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gregor-samsung · 3 hours
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“ Tina, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane come tante nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita. Bastava aprire la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi; partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile, ebbene l’avremmo fatto. Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. E se è sempre azzardato decidere per gli altri, temerario arrogarsi il diritto della verità, c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e per la libertà. Vorrei che voi sfogliaste insieme a me l’album di ricordi, con i volti dei miei tanti compagni di grandi e piccole battaglie, fotografie scattate nei giorni della pace ritrovata, quando ci riconoscemmo simili. Mi rivedo, ci rivedo, con i capelli ricci o lunghi, barbe più o meno incolte, vestiti a casaccio, e tuttavia qua e là spuntano una certa gonna più sbarazzina, scarpe basse ma con le calzette colorate, un fermaglio su una ciocca ribelle, la posa ricercata di un ragazzo, e tutti insieme a guardare diritto l’obiettivo, tutti insieme sapendo che il futuro ci apparteneva, tutti insieme: questa era stata la nostra forza, la nostra bellezza. “
Tina Anselmi con Anna Vinci, Storia di una passione politica, prefazione di Dacia Maraini, Chiarelettere (Collana Reverse - Pamphlet, documenti, storie), 2023; pp. 3-4.
Nota: Testo originariamente pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006 e nel 2016.
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gregor-samsung · 4 hours
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Il sol dell'avvenire (Nanni Moretti, 2023)
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gregor-samsung · 4 hours
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" Il fascismo non era, come credevano i liberali, una parentesi, una malattia pur grave ma non mortale, bensì l'esplosione virulenta di mali endemici dello sviluppo della società italiana (la mancata Riforma, il Risorgimento rivoluzione fallita, il trasformismo della classe dirigente dopo l'Unità, la prima rivoluzione industriale avvenuta a vantaggio del Nord e a danno del Sud), e di vizi cronici del popolo italiano (cinismo, indifferenza, «o Francia o Spagna purché si magna», e prima di tutto il proprio «particulare»): anche Rosselli avrebbe ripetuto il giudizio di Gobetti, per cui il fascismo è stato «l'autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell'unanimità, che rifugge dall'eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia e dell'entusiasmo».* Ma non era neppure, come credevano i comunisti, un momento necessario e finale del grande conflitto storico tra la borghesia nell'ultima fase imperialistica e il proletariato nella sua prima fase rivoluzionaria, bensì l'espressione catastrofica e insieme irrazionale di una grande crisi di civiltà, in cui non soltanto l'Italia e la Germania ma tutto il mondo civile era stato coinvolto. Se solo un fatto rivoluzionario poteva mettere fine al fascismo, questo fatto doveva dar vita a un regime diverso tanto dalla democrazia liberale prefascista quanto dal comunismo sovietico. Questo fatto rivoluzionario era la Resistenza, purché fosse intesa non come guerra di liberazione nazionale e neppure come guerra di classe, ma come guerra popolare attraverso cui avviene non soltanto lo scardinamento del regime prefascista a cominciare dall'istituto monarchico, ma anche la rigenerazione di un popolo oppresso da secoli di governi di rapina: come guerra politica (non soltanto militare o civile) che, proprio in quanto guerra politica, avrebbe addestrato il popolo alla nuova democrazia. Uno dei compiti in cui si riconobbero la maggior parte dei gruppi che parteciparono alla Resistenza sotto l'insegna del Partito d'Azione fu quello della trasformazione della guerra di liberazione nazionale in «rivoluzione democratica», o altrimenti lo sbocco della Resistenza in una nuova società in cui fossero poste le premesse per l'attuazione di una «democrazia integrale». "
*Carlo Rosselli, Socialismo liberale, Torino, 1979, p. 117.
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Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Garzanti (collana gli elefanti / saggi), 1990, pp. 183-184.
