dovevano essere tutti pazzi. Ben gli stava, per essersi offerto volontario.
«Come i primi Venator fecero prima di noi, e come noi tutti facemmo prima di voi. Questa è la fonte del nostro potere e della nostra vittoria.» Rispose Rylan.
«Quelli che sopravvivono al Vincolo, diventano immuni alle malattie e acquisiscono la forza necessaria per difendere il mondo dalle tenebre...» Spiegò Julian.
Rylan fece scorrere lo sguardo sulle tre reclute, valutandone la reazione a quelle parole. «Recitiamo solo qualche parola, prima del Vincolo, ma tali parole sono tramandate fin dai nostri albori. Julian, vuoi procedere?»
Il giovane Venator si schiarì la voce. «Unitevi a noi, fratelli e sorelle. Unitevi a noi nelle ombre in cui ci ergiamo vigili. Unitevi a noi, che portiamo a termine il dovere che non può essere rinnegato. Se perirete, sappiate che il vostro sacrificio non verrà dimenticato e che un giorno vi raggiungeremo.» Recitò.
«Daveth, vieni avanti.» Chiamò Rylan, alzando un calice d'argento colmo di sangue.
L'uomo lo prese con entrambe le mani, esitando solo un attimo prima di berne un lungo sorso.
Passò un attimo carico di tensione, poi l'uomo cominciò a contorcersi e urlare, cadendo infine a terra esanime, gli occhi bianchi e morti. Castalia lo fissò priva di espressione, il cuore che nonostante tutto le martellava nelle orecchie.
L'altra recluta sfoderò la spada, indietreggiando. «No! Chiedete troppo! Ho una moglie e una figlia. Il vostro prezzo è troppo alto, non c'è gloria in questo!» Urlò in preda al panico.
«Non si torna indietro.» Sussurrò Rylan, prima di estrarre una delle sue due spade. L'altro provò a schivare il colpo, ma ancora prima che vedesse il Venator muoversi, la recluta era già crollata a terra, l'elsa dell'arma di Rylan conficcata nel petto.
L'uomo si voltò poi verso la Druida. «E il tuo turno. La cerimonia non è ancora terminata...»
Castalia sbuffò. «Quante storie.» Scrollò le spalle, afferrò il calice con entrambe le mani e se lo portò alle labbra. Bevve quell'orribile robaccia in tre lunghi sorsi. Una fitta tremenda sembrò spaccarle la testa, mentre sentiva le gambe cederle. La vista le si annebbiò per un attimo, un boato che le fece ribollire il sangue come di puro fuoco, bruciandola dall'interno: vide chiaramente un drago nero che la guardava e Castalia capì che quella bestia era Urthemiel.
Riaprì gli occhi di scatto.
Era sdraiata a terra. Rylan e Julian erano chini sopra di lei.
«Altre due morti. durante il mio Vincolo, morì soltanto uno di noi, ma... fu orribile. Sono lieto che almeno uno di voi ce l'abbia fatta.»
“Speravi che non fosse l'unica recluta che non ti sopporta, eh?” Pensò lei, la testa che le girava.
«Da questo momento, sei un Venator. Come ti senti?» Le chiese Rylan.
Castalia lo guardò storto, evitando di rispondergli. Come voleva si sentisse?
«Hai fatto dei sogni? Io mi ricordo di aver fatto sogni terribili, subito dopo il mio Vincolo...» Si intromise Julian, offrendole una mano per alzarsi. Lei scostò il suo braccio, rimettendosi faticosamente in piedi da sola e cercando di non dare a vedere quanto fosse instabile in realtà.
«Tali sogni arrivano quando si inizia a percepire l’oscurità, come accade a tutti noi. Nei prossimi mesi, ti spiegheremo questa e molte altre cose.» Disse Rylan.
«Prima che me ne dimentichi, un'ultima cosa.» Prese di nuovo parola Julian. «Prendiamo un po' di quel sangue e lo mettiamo in un ciondolo. Servirà a ricordarci di... coloro che non sono arrivati fin qui.» Spiegò, porgendole un laccio di cuoio con una piccola fiala sigillata, piena di liquido nerastro.
Castalia la afferrò poco convinta, soppesandola e cacciandosela poi in tasca.
“Come se avessi bisogno di un qualcosa al collo per ricordarmi di come sono finita qui...”
«Prenditi un po' di tempo. Quando sei pronta, vorrei che ci accompagnassi ad un incontro con la Divina.» Le disse Rylan. «Ci vediamo giù dalle scale, verso est.»
Castalia aspettò che se ne fossero andati, prima di crollare nuovamente a terra. Afferrò l'otre che portava al fianco, sciacquandosi la bocca e bevendo un po' d'acqua. Le bruciava la gola e sembrava che le sue budella stessero andando a fuoco.
Tuttavia, aveva temuto di ritrovarsi di nuovo debole e febbricitante, come quando era stata portata fuori dalle rovine nella foresta, cosa che però non era successa.
Inspirò l'aria fredda che veniva da nord. Durante la battaglia, doveva solo trovare il momento giusto per andarsene senza che nessuno la vedesse. In fondo, c'erano migliaia di soldati lì, e parecchi Venator non avrebbero sentito la sua mancanza.
Dopo qualche tempo, si alzò controvoglia, diretta all'incontro con Rylan e la Divina.
«La vostra passione per la gloria e le leggende sarà la vostra rovina, Adelasia. Dobbiamo occuparci della realtà.» Sentì dire mentre si avvicinava al grande tavolo dove erano riuniti tutti coloro che avevano un ruolo di comando. Julian, un poco distante da esso, la salutò con un cenno del capo. Erano gli unici due che non avevano la minima idea del perché fossero lì. L'uomo che aveva parlato scrutava la Divina in modo truce: di mezza età, aveva i capelli neri e lunghi, il naso imponente e lo sguardo poco amichevole. Era equipaggiato con un'armatura imponente di metallo argentato, decorata in modo sobrio.
«D'accordo, illustratemi la strategia. I Venator e io attireremo l’Orda, sfidandola a caricare le nostre linee... e poi?» Disse la Divina, che sembrava stufa di sentire le obiezioni dell'uomo accanto a lei.
Quello rispose come se fosse l'ennesima volta che ripeteva la stessa cosa. «Poi, ordinerete alla torre di accendere il fuoco di segnalazione, e i miei uomini andranno alla carica dal proprio riparo.»
«Per attaccare ai fianchi l’Orda, ora ricordo.» Lo interruppe la Divina. «Parliamo della Torre di Ishal, vero? E chi accenderà questo fuoco di segnalazione?»
«Ho alcuni uomini appostati laggiù. Non è un incarico pericoloso, ma è di vitale importanza.» Rispose l'altro. Sembrava sicuro del suo piano, evidentemente non era la prima guerra che combatteva, e da come gli altri lo guardavano, tutti si fidavano del suo piano.
«Allora dovremmo mandare il meglio a nostra disposizione.» Disse la Divina. «Inviate Julian e la nuova Venator ad assicurarsi che vada tutto bene.»
Castalia sentì gelarsi il sangue nelle vene. Se le avessero affidato un incarico del genere, sarebbe stato impossibile andarsene prima della battaglia. Anche se non aveva alcun affetto per quegli idioti, era chiaro persino a lei che se avessero perso quella battaglia, l'intero Khanduras sarebbe stato sommerso dall’Orda. Si scambiò uno sguardo preoccupato con l'altro Venator.
All'improvviso una mezza dozzina di paia di occhi erano puntati verso lei e Julian.
«Vi affidate troppo a questi mostri. È davvero saggio?» Ribatté l'uomo arcigno.
«Basta con le vostre teorie, e le vostre paure vedete cospirazioni ovunque Ulfric. I Venator combattono il male nel nome del Creatore, non importa chi o che cosa sono.» Lo zittì la Divina.
«Vostra Santità, dovete considerare la possibilità che compaia anche il Drago...» Li interruppe Rylan, schiarendosi la gola.
«Non c'è stato alcun segno di draghi nelle Paludi.» Commentò Re Ulfric.
Un altro uomo, vestito con la tunica dei maghi, prese la parola. «Vostra Santità, la torre e il fuoco di segnalazione non sono necessari. Noi maghi...»
Prima che potesse finire la frase, una donna dall'aspetto antipatico lo interruppe, guardandolo storto. «Non affideremo le nostre vite ai vostri incantesimi, mago! Conservateli per quelle bestie!» Sbraitò.
«Ora basta Cauthrien! Questo piano sarà sufficiente. I Venator accenderanno il fuoco di segnalazione.» Li interruppe il Re, zittendo ogni possibile risposta.
«Ben detto, Sire. Non vedo l'ora che arrivi questo glorioso momento! Gli eserciti del Nord combatteranno al fianco della Divina per respingere l'ondata del male!» Esclamò Adelasia, la voce che lasciava trapelare la sua emozione.
Re Ulfric sembrava non condividere il suo entusiasmo. Gli diede le spalle, scrutando l'oscurità della notte intorno a loro. «Sì, Adelasia. Sarà un momento glorioso per noi tutti.»
Cosa ci fosse di glorioso nel farsi divorare da un paio di fauci sbavanti e putrescenti, era da capire.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 10
Castalia si guardò attorno, cercando di scorgere Julian tra le fiamme. Il ponte era crollato quasi completamente, colpito da giganteschi macigni in fiamme, costringendoli a separarsi per riuscire ad attraversarlo. Un soldato di fianco a lei urlava di dolore, afferrandosi la gamba maciullata. La Druida lo ignorò, caricando a testa bassa una creatura senza pelle che si muoveva a quattro zampe come un cane, il mostro tentò di colpirla con i suoi letali artigli ma la giovane schivò l’attacco e senza sforzo lo sventrò come un pesce.
Castalia dovette ammettere che avere le abilità dei Venator non era male.
Avevano dormito un paio d'ore, per cercare inutilmente di riposarsi in vista della battaglia. La metà delle truppe si era mossa qualche ora prima dell'alba, scendendo nella pianura con la Divina e con tutti i Venator del Nord, tranne lei e Julian, mentre l'altra metà si era nascosta sulla collina con Re Ulfric, per cogliere i nemici alle spalle e schiacciarli su due fronti.
La strategia avrebbe potuto funzionare, se l’Orda non fosse stata così sconfinata.
Erano usciti dalle Paludi, a migliaia, scagliandosi contro le forze della Divina e mettendoli da subito in difficoltà. Julian e Castalia si erano immediatamente diretti verso la Torre di Ishal, ma l’Orda li aveva preceduti, attaccando in forze il ponte che collegava le due parti della fortezza e bloccando il passaggio per la torre in un inferno di fiamme e cadaveri.
Schivò una pioggia di detriti infuocati con un salto, rischiando di essere presa alla sprovvista da un mostro, basso, tozzo e coriaceo, che l'aveva attaccata alle spalle. Piroettò su sé stessa, schivando un affondo e parando il successivo con la spada. Colpì con un calcio la creatura, che però riacquistò subito l'equilibrio, pronta a scagliarsi nuovamente contro di lei. La Druida alzò la spada per difendersi, ma prima che il mostro potesse raggiungerla, venne spazzata via da una nuova palla di fuoco piovuta dal cielo.
L'onda d'urto sbalzò via di qualche metro anche Castalia, che si rialzò dolorante, facendo fatica a mettere a fuoco l'ambiente circostante. Controllò di non essere ferita, per poi proseguire verso la torre, di fronte a lei.
«Castalia!» Sentendosi chiamare, accelerò il passo, individuando Julian poco più avanti, impegnato a tenere a bada due mostri. Corse in suo aiuto.
«Hanno conquistato tutta la torre!» Le urlò per sovrastare il caos tutto attorno. «Dobbiamo riuscire ad accendere quel fuoco, a tutti i costi!»
La ragazza annuì.
«Non si può entrare nella torre!» Urlò uno tipo, avvicinandosi a loro a passo incerto. «Sono ovunque!» Si girò terrorizzato alle loro spalle, indicando la struttura. «Sono spuntati dal nulla, non abbiamo potuto fare niente... Ci hanno massacrati!» Tremava, senza nemmeno cercare di tenere dritto l'arco che aveva in mano. Un non morto si voltò, attirato dalle sue urla, caricandolo. «Siamo spacciati!» Urlò, non dando segno di volersi difendere.
Castalia, che era troppo distante per impedirgli di finire ammazzato, non poté fare altro che guardare la scena, certa di vederlo fatto a pezzi in pochi attimi...
La creatura si immobilizzò improvvisamente, uno spesso strato di ghiaccio che la ricopriva inchiodandola sul posto. La Venator non esitò a caricare e colpì il mostro con tutta la forza, mandandolo in frantumi maleodoranti tutto attorno. Si girò per vedere da dove provenisse l'incantesimo.
Un mago, con le vesti dell’Accademia, agitava il proprio bastone magico in ampi cerchi sopra la testa, spedendo lampi di ghiaccio attorno a sé. Altri due mostri caddero a terra, immobilizzati, e Julian ne approfittò per eliminarli.
«Non è il caso di farsi prendere dal panico!» Commentò il mago, raggiungendo la ragazza e l'arciere. «Voi siete i Venator che dovevano arrivare per dare il segnale al Re?» Chiese a Castalia, che annuì con il capo.
«Come entriamo là dentro?» Gli chiese, indicando la torre.
Quello squadrò prima lei e poi i gli altri due uomini. «Vendendo cara la pelle.» Rispose.
Julian sospirò affranto. «E io che speravo potessimo aspettare comodamente il segnale mangiando uno spuntino...» Commentò, prima di dare una pacca sulle spalle all'arciere, ancora tremante. «Ehi amico, vedi di riprenderti, ci serve tutto l'aiuto possibile.» Gli disse.
Quello spalancò gli occhi, terrorizzato all'idea di tornare dentro la torre. «N... no, vi prego! Non…» Si interruppe bruscamente, la spada di Castalia premuta sulla sua gola.
«O ci aiuti ad arrivare là in cima, o ti ammazzo con le mie mani, hai capito?!» Sbraitò lei. «Fenedhis lasa, tira fuori le palle!»
«Castalia!» Le urlò Julian, contrariato. «Non…»
«Taci Julian. E allora?! Che vuoi fare vigliacco?» Ringhiò all'arciere, ignorando il suo compagno.
Il poveretto si ritrovò ad annuire, spaventato. «D'accordo... v…vi seguo.» Balbettò, massaggiandosi il collo quando lei finalmente rimosse la lama dalla sua pelle.
Soddisfatta, Castalia li precedette verso la Torre di Ishal.
L'edificio era in pessime condizioni, in parte crollato o in fiamme, ma riuscirono a farsi strada fino al piano superiore. La torre brulicava di mostri famelici e che strillavano in maniera inquietante.
«Per il Creatore… non sarà facile arrivare in cima.» Disse Julian, dopo che erano riusciti a far fuori un paio di quei mostri con grande difficoltà.
Castalia non potè far altro che concordare con lui. Sentiva l'arciere parlare da solo, terrorizzato, ma per il momento l'uomo aveva fatto un buon lavoro, colpendo praticamente tutti i bersagli. Spalancarono una porta, trovandosi di fronte ad una decina di Risvegliati che si scagliarono all'unisono contro di loro. Preparandosi all'impatto, Castalia alzò la spada, riuscendo con difficoltà a parare un colpo di uno di quei mostri particolarmente grosso, che roteava un gigantesco meglio di buona fattura, chiaramente recuperato nell'armeria allestita nella torre.
Imprecò, buttandosi di lato per evitare un altro colpo, senza avere il tempo di contrattaccare. Le sembrò di sentire un ululato dalla stanza accanto, ma venne di nuovo distratta dal mostro, che mirò alla sua testa, costringendola a indietreggiare ulteriormente, fino a finire con le spalle al muro. Un altro la attaccò a sua volta, ma lei riuscì a trapassarlo con la spada prima che potesse colpirla, lasciandosi però scoperta contro il cadavere rianimato più grosso, che torreggiava sopra di lei. Si buttò di lato, per mitigare il colpo che però non sentì arrivare. Il mostro cacciò un grido di rabbia, che le perforò le orecchie, colpito da una freccia che gli spuntava dalla spalla. Senza dargli tempo per riprendersi, Castalia raccolse tutte le sue forze e gli trapassò la testa deforme da parte a parte, girando l'elsa fino ad incastrarla quasi completamente. Liberò l'arma con uno strattone, ringraziando l'arciere con un cenno del capo per poi dedicarsi al mostro successivo.
Il pavimento sembrò esplodere tra le fiamme.
Si sentì scaraventare in avanti, lontano dall'esplosione, e per poco non colpì il muro di pietra di fronte a lei. Cercando di riprendere fiato, si appoggiò alla parete per rimettersi in piedi. Si girò a guardare cosa avesse provocato l'esplosione: un mostro diverso da quelli che avevano incontrato finora, alto e slanciato, fluttuava al centro della sala, un rozzo bastone magico alzato sopra di sé, pronto a sferrare un altro attacco.
«Abominio!!» Gridò Julian.
Un Abominio nasce quando un Risvegliato possiede un essere vivente con abilità magiche. Ci sono storie di abomini che hanno devastato interi villaggi. La forza di un Abominio dipende interamente dal potere del demone che possiede il mago. Era per questo che la Fratellanza sottoponeva i maghi dell’Accademia al Tormento.
Vide l'arciere mirare verso la creatura, ma l'uomo venne attaccato da un'altra creatura prima che potesse scoccare la freccia. Julian corse in suo aiuto, mentre il mago cercava di contrattaccare.
Castalia tese le orecchie, le pareva proprio di sentire degli ululati. Si appoggiò alla porta di fianco a lei, aprendola con una spallata: all'interno, vi erano delle gabbie con tre grossi mastini da guerra, che ululavano e ringhiavano in attesa di essere liberati. Zoppicando leggermente, la Druida si affrettò ad aprire le gabbie. I mastini scattarono subito nella stanza adiacente, pronti ad attaccare i mostri.
Si concesse un attimo per riprendere fiato, per poi tornare di corsa in aiuto dei compagni. L’Abomino che lanciava incantesimi sembrava in difficoltà, incapace di lanciare incantesimi incalzato da Julian, che lo stava spingendo verso una voragine creatasi nel muro esterno della torre. Castalia si affrettò a dargli manforte, colpendolo ad un fianco e facendo barcollare all'indietro. Julian lo colpì alla testa con lo scudo, stordendolo, per poi abbassarsi e darle l'opportunità di caricarlo in pieno petto, trapassando la stoffa leggera e i tessuti putridi sottostanti senza alcuna difficoltà.
La creatura si afflosciò su sé stessa, e Castalia se ne liberò spingendola giù dalla voragine.
«Spero non ce ne siano altri.» Esclamò Julian.
Con fatica, riuscirono a raggiungere l'ultimo piano della torre, dove doveva esserci la legna pronta per accendere il fuoco di segnalazione. Spalancarono la porta con un calcio, facendosi strada all'interno.
Un ruggito più forte di qualsiasi cosa avessero mai sentito gli perforò i timpani.
Spalancarono gli occhi, terrorizzati alla vista di un'enorme creatura, alto forse quattro metri, dalla pelle violacea e putrida e due corna enormi, che li puntava dall'altro lato della stanza, le fauci aperte a mostrare zanne lunghe quanto un braccio che colavano sangue e bava.
Castalia rimase impietrita, guardando la bestia e cercando di carpirne i punti deboli, senza successo. Lanciò un'occhiata a Julian, sperando che il Venator più anziano avesse qualche suggerimento, ma il ragazzo sembrava atterrito tanto quanto lei. «Un… altro Abominio…. Non fatevi colpire.» Disse solo.
«Molto utile!» Ringhiò la ragazza, buttandosi per terra da un lato per schivare la creatura che li aveva caricati, corna in avanti e pronta a farli a pezzi. Il demone fermò la sua corsa, scuotendo il testone e cercando di individuarli di nuovo. Una saetta lo colpì in mezzo agli occhi, facendolo solo infuriare ulteriormente.
«Bella mossa, ora sì che è contento di farci a pezzi!» Urlò Julian, preparandosi a schivare nuovamente la carica del mostro.
Il mago dovette ripararsi dietro un cumulo di macerie per non essere spazzato via.
«Ehi!» Urlò l'arciere, attirando l'attenzione del mostro nonostante stesse tremando vistosamente. Lo centrò con una freccia sulla spalla scoperta, che però sembrò scalfirlo solo superficialmente.
I due guerrieri provarono a colpirlo ai fianchi, ma la pelle del mostro sembrava impenetrabile, e continuava a parare i loro colpi con facilità, costringendoli a schivare per la maggior parte del tempo.
