Tumgik
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E' un letto di morte, ecco. Un comune letto di morte.
Thomas Mann, La Montagna Incantata
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Dicevo, odio i bambini perché mentono. Non sono davvero bambini, si camuffano da tali per ingannarci. L’infanzia è una condizione dello spirito che si può raggiungere solo da adulti, e che molti non sperimentano mai. L’infanzia implica il consapevole rifiuto dell’età adulta, dei suoi obblighi sociali, delle sue dinamiche psicologiche, dei suoi ruoli avvelenati. C. S. Lewis notava che è tipica dei bambini la smania di crescere, e infatti il bambino è un miserabile prototipo di adulto. Diventare definitivamente bambini è la scelta che il dio offre dopo l’attraversamento del ponte, non c’è nessun merito nell’esserlo prima, per un poco.
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Poi Z mi racconta della tizia che bivacca in casa sua ed è rimasta incinta e sapete com’è, io sono una persona orribile, mi viene in mente quando Bill Hicks diceva che Hitler ha avuto una buona idea ma non ci ha creduto abbastanza. Sul concetto di persona si discute da millenni ed è una di quelle delicate schermaglie filosofiche utili ad aspettare amabilmente il tramonto nella sala del tè. Più antica, e più onesta, la consapevolezza dell’errore che è stare al mondo. C’è dappertutto, dall’inizio dei tempi, la sentenza del Sileno, l’Ecclesiaste, c’è di certo qualcuno che dalla palafitta ha camminato nel lago e sprofondando è diventato una pietra, innocente quieta e senza dolore.
Rimane, credo, un argomento insormontabile: nascere può essere un male, non nascere non lo è mai. Perché l’entità che non nasce non ha desideri rimpianti speranze (che sono, appunto, conseguenza del male di essere vivi). La scelta è ovvia. Ma oltre, capisco la difficoltà a maneggiare il concetto di “vite indegne di essere vissute” - la difficoltà filosofica, non quella dei subumani pro-life. Nessun limite possibile è logico. La tassonomia dei nazisti era assurda. Altre tassonomie dilagano in un oceano di compassione. Francamente, non c’è limite: nessuna vita è degna di essere vissuta. 
Direbbero, altri, che c’è la libertà personale, nel senso che non possiamo far esplodere il mondo nonostante sia innegabilmente meglio per tutti. Ma, due problemi: 1) la libertà personale è una delle idiozie dell’illuminismo, il cui unico fine è giustificare traslazioni di potere - siete rivoluzionari, e come tali desiderate un padrone; 2) quanto è giusto che una persona soffra perché lo desidera, o crede di desiderarlo? Di fronte allo splendore del purissimo diamante dell’assenza sembra scomparire tutto il resto. Comunque sia, credo di aver completato il cerchio: imparare ad odiarsi, imparare a perdonarsi, imparare a non esserci.
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In questi ultimi due anni ho scritto molto, e alcuni articoli non so nemmeno dove siano finiti. Citati in giro, non lo so. Come di tutte le cose, adesso non mi importa più. Sarebbe ingiusto dire che mi annoio, piuttosto mi esaurisco. La vita è molto lunga, alla maniera di Eliot: nel senso che agli uomini è dato così poco per riempire gli anni. La vita dura sempre più di chi vive, si arriva sempre a morire già morti. A volte ho un curioso istinto suicida, del tutto privo di tragedia, di sofferenza, persino di letteratura. Nel senso che se si morisse premendo un bottone lo premerei con assoluta indifferenza. “È un innato modo di fare questo mio non accettare di esistere.” Così, uno sta qui solo per vedere che succede, una noiosa vicenda, una puntata di Don Matteo. Mezzo addormentato. Dentro l’assenza, certe cose mi commuovono di spazio infinito fra la vecchiaia e l’infanzia. Il tuo parco giochi, i dodici anni che non hai smesso di avere, i ventidue di lei, il suo seno. C’è qualcosa dell’assurda lentezza di costruire rotaie, un metro ogni giorno e ogni giorno è di nuovo qui il treno di ieri.
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Molto ho scordato, Camilla, sulle ali del vento, e ho gettato rose, rose in tumulto tra la folla danzando per scacciare dalla mente i tuoi pallidi gigli perduti, ma ero svuotato e triste per l'antica passione, sì, di continuo, perché la danza era lunga; ti sono stato fedele, Camilla, a modo mio.
