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Fiesta Alba - Fiesta Alba
Ehi. Si torna. Ogni quando.
Fiesta Alba è un progetto math sperimentale che fa di tanta disparità e atonalità marchi di fabbrica di oltranzista musica difficile.
La band, composta da capaci musicisti sotto pseudonimo, si fa accompagnare in questo EP di cinque pezzi da quattro diversi interpreti vocali, stilisticamente e culturalmente molto diversi tra loro. Tutto ciò genera un effetto molto affascinante di coerente eterogeneità. Se, infatti, le musiche restano matematiche e storte, le linee vocali danno toni e atmosfere molto originali ad ogni brano, spaziando dall'american math di "Laundry" (feat. Welle), passando per l'hip hop sghembo declamato da DJ Sensational in "Juicy Lips". Ci si tuffa poi nel nervosismo tribale di "Dem Say" con la collaborazione di Kylo Osprey e, a mio avviso, l'apice sonoro e compositivo del disco. "Burkina Phase" contiene un prezioso estratto del compianto leader del Burkina Faso, Thomas Sankara, ed è un viaggio in ritmi african beat. L'EP si chiude con "Octagon", l'unico brano interamente strumentale, che riporta il discorso dov'era iniziato: dalle parti della disparità sonora, dell'atonalità che si fa tessuto intricato e fitto fitto.
L'EP omonimo di Fiesta Alba è, dunque, un'ottima prova di sperimentalismo aritmetico ben suonato e, sopratutto, ottimamente ispirato.
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Federico Madeddu Giuntoli - The Text And The Form
Ehi.
Federico Madeddu Giuntoli è un artista multidisciplinare all'esordio sonoro solista con "The Text and The Form", edito in un bellissimo e delicatissimo artwork ad abbracciare un vinile colorato, il tutto fuori per la giapponese etichetta FLAU.
Ciò che mi colpisce immediatamente è la brevità generale dei singoli pezzi, intesi non come canzoni, ma proprio come le parti di un ragionamento, un esperimento più ampio.
L'album gode di due particolari e pregevoli collaborazioni: AGF e Moskitoo. Non conoscevo queste artiste ed è sempre bello scovare più di qualcosa di nuovo, oltre alla musica che mi viene proposta.
Tornado a Federico e alla sua musica, questa è caratterizzata da un uso rarefatto e quasi sporadico degli strumenti. La sottrazione è l'elemento artistico che mi evoca ciò che si ascolta. Questo non vuol dire che manchino i contenuti, anzi. Tutto ciò invita a cogliere il massimo dal minimo. A chiedersi cosa ci sia dietro ogni nota di piano, colpo sulla chitarra, beat sintetico, parola sussurrata.
Il disco si fa, dunque, cogliere in un batter d'occhio e si conclude educatamente così come era iniziato. La sensazione che mi porto è quella di un discorso iniziato e concluso, ma con altri capitolo all'orizzonte. Giuntoli non è un ragazzino e la sua esperienza artistica è consistente. Mi aspetto un reprise di tutto il concetto di "The Text and The Form" perché, semplicemente, il nostro ci sa fare.
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Francesca Naibo - So Much Time
Ehi.
Francesca Naibo è una chitarrista veneta, oramai milanese d'adozione. La nostra è anche una compositrice con idee originali e un modo di tradurle in suono molto interessante. "So Much Time" è il suo secondo album solista ed è permeato da un'attitudine elettroacustica molto fisica.
La registrazione coglie non solo ciò che l'amplificatore ha cooptato tramite apparecchiature tecnologiche, ma anche i movimenti fisici eseguiti da Francesca nell'atto del suonare.
La musica è una forma molto libera di intendere l'approccio alla sei corde, in maniera più free che sperimentale. Il che è, forse, ancora più carico di tenore artistico. Alcuni pezzi sono astratte corse su e giù per la tastiera (D'Accordo), altri picchiano più duro (E Se Poi Te Ne Penti e Al Mio 3 Spingi), senza mai scadere nella banale cacofonia da noise stantio. Infine c'è spazio anche per alcune composizioni slow core dal sapore ambient molto espressive (Voi La Ricordate da Piccola e Non Sarebbe Meglio Se Tu Venissi Al Posto Mio?).
Ehi è l'Esperimento sul dialogo tra Francesca oggi e ieri: un giocoso collage sonoro e saltellante di battute tra le due artiste in campo. La particolarità del disco, infatti, è che questo è un dialogo tra l'artista di oggi e la sua immagine bambina di circa 8 anni, rappresentata da registrazioni di sè stessa di circa 20 anni fa. L'effetto è tra i più intriganti e teneri che si siano sentiti ultimamente.
