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#Film a piedi
girlscarpia · 3 months
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I hope that the list of movies in the cinema d'essai circuit in my uni city next month will be good <3
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vanikferraz · 2 years
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Buonasera a tutti 💕 Oggi i miei piedini hanno visto un film. Top Gun Maverick. Molto bello 🎥 ❤️ Voi lo avete visto? A domani 💋
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finalmente visto palazzina laf ieri con i miei: il mio approfondito ed esauriente commento è il seguente: perfetto.
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ciaospiriti · 5 months
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ikergive20 · 1 year
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nonhovogliadiniente · 2 years
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Mandami un messaggio
quando arrivi a casa.
Ti ho comprato un regalo
niente di che, è solo un pensierino.
Ti ho chiamato perché ti pensavo,
non volevo dirti nulla di particolare.
Ho preso un biglietto per il cinema anche per te.
Ti ho tenuto il posto.
Ti sto aspettando.
Mi sei venuta in mente.
Che bello quando sorridi.
Per qualsiasi cosa, chiamami.
Ti devo prestare un libro, è troppo bello,
devi leggerlo assolutamente.
Siediti tu che tanto io ho voglia di stare in piedi.
Sceglilo tu il film.
Ci andiamo insieme?
Se vai tu, vengo pure io.
No, se non ti piace allora facciamo qualcos'altro.
Ti va una birra in due?
Ci prendiamo una pizza e la mangiamo da me?
Che ti va di mangiare?
Prendi pure il mio.
Tieni la mia giacca che tanto io sento caldo.
Ti ho visto passare oggi, ero io quello che ti ha suonato il clacson.
Buongiorno, caffè?
Buonanotte.
Sono queste
tutte le volte che ti ho detto ti amo.
[Gio Evan]
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angelap3 · 10 days
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Mandami un messaggio
quando arrivi a casa.
Ti ho comprato un regalo
niente di che, è solo un pensierino.
Ti ho chiamato perché ti pensavo,
non volevo dirti nulla di particolare.
Ho preso un biglietto
per il cinema, anche per te.
Ti ho tenuto il posto.
Ti sto aspettando.
Mi sei venuta in mente.
Che bello quando sorridi.
Per qualsiasi cosa, chiamami.
Ti devo prestare un libro,
è troppo bello,
devi leggerlo assolutamente.
Siediti tu che tanto
io ho voglia di stare in piedi.
Sceglilo tu il film.
Ci andiamo insieme?
Se vai tu, vengo pure io.
No, se non ti piace allora
facciamo qualcos'altro.
Ti va una birra in due?
Ci prendiamo una pizza
e la mangiamo da me?
Che ti va di mangiare?
Prendi pure il mio.
Tieni la mia giacca
che tanto io sento caldo.
Ti ho visto passare oggi,
ero io quello che ti ha
suonato il clacson.
Buongiorno, caffè?
Buonanotte.
Sono queste tutte le volte
che ti ho detto ti amo.
(Gio Evan)
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sottileincanto · 3 months
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"- Hai cambiato letto.
- Sì.
- Quando?
- Non mi ricordo. Saranno quindici anni.
- Questo ha il cassettone.
- Sì.
- E non m’hai detto niente?
- Scusa.
- È una questione di rispetto.
- Lo so, scusa.
- Mettiti nei miei panni, in quanto mostro sotto il letto, la struttura del letto ha un ruolo fondamentale per il corretto svolgimento del mio lavoro. Se tu me la cambi, ci va di mezzo la qualità del servizio.
- Mi rendo conto.
- Non vorrei dovermi rivolgere al sindacato.
- Vedo cosa posso fare.
- Grazie.
- Aspetta… io ho un mostro sotto il letto?
- Avevi. Abbiamo lavorato insieme dal ’90 al ‘98. Ti risulta?
- Forse.
- Mi chiamavi Tommyknocker, te lo ricordi?
- Ah già.
- Cos’era?
- Un brutto film tratto da un brutto libro di Stephen King.
- Ti faceva così paura?