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gregor-samsung · 1 day
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Sans filtre [Triangle of Sadness] (Ruben Östlund, 2022)
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gregor-samsung · 2 days
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“ Una sera, nel ristorante dell’albergo dove alloggiavano le nazionali svizzera e canadese, Erika è uscita sul balcone per fumare una sigaretta e lo ha studiato a lungo attraverso la finestra. Non partecipava alla conversazione ma sembrava a suo agio, beveva la birra a piccoli sorsi e sorrideva a tutti. Uno che era seduto vicino a Jai si è alzato; Erika ha buttato via la sigaretta a metà ed è corsa a sedersi al suo posto. Si è presentata, Jai la conosceva già. Lui le ha chiesto se stava stretta sulla panca (no, stava bene, grazie) e se voleva una birra (la voleva). Quando è tornato con la birra ha voluto sapere se era davvero importante farsi seguire da una come lei, da uno psicologo: semplice curiosità, tanto lui non se lo poteva permettere. Allora Erika ha pensato una cosa che lí per lí ha tenuto per sé, che gli ha detto solo piú tardi, quando, conoscendolo meglio, si sarebbe rivelata verissima: ha pensato che Jai non aveva nessun bisogno di psicologi.
Oddio, se non si è matti non si fa la libera, poco ma sicuro; ma la follia di Jai cominciava al cancelletto di partenza e terminava sul traguardo. Passato il minuto e mezzo della gara era un ragazzo sereno, anzi piú che sereno, luminoso: emanava, secondo Erika, una luce che rendeva tutto limpido intorno a lui, e rasserenava chi ne era illuminato. Gli altri, gli europei e gli americani del circo bianco, erano ragazzoni grossi come armadi, dalla parlata elementare e sboccata, che prima della gara si caricavano ascoltando heavy metal dalle cuffiette. Jai parlava a voce bassa, viaggiava con una piccola biblioteca di romanzi in inglese, faceva domande semplici e rispondeva con parole semplici e vere, e spesso anche belle, sorprendenti. Già quella prima sera, mi ha detto Erika, Jai l’aveva messa subito a suo agio, lei che, unica donna in un mondo di maschi, era abituata a tenersi sulle difensive. Gli altri hanno cominciato a prenderli in giro: ma perché con tanti bei ragazzi svizzeri Erika si occupava esclusivamente dell’indiano? E a loro cosa mancava? Il cervello, ha risposto Erika. Stasera, ha detto, finalmente ne aveva trovato uno che non le parlava solo di scioline e macchine sportive. “
Guido Barbujani, Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti, Einaudi (collana Super ET Opera Viva), febbraio 2022¹; pp. 116-117.
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gregor-samsung · 3 days
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Sils Maria [Clouds of Sils Maria] (Olivier Assayas, 2014)
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gregor-samsung · 3 days
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" Dalla mia finestra, quando alzavo gli occhi, non vedevo nulla di nulla. Solo un po’ di bianco, o di nerofumo, e un camino triste come una buca. «Dio!», mi dicevo, «che mai sarà di questa mia vita? Dove andrò? Dove sarò tra pochi anni? Andrea e Sonia non si stancheranno di me? E se sì, dove mi rifugerò?» Un uccello attraversava l’aria come una pietra. Tutto era difficile, tutto era in letargo, non solo per me, ma per la natura tutta, per la vita medesima. E mi andavo ricordando come di un sogno, benché invece li avessi in cuore vivissimi, dei miei ideali socialisti, della grande febbre che m’era presa a Napoli, dopo la guerra, di fare anch’io qualcosa di buono, collaborare affinché il mondo — da triste e ingiusto che era — divenisse lieto e provvido per tutti. Allora mi rianimavo, sentivo che il mio cuore riviveva, e tornavo a piegarmi sulla macchina da scrivere. Non avevo molta stima di questo mio lavoro, ma del suo contenuto, cioè del suo scopo — ch’era collaborare alla Rivoluzione — sì. Io, per la Rivoluzione, perché accadesse, e con essa il risorgimento degli uomini, della terra tutta, mi sentivo che volentieri avrei potuto morire. "
Anna Maria Ortese, Poveri e semplici, Vallecchi Editore (collana Narratori n° 32), Firenze, 1967¹; p. 20.