"So Much Time" è un lavoro speciale. Malinconico e vivace allo stesso tempo, con una proposta sonora concreta e senza fronzoli e alcune trovate che risultano vere e proprie perle che impreziosiscono il già pregevole lavoro compositivo e tecnico.
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Megasole - Terra Cognita
Ehi.
Torniamo all'amore per le cose dilatatissime e difficilissime. Torniamo a parlare di Tommaso Busatto, già nei qqqØqqq, e del suo nuovo progetto con Carlo Giacomel alle chitarre: Megasole.
"Terra Cognita" è un disco, ma è anche un videogioco! Sì, una cosa che, forse può suonare normale, ma per chi scrive non lo è. Il lavoro, infatti, funge da colonna sonora di un'esperienza videoludica dalle tinte oniriche e ultraterrene, pensata dagli stessi autori delle musiche. Non riusciamo nemmeno a spiegarla per quanto particolare sia la faccenda.
Le tracce, a dire il vero, funzionano benissimo anche da sole. Siamo dalle parti di quell'elettronica sperimentale che tratteggia paesaggi post-apocalittici più alla "The Road", rispetto a "Terminator". I synth sono feroci e suadenti allo stesso tempo. La chitarra disegna riff e schegge proto-metal per puntellare le atmosfere. La freddezza di alcuni beat (Deserto del Preludio) fa da contraltare al calore infuocato di alcuni momenti (Elementa).
Il videogioco è puro stile libero creativo. Sotto certi profili è più free e sperimentale della musica. Premettiamo che qui non siamo per nulla esperti di videogiochi e l'ultimo gioco giocato è GTA San Andreas ai tempi dell'uscita... Comunque sia è davvero un'esperienza a tutto tondo che rende straniti e contenti di aver assaporato qualcosa di nuovamente originale in un mondo sperimentale che tende a ripetersi un pochino. Il gioco è pure difficile, davvero.
Come se non bastasse l'artwork del supporto fisico (una chiavetta usb) è stupendamente curato da Liz Van Der Nüll.
Tutto sto lavorone è fuori per Ghost City Collective.
Che dire... le parole non bastano per descrivere e raccontare una delle opere più complesse e complete segnalate su questo difficile blog.
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Tristan da Cunha - Diver, Adrift
Ehi.
Per il vecchio adagio: "segnalo, quando ascolto", ci teniamo a farvi sapere che abbiamo ascoltato (non abbiamo mai smesso, per vero) l'ultimo disco del duo slow core Tristan da Cunha, di cui uno è a che Altaj.
Il grande fascino di Tristan da Cunha deriva, oltre dal nome di un isolotto sperdutissimo, ma abitato nel Sud Atlantico, da un approccio minimalista in tutto: la musica è slow core fatto di emozioni e dinamico, piuttosto che di tecnica e produzioni pompose; gli artwork sono disegni o foto talmente scarne da lasciare sempre il gusto dell'approfondimento; tutti i lavori hanno pochissimi pezzi, ma suonati e pensati daddio; i supporti sono gli anacronistici, ma sempre efficienti, cd-r e le sempreterne musiccassette.
Anche questo "Diver, Adrift", uscito a novembre scorso, è un duo di canzoni dai titoli abbastanza intuibili, che menano e menano, mentre ci si addormenta. Ecco, i Tristan da Cunha ti addormentato a cuscinate: non con i cazzotti del metal, ma nemmeno con le carezze dello slow core.
I Tristan da Cunha sono uno splendido esempio di come si possa fare musica stupenda con buone idee e tanto buonissimo gusto.
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Il Wedding Kollektiv & Andrea Frittella - 2084
Ehi.
Ci abbiamo messo un bel po' a trovare il tempo di scrivere questo post. Non perché si sia chissà che profondi e, quindi, non troverete nulla di particolarmente bello da leggere. Il fatto è che il nuovo lavoro de Il Wedding Kollektiv insieme ad Andrea Frittella è talmente particolare ed intrigante, anche se breve nel minutaggio, da richiedere tempo e ancora tempo per farlo proprio.
Il disco, che in realtà è un complesso prodotto artistico a tutto tondo, si intitola "2084" ed è composto, nella parte musicale, da quattro pezzi. Il resto dell'opera è un prezioso packaging ed un fumetto il tutto realizzato da Andrea Frittella.