- Non l’ho mai visto. Mi faceva paura il nome.
- Il nome. E le dita. Te le ricordi le dita? Dita lunghe, dita di morto, dita con falangi magre che graffiavano e spiavano, e poi chissà, occhi vuoti, tre file di denti, tutto quello con cui la fantasia poteva torturate un bambino. Scivolavo nel buio come un insetto, come un annegato. E mentre mamma e papà litigavano nell’altra stanza, tu chiudevi gli occhi e fissavi il muro. Perché la regola era…
- Che se ti vedo, mi prendi.
- Che se mi vedi, ti prendo. Non ci siamo più sentiti. Com’è?
- Ho avuto un sacco da fare.
- Vuoi che ti faccia paura?
- A te farebbe piacere?
- Ma sì, in ricordo dei vecchi tempi.
- Va bene.
- Allora adesso allungo una mano e ti afferro un piede.
- Okay.
- Com’è?
- Ho molta paura.
- Non sembra.
- No, no, davvero, sono pietrificato.
- Non è vero.
- Invece sì.
- Smettila di essere condiscendente. Lo capisco quando fingi.
- Scusa, è che c’ho la testa da un’altra parte. Mi sono arrivati un sacco di lavori tutti insieme, un mucchio di scadenze, e poi…
- E poi?
- Lasciamo perdere.
- No, no, dimmi.
- Non è per sminuirti, è che adesso mi fanno paura cose diverse.
- Tipo?
- Beh, così su due piedi.
- Dai, magari mi aiuta, facciamo un corso di aggiornamento.
- I parcheggi a esse.
- Cioè?
- Mi fanno paura i parcheggi a esse. Non li so fare. Vado nel panico.
- Ma come faccio a farti parcheggiare qua nella tua stanza.
- C’hai ragione.
- Qualcos’altro?
- Le raccomandate.
- Le lettere?
- Sì, le buste delle raccomandate. Di solito è una multa, ma c’ho sempre paura che sia qualcosa di peggio. Una di quelle cose che ti rovina la vita.
- Mi potrei vestire da postino…
- Ma non è il postino in sé, è più…
- La busta, ho capito. Non posso passarti buste da sotto il letto, dai.
- No, no, chiaro.
- Mi sentirei uno scemo.
- I debiti.
- Eh?
- Mi fanno molta paura i debiti. L’idea di essere in debito. Mi mette ansia.
- Sì, va bene, ma pure questo è astratto.
- Poi, fammi pensare…
- Guarda, forse è il caso che la chiudiamo qui.
- Vediamo, ho paura di non essere quello che ho detto di essere. Capisci? Un bel giorno dover andare in giro e spiegare a tutti che mi sono sbagliato, che non è vero che so fare quello che ho detto di saper fare.
- Va bene, ho capito, facciamo che ci aggiorniamo…
- Ho paura che sia troppo tardi.
- Per cosa?
- Per tutto. E che ogni giorno sia troppo tardi per una cosa nuova.
- Così no, però, così non va bene…
- Vorresti che avessi paura di qualcosa di più concreto, vero? I mostri magari. I fantasmi,gli alieni?
- Esatto! Esattamente! È proprio quello che cercavo di dirti.
- Ma magari.
- Come magari?
- Magari ci fossero i mostri, magari ci fossero gli alieni, magari ci fosse qualcosa che si muove nel buio. Io ci spero che le cose che mi facevano paura da bambino siano vere. Io ci spero che nel buio ci sia qualcosa, perché significherebbe che non sono solo in quel buio. Che non è tutto qua.
- Basta, ti prego.
- E poi ho paura di me.
- Davvero non…
- Delle mie ipocrisie, delle mie nevrosi, della mia malignità, di una sveglia sul cellulare con scritto sopra “pagare tasse”. E più di tutto…
- No…
- Ho paura perché credo di aver finalmente capito perché ho paura.
- Smettila…
- Ho paura perché credo di essere come uno di quei quadri impressionisti. Quelli che da lontano sembrano belli e sensati e più ti avvicini più ti accorgi che non c’è niente, sono solo macchie di colore. Ed è quello che penso di me.