«Così non funziona.» Grugnì Julian tirando fiato. Sanguinava da un taglio sulla fronte. Si passò il braccio sul volto, togliendosi il sangue dagli occhi. «Ci serve un piano.»
Castalia annuì. «Mago, tienilo distratto. Tu, arciere, mira alle gambe. Dobbiamo buttarlo giù e impedire che ci carichi un'altra volta.» Ordinò ai due, per poi fare un cenno a Julian di prepararsi nuovamente all'attacco.
Il mago lanciò una pioggia di scintille sul mostro, accecandolo per qualche istante, mentre l'arciere scoccava frecce. Il demone ruggì, infuriato, ma Julian e Castalia si fecero sotto, attaccandolo dai lati e cercando di farlo cadere a terra. La pellaccia della creatura era davvero resistente, ma con un affondo la Druida riuscì a trapassargli una gamba dietro al ginocchio. La bestia caracollò in avanti con un verso di dolore, cercando di spazzarla via con un braccio. Lei si buttò all'indietro per schivarlo, finendo a terra. La creatura, però, si sporse in avanti, chiudendo la mano a pugno sopra di lei, per schiacciarla al suolo come una mosca. Troppo lenta, Castalia rimase a fissare il colpo in arrivo. Una figura si parò tra lei e il demone, proteggendola con lo scudo, che risuonò con uno schiocco metallico.
«Stai bene?!» Le urlò Julian, crollando in ginocchio, reggendo lo scudo con entrambe le mani, una ferita al fianco che sanguinava copiosamente. La ragazza annuì, sorpresa. Si rimise in piedi, respingendo il mostro con la spada alzata e permettendo a Julian di liberarsi e rotolare da un lato. La creatura fece per parare il colpo alzando il braccio, ma Castalia fu più veloce, usando tutta la forza che aveva per far calare la spada dritta davanti a sé.
L'intenzione era quella di recidergli l'arto, ma la pellaccia del mostro oppose resistenza: la lama restò incastrata in profondità, facendolo ruggire di dolore e vorticare il braccio sano davanti a sé, per colpire Castalia. Quella si ritrovò a dover fare presa sulla propria arma per issarsi con un salto sul braccio ferito della creatura, evitando per un soffio le fauci enormi che schioccarono a qualche centimetro dalla sua testa. Una freccia si conficcò nella schiena del mostro, facendolo voltare di scatto verso l'arciere. A sorpresa, il demone scattò in avanti nonostante la gamba ferita, afferrando l'uomo con il braccio sano e buttandolo a terra.
Castalia si ritrovò aggrappata ad una delle corna del mostro, cercando di issarsi su una di esse per evitare le sue zanne. Sentì un rumore di ossa frantumate e un urlo di dolore spegnersi di colpo, sostituito da un gorgoglio sinistro. Si ritrovò faccia a faccia con il mostro, che gettato via il corpo dell'arciere fece per afferrarla e togliersela di dosso. La ragazza scalciò in preda al panico, colpendo il mostro sul muso per evitare di farsi azzannare. I suoi piedi toccarono una delle punte di metallo dell'armatura sul petto del mostro, ferendosi ad una gamba ma riuscendo ad usare la sporgenza per darsi lo slancio necessario a salirgli sullo spallaccio enorme che la creatura indossava. Si accucciò, cercando di riprendere l'equilibrio facendo presa su una delle corna a cui era ancora attaccata, mentre il Risvegliato veniva colpito al fianco da una saetta. La distrazione del mostro le permise di aggrapparsi meglio e salirgli in groppa, afferrando entrambe le corna per reggersi in piedi.
Julian colpì di nuovo la bestia, che parò il colpo con il braccio ferito. Il guerriero si riparò dietro allo scudo, caricandolo di peso e riuscendo finalmente a recidergli l'arto proprio sotto al gomito.
Un fiotto di sangue nero si riverso a terra tra i ruggiti del demone, che, accecato dal dolore, caricò incespicando e travolgendo qualsiasi cosa davanti a sé. Julian riuscì a schivarlo parzialmente rotolando a terra di fianco a sé, colpendo con forza i detriti sul pavimento con un gemito, ma il mago non fu altrettanto fortunato: Castalia, ancora avvinghiata alla base delle corna con tutte le sue forze, lo vide sgranare gli occhi, mentre l'uomo abbassava lo sguardo su una delle enormi corna che gli perforavano il petto da parte a parte. Sputò una bolla di sangue, che finì addosso alla Druida, scivolando all'indietro e cadendo sul pavimento con un tonfo.
Con un grido, la ragazza estrasse il pugnale che portava alla cintura, conficcandolo con forza nel collo del demone, dove la pelle era più sottile, e rigirandolo in profondità. Quello cercò di togliersela di dosso, ma lei riuscì ad evitare un'enorme manata che rischiò di sbalzarla via. Estrasse il coltello e si issò più in avanti, facendo presa su una delle corna e infilzando uno degli occhi del mostro.
Il gigante scosse la testa, ruggendo impazzito, disarcionandola e spedendola dall'altra parte della stanza. Castalia colpì il pavimento con uno schianto che le tolse il fiato. La vista le si oscurò per un attimo, mentre annaspava in cerca d'aria. Strisciò a fatica sulle pietre rese scivolose dal sangue, fino ad un cumulo di macerie. Respirando a fatica, si rimise in piedi barcollando. Le facevano male tutte le ossa. Sputò a terra un grumo di sangue, asciugandosi la bocca con la manica. Il Risvegliato, ormai a terra, ruggì verso di lei, cercando di rimettersi in piedi.
Julian giaceva di lato sul pavimento, cercando di fare leva sulla spada per alzarsi mentre teneva premuta la mano sul fianco ferito, lo scudo a terra.
Il braccio reciso della creatura era a pochi metri da lei, la sua spada ancora conficcata nella carne morta. Con un ultimo sforzo, la ragazza afferrò l'elsa, liberandola con uno strattone, e andò verso l’Abominio che la sfidò con un potente ruggito.
«Muori maledetto!» Urlò, prima di schivare per un soffio gli artigli del mostro e sollevare la spada sopra di sé, sentendola penetrare nella carne. Spinse più che poté, sentendo il ruggito della creatura trasformarsi in un gorgoglio orrendo. Il Risvegliato cadde all'indietro, permettendole di ritrarre la spada, causando un fiotto di sangue che la costrinse a proteggersi il viso, roteando poi di nuovo la spada e, con tutta la forza rimastale, piantarla in mezzo agli occhi della creatura.
Quella ebbe un paio di spasmi incontrollati, per poi finalmente giacere immobile in una pozza di sangue maleodorante.
Sfinita, Castalia crollò in ginocchio accanto ad essa, troppo stanca anche solo per recuperare la spada.
«Ce l'abbiamo fatta...» Sentì dire a Julian. Alzò lo sguardo per vederlo zoppicare faticosamente verso la grande pila di legname, un tizzone acceso in mano. In pochi attimi la legna prese fuoco, lanciando il segnale che avrebbe dovuto salvare le truppe della Fratellanza. «Speriamo non sia troppo tardi.» Gemette, crollando a terra a sua volta.
Castalia non seppe per quanto rimasero in quello stato, il respiro che usciva a fatica, gli occhi chiusi cercando di ignorare il dolore.
Un rumore di passi e grugniti li risvegliò dal torpore. La ragazza aprì gli occhi di scatto, incrociando lo sguardo di Julian.
«Come non detto...» Lo sentì gemere.
Non sapendo nemmeno lei come, si rimisero in piedi a fatica. Estrasse la spada dal cadavere della creatura, facendo una fatica immane. L'arma sembrava pesare dieci volte più del solito, pensò mentre almeno una mezza dozzina mostri sciamava all'interno della stanza. Quelli rimasero un attimo a guardarli, gli occhietti malvagi che lampeggiavano dai due guerrieri al cadavere dell’Abominio a terra, intimoriti e incerti sul da farsi. Un paio di loro decisero di gettarsi all'attacco, dando l'esempio agli altri.
Castalia sollevò la spada davanti a sé, riuscendo a cogliere di sorpresa il primo e uccidendolo sfruttando la sua stessa carica. L'altro la scaraventò a terra, trafiggendole un fianco. Mentre sentiva gli artigli del mostro reciderle la carne, urlò di dolore, raccogliendo in qualche modo le forse per liberarsi con una ginocchiata. Rotolò di lato, una mano sulla ferita, sentendosi inzuppare di sangue la maglia. Il mostro le fu subito addosso, costringendola a strisciare alla ricerca di un’arma. Cercando di proteggersi con un braccio, tastò il pavimento con l'altra mano, trovando ciò che cercava. La creatura le afferrò la gola, stringendo e togliendole il respiro, ma prima che potesse ucciderla Castalia gli ficcò una freccia nella tempia, spingendola in profondità. Il mostro gemette di dolore, cadendole addosso e schiacciandola col proprio peso. Se lo tolse di dosso con fatica, mettendosi a carponi e alzando lo sguardo giusto in tempo per vedere Julian cadere a terra con tre di quei Risvegliati addosso. Gli altri mostri si girarono verso di lei, le fauci spalancate che grondavano sangue e bava, pronti a farla a pezzi.
«Fatevi sotto, schifosi.» Li sfidò la ragazza, rantolando. Se doveva morire, ne avrebbe ammazzati quanti più poteva, fino alla fine. Le creature scattarono in avanti, lei strinse la spada, pronta a colpire il non morto più vicino con un fendente dal basso.
Un boato assordante la colse di sorpresa. Qualcosa la scaraventò a terra per l’ennesima volta. Grugnì di dolore, cercando di strisciare via, accecata da polvere e… fiamme?
Rotolò sulla schiena, guardando sopra di sé.
Una serie di squame pallide le occupava il campo visivo. Si girò, guardando un’enorme zampa schiacciare a terra il vampiro e spappolarlo sotto il proprio peso. La gigantesca creatura sopra di lei ruggì, facendo tremare l’intera struttura di pietra e vomitando fiamme attorno a sé. Degli strilli di dolore segnalarono che i mostri arrivati al piano superiore era stata colpita in pieno.
“Un drago bianco.” La ragazza strabuzzò gli occhi. Un servo del Signore dei Vermi? Ma allora perché stava attaccando quei mostri e non i due Venator feriti e inermi?
Cercò di individuare Julian in mezzo a tutto quel frastuono di fiamme e ruggiti, facendosi forza sui gomiti per mettersi a sedere. Il Venator era a pochi metri da lei, ancora svenuto, una chiazza di sangue sotto di lui. Strisciò verso di lui, “per…fare cosa? Ci arrostirà tutti.” Pensò la ragazza.
Che tempismo. Non bastava un’Orda di Risvegliati assettati di sangue, no, doveva pure arrivare un drago ad ucciderli. Lanciò un’occhiata alla sua spada, troppo lontana perché potesse anche solo pensare di raggiungerla, e poi non avrebbe avuto comunque la forza di sollevarla… Raggiunse Julian con un grugnito di dolore. La spada del compagno giaceva a terra, ancora nella sua stretta. Castalia la prese, usandola come perno per mettersi in piedi.
La zampa del drago era poco distante da lei.
Fece due passi in avanti, barcollando, la vista annebbiata dal dolore e dal fumo. L’aria rovente le bruciava il volto, rendendole quasi impossibile respirare.
Sollevò la spada, facendola calare debolmente su una delle dita della bestia.
Quella ruggì, spazzando via l’arma come se niente fosse, intrappolando poi la ragazza con una zampa. Il drago si voltò a guardarla, le fauci spalancate in un ruggito, l’alito caldo che le scottava la pelle, le zanne bianchissime che brillavano minacciose alla luce delle fiamme a pochi centimetri dalla sua faccia.
“Che meraviglia”, si ritrovò a pensare Castalia.
«Avanti.» Rantolò trepidante, un rivolo di sangue che le colava dalle labbra. Sorrideva.
Quello rimase un attimo a fissarla, le pupille erano braci ardenti, mentre tutto il resto piombava nell’oscurità.
All’improvviso, si sentì sollevare da terra con uno strattone.
Riaprì gli occhi: la torre in fiamme era sotto di lei, mentre il terreno si faceva sempre più lontano, le sagome sempre più piccole. La zampa del drago era chiusa fermamente attorno a lei, impedendole di cadere mentre penzolava nel vuoto.
Gettò uno sguardo alla sua destra, e vide Julian trasportato allo stesso modo.
“Sto impazzendo.” Pensò.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 11
Le pellicce su cui giaceva erano morbide, sapevano di erbe aromatiche e incensi. Fece per girarsi, ma una fitta al fianco le troncò il respiro, immobilizzandola.
«Sei sveglia.» Le disse una voce. «Hai rischiato grosso, amore mio...»
«Caleb?» Gracchiò, la voce roca e flebile. Il Druido le sorrise, accarezzandole delicatamente la guancia con le dita fresche.
«Stai... bene?» Balbettò lei, incredula.
«Ma certo, amore. Sei tu quella di cui bisogna preoccuparsi, ora.» Le rispose lui, senza smettere di sorridere. Sembrava rilassato, i capelli che gli ricadevano morbidi sugli occhi, coprendo parzialmente il suo volto.
Castalia non capiva. «Ma... Pensavo fossi...»
L'altro le prese delicatamente il viso tra le mani, guardandola negli occhi, rassicurante. Lei si rilassò, dimenticandosi quasi del dolore che sembrava bruciarle tutto il corpo. Quando le labbra morbide di lui su posarono sulle sue, si lasciò sfuggire un sospiro felice.
Caleb si staccò improvvisamente da lei. Castalia fece per tirarsi su e afferrarlo per la manica, ma quello era già evaporato nel nulla.
«No!» Urlò, tirandosi a sedere di scatto.
Cacciò un gemito di dolore.
Rantolando, si guardò attorno.
Non era in una delle tende del suo clan, bensì sdraiata in un letto in una piccola stanza di legno, accanto a lei un tavolino su cui vi erano poggiati un infuso che mandava un forte odore di erbe e una ciotola contenente un impasto verdognolo e speziato. La porta si aprì cigolando, lasciando entrare una donna che si tolse dal capo un cappuccio violaceo, lasciando cadere per terra dei piccoli cumuli di neve che si sciolsero sul pavimento.
«Ah, vedo che sei sveglia.» La salutò la nuova arrivata. «Madre sarà entusiasta.»
Castalia sbatté le palpebre più volte, incredula. «...Riful?»
La giovane strega delle Paludi chinò il capo, accennando un sorrisetto soddisfatto. «Bene, non ti sei dimenticata tutto, allora. Dimmi, riesci a ricordarti come mia madre vi ha salvati?» Le chiese, avvicinandosi al letto. Le scostò le coperte, tastandole il fianco e esaminandole le bende. Sembrava compiaciuta. Le sfiorò la testa, fasciata anch'essa, restando a guardarla in attesa di una risposta.
“Madre?” Ricordava di essere stata in cima alla torre. Avevano ucciso un Risvegliato enorme, poi erano riusciti ad accendere il segnale, ma erano arrivati degli altri mostri e poi...
«Un drago!» Esclamò. «C'era un drago bianco, sputava fuoco e…» Si interruppe bruscamente, il ricordo che riaffiorava pian piano. “Ho provato ad ucciderlo. Poi voleva mangiarmi.” Come faceva ad essere ancora viva? «Stavo volando.» Biascicò, incerta su cosa fosse successo dopo. Dovera il drago? Cosa ci faceva nel bel mezzo delle paludi, nella capanna delle streghe delle Paludi?
«Quella era, in effetti, mia madre.» Disse Riful. Incrociando lo sguardo incredulo della Druida si lasciò sfuggire una risatina. «Pensavi forse che tutto quello che potesse fare una strega delle Paludi fosse trasformare gli incauti viaggiatori in rospi e cucinarli per cena?»
Castalia rimase a fissarla a bocca aperta. Possibile che la vecchia signora potesse davvero trasformarsi in un drago, enorme e sputafuoco?
«Entreranno le mosche.» Commentò Riful, toccandole il mento. «Ora, stai ferma, devo controllarti il resto delle fasciature.» La girò di schiena, spalmandole un po' dell'unguento che teneva vicino al letto. La squadrò con occhio critico, tastandole delicatamente il petto sullo sterno e scendendo ad applicare una leggera pressione sulle costole sotto ai seni.
La ragazza gemette di dolore, ma la donna la ignorò.
«Sembra che le ferite si siano rimarginate. Essere un Venator ti sta aiutando a guarire più in fretta. Fossi in te non farei sforzi per almeno un paio di settimane, comunque, le ossa non sono così semplici da rimettere a posto, e ne avevi parecchie fratturate o rotte. Per la schiena, il fuoco di drago è una scocciatura, ma a quanto pare te la sei andata a cercare... a cosa stavi pensando?» Parlava senza aspettarsi una risposta, continuando ad esaminare le varie ferite ed escoriazioni in via di guarigione. Le porse l'infuso. «Bevi questo, disseta ed è ottimo per le lesioni interne. Te ne ho dovuto somministrare parecchio, in questi giorni anche se i tuoi poteri di guarigione sono eccezionali.»
La Druida prese dei piccoli sorsi, sorprendendosi di quanto fosse amaro. Storse la bocca, allontanando il bicchiere. «Da quanto sono qui?»
Riful le fece segno di continuare a bere. «Una settimana, circa. Bevilo tutto.»
«Una...?» “Abbiamo vinto o perso?” «Com'è finita?» Chiese, portandosi nuovamente il bicchiere alle labbra e prendendone un altro sorso.
«La battaglia, intendi? L'uomo che doveva rispondere al segnale il Re del Nord si è allontanato dallo scontro e l’Orda ha divorato e massacrato chiunque, compresa la Divina. In tutto il Khanduras siete rimasti solo tu e il tuo amico…» Rispose la strega in tono asciutto, gli occhi chiari che non tradivano alcuna emozione.
«Amico?»
«Lo stupido pieno di sospetti con cui viaggiavi prima, sì. È qui fuori, vicino al fuoco.» Rispose l'altra. «Madre ha chiesto di vederti, quando ti fossi svegliata. Riesci ad alzarti dal letto?»
Castalia annuì, titubante. Appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino, accettando di buon grado la gruccia di legno che Riful le porgeva per aiutarla ad alzarsi in pedi. Si avvolse nello scialle di lana pesante che la donna le mise sulle spalle.
Con uno sforzo immane, zoppicò fino alla porta d'ingresso, sentendo dolori ovunque. L'aria fredda le colpì la faccia, i fiocchi di neve che le si posavano sul naso. Si avvicinò al fuoco, che scoppiettava di fronte alla capanna. Una figura era in piedi davanti ad esso. Sentendo aprirsi la porta, si girò di scatto.
«Sei viva!» Esclamò incredulo Julian. «Pensavo...»
«Sto bene. Più o meno.» Lo interruppe Castalia. «Tu?»
Il Venator scosse la testa. «Io… non lo so… Abbiamo perso la battaglia. Sono tutti morti, Rylan, la Divina... il Re non ha mai risposto al nostro segnale.» Strinse i pugni, conficcandosi le unghie nel palmo delle mani. «Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?»
Castalia rimase a fissarlo senza sapere cosa rispondere. Che ne sapeva lei? Re Ulfric doveva essere un esperto di battaglie. Ed era sicuramente legato alla Divina, altrimenti non avrebbe potuto contraddirla così spesso senza ripercussioni... no? Quindi, perché lasciarla morire?
«Questa sì che è un'ottima domanda.» Li interruppe la madre di Riful, avvicinandosi a loro. «Ciò che si nasconde nel cuore degli uomini è ancora più oscuro di qualsiasi altra creatura corrotta... Forse ritiene che l’Orda sia un esercito che può sopraffare.»
«Beh, qualsiasi sia la ragione della follia di Ulfric, chiaramente pensa che Urthemiel e il suo esercito di morti non sia una minaccia. Dobbiamo avvertire tutti.» Julian sembrava aver deciso già il da farsi.
Castalia lo guardò di sottecchi. Se il Venator aveva intenzione di imbarcarsi in un'impresa del genere, si accomodasse pure. Lei non era ansiosa di affrontare un’Orda di mostri assetati di carne umana.
«Ci avete salvati, grazie.» Disse contrita. «E mi dispiace per...»
La vecchia scoppiò in una risatina divertita. «Per cosa, avermi fatto il solletico? Sono rimasta sorpresa però, non sembravi nemmeno in grado di reggerti in piedi.»
Castalia si appoggiò alla gruccia, premendosi leggermente il fianco che ricominciava a pulsarle dolorosamente. «Beh, grazie lo stesso...» Si rese conto che ancora non sapeva il suo nome.