Ricordiamo che dietro Il Wedding Kollektiv abbiamo il compositore e musicista Alessandro Denni, che già con "Brodo" aveva dato prova dell'enorme creatività del suo kollettivo, che riunisce musicisti di primissimo piano. Spicca la voce di Tiziana Laconte così come le chitarre di Claudio Moneta, autore anche dei testi.
La musica è un art rock dalle tinte ambient, con suoni che ricordano la glitch come alcune derive free.
Un lavoro, dunque, stratificato a tutti i livelli con stimoli multidimensionali e multidisciplinari. Denni è sinceramente una delle mente artistiche più vivaci degli ultimi anni, con idee sempre nuove ed originali. A proposito di ottime idee ci teniamo anche a citare il disco "Il Wedding Kollektiv & female friends play SOUP", un remix album dell'ottimo esordio, rielaborato tramite le femminili sensibilità di alcune conoscenze del collettivo. Anche questo disco è un'ottima prova di creatività tout court che, come se ce ne fosse bisogno, amplia ulteriormente il concetto di "collett(v)ivo" mutevole e sempre alla ricerca di novità.
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Ramon Moro - Calima
Oi.
Allora Ramon Moro io non lo conosco e non lo conoscevo prima di sto disco, perché se passi per Dio Drone moh ti becco, ma, se stai da altre parti, noi badiamo solo ai consensi e non alla sostanza.
Sproloquiato a dovere, ora Ramon Moro ci viene presentato come trombettista, ma io faccio fatica proprio a inquadrarlo. E' un compositore sicuro, suona la tromba e ci siamo, ma è una persona davvero dalle tante competenze. Sarà anche simpatico, immagino.
Insomma questo "Calima" è un disco bello strano. I pezzi sono spartiti strani: due lunghi all'inizio, che fanno l'80% del disco, poi na marea di stimoli proto ambient e, infine, n'altro pezzo lunghetto. Insomma noi siamo disorientati, ma disorientati bene. Quando ci si perde bisogna ritrovarsi, bisogna faticare, impegnarsi. Insomma bisogna affrontare la difficoltà. Questo disco ci chiede di farlo, non è un ascolto scontato, facilone.
Arrivare alla fine e ripartire è, però, più semplice di quel che sembra. Ramon ci porta a perderci e ci ficca la faccia nell'abisso, ma mentre l'abisso guarda in noi, Moro ci ripiglia e ci sbatte contro uno scoglio sferzato dal vento, dove il ghiaccio delle gocce d'acqua salata ci tagliano la faccia. Poi ci traghetta in un marea sospettosamente calmo, come un Caronte post contemporaneo, in nuovi lidi, desertici, distanti...tipo in The Terror quando arrivano alla terra ferma che mi ha preso peggio di quando stavano sulla nave...
La voce del Moro è cacofonica e fa da contraltare a tessuti dark ambient filati tramite un gusto avant di pregiata fattura.
Insomma che dire, tutto bello e difficile, come dev'essere se se ne parla in questo posto.
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Dagger Moth - The Sun Is A Violent Place
Ehi.
Segnaliamo, totalmente di pancia, l'ultimo disco di Dagger Moth, uscito a ottobre, ma già lo saprete perché, secondo noi, ne parlano tutt*.
Parlandone anche noi, possiamo dire che la chitarrista ferrarese Sara Ardizzoni è un'artista completa sotto il profilo tecnico e creativo. Il disco, interamente autoprodotto, travalica il cantautorato semi-sperimentale degli esordi per ampliarsi ad uno spettro di suoni e stimoli sempre più indefinibili e difficili (per come qui intendiamo il termine).
"The Sun Is A Violent Place" esce a dieci anni dall'esordio del progetto solista della Ardizzoni, già impegnata come chitarrista in numerose band, tra cui, negli ultimi tempi, Massimo Volume e la FIRE! Orchestra di Mats Gustafsson --- così per dire!
Se alcuni pezzi appaiono figli di un ambient lisergico, altri sfiorano la tribal techno. La chitarra, sempre suonata daddio, è lo strumento principe della Ardizzoni, ma i beats si ritagliano un ruolo sempre più strutturale, così come la voce, che funge da strumento al pari degli altri.
La libertà di espressione di Dagger Moth è totale e permette alla compositrice di sperimentare e sperimentarsi, anche oltre le classificazioni e le definizioni di cantautorato. Il risultato ha un genuino respiro internazionale e la tecnica si fa veicolo ideale per la creatività, che spicca sopra ogni cosa.
