Gita #2 Como
Il treno stavolta l’ho preso in orario, ma un passaggio a livello, a Lugo, danneggiato da qualcuno, mi stava facendo perdere la coincidenza, di incontri con amiche speciali e inimitabili, di formaggi, di fiori e di livelli dell’acqua inusuali e di pasticciere che fanno cornetti al pistacchio sublimi ma non sanno fare i conti.
Il Duomo di Como è la terza Chiesa più grande della Lombardia, dopo il Duomo di Milano e la Certosa di Pavia. Iniziato nel 1396, e terminato quasi 350 anni dopo, nel 1740, la cattedrale di Santa Maria Assunta, questa è la sua denominazione corretta, nella sua porta settentrionale, ha delle decorazioni meravigliose, una particolarmente consunta, perchè si dice che il toccarla porti fortuna: si dice infatti che la rana del portale sia il livello eccezionale a cui arrivò l’acqua del vicino lago in una esondazione. Altri che sia il simbolo del rinnovamento, in quanto animale che subisce una metamorfosi. Sia come sia, non si capisce affatto che è una rana, e manca anche della testa, martellata da un anonimo uomo nel 1912, e mai riparata.
Villa Carlotta a Tremezzo: uno dei tanti esempi di ville aristocratiche che si affacciano sulle rive del lago, costruita dai Clerici, ricca famiglia di imprenditori e banchieri, a cavallo tra 1600 e 1700, poi passò ai Sommariva nel 1801, infine nel1843 alla principessa Marianna di Orange-Nassau, moglie del principe Alberto di Prussia che la donò alla figlia Carlotta di Prussia in occasione delle nozze con il duca Giorgio II, principe ereditario di Sassonia-Meiningen, celebrate nel 1850, che le diedero il nome che ancora oggi ha. Dalla vista spettacolare, è famosa per i suoi giardini, con oltre 500 specie di piante.
Villa Olmo, la più rilevante tra le ville del comasco, oggi parco cittadino
Cose buone assaggiate: gli sciatt, cubetti di bitto fritti in pastella di grano saraceno, il taroz, un piatto valtellinese con patate, fagiolini, formaggio e burro, e un vino spettacolare, questo:
un nebbiolo vinificato in bianco
Affreschi dell’abside della Chiesa di San Abbondio, patrono di Como (XIII secolo).
Quel ramo del lago di Como... è il ramo verso Lecco, che fino al 1992 era non provincia autonoma, ma provincia di Como.
Per una volta metto anche una mia foto
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Albero di Iesse, cappella degli Illustrissimi, Duomo di Napoli, 1315 c., Napoli, Campania, Italy (foto di Maurizio Goretti)
Lello da Orvieto pittore italiano (Orvieto, ... – ...; fl. 1315-1340) è stato un pittore e mosaicista italiano, attivo tra Napoli e il Lazio nella prima metà del XIV secolo.
A Napoli, nel solco di uno schietto cavallinismo, secondo la maggior parte della critica, Lello eseguì il dipinto murale con l'Albero di Jesse nel duomo (cappella degli Illustrissimi, già di S. Paolo), commissionato dall'arcivescovo Umberto d'Ormont tra il 1314 (conclusione dei lavori di ampliamento della chiesa) e il 1320 (data di morte del prelato).
biografia:
-sua formazione, avvenuta senza dubbio nell'orbita cavalliniana.
-lo stile di Lello da Orvieto è caratterizzato da un colore compatto, mai squillante, che conferisce alle figure l'impressione di viva plasticità
-a Napoli, dove è attestato intorno all'inizio del quinto decennio nell'affresco dinastico in S. Chiara - in cui si palesa chiaramente l'influsso giottesco - raffigurante il Redentore in trono
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Lello è menzionato nel mosaico della Cattedrale di Santa Maria Assunta a Napoli, raffigurante la Madonna in trono tra i santi Gennaro e Restituta datato 1322 (o 1313) e firmato Lellus de Urb(evetere).
Gli vengono attribuiti anche gli affreschi:
Albero di Iesse, nella cappella degli Illustrissimi nel Duomo di Napoli, 1315 c.