«Puoi chiamarmi Muriel.» Rispose lei.
La Druida sgranò gli occhi. «Asha'bellanar?» Sussurrò, facendo per inchinarsi al cospetto della vecchia.
La donna anziana la fermò subito, rassicurandola. «Un tempo la tua gente mi chiama così...» Rispose con un velo di tristezza nella voce.
Castalia si scusò, restando comunque a fissarla di sottecchi. Una vecchia strega che poteva tramutarsi in drago, e che condivideva il nome della donna da molti anni.
«Credo dovremmo andare dal Conte Volkhardt. Non era ad Ostagar e tutti i suoi uomini sono rimasti a Bowerstone. Ed era lo zio di Adelasia.» Spiegò Julian. «Lo conosco, è un brav'uomo, rispettato da tutta la nobiltà. Andremo a Bowerstone per chiedergli aiuto!» Sembrava sicuro del suo piano. «Una volta saputo del tradimento del Re, ci aiuterà a rimettere ordine a questo caos.»
«Quanta determinazione, giovanotto!» Esclamò Muriel. «Interessante.»
Riful fece capolino dalla porta, annunciando che la cena era pronta. I tre rientrarono nella capanna, sedendosi attorno ad un tavolo di legno. La zuppa che ribolliva nel pentolone aveva un odore buonissimo, e Castalia si sentì borbottare lo stomaco dalla fame. Riful le versò una porzione abbondante, che lei spazzolò a grandi cucchiaiate, prendendone poi dell'altra.
«Non so se gli uomini di Volkhardt basteranno.» Ruppe il silenzio Julian. «Bowerstone non può sconfiggere l’Orda da sola.»
Castalia rimase in silenzio, rimestando la zuppa col cucchiaio di legno. L'idea di andarsene appena fosse stata meglio le ronzava ancora in testa.
«Ma certo!» Esclamò il Venator dopo qualche minuto, illuminandosi. «I Trattati!»
Castalia si girò a guardarlo, senza capire.
«Noi Venator della Fratellanza possiamo chiedere aiuto a chiunque, e tutti sono obbligati a prestare soccorso in caso di bisogno fu la Divina Veronica a creare questa legge.» Spiegò raggiante. «Dobbiamo solo...»
«Girare per tutto il Nord e raccogliere un esercito partendo da sole due persone? Una passeggiata, insomma.» si intromise Riful.
Julian la ignorò, voltandosi a guardare Castalia. «Possiamo farcela, no?» Le chiese.
La ragazza deglutì un sorso di zuppa, non sapendo come rispondere.
Annuì, incerta. «Forse.»
«Un “forse” è meglio di niente!» Ribatté l'altro. «Dobbiamo fare qualcosa, siamo gli ultimi Venator rimasti a Nord! Se non fermiamo Urthemiel e la sua Orda di mostri...» Lasciò cadere la frase nel vuoto. Piombò nuovamente il silenzio. Castalia guardava intensamente il piatto vuoto. Afferrò del pane e si mise a sbocconcellarlo, senza più fame.
«Prima di andare da qualsiasi parte, vi consiglio di guarire le vostre ferite e rimettervi in sesto. Partirete non appena starete meglio.» Commentò Muriel.
Rimasero nella capanna per giorni, sotto le cure di Muriel e Riful, che cambiavano loro le bende regolarmente, applicando intrugli e pomate, mentre occasionalmente la madre recitava qualche incantesimo di guarigione. Riful sembrava non vedere l'ora che i loro ospiti se ne andassero e non andava affatto d'accordo con Julian. I due si beccavano continuamente, pur parlandosi appena. Castalia sperava di liberarsi in fretta di entrambi, ma non era completamente a proprio agio con l'idea di lasciare Julian ad occuparsi di Urthemiel e dell’Orda.
Urthemiel.
Secondo la vecchia Muriel era un’Abissale.
Per eoni indicibili i demoni Abissali hanno dominato il mondo insieme ai Nephilim. Era la loro casa, e il loro inferno. Ma col tempo, persero il loro potere sulla realtà, e come i Nephilim sparirono. Urthemiel era uno di loro, l’ultimo della sua orrenda stirpe, un essere che aveva un solo scopo: trasformare il mondo in un cimitero. La vecchia strega delle Paludi sosteneva che quel mostro era rimasto intrappolato in una dimensione tra le realtà. Un luogo di transito per gli spiriti, ma che per quel mostro divenne una prigione. Alla domanda sul perché avesse scelto la forma di un gigantesco Drago Nero la vecchia rispose semplicemente che i Draghi sono le creature più spaventose del mondo, proprio come gli Abissali.
Finalmente, dopo cinque giorni di strane storie e di erbe medicamentose estremamente puzzolenti furono pronti a partire.
Riful aveva recuperato sul campo di battaglia alcune armi, che i due Venator si legarono alle cinture. Castalia sentiva la mancanza della sua spada, ma soppesando la daga che aveva in mano dovette riconoscere che era meglio di niente. Julian si assicurò il piccolo scudo tondo di metallo dietro la schiena, infilandosi la spada nel fodero vuoto con qualche difficoltà.
«C'è un ultima cosa.» Disse loro Muriel, sull'uscio della capanna.
«Madre, lasciateli andare, o si farà così tardi che saranno costretti a fermarsi un'altra notte.» Si intromise Riful, uscendo anche lei sotto la luce del sole. Il cielo si era schiarito, e aveva sciolto il tappeto di neve che era caduto nei giorni precedenti. Un tempo perfetto per viaggiare, se non si aveva paura di sporcarsi di fango.
«I Venator se ne stanno andando, ragazza. E tu andrai con loro.» Rispose Muriel.
Riful sgranò gli occhi, sorpresa. «Cosa?!» Esclamò, pronta a ribattere.
«Mi hai sentito benissimo. L'ultima volta che ho controllato, avevi un paio di orecchie.»
Castalia si intromise a favore della giovane strega. «Se Riful non vuole, non è il caso di forzarla.»
«Oh, sono anni che vuole andarsene da qui, il suo sogno è visitare il mondo. E questa è un'ottima opportunità. Per quanto riguarda voi, Venator, consideratelo il vostro pagamento al debito nei miei confronti.» Disse l'anziana.
La giovane Druida si strinse nelle spalle. «Come volete.»
«Non per... guardare il cavallo in bocca, ma non ci creerà problemi? Insomma, fuori dalle Paludi, è un'eretica per la Fratellanza. Una maga esterna all’Accademia può essere un problema.» Si intromise Julian, che chiaramente non voleva la compagnia della maga.
«So cavarmela. E so essere discreta se voglio.»
«Sai, ho qualche difficoltà a crederlo.» Bofonchio Julian con sarcasmo mentre guardava l’insolito abbigliamento della ragazza alzando un sopracciglio. Di certo Riful non passava inosservata e non solo per i suoi vestiti pittoreschi, ma per il suo sguardo. simile a quello di un predatore in caccia.
Bella e selvaggia.
«Se non volevi l'aiuto di noi eretici giovanotto, potevi restare su quella torre a morire.» Ribatté Muriel.
Julian non sapeva cosa dire.
«Benvenuta tra noi Riful.» Esclamò Castalia senza troppi giri di parole.
Era stufa di starsene li con le mani in mano a disquisire se fosse una buona cosa portare Riful con loro. Se la giovane strega delle Paludi voleva tuffarsi in quel mare di problemi chi era lei per impedirlo?
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 12
Impiegarono qualche giorno ad uscire dalle Paludi e raggiungere la Via Imperiale. Riful aveva suggerito di dirigersi ad un villaggio poco distante, Riverwood, il cui commercio era fiorente grazie alla posizione strategica nel punto d'incontro delle strade che conducevano a Tristram, la capitale, Bowerstone e Westmoth, ma anche fuori dai confini del Khanduras, verso la città Barbara di Harrogath.
Sulla strada, più si avvicinavano a Riverwood, più numerosi diventavano i gruppi e le carovane di gente che fuggiva dall’Orda. Soldati feriti, civili con il poco che erano riusciti a salvare sulle spalle, straccioni che erano stati probabilmente al seguito dell'esercito, tutti sfilavano a testa bassa davanti a fattorie abbandonate, rovine in fiamme e morti abbandonati sul ciglio della strada.
Arrivarono in vista del villaggio verso mezzogiorno: le tende dei rifugiati erano ovunque, e il fumo di piccoli fuochi riempiva l'aria di profumo di cibo.
«Altolà!» Urlò un uomo parandosi in mezzo alla strada, seguito da una mezza dozzina di altri come lui. «C'è da pagare un pedaggio, per proseguire.» Mise una mano sull'elsa della sua spada, cercando di intimidire il gruppetto.
«Ah, sembra che la stupidità si stia diffondendo più velocemente dell’Orda di Urthemiel ...» Commentò Riful, sollevando un sopracciglio e guardandoli divertita.
Castalia sfoderò la sua spada, facendo qualche passo verso l'uomo e fissandolo dritto negli occhi. «Fuori dai piedi.» Gli intimò. Erano stati giorni difficili, Riful e Julian non avevano fatto altro che discutere, mentre la continua carovana di feriti e il puzzo dei cadaveri l'avevano resa particolarmente di cattivo umore. Non vedeva l'ora di mangiare una zuppa calda e riposarsi senza temere un attacco da un momento all'altro, e non sarebbero stati certo un paio di idioti a bloccarle la strada.
L'uomo deglutì, fissando lo sguardo di ghiaccio della ragazza. «Non importa chi siete, la regola è che dovete pagare.» Ripeté, anche se con meno convinzione, facendo per estrarre a sua volta la propria arma. Prima che potesse anche solo farla uscire per metà, si ritrovò l'elsa della spada di Castalia tra le costole. Andò giù con un gemito, sputando un rivoletto di sangue.
I suoi compari si gettarono subito sulla Druida, ma vennero storditi da un incantesimo di Riful, che li rallentò a sufficienza per permettere a Julian, e Castalia di eliminarli senza problemi. La Druida si chinò a frugare i cadaveri, recuperando una sacchetta ricolma di monete d'argento. Le armi che i banditi portavano addosso non valevano il loro peso, quindi le abbandonarono lì con il resto degli oggetti confiscati: sicuramente nel giro di qualche minuto uno dei mendicanti lì attorno sarebbe accorso a vedere cosa poteva raccogliere.
Entrarono al villaggio, venendo accolti da un frastuono di gente impegnata in lavori di vario genere, Castalia che si guardava intorno, frastornata da tutta quella gente.
Superarono la piazza principale. Qualcuno urlava a squarciagola, attirando una piccola folla.
«Non c'è speranza! Ci prenderanno tutti, mangeranno i cuori dei vostri figli, il male scenderà sopra tutti noi!» gridava l'uomo come un pazzo. Il pubblico si scambiava sguardi terrorizzati, alcuni piangevano, altri bisbigliavano che il Barbaro delle Montagne aveva ragione, non c'era via di scampo.
Castalia rimase un attimo a guardare la scena, incerta.
Julian le picchiettò sulla spalla. «Dovremmo dire qualcosa, no?»
«Perché?» Gli chiese lei. «Probabilmente ha ragione. Questa gente non ha mai preso una spada in mano, e un intero esercito di soldati ben addestrati, tra cui i famosi Venator, sono stati spazzati via nel giro di mezza giornata.» Scosse la testa, proseguendo oltre e lasciando l'uomo a urlare indisturbato. «Nel giro di qualche giorno, anche loro saranno tutti morti o peggio.» Bofonchiò, ma l'altro Venator sembrò non averla sentita. Si girò a cercarlo.
Julian era rimasto tra la piccola folla, l'aria corrucciata.
«Sembra che vostro amico abbia qualche problema ad affrontare la realtà.» Commentò Riful, che chiaramente trovava tutta la situazione immensamente divertente.
Rimasero a guardare mentre il ragazzo fronteggiava il Barbaro, che smise temporaneamente di urlare per guardarlo perplesso.
«Ascoltatemi bene!» Alzò la voce Julian, assicurandosi che tutti potessero sentirlo. «Non dovete perdere le speranze! Inquisitori e i soldati arriveranno qui e vi proteggeranno!»
Alcuni tra i presenti annuirono, un paio gridarono la loro approvazione.
Il Barbaro strabuzzò gli occhi, guardandolo sconvolto. «Posso sentire la morte su di te! L’Orda ci ucciderà tutti, vi dico! Come hanno distrutto l'esercito della Fratellanza, spazzeranno via questo posto!» Urlò, indicando Julian con mano tremante.
Il Venator sembrò in difficoltà, guardandosi attorno in cerca di aiuto da parte dei compagni. Castalia lo guardò a sua volta, incrociando le braccia davanti al petto. “Ora te la cavi da solo...” Pensò.
Julian si strinse nelle spalle, facendosi coraggio. «L’Orda non è imbattibile! Io stesso ho uccisi alcuni mostri e ci sono decine di uomini più capaci di me qui, a combattere per la buona gente di Lohering!» Ribatté. «E tu, sei grande e grosso, dovresti usare quella spada che porti sulle spalle per difendere questa gente, non terrorizzarli a morte con le tue urla! O sei forse un codardo?»
L'altro restò a bocca aperta a fissarlo, messo in imbarazzo dalle sue parole. «No, io...»
«Bravo!» «Diglielo!» Urlò qualcuno. Julian gonfiò il petto, sfidandolo a ribattere.
L'omone indietreggiò di qualche passo. «Beh, probabilmente avete ragione...»
Il Venator annuì convinto, voltandosi poi verso la folla. «C'è sempre speranza!» Dichiarò, per poi raggiungere Castalia e Riful, che erano rimaste a guardarlo in disparte.
«Strano, per qualcuno che fino ad un paio di giorni fa si disperava per la morte dei suoi compagni, sembra che tu si sia ripreso bene.» Gli disse Riful.
«Non so quanto possa servire.» Rincarò la dose Castalia, che tuttavia era rimasta ammirata dalle parole del compagno. Per tutto il viaggio Julian era rimasto in silenzio, corrucciato, ma sembrava che la determinazione che l'aveva preso nella capanna di Muriel si fosse soltanto rafforzata.
«Sempre meglio che lasciarli nel terrore.» Ribatté lui. «Siamo Venator, è il nostro lavoro.»
Entrarono nella Chiesa, a cercare informazioni sulla sorte dell'esercito e sul Re. Li accolse un giovane Inquisitore, che chiese loro se avessero bisogno di qualcosa.
«Informazioni.» Rispose Julian, che era quello del gruppo che attirava di meno l'attenzione. «Eravamo nell'esercito, ci siamo salvati per un soffio.»
Il ragazzo annuì, comprensivo. «Sì, sono in molti qui ad avere una storia come la vostra. Purtroppo, non c'è posto per altri rifugiati, a Riverwood, ma potrete prendere qualche provvista per il viaggio, e accamparvi nelle vicinanze per qualche giorno.» Rispose. «Cosa volete sapere?»
«Grazie, non intendevamo comunque fermarci per molto. La Divina, abbiamo saputo che è morta...» Rispose Julian, incupendosi.
«Si dice... si dice che i Venator l’abbiano assassinata. Che siano dei traditori, e abbiano cospirato insieme ad Urthemiel per distruggere la Fratellanza.» Rispose il giovane Inquisitore, abbassando la voce fino ad un sussurro. «Personalmente fatico a crederci, ma Re Ulfric lo ha annunciato, tornato da Ostagar, e lui è un uomo d'onore.» Scosse la testa, affranto. «La Divina si fidava ciecamente dei Venator... L'esercito è stato spazzato via, l’Orda sarà qui a giorni e noi non abbiamo abbastanza uomini per difendere la città.»
«Abbiate fede, ser, non è detto.» Cercò di confortarlo Julian. Il suo sguardo si posò alle spalle dell’Inquisitore. Castalia lo vide stringere gli occhi, come a cercare di riconoscere qualcuno. Il Venator si incamminò verso il fondo della Chiesa, avvicinandosi ad un cavaliere che stava sfogliando dei libri su uno scaffale.
«Julian?» Lo riconobbe quello, quasi lasciandosi cadere il tomo dalle mani. «Cosa ci fai qui?»
Il Venator lo salutò a sua volta. «Eravamo ad Ostagar. Stiamo cercando di andare a Bowerstone dal Conte Volkhardt...»
Il cavaliere fece una smorfia tesa. «Allora temo di avere brutte notizie per voi... il Conte è malato. E nessuno ha trovato una cura, per cui tutti i cavalieri di Bowerstone sono stati mandati alla ricerca del Sangue dell’Ultimo. Ci stiamo affidando persino alle leggende, da quanto siamo disperati.»
«Il Sangue dell’Ultimo?» Chiese Castalia, che non ne aveva mai sentito parlare prima,
«Il Conte è malato?!» La ignorò Julian, visibilmente turbato. «Com'è possibile? Da quanto?!»
Il cavaliere si strinse nelle spalle. «Due settimane circa. All'improvviso è collassato, e non si è più svegliato da allora.» Rispose.
«È terribile!» Esclamò Julian. «Dobbiamo arrivare immediatamente a Bowerstone, e scoprire cos'è successo.»
«Vi auguro buona fortuna, le strade sono sempre più pericolose.» Li salutò il cavaliere.
Uscirono dalla Chiesa, scambiandosi occhiate cariche di sconforto.
«Il Conte è malato e il Re non ha perso tempo a dare tutta la colpa a noi Venator... ora tutti pensano che abbiamo tradito il Khanduras, mentre lui può governare indisturbato finché non sarà eletta una nuova Divina! E senza Volkhardt, non c'è nessuno tra i nobili che possa tenergli testa.» Ringhiò Julian tra i denti, attento a non farsi sentire.
«Sempre peggio.» Commentò Castalia, guardandosi attorno. La sua attenzione venne catturata da un piccolo gruppo di persone, radunato attorno ad un carro carico di merci. Si avvicinò ad indagare. Una donna vestita con i colori della Chiesa stava litigando a voce alta con quello che era chiaramente il mercante proprietario del carro.
«Questa gente non può permettersi di pagare così tanto per beni di prima necessità!» Disse la donna, alzando la voce. «La maggior parte di queste cose le hai acquistate a poco prezzo dalle stesse persone a cui ora vuoi rivenderle al quadruplo del loro valore iniziale!»
Il mercante non sembrava impressionato. «Sono affari, sorella, niente di personale. Se non possono permettersi la mia roba, vadano a comprare da qualcun altro.» Notò i tre nuovi arrivati, e fece loro segno di avvicinarsi. «Ehi, voi! Se mi levate di torno questi scocciatori, vi farò uno sconto sulle merci che acquistate!» Urlò loro.
Castalia si avvicinò, individuando una bella spada a due mani spuntare dal carro. Era probabilmente della grandezza giusta per lei, sembrava affilata al punto giusto e di buona fattura. «Quanto per quella?» Chiese al mercante, indicando l'arma.
Quello si illuminò, gli occhietti che brillavano di cupidigia. «Quattro monete d'oro. È un affare, credetemi, non ne troverete una migliore qua in giro! Di ottimo acciaio e splendida fattura!»
Stava evidentemente gonfiando il prezzo. «Io dico che potete regalarmela. Ed evitare di affamare questa gente, che hanno già abbastanza problemi.»
L'altro le scoppiò a ridere in faccia. «Sei impazzita, ragazzina?!» Fece un gesto con la mano, come per scacciarla. «Via, non ho tempo da perdere, sparite, pure voi!» Si girò per coprire la merce esposta, dando le spalle alla Druida.
Castalia estrasse la sua spada, e prima ancora che il mercante potesse accorgersi di quello che stava succedendo, lo colpì con il pomolo sulla tempia. Quello cadde a terra con un gemito, privo di sensi, trascinandosi dietro parte della mercanzia, che si sparse con un rumore di ferraglia. La donna della Fratellanza si mise ad urlare, ma un paio di persone attorno a loro lanciarono grida di approvazione. Castalia ignorò tutti loro, recuperando la spada a due mani dal carro e saggiandone l'equilibrio e la lama, soddisfatta. Se la assicurò sulle spalle, prendendo anche una placca pettorale dal mucchio e misurandosela per vedere se fosse della sua taglia. Andava aggiustata, ma poteva andare.
Si girò poi verso Julian e Riful, che sembravano per una volta approvare entrambi. «Vedete se avete bisogno di qualcosa. Altrimenti, questa gente saprà certo farne uso.»
«Tu... Non vuoi nulla in cambio?» Balbettò la donna della Fratellanza, incerta su cosa fare.