- Cristo santo. Davvero?
- Sì.
- Io… cavolo, è… è…
- È?
- Terrificante.
- Lo so.
- Oh no.
- Cosa?
- Sei diventato il mio mostro sopra il letto."
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Testo: Nicolò Targhetta
Grafica: Amandine Delclos
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susieporta · 6 months
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L'amore se ne frega.
Ho accumulato ormai un bel mucchio di anni nello studio, tali e tanti da poter testimoniare alcune verità, conosciute ma tacitate, che attraversano il vivo dell'esperienza degli uomini, e delle donne.
L'amore, che vuole 'Ancora', è a scapito di ogni cosa. L'amore comporta una perdita delle relazioni umane, un calo nelle gerarchie sociali, una discesa nel potere di acquisto.
L'amore, e le sue conseguenze, se ne frega di ogni convenzione.
Dove vissuto intensamente, sino alla fine, quand'anche durasse un solo giorno, l'amore per una persona fa a meno degli orari di lavoro, dei tempi, del rispetto delle regole convenzionali.
L'amore prende treni andata e ritorno in giornata, sale su aerei senza poterli pagare se non a costo i sacrifici immani.
L'amore infrange tutta quella serie di asfittiche regole, normali, utili, normalizzanti, necessarie alla vita, al lavoro, al progresso.
Quando è vero, quando cioè diventa fine e tensione della vita stessa, vale sempre la pena.
'Valeva la pena uscire da quella riunione di lavoro e perdere la promozione'? ' Ah si, dottore. Lui era la sotto con i fiori, e mi ha portato via'
' Oggi il suo stipendio è assai basso'
'Si, ma quel momento valeva una vita intera.
Non potevo perderlo '
'Valeva la pena accettare l'invito di quella donna, pur sapendo dei precedenti, del carcere?
' Si dot, la mia famiglia mi ha cacciato via, quasi diseredato, ma non avrei ma potuto dirle di no.
Rinunciare all'amore per convenzione per morale, per costume, per tradizione familiare, perché 'non si deve', non è ' giusto'.
Perché questo ,quell'altro, priva la vita di quell'attimo incandescente che , da solo, rappresenta una luce che illumina l'universo.
Dopo il big bang, l'universo divenne freddo, tetro, gelato ed infinito.
Ma quel bagliore valeva tutto.
I casi suddetti, e altre mille ne potrei citare, conducono oggi vite non ricche, non visibili. Molti di essi hanno difficoltà economiche, a causa delle loro scelte.
Ma sono vite piene, colme.
Dire no all'amore per la convenzione, come accade nella maggior parte dei casi, conduce ad una vita mediocre, normale, normalizzata. Ricca, spesso agiata, confortevole. Rispettabile.
Nei canoni.
Ma quando giunge l'autunno della vita, il lungo e freddo periodo del rimpianto, questo viene quasi tutto speso nel rammarico, nella dannazione di aver lasciato per strada l'amore, vero. Il declino dell esistenza diviene un lungo prodomo alla morte, vissuta come una liberazione. Nessuno immagina quanti uomini e donne in questa deriva passano nello studio di un analista.
Questo è in nuce il discorso che stamattina, farò ad un emittente radiofonica che mi ha invitato , il link della quale metterò solo dopo essermi accertato che si apra, vista la mia nota dabbenaggine nel indicare link che poi si aprono in punto cieco.
Come sempre, psicoanalisi e desiderio.
Mentre tutta l'intellighenzia vi blatera, in tv, ' fate i bravi, siate monogami, siate fedeli anche quando tutto è morto. Obbedite, lasciatevi giudicare', la forza sovversiva del desiderio indica la strada opposta. Come diceva Freud ' noi portiamo la peste'
Molla tuto, alzati in piedi, corri giù dalle scale.
Vai incontro a chi ti sta aspettando, non corre il rischio di perderlo.
Insomma, vatti a prendere l'amore, ovunque esso sia.