Dagger Moth si conferma un progetto audace e libero, figlio di un'artista intrigante ed impegnata nel mettere tutto il suo impegno anche nei particolari, che fanno grandi anche i pezzi più, apparentemente, innocui.
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Marco Ferrazza e Giacomo Salis - Verso
Ehi.
Marco Ferrazza e Giacomo Salis sono due sperimentatori sonori dediti all'improvvisazione che si sono incontrati nello studio di Salis per un sessione di registrazione. Il risultato di quell'esperienza è "Verso", lavoro uscito in cassetta per Tone Burst.
Siamo nei territori più ampi dell'improvvisazione. Salis è un musicista particolare che utilizza percussioni e battenti inconsueti in maniera inconsueta. L'acustica della percussione ha dignità e centralità totali. Le vibrazioni delle pelli sono strumento e amplificatore del tocco allo stesso tempo.
Marco Ferrazza è compositore ed improvvisatore elettronico con uno sguardo analogico all'approccio musicale. I suoi lavori trasudano field recordings e avvolgono i timpani dell'ascoltatore con avvolgenti vibrazioni fisiche.
L'incontro tra i due ha dato vita a "Verso": quattro tracce di impro sperimentale, che si fregiano di un minimalismo acustico, che riflette l'essenza del lavoro dei due.
I rumori e i suoni si sovrappongono, anticipano ed accompagnano in un bagno sonoro che disorienta e attrae allo stesso tempo. Il drone elettronico di Ferrazza sostiene e fa da compendio al rumorismo tribale di Salis in un incontro che non sfocia mai in scontro.
I due artisti dialogano senza parlare e, apparentemente, con linguaggi diversi, ma che ne producono uno del tutto nuovo e tutto da scoprire.
[ SLS ig ] [ FRZ st ]
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Giacomo Zanus - Inside a frame
Ehi.
Giacomo Zanus è un chitarrista e compositore con una solidissima esperienza di studio e sperimentazione del suono dello strumento a sei corde per eccellenza. Non nascondiamo una certa soggezione, da ascoltatori amatoriali quali siamo, quando alle nostre orecchie giungono le note e i brusii, frutto di anni di studio. Detto ciò questo è un blog personale, quindi, caro Giacomo, se ci hai mandato il tuo lavoro, ti becchi quel che siamo riusciti a cogliere.
Zanus nasce e cresce in contesti chitarristi già di per sé difficili: jazz e improvvisazione sono le marche del suo stile e delle sue esperienze.
"Inside a frame" è il primo disco solita di Zanus, già impegnato nei progetti KORA e Trio, ed esce per l'etichetta olandese esc.rec. .
Il lavoro va ben oltre la chitarra ed il suo utilizzo "tradizionale", ma quando mai noi vogliamo gli usi tradizionali...ma per piacere! Qui la chitarra si fa brusio e tocco tra brusii e tocchi di vita analogica ed elettronica, che Zanus ha raccolto e ordinato.
I quattro "frame" che compongono il disco sono differenti e simili allo stesso tempo. Il minimalismo nell'uso della chitarra è, quasi, assoluto e rasenta l'assenza dello strumento stesso. I field recordings e l'elettronica sono elementi sostanzialmente di sottofondo, ma che sorprendono con stimoli e rumori improvvisi che accendono l'ascoltatore.
"Punto di non ritorno" è il pezzo più sfidante. E' una lunga suite imperturbabile con delle registrazioni piazzate lì che ci hanno fatto saltare sul marciapiede mentre l'ascoltiamo in una giornata, pure, piovosa.
La conclusiva "Defaticamento cerebrale" è un manifesto, dopo le "fatiche" dei tre pezzi precedenti. Qui si assaggia il musicista più "classico".
"Inside a frame" è, a nostro avviso, un album straniante, nel senso buono del termine: è tanto tutto insieme e separatamente. E' eterogeneo e minimalista. Stimolante e rilassante. Educato e provocatorio. Ordinato e sperimentale. Attraente e frustrante. Difficile e accessibile. Non ci è dato sapere se Zanus volesse sortire effetti contrastanti, ma questo è solo il racconto di ascolti ripetuti di amatori del suono difficile.
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Dramavinile - Soaked
Ehi! Eccoci di nuovo. Oggi vorrei dedicare spazio e tempo (non richiesti ovviamente) ad un progetto elettroacustico molto interessante, a me sconosciuto fino a qualche giorno fa.