John Fante, Chiedi alla polvere
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Dicevo, il grosso problema è che manca un’età alla vita. Guarda tutta questa gente che trasmuta dalla condizione di odiosissimi bambini a quella degli adolescenti che scrivono le storie erotiche su Wattpad e poi diventano adulti noiosi e si occupano di famiglia lavoro e soldi... vedi, manca proprio qualcosa. Lo spirito infantile e l’intelletto perché diventi complesso e immenso, il tempo in cui leggere La Terra Desolata con un allegro pianto negli occhi, il sentimento d’irrilevanza degli immortali.
Dicevo: guarda, ci sono modi divertenti per essere infelici. L’importante è cogliere la contraddizione, le tenere imprecisioni. 
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Dopotutto, non avevo più molta voglia di scrivere. Immagino esista una stanchezza della noia, conseguenza non di aver fatto cose, ma della consapevolezza che è inutile farle. Come pagare il biglietto per un brutto film e poi non entrare in sala, una specie di elemosina all’irrilevanza della vita. Più che altro ascolto audiolibri con gli occhi chiusi e il ventilatore sparato al massimo addosso. Ho sognato s. e nel sogno gestiva l’estrazione del petrolio in qualche paese arabo e in una videochiamata le dicevo del capitalismo, e della condizione del borghese come vuoto spirituale e i miei soliti discorsi... ma comunque non ci capiremmo più nemmeno se parlassimo ancora. E’ capitato il fenomeno tipico della linguistica storica, che ha un certo punto grammatica sintassi e semantica si sdoppiano, biforcute come la lingua di un serpente, e da una parte all’altra si smette di capirsi.
La bellezza e la consolazione, come l’amore di una fanciulla morta. Quel discorso di Chiedi alla polvere: il mare, esiste davvero? Se il mare esistesse tutto sarebbe risolto. Lei, che fra tutti è l’unica ad aver capito almeno qualcosa, mi attribuiva la colpa dell’astrattezza. Questo è il punto, vivere il meno possibile per non scoprire la verità sul mare, come i pesci nell’acquario. 
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Poi se il tempo fosse circolare, e sempre identico a se stesso, se tornasse il tempo e l’orrore di aver perduto il tempo, così senza fine.
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Nulla verrà più. Non vi sarà più primavera. Almanacchi millenari lo predicono a tutti. Ma nemmeno estate e altre cose che recano il bell'attributo estivo nulla verrà più. Non devi assolutamente piangere, dice una musica. Nessun altro dice qualcosa
Ingeborg Bachmann
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Rendi forti i vecchi sogni Perché questo nostro mondo non perda coraggio A lume spento.
Ezra Pount
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Ho sognato questo ispettore di polizia nero, stile serie americane, e gli chiedevo di cercare S. per me. Curioso, come sia passato dal sognare lei al sognare l’impossibilità di trovarla. Come fosse una vittima che infine si dimentica in un mucchio di cani estinti, ormai distante, traghettata nell’altro regno. Infine dovrei sognare la sua assenza come questa nube color inchiostro, una specie di Yog-Sothoth. Da segno del tutto a segno del niente, la semantica e i suoi cerchi.
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Vivo solo da oltre quindici anni, e non ho mai svuotato un'aspirapolvere. Passo l'aspirapolvere, ma poi ogni tanto viene la signora delle pulizie e la svuota lei. Teoricamente, dovrei sapere che l'aspirapolvere ha una capienza limitata, e che potrebbe riempirsi. Ma non l'ho mai vista svuotare e dunque sospetto che dentro ci sia un vuoto senza fondo nel quale potrebbe cadere tutto l'universo. C'è Rovelli che cita Nagarjuna per spiegare che esperiamo soltanto relazioni fra niente e niente. Il nichilismo l'abbiamo già superato, davanti a noi abbiamo il nulla. Pensavo che sarebbe bello un incontro fra Rovelli e Quinzio, poi mi ricordo che il secondo è morto. Dimentico sempre.
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Cominciare a considerare l’ipotesi che questi siano gli ultimi giorni della civiltà contemporanea. 