Vi ricordate la ' Canzone di Carla' ?
George si innamora di Carla, e per lei compie azioni inconsulte, al punto di fermare un autobus per farle fare un giro. La ditta lo riprende e lo licenzia.
Ma quella scena, vale tutto il film.
Maurizio Montanari
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ellebori · 5 months
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Tuttə diventiamo uno.
Unite dal bisogno di cambiare, dalla voglia di vederci riconosciute, dal bisogno di vedere i nostri diritti garantiti, ci stringiamo gli uni agli altri, le une alle altre. Lo facciamo grazie a un gesto semplice, alla scelta di esercitare il nostro potere, al coraggio di pretendere la libertà e vestirci bene, far splendere le labbra di rosso e nel silenzio di un'azione tanto silenziosa quanto potente, dire: oggi decido io.
Non si parla della storia di una singola donna, si parla della collettività. Non si parla dell'individualismo a cui siamo abituatə nella società del solitario cittadino globale, ma della rivendicazione dei diritti con amore verso l'Altrə perché lottare per la libertà degli altri è lottare per la propria. Non poteva esserci momento migliore per un film del genere, quando riempire le piazze con i nostri corpi e il nostro dissenso durante un genocidio come quello di cui siamo spettatori è un modo di diffondere speranza, di abbracciare la collettività, di alzarsi in piedi per gli altri e non solo per sé stessi, di urlare che no, non ci sta più bene esistere in silenzio prostrandoci ai piedi di un sistema che ci calpesta e sostiene e finanzia pubblicamente uno sterminio di massa e l'assassinio di migliaia di vite appena schiuse, appena iniziate.
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schizografia · 5 months
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Sancho Panza entra in un cinema di una città di provincia. Sta cercando Don Chisciotte e lo trova che sta seduto in disparte e fissa lo schermo. La sala è quasi piena, la galleria – che è una specie di loggione – è interamente occupata da bambini chiassosi. Dopo qualche inutile tentativo di raggiungere Don Chisciotte, Sancho si siede di malavoglia in platea, accanto a una bambina (Dulcinea?), che gli offre un lecca lecca. La proiezione è cominciata, è un film in costume, sullo schermo corrono dei cavalieri armati, a un tratto appare una donna in pericolo. Di colpo Don Chisciotte si alza in piedi, sguaina la sua spada, si precipita contro lo schermo e i suoi fendenti cominciano a lacerare la tela. Sullo schermo compaiono ancora la donna e i cavalieri, ma lo squarcio nero aperto dalla spada di Don Chisciotte si allarga sempre piú, divora implacabilmente le immagini. Alla fine dello schermo non resta quasi piú nulla, si vede soltanto la struttura di legno che lo sosteneva. Il pubblico indignato abbandona la sala, ma nel loggione i bambini non smettono di incoraggiare fanaticamente Don Chisciotte. Solo la bambina in platea lo fissa con riprovazione. Che cosa dobbiamo fare con le nostre immaginazioni? Amarle, crederci a tal punto da doverle distruggere, falsificare (questo è, forse, il senso del cinema di Orson Welles). Ma quando, alla fine, esse si rivelano vuote, inesaudite, quando mostrano il nulla di cui sono fatte, soltanto allora scontare il prezzo della loro verità, capire che Dulcinea — che abbiamo salvato — non può amarci.