«Non avreste nulla che mi serve.» Rispose la ragazza, finendo di assicurarsi la nuova armatura e lasciando per terra quella vecchia, praticamente distrutta dopo lo scontro ad Ostagar. La donna si affrettò ad esaminare le merci sul carro, aiutata dagli altri tre che la accompagnavano. Julian trovò degli stivali nuovi, da sostituire ai suoi che cadevano ormai a pezzi.
Se ne andarono poi in direzione della taverna, un edificio in legno piuttosto grande che dominava la piccola piazza sul fiume. L'interno era caldo, affollato e chiassoso. Uomini e donne si aggiravano muniti di boccali di birra e sacchi mezzi vuoti di vettovaglie, mentre il proprietario sbraitava ordini ai pochi camerieri costretti a servire quella masnada di gente.
«Non abbiamo camere!» Urlò non appena vide i nuovi arrivati avvicinarsi al bancone. «E non offriamo birra ai soldati, non mi importa da dove venite o cosa avete combattuto!» Mise in chiaro. Castalia gli mise di fronte una manciata di monete, prese dai briganti affrontati prima. «Dacci tutta la carne secca, il pane e il formaggio che possiamo comprare con questi.»
L'oste squadrò il gruzzolo. «E dove li avete presi tutti questi soldi?» Le chiese diffidente, addentando una moneta con sospetto. Sembrò soddisfatto, però, e sparì sul retro.
«Ottima domanda.» Disse qualcuno con tono da attaccabrighe.
Si girarono, vedendo alzarsi cinque uomini armati di tutto punto venire verso di loro, minacciosi.
«Il Re sta cercando proprio due come voi, e ha messo una bella taglia su di voi. Siete i Venator traditori, vero?» Disse l'uomo che aveva parlato prima, estraendo la spada. «Vi preferirebbe vivi, ma non penso abbia nulla in contrario se vi portiamo da lui a pezzetti.»
Castalia sfoderò la spada a sua volta, soddisfatta di come se la sentisse in mano. «Pensi davvero sia una buona idea?»
«Ehi, stiamo calmi...» Provò ad intromettersi Julian. «C'è un sacco di gente, qui, e qualcuno potrebbe farsi male se…»
«Fate spazio!» Urlò Castalia, prima di gettarsi contro il capo a testa bassa, facendo cozzare le spade con un forte clangore metallico. Quello rispose al colpo, ma la ragazza era più veloce e capace. Gli avrebbe tagliato la testa con un colpo ben assestato, se non fosse stato per una ragazza che le si parò davanti a braccia aperte, costringendola a fermarsi a pochi centimetri dalla sua gola.
«Sei impazzita?!» Le gridò, furente. L'uomo ne approfittò per sgusciare via, facendo per colpirla ad un fianco, prendendola alla sprovvista. La ragazza che si era intromessa però gli sferrò un colpo alla testa con il manico di un coltello estratto dalla veste, facendolo barcollare e dando la possibilità a Castalia di buttarlo a terra con un calcio. Assicurandosi che l'uomo restasse fermo puntandogli la spada alla gola, si girò di nuovo verso l'altra.
«Che ti salta in mente?!»
L'altra alzò le mani in segno di resa, rinfoderando l'arma. Portava un arco e una faretra piena di frecce sulle spalle, e due coltelli legati alla cintura, che cozzavano con gli abiti da Sacerdotessa che indossava. Aveva i capelli ramati tagliati a caschetto, due treccine che pendevano di lato. «Non c'è bisogno di uccidere nessuno, vero? Questi uomini si saranno chiaramente resi conto di non avere speranze...» Disse, lanciando un'occhiata verso quei cacciatori di taglie, che si scambiarono uno sguardo terrorizzato. Uno di essi era tenuto da Julian, che lo aveva disarmato colpendolo in piena faccia con lo scudo.
Castalia scosse la testa. «Non credo proprio.» Ringhiò, premendo l'arma contro la gola del capo. Quello singhiozzò terrorizzato, sentendo la lama spillare sangue.
«Ferma!» Le intimò la ragazza, afferrandole il braccio. Aveva una presa sorprendentemente salda.
«Ti consiglio di lasciarmi, o sarai la prossima.» Esclamò Castalia in tono minaccioso, non togliendo lo sguardo dall'uomo a terra.
«Siete dei Venator, vero?» Proseguì la ragazza, non accennando a mollare la presa. «Sono qui per aiutarvi, è il compito affidatomi dal Creatore.»
Castalia scoppiò a ridere. «Come hai detto?»
«Il Creatore mi ha parlato, devo venire con voi, aiutarvi a sconfiggere l’Orda.»
«Oh, allora è tutto a posto.» La prese in giro Castalia, allontanando però di poco la spada dall'uomo. «Le voci nella tua testa ti dicono di seguirci, prego, aggregati pure.»
«Sul serio?» Le chiese l'altra, sorpresa.
«No!»
Castalia si girò nuovamente verso l'uomo, sollevando la spada e conficcandogliela nel collo con forza. Si girò poi verso gli altri, estraendo la lama e puntandola verso di loro. «Voi siete i prossimi.» Annunciò, prima di caricarli roteando la spada con agilità e troncare un braccio di quello più vicino, che cadde a terra con un urlo assordante. Julian tagliò la gola a quello che teneva prigioniero, mentre Riful usava la punta del suo bastone per trapassare la gola al terzo.  Alla fine, ne restò solo uno.
«Pietà! Pietà, vi prego!» Urlò terrorizzato, tenendosi le mani sopra la testa, le armi abbandonate a terra. «Non uccidetemi, non volevo nemmeno venirci, qui»
Castalia lo tirò su afferrandolo per il colletto. «E allora avresti dovuto farti furbo, e scappare.»
«Vi prego, lasciatemi andare! Non dirò nulla a nessuno, lo giuro...»
«Di certo lui da solo non costituisce un pericolo.» Si intromise nuovamente la ragazza vestita da Sacerdotessa della Fratellanza.
«Correrà da Ulfric nel momento stesso in cui lo lasceremo andare.» Ribatté Castalia, sollevando la spada per dargli il colpo di grazia. L'altra le urlò di nuovo di fermarsi, ma la Druida la ignorò, staccando la testa dell'uomo con un colpo netto.
Pulì il sangue dalla lama con uno straccio preso da un tavolo, per poi voltarsi verso l'oste, estraendo altre cinque monete d'argento dalla sacca che portava alla cintura. «Per il disturbo.» Disse, lanciandogliele sul bancone e afferrando il sacco con le provviste che l'uomo aveva loro preparato, per poi uscire dalla taverna.
«Qualcuno parlerà.» Le disse Julian mentre cercavano un posto dove mangiare qualcosa, appena fuori città. «La notizia non tarderà ad arrivare fino a Trisram.»
«Bene.» Ribatté Castalia, buttandosi a terra e rovistando nella sacca alla ricerca di un pezzo di carne secca. «Racconteranno anche di come li abbiamo massacrati, e questo terrà lontani i prossimi.»
«Non ci conterei troppo.» Commentò il ragazzo, sedendosi anche lui e prendendole la sacca, tirandone poi fuori un pezzo di pane e uno di formaggio.
«Castalia ha ragione. Se ci temono molti cacciatori di taglie si terranno alla larga.» Disse Riful, seduta poco distante.
«Speriamo… Comunque, hai visto gli incarichi sulla Bacheca del Cantore?» Le chiese Julian. «Davano una ricompensa di tre monete d'oro per chiunque avesse liberato la zona settentrionale dai ragni giganti.»
A quelle parole, Castalia rabbrividì, i ricordi della caverna che lei e Caleb avevano esplorato ancora vividi. Odiava i ragni, non li aveva mai potuti sopportare, figuriamoci dopo quanto era accaduto. «Non ho intenzione di avvicinarmi a quei cosi.» Decretò.
«Beh, c'era anche una ricompensa per eliminare qualche bandito, verso il bivio per Bowerstone.» Continuò il ragazzo.
«Altri banditi?» Chiese lei con una smorfia. «Questo posto è sempre meglio.»
«Ci farebbero comodo altri soldi...» Cercò di convincerla l'altro.
«Lo fai solo per proteggere gli inutili abitanti di questo villaggio, Julian, non prendiamoci in giro.» Disse Riful, intromettendosi nel discorso.
«E che ci sarebbe di male in questo?!» Ribatté offeso lui. «Solo Perché a te non interessa di niente e di nessuno, non significa che non sia importante aiutare chi ha bisogno!»
Prima che potessero rimettersi a bisticciare, Castalia si alzò in piedi di scatto. «Va bene!» Sbottò, mettendoli entrambi a tacere. «Elimineremo questi dannati banditi e prenderemo la ricompensa.»
Si diressero a nord, verso seguendo la riva del fiume e sbucando dietro ad un campo, già depredato di ogni cosa commestibile che vi crescesse un tempo.
«Dovrebbero essere da queste parti...?» Disse Julian, guardandosi attorno e indicando una collina di fronte a loro. «Forse si nascondono lì dietro.»
«Fidati, appena vedranno tre avventurieri, ci piomberanno addosso in un attimo.» Gli assicurò Castalia con un mezzo sorriso.
Trovarono i banditi dopo nemmeno un'ora, quando vennero attaccati in quella che i malviventi credevano fosse un'astuta imboscata. Dopo un acceso scontro, l'ultimo di essi, il capo probabilmente, si buttò a terra, implorando pietà.
«Non credo proprio.» Disse Riful con un ghigno divertito, roteando il suo bastone magico e sparando un getto di scintille sull'uomo che, già ferito, collassò in preda agli spasmi.
Castalia gli frugò nelle tasche, recuperando alcune monete e una chiave. Il forziere, che trovarono nascosto dietro una roccia poco più avanti, conteneva un paio di gioielli dall'aria costosa, che avrebbero potuto vendere per ricavarne un buon gruzzoletto, e un pugnale dall'elsa decorata.
«Carino.» Commentò la ragazza, mettendoselo nella cintura. «Bene, direi di avviarci a prendere la nostra ricompensa...»
Sulla strada di ritorno per il villaggio, un folto gruppo di contadini tagliò loro la strada.
«Voi siete Venator vero?» Disse uno di quelli, armato di un coltellaccio da macellaio.
«Si.»
«Prendiamoli!» Urlò qualcun altro dal fondo del gruppo.
Castalia sollevò un sopracciglio, squadrandoli. Erano una dozzina di persone, forse un paio di più, indossavano vestiti da tutti i giorni ed erano armati solo di piccoli coltelli da lavoro o attrezzi per coltivare i campi. Si scambiò uno sguardo con Riful, divertita.
«Davvero pensate sia una buona idea?» Chiese loro a voce alta.
«Abbiamo appena fatto fuori dei banditi, poco più avanti, e praticamente non ci siamo fatti un graffio.» Rincarò la dose Julian. «Fatevi da parte, non vale la pena morire per niente.»
«Non è niente di personale!» Rispose un uomo anziano, che quasi non si reggeva in piedi. «La ricompensa che ha offerto Ulfric sfamerà tutte le nostre famiglie...»
Si fecero avanti in cinque, correndo verso di loro.
Castalia ne falciò via due con estrema facilità, roteando la spada intorno a sé e tagliando le loro carni prive di armatura come se fossero fatte di burro. Julian ne aveva stordito uno con lo scudo, colpendone un altro con la spada: caddero entrambi a terra, privi di sensi ma vivi. L'ultimo venne attaccato dalla Strega, che lo colpì con una bastonata sotto il mento.
Alla vista della scena, gli altri si fermarono, intimoriti.
«Ultima possibilità.» Avvisò Castalia minacciosa, la punta della spada tenuta alta verso di loro.
Quelli si scambiarono uno sguardo spaventato. Un paio di essi scapparono via verso il villaggio, ma l'uomo anziano che aveva parlato prima cacciò un urlo, zoppicando verso di loro, il coltello alzato.
Castalia scosse la testa, roteando l'arma e mirando al collo. Un tonfo sordo segnalò che il colpo era andato a segno, ma lei si era già avventata contro il successivo.
In pochi attimi, era finita.
Si guardarono attorno, in un lago di sangue. Alcuni gemevano di dolore, ma la maggior parte era morta o priva di conoscenza.
«Potevi anche non ucciderli.» Commentò Julian, guardando i cadaveri con disgusto.
«Li avevo avvertiti.» Rispose secca la ragazza. Sputò per terra un grumo di sangue, pulendosi il labbro tagliato dove uno dei banditi di prima era riuscita a centrarla con una testata. «Stupidi idioti.»
Mandarono Julian a recuperare i soldi della taglia sui banditi, mente Riful e Castalia trovavano un posto dove accamparsi la notte. Il ragazzo tornò dopo poco tempo, sedendosi accanto alla compagna e lanciandole il sacchetto con le monete appena recuperate. «Hai dato un'occhiata ai Trattati?» Le chiese. «Dovremmo decidere dove andare.»
«Credevo che volessi andare a Bowerstone.»
«Sì, beh, ma ci sono anche altri a cui potremmo chiedere aiuto. I Barbari delle montagne, Druidi... Magari c'è scritto qualcosa di utile su come effettivamente usare i Trattati.»
«E allora perché non li hai guardati tu?» Ribatté lei, prendendo un sorso d'acqua.
«Li hai tu nella borsa. Pensavo li avessi tenuti per guardarteli con calma.»
“Oh, già”. Con tutto quello che era successo da quando li avevano trovati, si era dimenticata di averli tenuti in borsa e non averli nemmeno consegnati a Rylan. Li estrasse dalla tracolla, erano un po' stropicciati, ma la Venatora in pelle sembrava resistente e impermeabile.
«Tieni.» Disse dandoli a Julian.
L'altro allungò la mano, sfogliandoli. «Qui, non c'è niente di utile, a parte che siamo in grado di chiedere soldati a chiunque. Potremmo pure invocare il diritto di coscrizione...»
«Scordatelo.» Lo interruppe Castalia con voce dura. Ancora le bruciava essere stata trascinata via dal suo clan, non avrebbe fatto la stessa cosa.
«Scusa. Mi ero dimenticato...» Julian si grattò la nuca, a disagio. «Com'era? Il tuo clan, intendo.»
Castalia si alzò di scatto. Non le andava di parlarne. «Vado a riempire le borracce.» Disse allontanandosi.
Finì per ripercorrere la città per intero, uscendo dalla parte opposta da cui erano arrivati. Una gabbia attirò la sua attenzione, era grossa, abbastanza da tenere un uomo al suo interno, ma non permettergli di stare seduto. Si avvicinò, incuriosita. Da dietro le sbarre, un uomo più alto di qualsiasi altro lei avesse mai vista alzò lo sguardo, puntando un paio di occhi viola nei suoi. Era albino, dalla pelle scura e portava i capelli acconciati in treccine legate dietro la nuca in una coda di cavallo.
«Non sei di questo villaggio.» Ruppe il silenzio quello. «Chi sei?»
«Castalia.» Rispose lei.
«E cosa ci fai qui, Castalia?» Le chiese di nuovo l'uomo. «Sei venuta a deridermi, e insultarmi come gli altri?»
La ragazza si avvicinò ulteriormente alla gabbia. «Perché dovrei?»
��Perché sono un assassino. Ho ucciso dei contadini.» Rispose il prigioniero. «E sono stato condannato ad aspettare qui l'arrivo dell’Orda.»
Castalia soppesò la sua risposta. «Come mai li hai uccisi?»
L'altro sospirò, come se considerasse tutto ciò una grande scocciatura. «Sono stato preso dal panico, e quei contadini erano nelle vicinanze.»
«Sembra che tu sia più che in grado di usare una spada.»
«Lo sono. Perché ti interessa?»
«Sono un Venator. Io e i miei compagni stiamo cercando di fermare l’Orda.» Spiegò lei.
«Ho sentito parlare dei Guerrieri della Luce. Sono stato mandato qui per indagare sulla piaga dell’Orda e il mio compito era tornare dal mio Re con delle risposte.»
«Chi ha le chiavi?» Gli chiese.
«La vecchia della Chiesa.»
Castalia annuì, per poi allontanarsi in direzione della Chiesa. Avrebbe chiesto alla vecchia di darle le chiavi, con le buone o meno.
«Che avevi da confabulare con quell’Uomo di Caldeum?» Le chiese una voce con uno strano accento.
Si girò di scatto, portando istintivamente una mano dietro la schiena, afferrando la spada. Un uomo era di fronte a lei, i capelli neri e la barba curata tenuta corta, gli occhi che brillavano divertiti.
«Ehi, non preoccuparti, non stavo andando a fare la spia!» Si affrettò a dire quello. «Nemmeno io ho tanto affetto per la Fratellanza.»
«Ah sì? Buon per te.» Tagliò corto la ragazza, facendo per andarsene.
«Non ti darà mai le chiavi, lo sai vero?» La inseguì lui, affiancandola. «Ti conviene aprire il lucchetto adesso, senza che nessuno ti veda.»
Castalia si fermò, scocciata. «Non so scassinare una serratura, e a meno che tu non ti stia offrendo di farlo...» Gli fece chiaramente segno di levarsi di torno.
L'altro sfoderò un sorriso accattivante. «Nessuna… serratura mi può resistere.» Disse, facendole l'occhiolino.
«Coraggio.»
Tornarono di fronte al prigioniero, che li squadrò privo di espressione. «Cambiato idea?» Le disse.
Castalia incrociò le braccia, voltandosi verso lo scocciatore. «Allora?»
L'uomo le sorrise un'altra volta, prima di armeggiare sulla serratura con dei piccoli pezzi di metallo.
«Ecco fatto.» Le disse dopo pochi minuti, ignorando la sorpresa sul volto di Castalia.
«Sei un ladro.» Esclamò lei.
«E tu sei un Venator, qui nessuno è perfetto mi pare...» Ribatté lui, per nulla impressionato. «Vi ho visti, alla locanda. Avete bisogno di tutto l'aiuto possibile, con l'intero Khanduras che vi crede traditori... persino di quello di noi criminali.»
La ragazza rimase a guardarlo, incerta sul da farsi.
«Non dirò nulla, se tu farai lo stesso.» Proseguì l'uomo. «Ora, se ti dai una mossa...»
Castalia si decise a muoversi, e aprì la gabbia. Il Barbaro, però, rimase all'interno, scrutando il ladro con aria torva.
«Guarda che puoi anche uscire.» Gli disse quello. «Sei libero.»
«Mi sono fatto catturare di mia volontà.» Ribatté il prigioniero. «E non mi fido dei ladri.»
L'uomo si strinse nelle spalle. «Credo che mi metterò a piangere.»
«Invece di aspettare di morire dentro una gabbia, puoi aiutarci a fermare l’Orda.» Disse Castalia al Barbaro. «E se proprio ci tieni a morire, potrai farlo combattendo uno di quei mostri. Comunque, la scelta è tua, fai come vuoi.»
Quello sembrò rifletterci, ma poi chinò il capo. «Va bene, Castalia dei Venator. Sono Kamal.»
«Andiamo.»
«Beh, sembra che io abbia compiuto la mia buona azione della giornata.» Commentò l'uomo, grattandosi la barba. «Ora me ne vado. Buona fortuna nel salvare il mondo.»
«Riverwood sarà presto invasa.» Lo fermò Castalia. «Faresti meglio ad andartene, finché sei in tempo…. E be… potresti venire con noi.» Gli chiese, anche se suonava stupida.
L'altro alzò una mano, come a scacciare una mosca. «Onestamente non mi va di morire quindi… no grazie... inoltre ho un lavoro da svolgere…» Le disse, voltandosi e iniziando ad allontanarsi. «Chissà però… forse ci rivedremo mia bella Venator!»
Castalia stranamente arrosi incespicando con le parole. «C…come ti chiami?»
L’uomo però non riuscì a sentirla.
«Mi servirà una spada.» Disse Kamal dietro di lei. «E un'armatura.»
«Già.» Rispose laconico l'altro.
«Abbiamo recuperato una buona spada, prima, in mano a dei briganti. Puoi prendere quella.»
«D'accordo.»
In silenzio, arrivarono dagli altri, per trovare che c'era qualcuno di sgradito. La ragazza della taverna era seduta di fianco a Julian, ed erano impegnati in una fitta conversazione. Entrambi alzarono lo sguardo al loro arrivo, sorpresi della presenza del gigante albino.
«E lui chi è?!» Chiese Julian, scattando in piedi.
«Lui è Kamal.» Rispose Castalia. «Piuttosto, chi ha invitato la pazza?»
«Non guardare me. Di casi umani già ne abbiamo uno...» Si intromise Riful, guardando la ragazza dai capelli rossi con schifo malcelato.
«Ehi!» La redarguì il ragazzo. «Se ci vuole dare una mano, perché no?»