Redentore e santi, nella sala capitolare delle Clarisse nel complesso di Santa Chiara a Napoli, 1320-1340 c.
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Non si conoscono la data e il luogo di nascita di questo pittore e mosaicista, attivo tra Napoli e il Lazio nella prima metà del XIV secolo. La prova della sua esistenza e i suoi stessi dati anagrafici sono forniti solo dalla frammentaria sottoscrizione che corre lungo il margine inferiore del mosaico con S. Maria del Principioin trono tra i ss. Gennaro e Restituta in S. Restituta a Napoli, datato 1322, la cui decifrazione è stata ed è piuttosto controversa. All'ipotesi di Rolfs, che propendeva per un'improbabile origine veneta dell'artista, e alla ormai tradizionale interpretazione proposta da Bologna (1969, p. 129) il quale, leggendo "de Urbev" parte della firma, voleva Lello nativo di Orvieto, se ne affianca un'altra secondo la quale quello stesso brano potrebbe essere inteso più verosimilmente come "de Urbe", recuperando così l'origine romana di Lello., già avanzata da Morisani, e l'ambito della sua formazione, avvenuta senza dubbio nell'orbita cavalliniana. Intorno alla personalità dell'artista, ricostruita da Bologna (1969) e arricchita successivamente da altri contributi, è stato riunito, grazie ai soli confronti stilistici, un catalogo di opere, soggetto a continue variazioni attributive. Gli inizi della carriera artistica di Lello sono stati rintracciati ipoteticamente in un altarolo portatile del Museo Correr di Venezia (ibid.; critico, Boskovits, 1983) e proprio a Roma, ma ancora con dubbio, nella rovinata Dormitio Virginis di S. Saba; quest'opera mostra alcuni stilemi tipici dell'artista, ritrovabili in opere napoletane, nonostante il pessimo stato di conservazione suggerisca cautela nella valutazione (Romano, 1992, p. 113). Si è ipotizzato che Lello fosse nella città partenopea già dal 1314: ciò tuttavia sulla base dell'ipotesi di una sua origine orvietana e della generica documentazione attestante come Ramo di Paganello si procacciasse maestranze di mosaicisti a Orvieto per la corte angioina. A Napoli, nel solco di uno schietto cavallinismo, secondo la maggior parte della critica, Lello eseguì il dipinto murale con l'Albero di Jesse nel duomo (cappella degli Illustrissimi, già di S. Paolo), commissionato dall'arcivescovo Umberto d'Ormont tra il 1314 (conclusione dei lavori di ampliamento della chiesa) e il 1320 (data di morte del prelato). Nella Madonna già Centurione Scotto (oggi Bergamo, Galleria Lorenzelli), volta nella direzione di un recupero della cristianità dei primi tempi, si è individuata un'altra opera del pittore, identificata con la tavola della Vergine per l'altare della cappella di patronato dell'arcivescovo, in duomo (Leone de Castris, Arte di corte…, p. 267; Bologna, 1988). Diversi brani pittorici di S. Maria Donnaregina Vecchia (in controfacciata, lungo la navata, sull'arco absidale e nel coro), eseguiti entro il secondo decennio del XIV secolo, sono risultati accostabili ad alcune figure dell'Albero di Jesse: si è proposta così una strettissima somiglianza di mano, ma non l'identificazione con il "discusso" Lello (Paone); alla stessa maestranza, ove può riconoscersi perlomeno l'individualità di un maestro, sono stati attribuiti gli Apostoli seduti con lo strumento del martirio e il libro, dipinti nell'area superstite dell'antica basilica di S. Restituta (parete adiacente all'ingresso del battistero) e le miniature di alcuni manoscritti, quali quelli prodotti nello scriptorium dell'abbazia di Cava (Cava de' Tirreni, Biblioteca dell'abbazia, Mss., 25-26, del 1320 circa; Londra, British Museum, Add. Mss., 31032, collocabile tra il 1323 e il 1325: Paone). Nel catalogo dell'artista è stato inserito anche il Ritratto di Umberto d'Ormont (Napoli, arcivescovato), che portava la data 1320 (attribuito a Cavallini da Boskovits, 1983, p. 308, e da Tartuferi, pp. 44, 47). Un'autografia lelliana è stata inoltre ipotizzata nelle parti più antiche del mosaico del catino absidale di sinistra del duomo di Salerno, dove è rappresentata una Gloria di angeli (Leone de Castris, Arte di corte…, p. 270 n. 6).