Giorgio Agamben
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chez-mimich · 5 months
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THE OLD OAK
Per il suo ultimo film (almeno secondo le stesse recenti dichiarazioni del grande regista britannico), Ken Loach ha scelto di girare un film “in purezza”, come si direbbe per il vitigno di un un vino. “The Old Oak” infatti contiene tutti i temi cari a Loach, più uno: il proletariato e il sottoproletariato urbani post-industriali, la disoccupazione, la miniera, l’alcolismo, la povertà materiale e spirituale, ai quali qui aggiunge il tema capitale dei nostri tribolati giorni, l’immigrazione. The Old Oak è il vecchio e malandato pub di Durham, paesino del nord-est dell’Inghilterra, dove la chiusura delle miniere, oltre ad essere stata una tragedia epocale per l’economia del villaggio, era altresì stato un formidabile collante per la solidarietà e le lotte sindacali dei lavoratori. La “colliery”, ovvero la miniera di carbone, è stata per anni una costante nel panorama delle lotte sindacali dei lavoratori di quella parte del paese e, attorno ad esse, sono nate forme del tutto particolari di mutuo soccorso per il sostegno tra lavoratori, insieme anche iniziative ricreative e sociali che spesso ruotavano attorno al pub del luogo. TJ Ballanthyne è il proprietario di “The Old Oak” (la vecchia quercia), luogo che tiene insieme vecchi compagni di lavoro in miniera, ormai quasi derelitti e impoveriti dalle miserabili pensioni, che si ritrovano alla sera e nei giorni di festa per una pinta di birra come s’usa da quelle parti. A rompere quel delicato equilibrio è l’arrivo di poveri ancora più poveri di loro, in questo caso un nutrito gruppo di famiglie di migranti che fuggono dalla guerra in Siria. Tj Ballanthyne e un piccolo gruppo di frequentatori del pub decidono di mettere in piedi una sorta di mensa dei poveri per i nuovi arrivati, suscitando la protesta degli storici frequentatori che, benché anch’essi figli di un proletariato misero, sembrano ostili alle nuove povertà oltre ad essere, perché no, anche un po’ razzisti.
Il film di Loach, nella sua essenziale semplicità, è tutto qui e non è una pellicola per tutti,e non lo è, non solo per i motivi che si potrebbero pensare. Non lo è perché vedere un suo film è sempre un po’ come partecipare ad un rito purificatorio: ci si sottopone ad esso per ricordare a noi stessi che la Storia che stiamo vivendo è questa, o meglio che ancora oggi molti vivono in prima persona questa Storia, fatta di sussistenza, di squallide periferie e di miseria. Loach, nella sua sempre scarna narrazione filmica, supportata dalle eccellenti sceneggiature di Paul Laverty, punta questa volta il suo sguardo sull’assurdo conflitto tra due povertà, quella degli ex-minatori e quella dei migranti. Se c’è stata una strategia vincente nella destra in Europa e nel mondo occidentale, e quindi anche in Italia, è proprio stata quella di far pensare alle classi meno abbienti che il nemico sociale fosse quello più povero di loro. Gli ex minatori inglesi, come i proletari italiani, guardano ai migranti con diffidenza, se non proprio con odio. Quello è il loro “nemico”, non certo il grande capitalista, il facoltoso commerciante, il professionista affermato o l’evasore fiscale (figure che spesso coincidono). Se in un certo senso è normale che ciò accada, poiché fasce deboli della popolazione indigena e migranti si trovano nelle città a convivere negli stessi quartieri, la cosiddetta “coscienza di classe”, grande invenzione marxiana, attende solo di essere recuperata alla sua funzione, per far, finalmente, deflagrare un sano conflitto sociale, unica barriera possibile allo strapotere del liberismo delle destre. Un manifesto politico più che un film? Sì, bisogna ammettere che Ken Loach è un regista fieramente politico, forse l’ultimo rimasto, che parrebbe aver girato sempre lo stesso film, come monito della perenne ingiustizia sociale che avvelena (e ha sempre avvelenato) la nostra Storia. Forse sarà il suo ultimo film e quindi ne rimpiangeremo per sempre la dirittura morale e la sua sete di giustizia, ma anche la sua ineguagliabile poesia cinematografica. E come il “macchinista ferroviere” di Francesco Guccini sulla locomotiva, ci piace pensarlo ancora dietro la sua macchina da presa “lanciata bomba contro l’ingiustizia”.