«Perché parla con le voci nella sua testa, Julian.» Rispose tagliente Castalia. La ragazza tossicchiò, schiarendosi la voce. «Non ho mai detto di parlare con delle voci.» Obiettò. «Il Creatore mi ha dato un compito, e io ho intenzione di seguirlo. Fatemi venire con voi.»
Castalia alzò la voce. «Scordatelo.»
«Sei una Druida, vero?» Le chiese quella. «So che non credete nel Creatore, ma potrei esservi utile. Hai visto di cosa sono capace, posso tirare con l'arco, usare i pugnali, aprire lucchetti e cose del genere... Nessuno qui ha le mie stesse abilità. E non importa Perché lo faccio, l'importante è che io vi voglia aiutare, no?»
«Dai, Castalia, Miria ha ragione!» Rincarò la dose Julian, rivolgendole uno sguardo supplichevole.
«Perché ti interessa tanto?» Sbottò la ragazza.
«Perché nessuno parla mai con me, e magari lei mi spiegherà come chiacchierare con le voci nella mia testa, per scacciare la solitudine.» Rispose lui, cercando di fare lo spiritoso. «Anche tu hai reclutato lui, no?» Disse, indicando Kamal, che nel frattempo era rimasto in piedi, in disparte e in silenzio.
Castalia sospirò. «D'accordo. Ma non voglio sentire una singola parola sul Creatore, su missioni divine e quant'altro. E una volta arrivati a Bowerstone...» Si interruppe bruscamente.
Non sapeva se fosse ancora dell'idea di andarsene, ma non poteva certo dirlo ad alta voce. «Una volta arrivati a Bowerstone, vedremo cosa fare dopo.» Concluse, prendendo il suo zaino e mettendoselo su una spalla. «Dobbiamo andare, comunque. Tra poco ci verranno a cercare.»
«Perché, che altro hai fatto?» Le chiese Julian, allarmato.
«Niente di che, ho solo liberato Kamal, qui, da una gabbia dove la Fratellanza lo aveva rinchiuso.» Ignorando le accese proteste del ragazzo, fece segno a Riful di spegnere il fuoco.
«Ho portato un mulo.» Si intromise Miria, indicando un animale che ruminava poco distante. «Ho pensato che fosse una buona idea, calcolando quante cose dovremmo portarci dietro durante il viaggio...»
«Anche questo te l'hanno suggerito le voci?» La sbeffeggiò Riful, avvicinandosi però all'animale per caricarlo delle sue cose. Ben presto, furono di nuovo sulla Via Imperiale, svoltando a sinistra al crocevia, diretti a Bowerstone. Julian provò a chiedere a Kamal per quale motivo fosse stato incarcerato, ma l’uomo continuò ad ignorarlo smaccatamente, il volto una maschera impassibile.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 13
Dopo un paio di giorni di viaggio, si accamparono per la notte nelle vicinanze del villaggio di Bowerstone, con l'intenzione di raggiungerlo la mattina seguente. Non avevano incontrato viaggiatori e, dalla collina su cui erano, il villaggio appariva silenzioso, soltanto alcune fioche luci erano accese. Il Lago Calenhad, dietro di esso, si estendeva a perdita d'occhio come una massa scura.
Era una notte buia, lo spesso strato di nuvole che li aveva accompagnati per tutto il giorno non accennava a diradarsi.
«Castalia, posso parlarti un attimo?» Le chiese Julian, una volta che ebbero sistemato a terra i giacigli e Riful si stava occupando della zuppa.
La ragazza annuì, seguendolo fuori dal cerchio di luce proiettata dal falò.
«Che succede?»
Julian sembrava incerto, spostava il peso da un piede all'altro e continuava a guardare poco oltre di lei. Chiaramente, non sapeva da dove cominciare, ma quello che stava per dirle era per lui importante.
«Sai che sono cresciuto a Bowerstone, no?» Si decise finalmente a parlare. «Il Conte Volkhardt mi ha cresciuto, fino a che non sono stato mandato alla Fratellanza per diventare un Venator...»
Castalia gli fece segno di continuare, non avendo idea di dove lui stesse andando a parare.
«Ecco, quello che non ti ho detto è che Volkhardt sapeva benissimo chi fossi e per quello mi ha tenuto con sé finché ha potuto. Mia sorella...» Si fermò di nuovo, prendendo un profondo respiro. «Mia sorella era la Divina Adelasia.» Rivelò abbassando lo sguardo sul terreno. Dopo qualche attimo, non ricevendo riscontro dalla Druida, la guardò di sottecchi. «La Divina…» Ripeté.
La ragazza rimase qualche attimo a fissarlo, in silenzio.
«Quindi... La Divina era tua sorella?» Gli chiese finalmente.
«Sorellastra, tecnicamente.»
Di nuovo il silenzio.
«Questo spiega l'idiozia di entrambi.» Disse Castalia, scrollando le spalle.
«Ehi!» Esclamò Julian, facendo una smorfia. «Non offendere la mia delicata sensibilità!»
«Non capisco perché questa informazione mi dovrebbe interessare? Dimmi, dovrebbe cambiare qualcosa?»
L'altro sembrò spiazzato dalla domanda. «Beh, no. Comunque, non te lo volevo dire Perché... Di solito appena qualcuno scopre che sono il fratello bastardo di una Divina, cominciano a trattarmi diversamente. Persino Rylan, per proteggermi, mi ha tenuto fuori dalla battaglia. Pensavo che…»
«Nah.» Lo interruppe Castalia. «Eri un scemo prima, resti un scemo adesso, non cambia di chi sei fratello.»
«Grazie... credo. Non so se dovrei sentirmi offeso o rincuorato.»
«Altro da dirmi?» Chiese lei. «Non so, hai un drago come animale da compagnia, o un'arma segreta per sconfiggere l’Orda... Sai, qualcosa di effettivamente utile a sapersi.»
Julian scoppiò a ridere. «Se avessi un drago, credo che ormai l'avresti notato, no?» Scosse la testa, visibilmente sollevato. «Comunque ti farò sapere.»
«Sembra troppo tranquillo.» Commentò Castalia guardando il villaggio.
«In effetti me lo ricordavo più... vivace.» Esclamò Julian. «E non abbiamo incontrato nessuno sulla strada, per tutto il giorno.»
Rimasero in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri.
«Mi dispiace, che tu sia stata trascinata in tutto questo, sai?» Disse lui. «Deve essere stato orribile essere portata via dalla tua famiglia... Io ero felice con il Conte, e capisco quello che provi.»
«No invece.» Lo interruppe lei. «Non puoi capirlo.» Strinse i pugni, il pensiero che volava alle rovine dove aveva perso Caleb. Cosa ne poteva sapere?!
«Hai ragione, scusa. È che... Rylan ti ha salvato la vita, no? Mi ha raccontato di avere temporaneamente fermato la Corruzione dei Risvegliati, e di averti portato con sé per…»
«Non mi ha salvato la vita.» Ringhiò Castalia. «Mi ha costretta ad andare con lui ad Ostagar. E ora che è morto...» Si interruppe bruscamente.
«Ora che è morto...?» Ripeté Julian. «Cosa intendi dire?»
«Ora che è morto, me ne posso anche andare.»
«Cosa?!» Sbottò l’uomo, mettendosi quasi ad urlare. «Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Siamo gli unici rimasti, gli unici che possono fermare l’Orda! Non puoi andartene!» Si era alzato in piedi, fronteggiandola, rosso di rabbia. «Come puoi essere così egoista?!»
«E non è egoista trascinarmi in questo casino?!» Sbottò lei, mettendosi a gridare a sua volta. «Non volevo averci nulla a che fare, con tutto questo!»
«Hai giurato!»
«E chi mi costringerà a mantenerlo, eh? Tu?» Lo sfidò.
Julian indietreggiò, guardandola ferito. «Non...»
«La città!»
Miria arrivò correndo verso di loro, l'arco a tracolla, gli occhi sbarrati. Guardò entrambi sorpresa.
«Che sta succedendo?» Chiese. Senza aspettare risposta, indicò qualcosa alle loro spalle. «Non abbiamo tempo, qualsiasi cosa sia. Guardate!»
Si voltarono: il villaggio sotto di loro era in fiamme, nuvole di fumo e scintille che si alzavano a brillare nella notte. Il vento cambiò direzione, portando verso di loro delle urla disperate.
Rimasero per qualche secondo ancora a fronteggiarsi, poi Julian scosse la testa, facendo due passi indietro. «Non è finita.» Disse, prima di fare cenno a Miria e correre di nuovo verso l'accampamento.
Castalia rimase a fissarlo per qualche istante, poi si decise a fare lo stesso.
«Julian e la pazza sono già corsi giù.» La avvisò Riful, una volta arrivata di fronte al falò. «Peccato, la cena era quasi pronta.» Indicò il pentolone, che ribolliva invitante.
«Cosa stiamo aspettando?» Chiese loro Kamal, la grande spada a due mani che Castalia gli aveva procurato già pronta a falciare qualcuno.
La ragazza annuì, controllando i lacci che tenevano insieme la propria armatura. «Andiamo, prima che si facciano ammazzare.» Disse, per poi fare cenno di seguirla.
«Dobbiamo proprio?» Commentò Riful, scocciata, ma la seguì ugualmente.
Corsero giù per la collina. Il cielo era illuminato dalle fiamme provenienti da Bowerstone, che proiettavano ombre sinistre sul terreno.
Arrivati davanti alle porte del villaggio, uno spettacolo terrificante si parò loro davanti.
Almeno tre cadaveri, in fiamme, si voltarono verso di loro. Le orbite vuote, la carne morta che si inceneriva e cadeva a pezzi rivelando l'osso sottostante, le armi in pugno. Si scagliarono contro i nuovi arrivati.
Presa di sorpresa, Castalia fece un balzo indietro, per evitare di essere scottata dalle fiamme. Una saetta di elettricità colpì il suo aggressore, scaraventandolo indietro e dandole la possibilità di contrattaccare, colpendolo al fianco.
Roteò su sé stessa, colpendo anche il secondo prima che potesse avvicinarsi a Riful. Vide Kamal decapitare di netto il terzo, facendolo afflosciare a terra. Un raspare sotto di lei la fece sobbalzare: uno dei cadaveri strisciava sul terreno schioccando le mascelle, trascinandosi solo sulle braccia, il busto troncato dal resto del corpo, le cui gambe giacevano inerti poco distante, il fuoco che lo stava consumando quasi interamente. Fece un salto indietro, imprecando. La lama di Kamal calò sulla testa del cadavere, silenziandolo in modo permanente.
«Cosa ci fanno qui questi cosi?!» Urlò Castalia a Riful.
«Cadaveri rianimati.» Rispose lei, osservandone uno da vicino. «Ci deve essere della magia oscura molto potente all'opera, per riuscire ad averne un esercito sufficiente ad attaccare l'intera città. Quasi sicuramente è opera di un Risvegliato.»
«Risvegliati.» Commentò Kamal, disgustato. Entrambi non sembravano voler proseguire verso la città.
«Voi fate come volete, ma io vado ad assicurarmi che Julian non si faccia ammazzare.» Disse ai compagni, superandoli. Cercava di non pensare all'ultima volta che aveva affrontato dei cadaveri come quelli, concentrandosi sulla battaglia. Gli altri due, dopo un attimo di esitazione, la seguirono di malavoglia. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Si fecero strada tra le fiamme e i cadaveri. Una decina di soldati stavano combattendo quelle creature, cercando di bloccare l'accesso al resto del villaggio.
«Verso la Chiesa!» Urlò loro Miria, centrando con una freccia l'orbita vuota di un cadavere. «Hanno bisogno di rinforzi!»
Castalia vide Julian precederli, buttando a terra un paio di cadaveri putrescenti usando il suo scudo e proseguendo oltre, lasciando che Kamal e la Druida li finissero. Superarono diverse barricate di fortuna, alcune di esse in fiamme, arrivando alla piazza principale. Il grosso dei soldati era posto a difesa della Chiesa, ma i nemici li superavano in gran numero. Si gettarono nella mischia, andando in aiuto dei soldati. Miria li bersagliava con le sue frecce, mentre Riful lanciava incantesimi di supporto. Kamal e Castalia caricarono, facendosi strada tra i cadaveri con potenti fendenti che spezzavano loro le ossa e li facevano caracollare a terra. Uno dei cadaveri si attaccò alla gamba di Castalia, cercando di azzannarle un polpaccio ma colpendo i gambali, che le evitarono qualsiasi ferita.
«Fenedhis lasa!» Sbraitò lei, staccandoselo di dosso con uno strattone e un colpo di spada. Distratta, non vide quello che sopraggiungeva dietro di lei. Sentì solo un colpo sulla schiena, protetta anch'essa dall'armatura, e vide Kamal colpire con un poderoso pugno il suo aggressore. Castalia girò su se stessa e recise la testa del cadavere. Si premette una mano sul braccio, dove la lama nemica era riuscita a insinuarsi tra le giunture dell'armatura. Lo ritirò, guardandosi la mano sporca di sangue. Imprecò nuovamente, affiancandosi a Kamal, che nonostante fosse privo di armatura non batteva ciglio davanti alla massa di nemici che si fiondavano contro di loro. Riful ne buttò a terra un piccolo gruppo con un incantesimo di telecinesi, permettendo ai soldati della città di finirli rapidamente. Quando ebbero respinto l'ondata, si fermarono un attimo a prendere fiato. Castalia cercò di individuare Julian, ma del Venator non c'era traccia.
«Siamo arrivati giusto in tempo.» Urlò Miria, avvicinandosi a loro. «Non sono rimasti in molti a difendere il villaggio...»
«Vi ringraziamo del vostro aiuto, signori.» Disse loro un uomo di mezz'età, la folta barba che spuntava da sotto l'elmo, un arco lungo stretto in pugno. Castalia notò che stava finendo le frecce.
«Quando sono arrivati?» Gli chiese.
«Al tramonto, come al solito.» Rispose l'altro. «Ormai è la quarta notte che ci attaccano. Ieri mattina è arrivata una ragazza, ci ha dato una mano ad organizzare le difese... Il fuoco è stata una buona idea, anche se all'inizio è più difficile colpirli, dopo un po' bruciano completamente e cadono giù.» Spiegò, indicando una pila di corpi carbonizzati accatastati contro le barricate.
«Ogni notte?» Chiese Miria. «E avete scoperto Perché?»
L'altro scosse la testa. «No, sappiamo soltanto che vengono dal castello. E non abbiamo notizie da là sopra da quando è iniziato tutto.» Prima che potessero rispondere, una nuova ondata di nemici apparve dietro le case, costringendoli a rimandare qualsiasi discorso a più tardi.
-
Ellena si tolse l'elmo con un gemito, lasciandolo cadere a terra. Un colpo alla testa l'aveva ammaccato in modo irrecuperabile, ferendola alla nuca. Spostò da una parte la treccia di capelli biondi, ora intrisi di sangue, guardandosi attorno mentre riprendeva fiato. Attorno a lei una massa di cadaveri, tra cui due soldati che erano stati travolti dal tetto crollato di una casa.
All'inizio i fuochi tra le barricate erano sembrati una buona idea, ma presto il fuoco si era propagato grazie ai cadaveri semoventi per tutta la città, appiccando piccoli incendi che si erano poi trasformati in roghi violenti a causa delle case costruite prevalentemente in legno altamente infiammabile. Erano riusciti a respingere le prime ondate all'imboccatura della città, ai piedi della collina, ma poi i cadaveri li avevano spinti a ritirarsi all'interno, e ora si combatteva in ogni vicolo, in ogni angolo, tutto pur di non permettere a quei mostri di entrare nella Chiesa, dove tutti gli abitanti del villaggio avevano cercato rifugio.
Il suo lupo balzò giù da una palafitta, scuotendosi il pelo bagnato.
«Tundra!» Lo salutò lei sollevata. «Stammi vicino.» Ordinò al lupo, vedendo avvicinarsi altri nemici. Sollevò di nuovo lo scudo, pronta ad un nuovo scontro.
Dietro di lei, sopraggiunse Ser Perth, la spada a due mani in pugno. «Lady Ellena, state bene?»
Ellena annuì, abbattendo con lo scudo uno dei cadaveri e finendolo con un preciso fendente al collo.
«Com'è la situazione nella piazza?» Gli urlò per sovrastare il frastuono.
«Sopravvivono.» Rispose il cavaliere, falciando un paio di nemici roteando la grande arma con maestria. Si voltò alle loro spalle, sgranando gli occhi. «Dannazione.» Imprecò stringendo l'elsa con più forza e digrignando i denti.
Ellena si girò a sua volta, sbiancando. Almeno una decina di cadaveri stavano correndo verso di loro, alcuni di essi avvolti dalle fiamme. Urlò, attirando la loro attenzione e facendo segno al cavaliere di seguirla, mentre si intrufolavano in un vicolo stretto che portava alla spiaggia, inseguiti.
«Non finiscono più!» Gemette, schivando a malapena un fendente al fianco, rotolando per terra da un lato. Tundra corse in suo aiuto, buttando in acqua il cadavere e avventandosi su di esso sfruttando il fatto che le fiamme che lo avvolgevano si erano spente. Un altro cadavere le fu subito addosso, lei gli sferrò un calcio, facendolo barcollare. Lo stivale prese fuoco, ma lei lo strofinò nella sabbia, rimettendosi poi in piedi e finendo la creatura. Poco lontano da lei, Ser Perth stava tenendo a bada altri quattro cadaveri. Andò ad aiutarlo, colpendo con lo scudo uno di essi, che si stava arrampicando sull'armatura del cavaliere.
Un altro la colpì alle spalle, facendole perdere l'equilibrio.
Finì in acqua, annaspando per non affogare sotto il peso dell'armatura. Qualcosa le afferrò la gamba, strattonandola. Scalciò in preda al panico, cercando di liberarsi e finendo con la testa sott'acqua. Un dolore al polpaccio la fece urlare e ingoiò l'acqua del lago, andando più a fondo. Improvvisamente, la presa sulla gamba si affievolì, permettendole di fare leva sulle braccia per tirarsi fuori. Tossì violentemente, mettendosi in ginocchio tra i conati.
Tundra le fu subito accanto, aiutandola ad uscire dall'acqua. Aggrappata all'animale, strisciò sul bagnasciuga. Tutti i cadaveri erano a terra, immobili.
Ser Perth giaceva poco distante, l'armatura strappatagli dal petto a rivelare uno squarcio da cui usciva sangue a fiotti.
«Ser...» Tossì Ellena, trascinandosi verso di lui. Cercò di premere sulla ferita, per limitare la fuoriuscita di sangue, ma era chiaro che non ci fosse nulla da fare. Il cavaliere rantolava, in preda agli spasmi di dolore.
«Bruciatemi.» Sussurrò alla ragazza. «Bru...» Sputò un grumo di sangue rosso vivo, accasciandosi a terra. Altri due spasmi e smise di muoversi.
Ellena sbatté il pugno per terra, impotente.
Altri cinque cadaveri in fiamme sbucarono da dietro una palizzata, correndo verso di lei.
Tundra rimase al fianco della padrona, ringhiando disperato. Ellena si rese conto di aver perso la spada in acqua e strinse lo scudo, facendo leva su di esso per alzarsi in piedi.
La grande spada a due mani di Ser Perth giaceva a terra, ma lei non era in grado di usarla. In quel momento, non avrebbe avuto abbastanza forza nemmeno per un fendente solo.
Mise lo scudo davanti a sé, nascondendosi dietro di esso, pronta a caricare il primo cadavere.
Quello le si scagliò addosso, ma lei era pronta. Lo respinse con una spallata, buttandolo a terra e colpendolo alla testa con il bordo dello scudo, preso tra entrambe le mani. Il cranio si spaccò con uno schiocco, mentre il legno e il metallo spappolavano le cervella all'interno.
Il secondo cadavere venne abbattuto da Tundra, che lo spinse a terra nella sabbia, guaendo quando il fuoco gli lambì la pelliccia. Prima che quello potesse rialzarsi, Ellena lo schiacciò come aveva fatto con l'altro. I due cadaveri più vicini le corsero addosso, non dandole il tempo di proteggersi.
Cadde a terra, battendo la testa sulla sabbia, tenendo lo scudo tra sé e i mostri.
Tundra si scagliò contro uno di essi, cercando di liberarla, ma venne afferrato dal mostro e costretto a ritirarsi. Attaccò nuovamente, cercando di spingerlo in acqua.