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gregor-samsung · 4 days
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Nu astepta prea mult de la sfârsitul lumii [Do not expect too much from the end of the world] (Radu Jude, 2023)
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gregor-samsung · 5 days
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" Spesso mi capita di notare quanto gli uomini diano scarsa importanza alle parole. Mi spiego meglio. Un uomo semplice (per «semplice» non intendo sciocco, ma uno che non si distingue dagli altri) ha un’idea, critica un’istituzione o un’opinione diffusa; sa che la stragrande maggioranza la pensa diversamente e perciò ritiene che non sia il caso di parlarne, consapevole che le sue parole non cambieranno nulla. È un grosso errore. Io mi comporto diversamente. Per esempio condanno la pena di morte. Quando se ne presenta l’occasione, lo dichiaro apertamente, non perché pensi che, se lo dico io, domani stesso gli Stati l’aboliranno, ma perché sono convinto che, dicendolo, concorro al trionfo della mia opinione. Non importa se non si è d’accordo con me. Le mie parole non saranno gettate al vento. Forse qualcuno le ripeterà e può darsi che arrivino a orecchie che le ascoltano e le incoraggiano. Può darsi che qualcuno fra chi oggi non è d’accordo con me, se ne ricorderà – in circostanze favorevoli, in futuro e, in concomitanza con altri casi, se ne convincerà, o per lo meno metterà in crisi il suo parere contrario. Lo stesso vale anche per diverse altre questioni di natura sociale, e soprattutto per alcune altre che richiedono un’Azione. So di essere timido e non in grado di poter agire. Ecco perché mi limito a parlare. Ma non credo che le mie parole siano inutili. Ci sarà qualcun altro che agirà. Ma le tante parole, le parole di un tipo introverso come me, gli faciliteranno il compito. Gli preparano il terreno. " 19.10.1902
Konstantinos Kavafis, Poesie e prose, a cura di Renata Lavagnini e Cristiano Luciani, Bompiani (collana Classici della Letteratura Europea diretta da Nuccio Ordine), 2021¹, pp. 1937-38.
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gregor-samsung · 6 days
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Η δουλειά της [Her job] (Nikos Labôt, 2018)
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gregor-samsung · 7 days
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" Vengo invitato come relatore a un convegno di tre giorni a Torino, un workshop internazionale con decine di partecipanti. Non conosco nessuno di questi colleghi, ma apprezzo la circostanza di un ambiente del tutto nuovo e di gente mai vista. S. è morto da sei mesi. Al ristorante dell’albergo dove si svolge il convegno i posti non sono assegnati e alla prima pausa per il pranzo mi ritrovo a dividere il tavolo con un relatore olandese, un afroamericano di Miami, una canadese, un belga, una brasiliana e un altro italiano, di Roma. L’imbarazzo iniziale dura poco, ci troviamo a discorrere come se ci conoscessimo da mesi, amici di lunga data. La casualità che ci ha riunito allo stesso tavolo si trasforma all’istante in un legame. Finiamo per trascorrere insieme il resto di questi tre giorni. Il convegno, i pranzi, le cene, le serate fuori a bere nei bar della città. Essere sconosciuto fra sconosciuti è rilassante, l’atmosfera di unità che si è venuta a creare fra noi, destinata a durare una finestra di tempo così limitata, ha qualcosa di magico. Ognuno di noi lo riconosce.
L’ultima notte del convegno faccio un sogno eccezionale. Sono in un enorme luna-park e mi aggiro incuriosito fra le diverse attrazioni. Giungo a una giostra composta da una ruota orizzontale alla quale sono agganciate una serie di seggioline a due posti. Decido di salire e ne occupo una da solo. La giostra si mette in moto e dapprima gira piano, poi acquista velocità e comincia a piacermi parecchio. Anzi, mi dico che era tanto che non salivo su un’attrazione del genere e che avevo dimenticato quanto potessero essere divertenti. La velocità del carosello si fa vertiginosa, ormai non riesco neppure a intravedere i volti degli occupanti degli altri seggiolini, è tutto troppo frenetico e confuso, ma questa folle velocità invece di preoccuparmi mi fa ridere fino alle lacrime. Poi il mio seggiolino si stacca dal resto della giostra e comincia a schizzare verso il cielo. Non provo alcuna paura, al contrario ne sono estasiato. Sto volando incontro al cielo, il vento nei capelli, la terra che si allontana sotto di me, sto compiendo un viaggio imprevedibile ed è una sensazione stupenda. Con un’improvvisa intuizione razionale mi rendo conto che sono felice, felice come non ero da mesi. Ed è a quel punto che accade: sento la voce di S. al mio fianco, che nell’orecchio mi sussurra: “Questa felicità è il mio regalo. Buon compleanno”. Mi risveglio all’istante. È la mattina del 18 aprile: me ne ero dimenticato, ma è il mio compleanno.