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Una delle cose più sgradevoli, ecco, è l’asimmetria fra il mondo e la nostra storia del mondo, la letteratura delle nostre vite e le vite stesse che senza rispetto la disordinano, sgrammaticano, con archi narrativi casuali, logiche interrotte. Mettiamo, prima che scoppi la guerra atomica vorrei chiamare S., ma sarebbe imbarazzante se si fosse messa con qualcun altro. Allora ci sarebbe solo l’appendice di eventi scorrelati: oh, scusa, pensavo non avessi nessuno con cui morire. Imbarazzante. Sempre questione di prospettive: di fronte a questa storia i miei occhi sono due fra la miriade di Argo. Tutti da questa parte, certo, destinati al medesimo taglio della testa, morti insieme per forza di cose ma senza mai essere vissuti insieme. Ciao, da questa mia parziale, daltonica, annebbiata visione del mondo, che a prescindere sta per finire, dall’incomunicabilità iniziale moltiplicata dagli anni, è miracolosamente possibile un finale comune? Non passione ci vuole, diceva Dostoevskij, ma compassione.
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Mi manca accusarti di essere un’atlantista imborghesita.
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Poi ecco, il tizio del giornale diceva che gli eventi degli ultimi giorni hanno aumentato le visualizzazioni, mi veniva ridere e ho fatto finta che si fosse staccata la connessione. Allora mi sono messo a ridere da solo, così, per venti secondi. Gli eventi.
La guerra. La osservo con una certa rassegnazione, come si osserva una potenza aliena, l’antico dio dalla bocca di brace che divora gli olocausti. Gli eventi. Dev’essere una sensazione simile a chi aspetta il risultato di un’analisi, qualcosa del genere, per sapere se ha un cancro oppure no. L’assurdo della morte che non ci appartiene, decisa da disfunzioni negli organi, errori nelle cellule - non c’è niente di più disumano del corpo. Non ho molto per cui vivere, onestamente. D’altra parte non trovo una sola buona ragione per morire. Sospetto che finirà molto male. Ogni tanto qualcuna mi scrive per farsi rassicurare. Immagino di essere l’unico giornalista che conoscono, forse per loro vale qualcosa. Ci provo, ma non ci credo. E’ piuttosto divertente, le ragazze dei siti di incontri che ti chiedono della guerra mondiale. Il mondo è andato nella direzione opposta a quella prevista dagli imbecilli liberali. La storia è ricominciata, o forse per ricominciare davvero ha bisogno dell’apocalisse. Ci sono gli inuit, gli aborigeni nella foresta amazzonica: la specie sopravviverà. Vivranno in villaggi, ricominceranno di nuovo. Cammineranno innocenti fra i vecchi incubi della terra, gli scheletri dei palazzi come enormi animali estinti. E’ possibile, tutto questo? Guardo e dico: sì, è possibile. Forse probabile. Strano a pensarci. Chissà se S. vorrà parlarmi prima del botto. Mettiamo in ordine il passato se non c’è più un futuro, che altro possiamo fare? Va bene così. La fase dell’accettazione di Kubler Ross. Non era la mia vita, non sarà la mia morte.
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Sono annoiato, e anche un po’ disgustato, dalla banalità dei discorsi, la grottesca simmetria delle posizioni e, siamo onesti, l’ordinaria stupidità di chiunque. Questo è l’unico posto dove mi sento libero di esprimere il disprezzo verso i miei irriconoscibili simili. Comunque sia, l’altro giorno ho scritto un articolo sullo spirito russo, che mi sembra l’unica cosa degna di riflessione al momento. Poi due cose.
1) C’è un saggio di Marc Bloch sulle false notizie in guerra, che sono inevitabili e una forma di protomitologia, l’emergere di motivi letterari che precedono gli eventi. Tutte le notizie che leggete in questi giorni, da qualunque parte provengano, sono al meglio incomplete e al peggio inventate.
2) Il potere è meccanicamente diverso a seconda delle circostanze ma è identico ovunque e sempre nella sua natura. Quei calcoli da bottegai, che un paese sia più o meno libero, che chi comanda sia più o meno un dittatore, sono assurdi semantici. Tutte le relazioni umane producono e aspirano al potere. Lacan diceva agli studenti del ‘68: in quanto rivoluzionari, aspirate a un padrone, e l’avrete. 
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