Secondo la ricostruzione critica del corpus delle opere, con l'avanzare del terzo decennio Lello dovette lasciare Napoli per recarsi in terra pontificia. Nel 1324 si trovava ad Anagni, dove, nella cripta del duomo, eseguiva il murale con S. Pietro d'Anagni fra due sante e l'anno successivo la tavola della Madonna del presbitero Raynaldo, raffigurato ai piedi della Vergine con il Bambino (oggi nel Museo della cattedrale). L'attribuzione al Lello dei due dipinti anagnini, accolta dalla maggior parte degli studiosi (Bologna, 1969; Leone de Castris, Arte di corte…, p. 267; Musella Guida; Romano, 1989, p. 251; Id., 1992, pp. 114, 169 s.; Tomei, 1996, p. 27), è stata da altri negata a favore di un'autografia cavalliniana (Boskovits, 1979; Id., 1983, p. 311; Tartuferi). A Roma Lello potrebbe aver eseguito, a partire dal 1325, i mosaici della facciata di S. Paolo fuori le Mura (Gandolfo, p. 335; Romano, 1992, p. 114; ma si vedano le obiezioni avanzate da Tomei, 2000, p. 142), ora molto restaurati, ricollocati sul retro dell'arco di Galla Placidia e sull'arco absidale della basilica. Probabilmente in quel torno di anni Lello poté realizzare le Storie di s. Benedetto in S. Agnese fuori le Mura (staccate e conservate, ridotte in pannelli, presso la Pinacoteca Vaticana), con l'aiuto di qualche collaboratore (Romano, 1989, p. 251; Strinati, 2000, p. 159). La sua attività romana è ancora individuabile nelle piccole tavole di schietto gusto angioino con S. Ludovico di Tolosa e S. Antonio Abate in S. Francesco a Ripa, nella cella del santo. Lo stile di Lello, caratterizzato da un colore compatto, mai squillante, che conferisce alle figure l'impressione di viva plasticità, è stato rintracciato inoltre nel mal conservato brano pittorico rappresentante la Crocifissione nella chiesa di S. Biagio a Tivoli (distaccato dalle pareti durante i restauri del 1887 e oggi collocato nel retrocoro: Romano, 1989, p. 251; Id., 1992, pp. 174 s.). Sembra dunque che, a partire dal 1324 circa e per i successivi anni, Lello abbia lavorato in territorio laziale, per poi far ritorno a Napoli, dove è attestato intorno all'inizio del quinto decennio nell'affresco dinastico in S. Chiara - in cui si palesa chiaramente l'influsso giottesco - raffigurante il Redentore in trono affiancato da un lato dalla Vergine, ai cui piedi sono Roberto d'Angiò e il figlio Carlo duca di Calabria (Bologna, 1969), da s. Ludovico di Tolosa e da s. Chiara, e dall'altro da s. Giovanni Evangelista, ai cui piedi appaiono la regina Sancia e la principessa Giovanna, da s. Francesco e da s. Antonio. L'identificazione di Carlo duca di Calabria, morto nel 1328, è stata messa in discussione; e sembra più plausibile la proposta di riconoscere nel personaggio inginocchiato presso la Vergine Andrea d'Ungheria, sposo di Giovanna, la quale appare con la corona, che non compare sul capo del consorte, a ribadire la sua sovranità e a protezione dalle pretese del marito. Andrea e Giovanna si sposarono nel 1342, anno in cui potrebbe essere stato eseguito il dipinto (Abbate, p. 37). Non è noto quando Lello morì: il problematico catalogo delle sue opere, al momento basato - come si è detto - unicamente sui dati stilistici, non oltrepassa il quinto decennio del secolo.
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