Questa felicità è il mio regalo. A oggi è il sogno più bello che abbia mai fatto. "
Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta, Mondadori, 2023¹; pp. 144-145.
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gregor-samsung · 7 days
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Маяк [The Lighthouse] (Mariya Saakyan, 2006)  
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gregor-samsung · 8 days
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" «Che cos’è?» «È il cha-cha-cha più bello che ci sia. Los cariñosos.» Si è messa a ballare. Ha un vestito color lilla di tessuto a grossa trama teso sul busto, serrato in vita da una cintura, la gonna al ginocchio corta e gonfia. Il cha-cha-cha non le sale nelle gambe ma nel bacino e nella colonna vertebrale, assoggettando il corpo a una specie di desiderosa ondulazione, di rilascio, di dare e non dare, offrire e no, come trotto a singulto per una strada che torna continuamente su se stessa, come un ostinarsi voluttuoso, come un giocare fra un’onda e l’altra, un ritmico compiersi d’amore che trascina su e giù, frenetico, misurato, preciso, stanco, insaziabile, come la febbre spirituale della sera nelle boscaglie d’Africa quando l’animo si perde nelle immaginazioni e nei ricordi, come la livida luce nel vicolo dalle cui profondità una voce chiama, come le rosse labbra ambigue che per un istante al riverbero dei fari si dischiusero mute nella promessa, come la giovinezza triste che ridendo si butta e si contorce nel buio che la schianterà, aspirazione, ideale anche, vibrazione profonda della materia viscerale, voce delle terre che mai conosceremo, imitazione del trionfo il quale mai si compirà, martello dolcissimo e crudele che batti a tre a tre con una breve pausa in mezzo, a tre a tre batti, batti a tre a tre e precipiti giù per le cateratte del diciassette aprile battendo a tre a tre i macigni e l’acqua urtando impazzisce, diventa biscia, epilessia, arpa, perdizione ma lei sopra coi tacchi a spillo levita, fluttua, gioca e sorride con l’evidenza soverchiante di una sapiente bambina, qui ritrovando il succo irresistibile e vero della vita. C’è, nel motivo popolaresco della musica, semplice come uno stecco eppure carico di secoli, qualcosa che precisamente diceva addio, con potenza d’amore per quello che fu e mai ritornerà e nello stesso tempo un confuso presentimento di cose che un giorno verranno, forse, perché la musica vera è tutta qui nel rimpianto del passato e nella speranza del domani, la quale è altrettanto dolorosa. Poi c’è la disperazione dell’oggi, fatta dell’uno e dell’altra. E fuori di qui altra poesia non esiste. "
Dino Buzzati, Un amore, Mondadori (collana Oscar moderni, n. 4), 2023⁶⁴, pp. 87-88.