Ellena nel frattempo sentiva la pelle bruciare sotto l'armatura resa rovente dalle fiamme sul cadavere. Quello si dimenava, cercando di azzannare il volto e le braccia. La ragazza si riparava dietro lo scudo, alzando le braccia davanti a sé, schiacciata sotto il peso di quel corpo. Sentì i bracciali cedere e i denti della creatura azzannarle l'avambraccio sinistro. Urlò, cercando di liberarsi. Non riuscendo più a tenere lo scudo, restò schiacciata sotto il cadavere ancora in fiamme, finendo ad un soffio dalle sue fauci spalancate.
Il fuoco invase il suo campo visivo. Urlò di nuovo, chiudendo gli occhi, in preda al dolore, sentendo il volto e le braccia in fiamme...
Di colpo cadde in acqua, il freddo che andava a lenirle il corpo ustionato.
Annaspò terrorizzata, non riusciva a respirare. Qualcuno la sollevò di peso. Cercò di riconoscere il suo salvatore, ma aveva la vista annebbiata.
«Tranquilla, è finita.» Le disse qualcuno, mentre Ellena perdeva conoscenza.
Si svegliò nel buio più assoluto. Non riusciva a sentirsi la faccia o le braccia e muoversi le provocava un dolore lancinante. Doveva essere stesa su qualcosa di morbido, al chiuso. La notte era passata, dunque, se era lì significava che avevano vinto. Per il momento. Cercò di parlare, ma non uscì alcun suono.
Senza altra scelta, rimase supina ad aspettare l'arrivo di qualcuno.
Dopo un'attesa interminabile, sentì dei passi avvicinarsi.
«Sei sveglia?» Chiese una voce femminile che Ellena non riconobbe. Riuscì a muovere le dita della mano destra, segnalando che sì, era sveglia.
«Bene. Ora bevi, ne hai bisogno.» Disse la voce. Sentì qualcosa di fresco premere sulla bocca, lasciando cadere delle gocce d'acqua che la ragazza deglutì avidamente. Ripeterono il processo un paio di volte, prima che la sua guaritrice si ritenesse soddisfatta.
«Non riuscirai a parlare per qualche giorno, credo.» Continuò lei. «Le lesioni interne erano lievi, però, sei stata molto fortunata. Julian ha detto che avevi gli abiti zuppi d'acqua, per quello le fiamme non hanno fatto grandi danni.»
“Lesioni interne? Fiamme? Julian?” Si chiese Ellena, ma non aveva modo di fare domande.
«Io sono Riful, comunque, mi hanno chiesto di rimanere qui a rimetterti in sesto.» Sentì le dita della donna toccarle le braccia. Soffiò di dolore. «Dovrò cambiarti le bende e metterti di nuovi gli unguenti. Purtroppo, non conosco alcun incantesimo di guarigione, quindi dovrai fare affidamento solo sulle mie conoscenze delle erbe. Ti ho già salvato la vita, comunque, e non sei la mia prima paziente, quindi puoi stare tranquilla.»
“Tranquilla?!” Ellena avrebbe alzato gli occhi al cielo, se fosse stata in grado di farlo.
«Ora, posso continuare i trattamenti senza descriverti nulla, oppure posso spiegarti esattamente quello che ti è successo. Cosa preferisci? Muovi le dita due volte, se vuoi che ti spieghi.»
Ellena mosse debolmente la mano.
«Molto bene.»
La ragazza la sentì trafficare con oggetti vari, poi una fitta al braccio le segnalò che la donna le stava togliendo le bende che lo avvolgevano.
«Hai riportato ustioni su quasi tutta la parte superiore del corpo, prevalentemente sugli avambracci e sulla parte destra del viso.» Iniziò a spiegare la donna mentre lavorava. «Non sentirai molto dolore, per i primi giorni, poiché la maggior parte delle terminazioni nervose in superficie sono state toccate dal fuoco. Dovrai stare il più immobile possibile, senza parlare, preferibilmente.»
Le ripose il braccio sul letto, prendendole l'altro.
«Dovrai bere molto, e in nessun caso contestare le mie indicazioni. So quello che faccio e non accetto lamentele.» Le passò qualcosa di fresco sulla pelle, coprendola di nuovo con le bende. «Ora, la parte peggiore.»
“Peggio di così?” Si chiese Ellena, ansiosa.
«Le fiamme ti hanno raggiunto il viso. E sei stata fortunata che i capelli bagnati abbiano impedito loro di attecchire, tuttavia...»
“Tuttavia...?” La ragazza sentiva un nodo alla gola. Perché non riusciva a muovere gli occhi, o battere le palpebre? Perché le aveva coperto il volto?
«Ho dovuto farti un piccolo incantesimo di paralisi, limitato alla zona degli occhi, per evitare che tu possa peggiorare la situazione. Il bulbo oculare destro era parzialmente fuso, quindi ho dovuto operarti per rimuoverlo, evitando di causare emorragie interne e infezioni. Il sinistro non è stato toccato, ma come saprai, muovi entrambi gli occhi quando li giri, quindi ho immobilizzato entrambe le orbite con una paralisi temporanea. Gli unguenti che sto applicando sono...»
Mentre la donna continuava a parlare, Ellena giaceva in preda alla disperazione.
Cieca.
Aveva perso completamente un occhio.
La vista era fondamentale per un guerriero, era ciò che le permetteva di evitare di essere colpita, di individuare i punti deboli del nemico... Come avrebbe fatto ad avere la sua vendetta, conciata in quel modo? Avrebbe pianto, se non fosse stato per l'incantesimo della maga.
“Magia.”
Il fatto di essere nelle mani di una maga, che avrebbe potuto ucciderla da un momento all'altro con i suoi poteri, soltanto con uno schiocco di dita, non la metteva a suo agio. Tuttavia, la donna la stava curando, quindi doveva significare che per il momento non aveva cattive intenzioni nei suoi confronti...
Non c'era una maga quando era arrivata al villaggio.
Che l’Accademia avesse sentito della situazione di Bowerstone e avesse mandato qualcuno ad aiutarli? E allora, perché mandare qualcuno che non conosceva incantesimi di guarigione?
Rabbrividì alla conclusione.
Quella doveva essere una dei maghi al di fuori del controllo della Chiesa, che erano scappati dall’Accademia o non erano mai stati dentro di essa.
Un'eretica.
Sentiva il battito cardiaco accelerare, mentre la maga era passata a svolgerle le bende intorno al capo, alzandole la testa con delicatezza ma con mano ferma.
Attraverso la palpebra chiusa, avvertì un poco di luce fioca, ma non riusciva ad aprire l'occhio. Si mosse, a disagio.
«Ti raccomando di restare ferma, rischierai soltanto di farti del male.»
Sentì che le spalmava l'unguento su gran parte del viso, per poi avvolgerlo in bende pulite. La fece poi alzare, tenendole la testa sollevata mentre le portava un bicchiere alle labbra.
«Vedi se riesci a mandarla giù.» Le disse, inclinandolo.
Ellena sentì l'acqua fresca scorrerle in gola, deglutendo a fatica. Lentamente, finì l'intero bicchiere, fermandosi solo un paio di volte a causa dei colpi di tosse.
«Dormi, se riesci. Tornerò a controllare tra un paio d'ore.»
Sentì Riful allontanarsi.
Nonostante tutto, cadde addormentata quasi subito, probabilmente grazie a qualcosa che la maga aveva messo nell'acqua.
Fece sogni confusi, pieni di volti, familiari e non, che danzavano avvolti dalle fiamme. Vide suo padre sorridere, muovendo le labbra dicendo qualcosa che Ellena non riusciva a sentire. Provò ad urlare, ma la voce le uscì in un rantolo roco, mentre il padre scompariva nel fuoco.
Si sentì annaspare, in cerca d'aria, ma il petto le bruciava e non riusciva a muoversi, il calore era insopportabile... Un uomo la sollevò da terra, portandola lontana dalle fiamme. «È finita.»
Cadde nel buio.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 14
Johann Volkhardt fratello del Conte Sigmund Volkhardt stava ballando.
Castalia, di fronte ad una sequenza di capriole particolarmente male eseguite, si scambiò uno sguardo perplesso con Kamal. L’uomo di Caldeum scosse la testa, borbottando un “magia” che lei non riuscì a sentire, ma lesse chiaramente nel labiale.
Il bambino in piedi di fianco ad Isolde batté le mani, deliziato. Il ghigno malvagio che sfoggiava stonava con i tratti delicati del viso. Alzò lo sguardo verso i nuovi arrivati.
«Madre?» Chiamò, con una voce cavernosa che non poteva in alcun modo appartenere ad un bambino di quell'età. «Sono questi coloro di cui mi hai parlato? Quelli che hanno fermato il mio esercito, mandato a riconquistare il mio villaggio?»
Isolde impallidì ulteriormente, voltandosi appena, come se non sopportasse l'idea di guardarlo. «Sì, Christian, sono loro...»
Castalia fece due passi avanti, tenendolo d'occhio, la spada tenuta saldamente tra le mani. Avevano combattuto innumerevoli cadaveri per arrivare fin lì, si sentiva la puzza di quei mostri addosso, la stanchezza che la pervadeva.
«E ora, quella cosa mi sta fissando.» Continuò Christian, ricambiando lo sguardo. «Cos'è, madre?»
«...è una ragazza Christian.» Squittì la madre.
Il ragazzino si illuminò in una smorfia malvagia. «Oh, è carina… vorrei tanto vedere di che colore sono le sue budella» Indicò Castalia con un dito.
«Provaci soltanto, demone.» Rispose Castalia, facendo un altro passo avanti.
«Castalia, fermati!» Le gridò Julian. «È solo un bambino!»
«Un bambino posseduto con un esercito di cadaveri...» Bofonchiò lei, ma si fermò, limitandosi a guardare il ragazzino con astio. Come si sarebbero liberati del demone che lo possedeva?
«Christian, ti prego! Non... non fare del male a nessuno!» Lo supplicò Isolde.
Il bambino si portò una mano davanti al volto, sfregandosi gli occhi. «Mamma? Mamma, che... che sta succedendo? Dove sono?» Balbettò con voce flebile, guardandola smarrito.
Isolde si buttò in ginocchio, abbracciando il figlio. «Oh, sia ringraziato il Creatore! Christian bambino mio, mi senti?»
Il bambino ebbe uno spasmo, liberandosi con uno strattone. «Stammi lontana, puttana! Mi stai annoiando!» Urlò imperioso.
«È reciproco...» Ribatté Castalia.
«Venator!» La apostrofò Isolde. «Vi prego, non fate male a mio figlio! Non ha colpe, non si rende conto di quello che sta facendo...»
«Di certo ne ha più di quelli che sono stati massacrati per colpa sua.» Disse la ragazza in tono asciutto.
«No! Vi prego, non è stato lui! Non voleva fare niente di tutto questo! È stato quel mago, quello che ha avvelenato Volkhardt... ha evocato lui il demone! Christian voleva soltanto aiutare suo padre...» Isolde scoppiò a piangere, scossa dai singhiozzi.
«L'accordo era onesto!» Tuonò il bambino. «Padre è ancora vivo, come volevo. E ora è il mio turno di sedermi sul trono e inviare eserciti alla conquista del mondo! Nessuno può dirmi più cosa fare!»
Castalia squadrò il ragazzino. “Fastidioso.”
«Nessuno gli dice cosa fare, nessuno!» Cantilenò Johann con voce sciocca, ridendo.
«Fa' silenzio, zio!» Lo sgridò Christian, guardandolo minacciosamente. «Ti avevo avvertito di stare zitto, non è così?» Si volse di nuovo verso i nuovi arrivati, distendendo il volto contratto dalla rabbia. «Ma comportiamoci civilmente. Questa... donna, riceverà l'udienza che cerca. Cosa volete?»
«Fermarti, ovviamente.» Rispose Castalia.
«Ah!» Esclamò il bambino. «Sarò io a distruggervi, invece! Mi avete rovinato il divertimento, salvando quello stupido villaggio, ma ora me la pagherete!» Fece un gesto con la mano e Johann e i suoi uomini, almeno una dozzina, si alzarono improvvisamente in piedi, fronteggiando Castalia e i suoi compagni.
«Johann, fatti da parte.» Provò a dire Julian, ma l'uomo sembrò non sentirlo. Ridendo ancora come un folle, estrasse la spada, facendola cozzare contro lo scudo del Venator, che provò a disarmarlo.
«Ci risiamo.» Commentò Castalia, colpendo uno dei cavalieri in pieno petto e sbalzandolo all'indietro, cadendo con uno sferragliare metallico.
«Non uccideteli!» Urlò Julian.
Castalia con la coda dell'occhio individuò Christian sgattaiolare via dalla stanza. Fece per inseguirlo, ma uno dei cavalieri posseduti le si parò davanti, costringendola a lasciar perdere.
Dopo uno scontro acceso, Johann e i suoi uomini giacevano a terra, privi di sensi. Almeno tre erano in gravi condizioni, e uno di essi era chiaramente morto, la spada di Kamal che gli aveva trapassato il cranio da parte a parte.
«Johann! Johann, stai bene?» Chiamò Isolde, precipitandosi al fianco dell'uomo. Sembrava così preoccupata, che Castalia si chiese se tra i due non ci fosse qualcosa.
L'uomo ci mise qualche istante a riprendere conoscenza, ma Julian era riuscito a non ferirlo gravemente. Sbatté le palpebre un paio di volte. «Isolde?» Si mise faticosamente a sedere, aiutato dalla donna. «Sto... meglio. Mi sento di nuovo me stesso.»
«Grazie al Creatore!» Sospirò la donna. «Non mi sarei mai perdonata se...» Lo abbracciò per un attimo, stringendolo a sé in preda ai singhiozzi. Si staccò poi dall'uomo, riportando la sua attenzione sui Venator. «Vi prego, Christian non ha colpe. Deve esserci un modo per salvarlo, deve!»
Castalia si strinse nelle spalle. «Non vedo come...»
«Mi dispiace, mia signora. Ma il piccolo Christian è posseduto da un Risvegliato. Non è più vostro figlio.» Si intromise una voce. Si voltarono.
Katrina.
La maga del sangue che avevano trovato nelle segrete e che Castalia aveva liberato, avanzava verso di loro, sul viso un'espressione affranta. Aveva promesso a Castalia di trovare un modo per sistemare il danno che aveva combinato, ma la Venator si era aspettata scappasse appena l'avessero lasciata sola. Evidentemente, non era stato così.
«Tu!» Sbraitò Isolde. «Tu hai fatto questo a mio figlio!»
«Non è vero!» Si difese la donna. «Non ho evocato nessun demone, ve l'ho detto! Per favore, dovete credermi, sono qui per aiutarvi...»
«Aiutarci?!» Urlò la donna, perdendo le staffe. «Mi hai tradita! Ti ho portato qui per aiutare mio figlio e tu in cambio hai avvelenato mio marito!»
«Questa è la strega di cui mi hai parlato?» Chiese Johann. «Non era nelle segrete?»
«L'ho liberata.» Tagliò corto Castalia. «Ha detto che poteva aiutare e sembrava sincera.» Sfidò tutti a ribattere, la spada ancora tra le mani. Strega o meno, non le importava, lasciare qualcuno a morire dentro una cella sbranato da quei mostri era inaccettabile. Kamal avrebbe fatto la stessa fine e Castalia non aveva alcun rimorso per aver liberato entrambi dalle loro gabbie.
«Dopo tutto quello che ha fatto, dovrebbe essere giustiziata! Senza di lei, nulla di tutto questo...» Ribatté Isolde, gridando.
«E allora? Pure tu ci hai mentito. E tuo figlio ha evocato un demone che ha sterminato più della metà di Bowerstone.» Sibilò la Druida. «Comincio a tagliare teste a tutti?!» Alzò la spada, come a rafforzare il concetto.
La donna si ritrasse con un grido spaventato, mentre Johann le si parava davanti con fare protettivo.
«Cerchiamo di mantenere la calma!» Si intromise Julian, frapponendosi tra loro. «Per favore.»
«So cosa pensate di me, mia signora. Ho approfittato delle vostre paure, e.… mi dispiace. Non pensavo si arrivasse a tanto.» Le disse Katrina, chinando il capo.
«Beh, allora, che aiuto puoi darci?» Gli chiese Johann, ancora con un braccio davanti ad Isolde. «E se Christian è davvero posseduto da un Risvegliato...»
«L'avete visto anche voi, non è sempre quel demone! Mio figlio è ancora là dentro!» Si oppose la donna. «Vi prego, farei qualsiasi cosa per salvarlo...»
«Katrina.» Chiamò Castalia. «Suggerimenti?»
La donna si schiarì la voce. «Il modo più semplice per distruggere il demone, sarebbe uccidere il bambino. Però... c'è un'altra possibilità.» Sembrava riluttante ad esporre la sua idea.
«Forza, non abbiamo tempo da perdere.» Lo spronò la ragazza.
L'altro sospirò. «Un mago potrebbe confrontarsi con il demone nella mente di Christian, senza uccidere il bambino stesso.» Spiegò.
«Che intendi?» Chiese Castalia, senza capire.
«Il demone è fisicamente dentro il bambino. L'ha avvicinato, mentre stava sognando, ed è da lì che lo controlla. Possiamo usare la connessione tra di loro per trovarlo e ucciderlo lì.»
«Quindi, puoi entrare nella sua mente e salvare mio figlio?» Lo interruppe Isolde.
Katrina scosse la testa. «No, ma posso permettere ad un altro mago di farlo. Normalmente, occorrerebbero diversi maghi, ma io... posso usare la magia del sangue.» Disse, abbassando lo sguardo sul pavimento.
«No, assolutamente no. Pessima idea!» Esclamò Julian, intromettendosi. «Non se ne parla.»
«Ma se può salvare Christian...» Sussurrò Isolde.
«Non è tutto.» La interruppe Katrina. «Per il rituale, mi servirebbe la forza vitale di una persona. Tutta, la forza vitale. Un sacrificio.»
Calò il silenzio per qualche istante.
«Allora, prendi me.» Disse Isolde guardandolo negli occhi con decisione, la voce ferma. «Se serve a salvare mio figlio, farò qualsiasi cosa.»
«Isolde! Sei impazzita?» Esclamò Johann. «Volkhardt non lo permetterebbe mai!»
«Non ci sono altre opzioni. Ho preso la mia decisione, Johann.» Ribatté lei con fermezza.
«Magia del sangue! Come può un'altra malvagità sistemare le cose?!» Sbottò Julian, pestando un piede per terra. «Due errori non danno una cosa giusta!» Castalia rimase in silenzio, ponderando la decisione giusta. La scelta più facile sarebbe stata salire le scale al piano di sopra e uccidere il ragazzino, liberandosi di quel demone... Fece cenno a Julian di seguirla, andando a chiudersi in una stanza adiacente alla sala.
«Non dirmi che stai anche solo considerando la sua proposta!» Sbraitò lui appena la ragazza chiuse la porta alle loro spalle. Era chiaramente furibondo.
«Non proprio.» Rispose lei. «Ha detto che soltanto un mago può entrare nella sua mente.»
Julian sembrò capire il problema. «Oh. Riful.»
«Già. Sono rimasta sorpresa anche solo di vederla combattere, ieri notte. E non era proprio entusiasta quando le abbiamo chiesto di restare a curare i feriti a Bowerstone. Non c'è modo di convincerla ad entrare nella mente di un bambino posseduto e perdere tempo con questo rituale, quando il modo più semplice sarebbe uccidere Christian e quella cosa qui ed ora.»
«Più semplice?!» La interruppe lui. «Stai parlando di uccidere un bambino!»
«Un bambino posseduto al comando di un armata di cadaveri!» Ribatté Castalia, alzando la voce. «Lo so che non è il massimo come opzione, ma non abbiamo molte alternative!»
«Deve esserci un altro modo!» Si mise ad urlare anche lui. «E poi cosa te ne frega, del villaggio o di Christian, te ne stavi andando in ogni caso, no? E allora vattene!»
«Sei davvero un idiota!» Sbraitò Castalia. «Sto cercando di aiutarti, ma forse dovrei andarmene e vedere come te la cavi da solo!»
«Vai pure, nessuno ti ferma! Non sei degna di essere un Venator!»
«Detto da uno che non riesce a guardare più in là del suo naso!» Ribatté lei. «Credi che la vita sia facile?! Qui tutti ne hanno passate più di te, ma tu continui a lamentarti! Poverino, il bastardo abbandonato e cresciuto in un castello! Poverino, lui che è contento di essere un Venator e morire per salvare un paese di schifosi mostri che non esiterebbero a bruciarlo alla prima occasione! Datti una svegliata, idiota!»