Sto parlando di Dramavinile, alias di Vincenzo Nava dall'Irpinia, già deus ex machina di Manyfeetunder, etichetta ambient attiva dal 2013.
"Soaked" è l'ultimo album, in ordine di tempo, uscito dalla mente e dalla vena creativa di Nava. Siamo in ambient(e) elettroacustico. I suoni sono dichiaratamente lo-fi. Lo sono, però, nel senso più buono del termine, con le minimali note di chitarra che si fanno fisiche, quasi tangibili nell'aria. E' possibile scorgere continui brusii naturali, stimoli seminascosti. Ogni ascolto diventa l'occasione per individuare un rumore o un suono nuovo, anche se il tutto sembra volutamente essenziale.
Un elemento straordinario nella sua "normalità" è il fatto che in alcuni pezzi si senta un respiro umano tra le note. Questo diventa la voce del disco in un certo senso: affascina ed impreziosisce l'ascolto.
Dramavinile e la sua musica sono, in definitiva, una splendida scoperta, che non fa che confermare l'ottimo stato della musica difficile italiana, in particolare degli artisti elettroacustici che popolano, silenziosamente, il nostro territorio.
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Max Faraon EXPF - Elements (EP)
Ehi! proviamo a mantenere una promessa e vi proponiamo una nuova segnalazione.
Oggi parliamo del nuovo EP di EXPF, moniker dietro cui c'è la mente e l'arte di Max Faraon, di cui avevamo già parlato in tempi non sospetti.
Dopo diversi anni dall'ultimo post dedicato a Faraon, segnaliamo qui il nuovo EP, sempre autoprodotto, che contiene tre tracce e risponde all'emblematico nome di "Elements".
Siamo in campo elettronico puro, con beat destrutturati e suoni eterei a riempire l'etere, lasciando comunque spazio al respiro. A differenza di tanta elettronica tutta bassi e negatività, la musica del progetto EXPF porta con sé un originale gusto retrò, figlio della lunga esperienza del progetto.
Dei tre "elementi" dell'EP il più difficile, per come è qui inteso il termine, è senz'altro la conclusiva "Kripton". Questa, infatti, gioca sul lavoro di elaborazione di una sola parola, che non è chiaro se pronunciata da un essere umano o da una macchina
La maestria di Faraon sta proprio nell'osare continuamente, nel non definire confini e schemi nella sua musica, dedita ad un'oltranzista ideologia sperimentale. E a noi tutto questo prende molto bene.
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Harnah - Cerbis
Ehi! Sembra impossibile, ma il blog torna a vivere. Premessa: potremmo riuscire a pubblicare due post alla settimana. Uno il mercoledì e uno al venerdì. Così c'abbiamo tempo di ascoltare qualcosa. Proviamo a partire oggi.
Si parla degli Harnah, nuovo progetto proveniente da Cornuda, territorio di colline, prosecco e metal. Tutte queste cose hanno, forse, ispirato l'agitatore cultural-musical-visivo, Diego Spinelli (già nel progetto Oss) a mettere assieme membri dei Metal Trash Factory, storica metal band della zona, e Fabrizio De Bon, in arte Fukte e già Myrmecophagous e KZ9, da quasi vent'anni indomabile deus ex machina del noise più oltranzista in quel di Belluno e all other the world.
Detto ciò gli Harnah hanno lanciato nell'internette il loro primo EP, "Cerbis", composto da quattro tracce. Lasciamoci alle spalle le definizioni e diciamo che il gruppo ha messo assieme riff e tempi doom, fragori harsh noise, fruscii glitch, dark ambient, growl demoniaco.
Le tracce vanno via che è na meraviglia e si sente l'esperienza di anni e anni di collaborazioni. Non siamo certo di fronte ad un manipolo di ragazzini. Oltretutto l'artwork di copertina ritrae le condizioni della sala prove dopo un incendio. Insomma l'infermo se lo sono chiamati in casa.
Aspettando nuovo materiale ci godiamo le scintille che hanno generato l'incendio.
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Dandaure - Rude Nada
Sì. Nuova segnalazione per chi ha ancora la pazienza di scrivere al blog. Si da il caso che chi “segue” sia anche ottimo musicista. Meditate su questo.
Dandaure è un progetto free impro un po’ italiano e un po’ francese. I componenti sono Fabrizio Bozzi Fenu, Fabio Cerina, Billy Guidoni e Krim Bouslama.
Rude Nada è il loro nuovo disco, uscito circa un mese fa per Araki.