[Prima edizione originale: Mondadori (Oscar, n. 4), 1963]
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gregor-samsung · 9 days
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すばらしき世界 [Under the Open Sky] (Miwa Nishikawa - 2020)
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gregor-samsung · 10 days
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" Il bonzo vietnamita che si cosparge di benzina, il giovane americano che brucia pubblicamente la cartolina precetto, il radicale che digiuna - tutti eredi spirituali del primo genio che intuì le possibilità date da una società delle comunicazioni, e cioè il Mahatma Gandhi - sono stati tra i primi a praticare una attività che, parafrasando Sraffa, possiamo chiamare "produzione di messaggi per mezzo di messaggi". Uccidersi, digiunare, esporsi alla condanna per rifiuto della leva senza che nessuno lo venga a sapere, è un gesto inutile. Il gesto diventa utile proprio perché se ne parla, e diventa non un gesto materiale (la mia morte, il mio digiuno) ma un gesto simbolico che parla d'altro (le ragioni per cui muoio, digiuno, brucio la cartolina). Sino dalla nascita dei grandi circuiti di informazione, gesto simbolico e trasmissione della notizia sono diventati fratelli gemelli: l'industria della notizia ha bisogno di gesti eccezionali e li pubblicizza, e i produttori di gesti eccezionali hanno bisogno dell'industria della notizia che dia senso alla loro azione. Ho fatto l'esempio di gesti violenti e di gesti non violenti, proprio per dire che il fenomeno è più diffuso di quanto non si pensi. Basti considerare cosa fa un uomo politico quando dà clamorosamente le dimissioni. Non dà le dimissioni perché vuole smettere di lavorare (magari vuole ricominciare subito dopo e a condizioni migliori), ma le dà affinché il suo gesto diventi notizia. Appartengono a questa categoria di gesti-messaggio quello della divetta che si spoglia a Cannes, del divo che schiaffeggia il fotografo e persino (in una società primitiva dai circuiti comunicativi ridotti) il gesto del fidanzato respinto dai genitori che rapisce la ragazza, in modo che, dopo che tutti hanno saputo che essa non è più illibata, il matrimonio diventi indispensabile. La tecnica di produzione di notizie per mezzo di fatti-messaggio è molto antica: solo che negli ultimi tempi essa è cresciuta di pari passo con la crescita delle tecniche di informazione. "
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Brano tratto da C'è un'informazione oggettiva?, relazione tenuta il 15 aprile 1978 ad un convegno milanese organizzato dalla Casa della Cultura e dall'Istituto Gramsci su "Realtà e ideologie dell'informazione", testo quindi raccolto in:
Umberto Eco, Sette anni di desiderio. Cronache 1977-1983, Bompiani, 1983. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 11 days
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Danmarks sønner [Sons Of Denmark] (Ulaa Salim, 2019)
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gregor-samsung · 12 days
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" They always told us that one day we would move into a house, a real house that would be ours for always so we wouldn't have to move each year. And our house would have running water and pipes that worked. And inside it would have real stairs, not hallway stairs, but stairs inside like the houses on TV. And we'd have a basement and at least three washrooms so when we took a bath we wouldn't have to tell everybody. Our house would be white with trees around it, a great big yard and grass growing without a fence. This was the house Papa talked about when he held a lottery ticket and this was the house Mama dreamed up in the stories she told us before we went to bed. But the house on Mango Street is not the way they told it at all. It's small and red with tight steps in front and windows so small you'd think they were holding their breath. Bricks are crumbling in places, and the front door is so swollen you have to push hard to get in. There is no front yard, only four little elms the city planted by the curb. Out back is a small garage for the car we don't own yet and a small yard that looks smaller between the two buildings on either side. There are stairs in our house, but they're ordinary hallway stairs, and the house has only one washroom. Everybody has to share a bedroom—Mama and Papa, Carlos and Kiki, me and Nenny. Once when we were living on Loomis, a nun from my school passed by and saw me playing out front. The laundromat downstairs had been boarded up because it had been robbed two days before and the owner had painted on the wood YES WE'RE OPEN so as not to lose business. Where do you live? she asked. There, I said pointing up to the third floor. You live there? There. I had to look to where she pointed—the third floor, the paint peeling, wooden bars Papa had nailed on the windows so we wouldn't fall out. You live there? The way she said it made me feel like nothing. There. I lived there. I nodded. I knew then I had to have a house. A real house. One I could point to. But this isn't it. The house on Mango Street isn't it. For the time being, Mama says. Temporary, says Papa. But I know how those things go. "
Sandra Cisneros, The House on Mango Street; 1st edition: Arte Público Press, Houston (TX), USA, 1984.
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