Lui sgranò gli occhi, non sapendo come ribattere, livido di rabbia. «Come... Non è vero...»
«Voi della Fratellanza mi disgustate.» Rincarò la dose la ragazza. «Trattate i vostri inferiori come vermi, avete ucciso, schiavizzato e tradito chiunque, siete sempre in guerra tra di voi... Persino il vostro Creatore vi insegna a rinchiudere la gente in una torre o ucciderli senza un motivo valido oltre alla paura che prima o poi escano dal controllo mentale che avete su di loro e ve la facciano pagare! E tu, tu sei un dannato stupido pieno delle stronzate che ti hanno messo in testa! Cosa farai se me ne vado, eh?! Lancerai una nuova Marcia Santa?!»
Rimasero a fronteggiarsi, Castalia che riprendeva fiato e Julian che cercava come ribattere. Improvvisamente, il Venator si irrigidì, restando a bocca aperta.
«Sei un genio Castalia!»
«Eh!?»
«I maghi!» Esclamò
Castalia rimase a fissare Julian, interdetta. Voleva prenderlo a schiaffi, urlargli contro, buttarlo a terra e andarsene per sempre. «Fenhedis lasa! I maghi, cosa?!»
Julian alzò la mano per evitare che lei si rimettesse ad urlare. «I maghi. Quella strega ha detto che normalmente per il rituale servirebbero svariati maghi, no?»
«Oh.» Realizzò finalmente la ragazza «Vuoi andare a chiedere aiuto ai maghi dell’Accademia?»
L'altro annuì vigorosamente. «Sì, la torre è dall'altra parte del lago. Ci arriveremmo in un paio di giorni.»
«E perché dovrebbero aiutarci?» Chiese lei.
«Ci appelleremo al Comandante degli Inquisitori e al Primo Incantatore!» Rispose convinto Julian. «Dovranno aiutarci, una volta saputo cosa sta succedendo qui. Inoltre, saremmo dovuti andare all’Accademia prima o poi, a chiedere il supporto dei maghi contro l’Orda...» Si interruppe, guardandola storto. «Sempre che tu non te ne stia andando proprio adesso.»
Castalia sospirò, appoggiandosi al muro dietro di lei. «No, per il momento.» Disse finalmente dopo qualche istante. «Prima sistemiamo questa faccenda del demone, poi deciderò.»
Julian scosse la testa. «Se è il massimo che posso ottenere, non chiederò di più. Tregua?» Le porse la mano, incerto.
Lei la afferrò dopo un attimo di esitazione, stringendola con poca convinzione. «Tregua.»
Tornarono nel salone, per esporre la loro idea.
«È troppo pericoloso.» Si oppose Isolde. «Anche se trovaste il modo per arrivare alla Torre, passeranno giorni prima che siate di ritorno. E non oso immaginare cosa possa succedere.»
«Non ci sono barche per attraversare il lago.» Spiegò loro Johann. «Per evitare contatti con l’Accademia, la Chiesa proibisce tassativamente di avvicinarsi a quella torre.»
«Dovremo andarci a cavallo, allora.» Ribatté Julian. «Confido che ce ne presterete un paio.»
Johann sospirò. «Siete sicuri che possa funzionare?»
Castalia lanciò uno sguardo interrogativo a Katrina. «Parteciperanno al rituale, se non è coinvolta della magia del sangue?»
«Credo... credo di sì.» Rispose.
«Allora è deciso.» Concluse Castalia. «Entro qualche giorno, saremo di ritorno con abbastanza maghi da sistemare questa faccenda senza uccidere nessuno.»
«E cosa facciamo se il demone dovesse decidere di attaccare di nuovo il villaggio?» Chiese Johann.
Julian e Castalia si scambiarono un'occhiata.
«Kamal, Miria e Riful resteranno qui a dare una mano nel caso si rianimasse qualche cadavere. Mettete i vostri uomini a difesa dei cancelli del castello, per non lasciare che esca qualcosa. Dovremmo aver eliminato tutti i cadaveri qui dentro, ma non si può mai essere sicuri.» Ordinò ragazza.
«Non resterò qui a fare la guardia ad una porta.» Dichiarò Kamal, con un cipiglio corrucciato. Che era simile alla sua solita espressione, a dirla tutta.
«Preferisci seguirci in una torre abitata prevalentemente da maghi?» Gli chiese Castalia, sapendo già quale sarebbe stata la risposta. dell’uomo del Kehjistan, che imprecò qualcosa nella sua lingua, ma finì per cedere. La prese però da parte, puntando gli occhi viola in quelli verdi della ragazza.
«Passerete al molo del Lago Calenhad, quello per la Torre?» Le chiese.
Castalia annuì. «Credo proprio di sì, se è l'unico modo per entrare nella Torre.»
Il barbaro non batteva nemmeno le palpebre. «La mia spada. L'ho persa da quelle parti.» Disse.
«Se per te è così importante, vedrò di cercarla.» Non capiva l'ossessione di Kamal per la sua spada, ma gliene aveva parlato come se fosse una parte di lui, e dato che gli stava chiedendo di restare lì a proteggere un villaggio di cui al gigante non interessava niente, le pareva solo giusto spendere qualche momento a cercare una spada per rendere il favore al compagno. Kamal le descrisse brevemente l'arma, ma era ovvio che non fosse ottimista.
«Non credo la troverai» Prima che la ragazza potesse dire altro, si allontanò corrucciato.
Si stavano preparando ad andarsene, quando Katrina sgusciò via dai due soldati che la stavano tenendo d'occhio, correndo verso Castalia. I due fecero per sguainare subito le armi, allarmati, ma lei alzò la mano, facendo segno di lasciarla passare.
«Venator!» La chiamò. «So di non essere nella posizione di chiedervi nulla, ma vi prego, ascoltatemi.» Dal tono angosciato, doveva chiaramente essere importante.
«Dimmi, ma fai in fretta.» Acconsentì lei.
«Quando sono scappata, non ero da sola. Sono stata aiutata da un caro amico, e soltanto grazie a lui ce l'ho fatta a sfuggire all’ira dei nostri guardiani.» Spiegò Katrina. «Sono preoccupata che lo abbiano ucciso, o peggio, per colpa mia. Potresti... potresti scoprire cosa gli è successo?»
Castalia sbuffò. Ma certo, era ovvio che una tipa del genere non potesse essere scappata dalla Torre più sorvegliata del Khanduras senza un aiuto da qualcun altro. «Come si chiama?»
«Ichabod Amell.» Rispose la maga inchinandosi profondamente.
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evilvenator · 4 years
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Capitolo 15
Uscirono dal castello, tornando verso il villaggio. Johann ordinò ad un suo cavaliere di dare ai due Venator un paio di cavalli, sellati e pronti per il viaggio.
«Aspetta, voglio passare un attimo dalla Chiesa.» Le disse Julian, prima di salire in groppa all'animale. Castalia sbuffò, ma lo seguì con riluttanza all'interno dell'edificio.
La navata principale era piena di persone, la maggior parte feriti, appoggiati su dei giacigli di fortuna e posti sotto le cure delle sorelle della Chiesa. Julian si diresse con sicurezza verso una delle stanze laterali. La ragazza si sporse oltre la porta, sbirciando.
«Come sta?» Chiese Julian a Riful, china su una paziente. Un grosso lupo color neve, accanto a lei, lo guardò storto, ma non fece nient'altro per allontanarlo.
«Sopravviverà.» Rispose la maga. «Immagino che la situazione al castello sia risolta?»
«Non esattamente.» Rispose Castalia, entrando nella stanza. Una ragazza era sdraiata a terra, quasi interamente coperta da bende pulite, che evidentemente Riful le aveva appena cambiato.
«Stiamo andando a chiedere aiuto all’Accademia dei maghi.» Spiegò Julian.
Riful sollevò un sopracciglio. «Posso sapere come mai?»
«Non possiamo uccidere la persona posseduta dal demone, quindi servono dei maghi per fare un incantesimo che ci permetta di eliminare il demone senza ferire il suo contenitore.» Rispose la Druida. «Una maga al castello ci ha detto che è possibile farlo.»
«Ah, ma certo. Capisco.» Annuì Riful con un sorrisetto. «Beh, buona fortuna allora. Non intendo seguirvi in quella gabbia per uccelli, quindi credo vi aspetterò qui.»
«Me lo aspettavo.» Commentò Julian. «Sentiremo terribilmente la tua mancanza.»
Prima che potessero rimettersi a bisticciare, Castalia lo trascinò via dalla stanza.
Salirono in sella ai cavalli, e partirono allontanandosi in fretta dal villaggio, salendo su per la collina spingendo i cavalli al trotto. Continuarono a cavalcare finché il buio non rese impossibile vedere la strada davanti a loro, costringendoli ad accamparsi. Distrutti dalla privazione di sonno e stanchi dai combattimenti della notte prima e della giornata appena trascorsa, si limitarono ad accendere un piccolo fuoco e mangiare della carne secca presa al villaggio.
«Dovremmo fare dei turni di guardia.» Disse Julian, scrutando l'oscurità attorno a loro.
Castalia annuì. «Dormi pure, ti sveglio se ci sono problemi.» Era stanca morta, ma aveva la testa così piena di pensieri che non era certa di voler dormire. In più, il ragazzo sembrava davvero a pezzi, quindi sembrava la scelta migliore.
Julian ringraziò bofonchiando, per poi stendersi e darle le spalle, coprendosi fino alle orecchie e rannicchiandosi su sé stesso. Dopo qualche minuto, la ragazza sentì il suo respiro regolarizzarsi e farsi più pesante. Alzò lo sguardo, verso il cielo carico di nubi. C'era aria di pioggia.
Dopo qualche ora, svegliò Julian per darle il cambio. Castalia si stese senza dire una parola in più del necessario, si tirò la coperta sopra la testa cercando di prendere sonno. All'alba, ripresero il viaggio, intontiti ma decisi a raggiungere Riverwood prima di sera. La mattina uggiosa si trasformò presto in una giornata di pioggia battente, rendendo la strada un pantano di fango scivoloso, rallentando i cavalli e inzuppandoli tutti fino alle ossa. Julian e Castalia procedevano con i cappucci dei mantelli da viaggio tirati sopra la testa, in un vano tentativo di non infradiciarsi completamente. I cavalli sbuffavano dalle froge, sbandando recalcitranti.
Superato mezzogiorno, scesero faticosamente da una collina, conducendo al passo i cavalli giù dal pendio scivoloso. Un carro rovesciato al limitare della strada li fece mettere sull'attenti, mentre i cavalli si impennavano roteando gli occhi, nitrendo spaventati.
«Ma cosa…» Iniziò a dire Castalia, strizzando gli occhi sotto la pioggia.
 Non fece in tempo a finire la frase, che un uomo sbucò da dietro il carro, urlando, inseguito da due Risvegliati urlanti. Julian non perse tempo, spronando il cavallo e galoppando in aiuto dell'uomo, travolgendo i due mostri e schiacciandone uno sotto gli zoccoli dell'animale. L'altro lo uccise con un colpo di spada, preciso, alla testa.
«Cosa ci fai qui fuori?!» Chiese Castalia all'uomo che avevano salvato e che ora giaceva a terra, tremante e piangente. «Dovresti essere al sicuro, a Riverwood!»
Quello la guardò terrorizzato, singhiozzando qualcosa che la ragazza non riuscì a capire. Julian si intromise, scendendo da cavallo e inginocchiandosi nel fango accanto all'uomo.
«Sei salvo, ora, ti riportiamo al villaggio.» Gli disse, mettendogli una mano sulla spalla nel tentativo di rassicurarlo.
«No!» Gridò l'altro, lo sguardo folle. «Sono arrivati! Tutti morti!» Si divincolò dalla stretta del Venator, cercando di allontanarsi da loro e scivolando, schizzando tutto attorno.
I due ebbero un attimo di esitazione.
«L’Orda?» Sussurrò Castalia. «Hanno...?»
L’uomo cadde carponi nel fango. Piangeva a dirotto, gli occhi sbarrati. «Tutti! Non c'è speranza, non possiamo salvarci! Sono qui, ci uccideranno!» Continuava a balbettare, senza prestare più attenzione ai due, concentrato com'era nel cercare di allontanarsi da lì.
La ragazza notò una ferita slabbrata sulla coscia dell'uomo, sembrava che qualcosa gli avesse strappato la carne con un morso. Fece segno a Julian di avvicinarsi, e insieme riuscirono a tenerlo fermo, mettendogli una mano davanti alla bocca per impedirgli di continuare ad urlare, temendo che potessero essere attaccati di nuovo.
Scostando il tessuto dei pantaloni, scoprirono che la pelle tutto attorno alla ferita era nerastra e imputridita. La era stato infettato… da li a poco sarebbe diventato a sua volta un membro dell’Orda.
Castalia sospirò, estraendo il pugnale dalla cintura.
Julian intercettò il gesto, fermandola con la mano. «No, aspetta...»
La ragazza lo ignorò e, approfittando del fatto che il ferito non opponeva quasi resistenza, gli piantò la lama nel petto, all'altezza del cuore. Quello sussultò, smettendo di lottare e accasciandosi a terra.
«Non c'era altro modo.» Disse lei in tono asciutto, alzandosi e tornando verso il cavallo, che continuava a muovere le orecchie e girare sul posto, inquieto. «Facciamo il giro largo per evitare il paese. Se sproniamo i cavalli al galoppo anche durante la notte, possiamo forse riuscire a mettere abbastanza distanza tra noi e l’Orda.»
«E abbandoniamo tutta Riverwood?» Le chiese Julian, ancora a terra accanto al cadavere. Lo sguardo puntato agli occhi dell'uomo, ancora sgranati per la paura, le mani tremanti di rabbia.
«Abbiamo un compito, ed è quello di arrivare dai maghi a cercare aiuto per salvare Christian e Bowerstone. Se andiamo a Riverwood, probabilmente non sopravvivremo alla notte.» Esclamò Castalia. «Abbiamo una speranza di evitare l’Orda, ma dobbiamo sbrigarci.»
«Come fai ad esserne così sicura?» Disse Julian, la voce ridotta ad un sussurro, appena udibile sotto la pioggia battente. «Così certa che lasciar morire tutte quelle persone sia la cosa giusta?»
Quelle parole la colpirono come un pugno allo stomaco, ma non lasciò trapelare niente. «Sono già tutti morti, Julian, o lo saranno presto.» Girò il cavallo verso nord, verso le rive del Lago. Sentì l'altro alzarsi e rimontare in sella a sua volta. Senza attendere risposta, spronò il cavallo al galoppo.
Cavalcarono per tutto il resto del pomeriggio, evitando la strada principale. Incontrarono alcuni Gohul solitari, a volte in piccoli gruppi di tre o quattro, ma riuscirono a cavarsela senza intoppi. Di sopravvissuti, nemmeno l'ombra.
Saliti sulla collina che li separava dal Lago Calenhad, poterono vedere Riverwood, o ciò che ne restava: una nube di fumo nero si alzava dall'orizzonte, dove un tempo sorgeva il villaggio.
La ragazza guardò Julian con la coda dell'occhio, vedendolo stringere le redini con forza, lo sguardo puntato verso la carneficina in lontananza. Sospirò, prima di spingere il cavallo giù per la collina. Dovevano allontanarsi il più possibile, prima che calassero le tenebre.
Il buio li costrinse a rallentare il passo. Scesero a condurre i cavalli a piedi, sperando che gli animali riacquistassero un po' le forze, affidandosi solo ad una piccola torcia che lanciava una luce flebile attorno a loro, sperando non fosse abbastanza da attrarre attenzioni pericolose.
Castalia continuava ad inciampare mentre Julian, incespicava tra il fango e le radici, restando in un silenzio ostinato. I cavalli sbuffavano stanchi.
Arrivarono sulle sponde del lago mentre il cielo cominciava a schiarirsi. La pioggia non accennava a smettere, mentre i raggi del sole faticavano ad attraversare la spessa coltre di nubi nere. Costeggiarono la riva per tutto il giorno seguente, a volte a piedi, a volte a cavallo. Si fermarono per un paio d'ore a far riposare gli animali, gli occhi dei due Venator che guizzavano colmi di apprensione in risposta ad ogni rumore attorno a loro.
Quando calò di nuovo la sera, erano troppo sfiniti per proseguire oltre. Si accamparono in un boschetto, cercando di ripararsi dalla pioggia e non osando accendere un fuoco. Mangiarono un altro poco di carne secca, masticando in silenzio. Nessuno dei due aveva voglia di parlare. Per tutto il giorno, non avevano incontrato anima viva.
La mattina dopo si misero in viaggio prima dell'alba, ansiosi di arrivare alla Torre, asciugarsi e avere un pasto caldo. La giornata passò senza eventi degni di nota, sotto la costante pioggia gelida.
Nel tardo pomeriggio videro alcune casette illuminate vicino all'acqua, segno che erano arrivati al piccolo molo che costituiva l'unico accesso consentito all’Accademia dei Maghi.
Lo stalliere, rintanatosi sotto la tettoia di paglia con una fiasca di vino in mano a scaldarlo, li guardò sorpreso, sgranando gli occhi come se avesse visto due fantasmi. Gli lasciarono una moneta d'argento, consegnandogli i cavalli e entrando nella locanda accanto.
Si accasciarono sul tavolo più vicino al fuoco, togliendosi i vestiti fradici e appoggiandosi allo schienale di legno delle sedie, chiudendo gli occhi. Dopo qualche minuto, arrivò l'oste a chiedere cosa volessero mangiare. Presero una zuppa calda, bollente, che sembrò bruciargli le budella mentre la mandavano giù affamati, chiedendone una seconda porzione. «Andate alla Torre?» Chiese l'oste, portandogli di nuovo le ciotole ricolme. Castalia annuì, afferrando il piatto e rimestandolo col cucchiaio, portandoselo poi alle labbra. Dopo quei giorni terribili, sembrava la zuppa più buona che avesse mai mangiato.
«Sono tre giorni che gli Inquisitori hanno sequestrato la barca a Kester, e non fanno avvicinare nessuno…» continuò l'uomo, «…Più del solito, intendo. Non vogliono neanche approvvigionamenti.»
Julian grugnì di disperazione. «Perché non può andare bene niente?» Si lamentò, appoggiandosi stancamente allo schienale della sedia. «Non ci meritiamo una pausa?»
Castalia non poteva che trovarsi d'accordo. Sospirò, guardandolo quasi con approvazione. «Cosa facciamo?» Le chiese Julian con un sospiro affranto appena l'uomo si fu allontanato. «Non credo di avere la forza di mettermi a discutere con un Inquisitore proprio stasera.»
«Ti capisco.» Concordò Castalia, prendendo un altro cucchiaio di zuppa. «Qualsiasi cosa sia, può aspettare fino a domani.» Presero una stanza. La sacca del denaro era sempre più leggera, ma i due erano troppo stanchi per contrattare sul prezzo esoso.
La stanza conteneva un grande letto matrimoniale, con due coperte calde e il fuoco acceso. Julian arrossì violentemente, guardando il letto. «Dormirò per terra.» Esclamò, estraendo il proprio giaciglio umido dallo zaino e posizionandolo sul pavimento, abbastanza vicino al camino.
«Non fare lo stupido.» Lo apostrofò Castalia, estraendo le proprie coperte e mettendole ad asciugare, come il resto dello zaino, accanto al fuoco. «C'è un letto abbastanza grande per entrambi. Vieni.»
Ignorò le proteste del ragazzo, che voltato verso il muro balbettava stupidaggini come suo solito. Castalia si spogliò dei vestiti bagnati, appoggiandoli su una sedia e sperando che si asciugassero entro la mattina seguente, restando soltanto in intimo. Si infilò sotto le coperte, tirandosele a coprire le orecchie. «Puoi dormire sopra la coperta se ti fa schifo dormire con una donna….»
«Non è che mi fa schifo dormire con una donna…» Rispose lui stizzito.
«Guardà che non mordo, ne metterò a rischiò la tua virtù...» L’ironia nella voce della Venator era palese.
«Dormi Castalia… domani ci aspetta una giornata difficile.» Esclamò con voce nervosa Julian.
«Fa come ti pare.»
 «Non si può andare alla Torre. Non importa che urgenza abbiate.»
I due Venator squadrarono l’inquisitore di fronte a loro, con l'aria di chi non avrebbe accettato un no come risposta. Era un ragazzo più o meno dell'età di Julian, non sarebbe stato difficile intimidirlo.
«Quell'armatura sembra pesante.» Commentò Castalia, indicandolo.
«Quindi?» Ribatté l’Inquisitore.