Il disco dall’artwork di copertina bello colorato, in pieno stile chill and noise, richiama alla musica energia e colma di colori del quartetto.
Alcune scelte mi ricordano il lavori improvissati di Balázs Pándi, nelle sue mille forme batteristiche. Il disco è un disco elettrico, ma concettualmente analogico. Si confermano gli strumenti “classici” del Novecento: chitarra, basso, batteria, effetti, creatività.
I suoni sono distorti, nulla di pallosamente jazz. I pezzi vanno via che è un piacere. A colpirmi particolarmente è “Ideona Decline”, col suo incedere sabbathiano e la ritmica (apparentamente) decostruita che sale fino a spezzare in due il pezzo e gli animi dell’ascoltatore, senza mai deflagrare veramente.
Un altro pezzo interessante “Kaliportage”, quasi un bridge tra la prima e la seconda parte del lavoro, con un incedere inerziale e easy listening, pur nella nuvola di tocchi di cui è composta.
Il meglio viene con i tre pezzi finali, che sono un po’ tutto il disco, almeno così li ho vissuti io: una carica noise e psichedelica che si lascia totalmente andare, con una maturità intrinseca davvero ragguardevole. Non ci sono feedback fuoriposto o insensate sfilate tecniche. La sensazione generale è che quello che si suona sia suonato con cognizione di causa, pur sapendo, da imbranato strumentatore, che quando ci si fa prendere ciao proprio la ragione.
Detto ciò, bello sto disco, bravi i nostri quattro e avanti con le mescolanze italo-francesi.
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Rude Nada by Dandaure
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Paolo F. Bragaglia & Ganzfeld Frequency Test - The Man from The Lab
Ehi. Qui si sta sul pezzo con una segnalazione proveniente da un altro tempo, ma non da un altro mondo. Almeno questo è quello che ho captato dal complesso e stratificato lavoro del compositore elettronico Paolo F. Bragaglia: The Man from The Lab, fuori su Minus Habens Records.
Il disco, incamerato in 20 bellissime copie fisiche ed in digitale, è l’immaginifica colonna sonora di una serie tv anni 70 ambientato in un laboratorio. Una storia già di per sé interessante.
La musica è realizzata con synth vintage, di cui il nostro è un esperto, mi pare di capire. Insomma non siamo di fronte al solito pischello da ableton (se si usa ancora).
I suoni sono sì “cold”, ma anche rotondi e definiti come solo quegli strumenti lì sanno fare.
I beats si susseguono con ritmi alle volte serrati, alle volte più sinuosi e viaggianti.
“The Man from The Lab” è sicuramente un lavoro “altro” rispetto allo sperimentalismo contemporaneo. Infatti pur essendo chiaramente ispirato a suoni che hanno almeno cinquant’anni, questi sono rivisitati in maniera consapevole e, soprattutto, colma di significati.
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The Man From The Lab by Paolo F. Bragaglia
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now I here - The Wayfarer
Oi. Questa sera ho concluso diversi ascolti del disco di now I here, The Wayfarer. Dietro il moniker si cela un artista fiorentino dedito ad un suono o, meglio, ad un intreccio ambient dal sapore elettroacustico. I pezzi, intelligentemente brevi, si susseguono in maniera naturale e conscia del significato che portano al loro interno.
Le citazioni cinematografiche all’interno di alcune tracce fa da compendio ad un percorso sonoro che non necessita di parole. I ritmi, quando si palesano, sono dilatati e densi allo stesso tempo.
In alcune produzioni ambient spicca un certo pressapochismo e ingenuità, mentre il lavoro qui segnalato denota un’interessante autocoscienza in vena di rivelazioni ermetiche.
The Wayfarer è, dunque, un ascolto consigliato, ottimo per riprendere quel filo interrotto con gli ascolti sperimentali, ormai otto mesi orsono.
Ringrazio l’artista per la fiducia e la costanza nell’avermi segnalato quest’opera, uscita il 29 dicembre 2021, a circa sei mesi dall’ultima mia piccola nota segnalante.
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The Wayfarer by now|here
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Enzo Favata The Crossing
Oi. Si segnala. Di nuovo.
Enzo Favata The Crossing. Disco uscito ad agosto 2021 su Niafunken.
Bello? Sì. L’ho capito? Non ancora.
Dentro c’è un sacco di buon gusto, una cultura enorme, dei suoni rotondi, una voce solenne, giri ipnorosposi.
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Enzo Favata The Crossing by Enzo Favata
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