Lei si strinse nelle spalle. «Sarà difficile riuscire a riemergere, con quella roba addosso. Una volta che ti avremo buttato in acqua, s'intende.»
Quello impallidì. «Cos…»
«Faresti meglio a collaborare.» Gli suggerì Julian. «L'ho vista fare cose peggiori.»
L’Inquisitore sembrò considerare le proprie possibilità, mentre la ragazza, che a malapena gli arrivava alle spalle, lo guardava a braccia conserte.
«Io... Ho degli ordini, non è colpa mia...» Balbettò l’Inquisitore, indietreggiando di qualche passo.
«Senti, risparmiati una nuotata e portaci alla Torre.» Disse Julian.
L’Inquisitore capitolò. «D'accordo. Ma mi avete costretto, lo dirò al Comandante Gregor.»
Castalia sbuffò. «Sicuro. Ora prendi i remi, abbiamo perso già abbastanza tempo.» Lo superò spingendolo la parte, andando ad accomodarsi nella piccola barca.
La traversata fu più lenta del previsto, anche se erano in due a remare. L’Inquisitore non voleva in alcun modo rivelare loro cosa stesse succedendo, cosa avesse spinto l'Ordine a chiudere completamente l’Accademia da qualsiasi contatto esterno.
La torre si ergeva minacciosa al centro del Lago Calenhad, una struttura altissima di pietra massiccia che sembrava toccare il cielo. Man mano che si avvicinavano ad essa, Castalia si ricordò di quanto era rimasta colpita dalle torri di Ostagar, che a confronto sembravano ormai delle nullità. La punta dell'edificio spariva tra le nuvole basse, e le poche finestre illuminate mandavano bagliori sinistri che si diffondevano nella nebbia circostante.
“Come fanno a vivere in un posto del genere?” Si chiese. Rinchiusa lì, tra pietre e Inquisitori, avrebbe sicuramente scelto di buttarsi di sotto piuttosto che passarci la vita. Capiva perché maghi come Katrina facessero di tutto pur di scappare dalle grinfie della Fratellanza.
Arrivarono finalmente al molo costruito all'interno della torre. Ad attenderli, c'erano due Inquisitori, che li scortarono immediatamente dal Comandante, un uomo di mezza età di nome Gregor, che troneggiava nella sua armatura enorme, con lo stemma dell'Ordine impressa sul pettorale. Stava parlando ad un gruppo sparuto di uomini, l'agitazione nell'aria era palpabile.
«Avevo dato l'ordine di non far attraversare il Lago a nessuno.» Li apostrofò vedendoli arrivare. «Chi siete, e cosa volete?»
«Siamo Venator.» Rispose prontamente Julian, precedendo Castalia per paura che lei ne combinasse una delle sue.
«Ah. Si dice in giro che siate traditori.» Gregor li squadrò dall'alto in basso. «Ma non mi importa, abbiamo questioni più importanti di cui occuparci, adesso. E la cosa non vi riguarda. Andatevene.»
«Non possiamo.» Ribatté Julian. «In quanto Venator, abbiamo il dovere di aiutarvi e di chiedere aiuto ai maghi dell’Accademia per fermare l’Orda. Inoltre, Johann di Bowerstone chiede aiuto per contrastare un demone che minaccia il villaggio.»
«Ah, Johann. L'ultima volta che ho controllato, era il Conte Volkhardt a capo di Bowerstone.»
«Il Conte è malato. L’Accademia è l'unica possibilità per salvare il villaggio.»
Gregor scosse la testa. «Mi dispiace. Ma non c'è nulla che possiamo fare per voi, né per Bowerstone, né per fermare l’Orda. La situazione nella Torre è critica, non ci resta che il Diritto di Annullamento...»
«Il Diritto di Annullamento?!» Esclamò Julian, allarmato.
«Cos'è?» Li interruppe Castalia. Dalle loro espressioni, sembrava una cosa grave.
«È ciò che dà a noi Inquisitori l'autorità di neutralizzare l’Accademia dei Maghi. In modo permanente.» Rispose il Comandante con tono greve. «Non è una decisione presa alla leggera, ci sono molti dei miei uomini ancora là dentro. Ma non c'è più nulla che possiamo fare, ormai.»
«Quindi la soluzione è radere al suolo questo posto?!» Ribatté Castalia, inorridita.
«La Torre è piena di Abomini e maghi del sangue, abbiamo perso già più di metà dei nostri confratelli, non ho intenzione di perderne altri!» Dichiarò Gregor. «Non esiste altra soluzione a questo punto.»
«Ma abbiamo bisogno dei maghi!» Si oppose la ragazza. «E non possono essere morti tutti!»
«Come è possibile che abbiate perso il controllo della Torre?» Gli chiese Julian.
«Qualche settimana fa, una maga è riuscita a scappare, aiutata da un altro, che abbiamo rinchiuso nelle prigioni in attesa di un processo, quando i maghi e gli Inquisitori inviati ad Ostagar fossero tornati. Purtroppo, con il caos seguito alla battaglia e i pochi che sono tornati, la situazione ci è sfuggita di mano.» Spiegò Gregor. «Giravano da tempo voci di alcuni maghi del sangue, ma non ci saremmo mai aspettati un gruppo così folto. Il Primo Incantatore ha indetto un'assemblea, per discutere della battaglia e dei provvedimenti da prendere contro il mago del sangue, ma non era neppure iniziato, che siamo stati sopraffatti dai Risvegliati, e da incantesimi che volavano da entrambe le parti, io e i miei uomini eravamo proprio nel mezzo del putiferio. Non avevamo alcuna speranza. Sono a malapena riuscito a prendere una manciata di Inquisitori e chiudere le porte sigillandole dietro di noi, intrappolando tutte quelle creature all'interno.» Scosse la testa, affranto.
«Intrappolando posseduti e con essi maghi e Inquisitori innocenti.» Commentò Julian.
«Ormai, nessuno può essere sopravvissuto…» Ribatté Gregor. «E come ho già detto, non ci resta che una strada.» Si voltò verso un Inquisitore, raggiungendolo e lasciando i due Venator a decidere sul da farsi.
«Dobbiamo entrare lì dentro.» Disse Castalia. «Qualcuno di ancora vivo deve pur esserci.»
«L'hai sentito, no? Sarebbe un miracolo trovare qualcuno, e probabilmente sarebbe o posseduto o un mago del sangue.» Julian si grattò la nuca, sospirando. «Non lo so, se ha decretato l'Annullamento...»
«Non dirmi che sei d'accordo con quello!»
L'altro la guardò sorpreso. «Da quando ti importa degli altri?»
«Non c'entra con quello che mi importa o meno, ci servono i maghi.» Rispose lei, sulla difensiva. «E pensi davvero che un mucchio di gente come Riful si sarebbe fatta ammazzare o possedere, senza provare a resistere?!»
«Credi davvero che ci siano dei sopravvissuti?»
Castalia si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo. «Io vado dentro a controllare.» Dichiarò infine. «Tu fai come vuoi.»
Julian rimase un attimo sorpreso, poi cedette. «Vorrà dire che andremo entrambi. Non ti lascio entrare là da sola.»
Tornarono da Gregor. Non fu facile convincerlo a lasciarli entrare.
«Non aprirò questa porta a meno di non sentire il Primo Incantatore in persona!» Ricordò loro Gregor, mentre le porte si richiudevano dietro di loro, lasciandoli da soli ad affrontare qualsiasi cosa si celasse all'interno.
La prima cosa che li colpì, fu il puzzo dei cadaveri.
Percorsero un corridoio disseminato di corpi e detriti di vario genere, le armi in pugno. A rompere il silenzio, potevano udire dei rumori sinistri dal piano di sopra, ma le stanze intorno a loro erano deserte. Il corridoio finiva di fronte ad una porta di legno, chiusa.
Castalia appoggiò l'orecchio contro di essa, percependo all'interno come uno sciabordio d'acqua e delle voci agitate.
Fece segno a Julian di stare pronto, poi, insieme, sfondarono la porta con una spallata.
«Fermi lì!»
Una maga anziana stava puntando loro addosso il proprio bastone magico. I due Venator strinsero le proprie armi, pronti a difendersi. Attorno a loro, una manciata di maghi adulti e qualche bambino.
La maga strizzò gli occhi, abbassando di poco il bastone. «Aspetta. Ti conosco. Eri ad Ostagar, vero?» Chiese a Castalia.
La ragazza ci mise qualche secondo a ricordare. “L’anziana che era vicino agli altri maghi, poco oltre i due Inquisitori all'accampamento.” «Sì. Siamo gli ultimi Venator rimasti.»
«Siete maghi del sangue?» Chiese Julian, pronto ad attaccare.
«Giovanotto. Credi che se lo fossimo non vi avremmo attaccato all'istante?» Rispose la maga, rilassandosi e riponendo il bastone dietro la schiena. «Come mai Gregor vi ha fatto entrare?»
Castalia abbassò la propria arma. «Gregor ha decretato il Diritto di Annullamento. L'abbiamo convinto a farci passare, sperando di trovare dei sopravvissuti. Abbiamo bisogno del vostro aiuto.»
«Arrivate tardi, mi dispiace dire. È molto probabile che noi siamo gli ultimi rimasti.» Lo sparuto gruppo sembrava provato. Indicò la porta dietro di sé, coperta da un incantesimo esteso su tutta la superficie, fonte dello sciabordio che Castalia aveva avvertito prima di entrare. «La barriera che ho posto a protezione di questa stanza si sta indebolendo nonostante i miei sforzi, e ho paura che tra non molto cadrà.»
«Dobbiamo raggiungere il Primo Incantatore. Solo così possiamo convincere Gregor a riaprire le porte d'uscita.» Spiegò Castalia. «Qualcuno deve essere ancora vivo là sopra.»
«Vivo, magari, ma probabilmente posseduto da un Risvegliato.» Ribatté la maga. «Ma hai ragione, non possiamo perdere le speranze. Ora che siete arrivati, possiamo cercare di trovare dei sopravvissuti, e nel frattempo ripulire la torre da tutti i demoni che la infestano.»
«E loro?» Chiese Julian, indicando i bambini. «Se fate cadere la barriera per farci passare, gli abomini avranno facile accesso a questo posto.»
«Vorrà dire che dovremo eliminare tutti quelli che incontreremo, così che non possano arrivarci.» La maga sembrava determinata. «Sono Lisandra, comunque.»
I due Venator si presentarono a loro volta.
Lisandra si volse verso la barriera che teneva sigillata la porta, agitando il bastone magico e facendola esplodere in una nuvola di fumo azzurro.
Le armi in pugno, si addentrarono nella stanza successiva.
Era un enorme biblioteca, con scaffali alti e ricolmi di libri. “Non pensavo potessero esistere tutti questi libri in un posto solo...” Pensò Castalia mentre si facevano strada tra le pile di Karta e tavoli rovesciati, attenti a non fare troppo rumore.
Un respiro rantolante e strascicato proveniva da dietro l'angolo. La Druida si affacciò con cautela: una creatura dalla forma umanoide, con testa e spalle più grandi del normale, come se fossero state fuse assieme, l'aspetto deforme e mostruoso, si stagliava sopra la sagoma di un Inquisitore morto.
La ragazza si ritirò dietro lo scaffale. Julian le fece segno di seguirlo, e i due si lanciarono alla carica. Lisandra lanciò un paio incantesimi di supporto e, per quanto l'Abominio fosse orrendo e disgustoso, se ne liberarono in fretta. Anche i demoni, a quanto pareva, morivano con una lama ben piantata in petto. Subito ne spuntarono altri, che fecero la stessa fine. Erano veloci, e cercavano di azzannare e graffiare, non sembravano però in grado di usare la magia.
Superarono altri scaffali, quando un mostro fiammeggiante spuntò dal nulla.
«Fenedhis lasa!» Esclamò Castalia, terrorizzata. Fece un balzo indietro, per evitare una palla di fuoco lanciata dalla creatura.
Una barriera di ghiaccio si parò tra lei e il demone, dandole tempo di riprendersi. Lisandra recitò un incantesimo breve, e i due guerrieri sentirono le proprie armi farsi più fredde, mentre le lame venivano ricoperte di ghiaccio. «Attaccate, ora!» Li spronò la maga. Senza farselo ripetere, aggirarono la barriera e colpirono il mostro ai fianchi, affondando le spade nelle fiamme. La creatura si dissolse in una nuvola di vapore bollente, che li costrinse ad indietreggiare in fretta per evitare di ustionarsi. Fortunatamente, Lisandra aveva lanciato su di loro una protezione contro le ferite minori.
«Quando muoiono, tendono ad esplodere.» Spiegò loro la maga. «Dovete scansarvi in tempo.»
«Affascinanti.» Commentò Julian. Castalia rabbrividì, ma si costrinse a farsi coraggio e proseguire. Non si poteva più tornare indietro.
Affrontarono altri demoni, la maggior parte di essi fortunatamente non si rivelò troppo difficile da sconfiggere. Quando i due Venator si ferivano, Lisandra accorreva prontamente a rimetterli in sesto con un incantesimo di guarigione. Così facendo, riuscirono a superare l'immensa biblioteca.
Salite le scale che conducevano al piano superiore, si ritrovarono in una grande sala, completamente sgombra. Si avviarono verso il fondo della sala, quando la ragazza si accorse della presenza di qualcuno. Un respiro calmo, regolare, proveniente da dietro una colonna. Si diresse verso di esso, pronta a colpire, ma trovò un mago seduto a terra, lo sguardo vacuo.
Quello, accortosi della loro presenza, si alzò in piedi, scrutandoli con la massima calma.
«Vi prego di non entrare nel magazzino.» Disse. «È attualmente in uno stato non consono ad essere visitato, e non ho ancora potuto sistemarlo.»
«Owen!» Lo riconobbe Lisandra. «Cosa ci fai ancora qui?»
«Ho provato ad andarmene, ma ho incontrato una barriera. Quindi sono tornato qui, ad occuparmi del magazzino, com'è mio dovere.»
«Avresti dovuto chiamarci, ti avrei aperto la porta!» Ribatté la maga.
L'altro rimase impassibile. «Il magazzino mi è familiare. Preferisco rimanere qui. Preferirei non morire. Preferirei che Gabriel avesse successo, e che ci salvasse tutti.»
«Chi?» Gli domandò Castalia. «E a fare cosa?»
«Gabriel. Lui e altri sono venuti a prendere la Litania di Adralla.»
Lisandra annuì. «Per proteggersi dal controllo della mente. Capisco. Tutto questo è opera dei maghi del sangue. Ichabod non era il solo, evidentemente.»
«Non hai visto cosa è successo?» Le chiese Castalia.
«Non ero all'assemblea. Pochi di coloro che vi hanno partecipato sono riusciti ad uscirne. Gabriel era tra loro. Dobbiamo trovarlo.»
“Magia del sangue...” Sapeva per certo che Merrill utilizzava quel tipo di magia in alcuni dei suoi incantesimi, ma non era mai stata un pericolo per il resto del Clan. Nell’Impero Samuren era però risaputo che fosse il tipo di magia predominante, e i Maghi umani e vampiri la usavano per uccidere, schiavizzare e dominare su tutto il paese. Era comprensibile che tutti ne avessero paura. In una delle stanze, trovarono tre maghi, che usarono la magia del sangue per attaccarli. Julian si parò di fronte a Castalia, frapponendosi tra lei e i maghi. Quelli si immobilizzarono, guardando straniti i propri bastoni, che improvvisamente avevano smesso di brillare. Senza dargli tempo di riprendersi, il ragazzo ne buttò a terra uno con lo scudo, ferendo il secondo. Castalia trafisse il terzo in pieno petto, finendo quello a terra.
L'ultimo mago rimasto, una ragazza che doveva avere l’età di Castalia, li pregò di risparmiarla, tenendosi il fianco ferito, le vesti già inzuppate di sangue.
«Perché dovremmo?» Le chiese la Druida, sollevando la spada, pronta a darle il colpo di grazia.
«Vi prego!» Gemette l'altra, in preda al dolore. «So che non ne ho il diritto, ma risparmiatemi. Non volevamo tutto questo, cercavamo solo di essere liberi!»
La ragazza si fermò, colpita da quelle parole. Se fosse stata nella loro situazione, avrebbe fatto lo stesso, realizzò. Non importava con quale mezzo. Abbassò la lama, appoggiando la punta a terra. «Proseguiamo.» Ordinò agli altri, lasciando la maga a terra, sorpresa di essere stata risparmiata. Ignorò le proteste di Julian e Lisandra.
Superarono altre stanze, venendo attaccati da altri demoni, abomini e parecchi cadaveri. Riuscirono in qualche modo a sconfiggerli tutti.
Si presero una pausa per raccogliere le forze, chiudendosi in una stanza. Un cadavere giaceva riverso sul pavimento. Mentre Lisandra si occupava delle loro ferite, Castalia notò che il corpo a terra presentava solo una ferita alla gola, precisa ma troppo piccola per essere stata fatta da una delle spade degli Inquisitori. Si avvicinò per esaminarlo meglio. Era un mago, gli occhi sbarrati e le mani inzuppate dello stesso sangue che gli macchiava le vesti.
«Castalia?» La chiamò Julian. «Che stai facendo?»
«Questo qui non è stato ucciso né da un Inquisitore né da un demone. Forse un mago del sangue......»
«Non scherziamo!» La interruppe una voce. «Quei culi secchi non avrebbero fatto un lavoro così pulito.»
Si girarono di scatto. Da un grosso armadio, ora aperto, emerse una figura. Era alta almeno due spanne in più di Castalia, con una massa di capelli biondi, sporchi e spettinati. Il naso doveva essere stato rotto più volte, e sulla pelle spiccavano parecchie cicatrici, alcune più recenti di altre. Aveva un vistoso tatuaggio sulla guancia.
Una guerriera delle montagne, a giudicare dai vestiti grezzi.
La donna li guardò sogghignando, due pugnali stretti nelle mani. «Meno male che c'è qualcun altro oltre a quei mostri.» Continuò. «Anche se non so quanto ci state con la testa, se siete ancora qui.»
«Cosa ci fa una barbara delle montagne qua dentro?!» Esclamarono gli altri tre, allarmati.
Quella sbuffò sonoramente. «Il peggiore affare della mia vita, a quanto pare. Il Karta mi ha spedito qui per contrabbandare del Lyrium a qualche Inquisitore assuefatto, ma poi è scoppiato tutto questo bordello e mi sono dovuta nascondere là dentro per evitare di essere fatta a pezzi da quei così...» Rispose, indicando l'armadio dietro di sé. «Voi due, piuttosto, non sembrate dei maghi.»
Castalia scosse la testa. «Siamo qui per aiutare.»
«Dovete essere più scemi di quello che sembrate, allora.»
«Come hai fatto ad entrare?» La interruppe Lisandra. «Nessuno può arrivare fin qui senza il permesso del Comandante Gregor...»
La barbara scoppiò a ridere sonoramente. «Dovete decisamente rivedere il vostro sistema di sicurezza. Quei deficienti in armatura scintillante non si accorgerebbero di una vacca nella sala da pranzo, nemmeno se gli scorreggiasse in faccia.» Lanciò in aria uno dei due coltelli, riacciuffandolo con abilità.
«Allora, che avete intenzione di fare? Tornate nell’armadio o ci date una mano?»
«Beh, io ho del Lyrium da vendere, e qui nessuno vuole più comprarlo.» La donna grugnì, indicando lo zaino che portava in spalla. «Mica avete novanta monete a portata di mano?»
«Lyrium?» Si illuminò Castalia. «Ha cosa serve?»
«Gli Inquisitori lo usano per lanciare incantesimi di basso livello e per migliorare le loro abilità in combattimento.»
«Forse ci può essere utile con Christian!» Esclamò Julian.
«Ehi, ottimo!» Esclamò la barbara, battendosi una mano sulla coscia. «Se li volete cacciate fuori i soldi, prima.»
«Credi davvero che abbiamo novanta monete nella borsa?» Le chiese Julian, allibito.
La donna scosse la testa, sbuffando. «Niente soldi, niente Lyrium. Devo pur campare, no?»
«Aiutaci a risolvere questo disastro, accompagnaci fino a Bowerstone e ti pagheranno quello che vuoi.» Le propose Castalia. «Oppure puoi rinchiuderti di nuovo nell'armadio e sperare per il meglio.»
L'altra sembrò considerare le proprie opzioni. «D'accordo. Ma il prezzo è appena raddoppiato. Per il disturbo. E vi conviene non prendermi per il culo.» Fece roteare di nuovo in aria il coltello.
«Ottimo. E dimmi hai un nome?»
«Chiamatemi Senua!» Rispose la barbara con un sorriso.
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