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precisazioni · 28 days
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l'inps mi ha inviato la lettera di conferma per la naspi; ovviamente lo sapevo già, ma è stato un sollievo leggere di nuovo che percepirò la disoccupazione per ben due anni. per adesso sto seguendo un corso di formazione per indesign, l'idea è di progettare qualcosa tra una zine e una rivista indipendente; oltre a questo: ho iniziato a mandare qualche lettera presentativa a radio e locali per racimolare date, ho scritto a una webzine per scrivere articoli di musica; piuttosto, sono fermo lato produzione e composizione: la ragione è sempre la stessa, l'ansia, ma sto provando a non angosciarmi e a relegare la cosa al periodo di transizione. dal punto di vista intellettivo, sono state settimane un po' fiacche: rispetto alla mia solita routine fatta di video divulgativi, saggi e film non sto facendo molto; solo ieri ho ripreso con i podcast di cultura, ma non è insolito che mi senta svogliato. lei al momento sta lavorando e dopo diverso tempo mi ritrovo a passare le giornate da solo, non ci sono più abituato; soprattutto, mi rendo conto di non avere molti amici da sentire o vedere frequentemente e, al di là del raffreddore di questi ultimi giorni, ho perso ogni voglia di uscire di casa da solo: il tragitto era sempre lo stesso, da casa mia al duomo a piedi per poi tornare a casa, come se non fossi capace di fare altro
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Raga, comunque siete noiosi. OGNI volta è un processo alle intenzioni.. E CHE PALLE! Il film non lo ha convinto, perché avendo visto altri film del regista ha potuto fare un confronto con quelli che lo hanno convinto di più. Non è obbligato ad apprezzare per forza un film, solo perché a voi è piaciuto! E lo dico da persona che ha APPREZZATO MOLTO "Povere Creature!" Piuttosto, abbiate la maturità di affrontare un discorso ed aprire un dialogo, per comprendere cosa non gli sia piaciuto. Per quanto vi possa stare sul culo, non state parlando con il primo degli scemi, ha una cultura cinematografica non indifferente ed ha anche studiato cinema. Sarebbe potuta essere una bella occasione di confronto e di crescita ed invece no. Come i bambini a puntare i piedi.
Purtroppo le persone vogliono la democrazia ma sono le prime con una mentalità antidemocratica, non accettano che un prodotto che è piaciuto a molti possa NON piacere a tutti per forza.
La vivono come un'affronto personale più che come una possibilità di dibattito.
Però devo dire che a me diverte sempre tantissimo triggerare le persone che davano per scontato che io la pensassi come loro, e invece col cazzo.
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mtonino · 7 months
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Krzysztof Kieślowski parla di Film Bianco e del montaggio:
tutti e tre i film iniziano allo stesso modo, nei sotterranei della civiltà e della tecnologia.
Il primo film inizia sotto una macchina, il secondo inizia con un nastro trasportatore all'aeroporto, e il terzo, con la macchina da presa che scorre sulle linee elettriche.
Volevamo mostrare il fatto evidente che noi usiamo tutti i tipi di oggetti ogni giorno, senza nemmeno renderci conto quanto sono complicati e potenzialmente pericolosi questi oggetti.
Questo vale per tutti gli inizi.
Qui, il film parte con delle valigie sul nastro trasportatore.
Un po' prima. Qui. Da qui partono i titoli di testa, valigie su un nastro trasportatore.
Poi abbiamo un'inquadratura in cui mostriamo la gamba del protagonista.
Ciò che è importante in questa inquadratura è che il protagonista sta battendo i piedi.
Non sta camminando davvero. Ha fretta, va da qualche parte, ma la sua camminata è goffa, le scarpe che indossa, il suo cappotto poco attraente, il suo abbigliamento non è elegante (è un eufemismo)
tutto questo è molto importante per noi.
La cosa principale era collocare il protagonista in un ambiente appropriato, un luogo dove possiamo vedere che non si adatta.
Era veramente importante.
C'è una scena piuttosto lunga realizzata con inquadrature a figura intera per poter vedere il protagonista nella sua interezza, il suo aspetto, la sua goffaggine.
Non è alto.È perso. Si pulisce le mani sulla giacca. Sembra un pò spaventato dalle macchine.
Qui attraversa la strada con Marin Karmitz, che lavorava come comparsa. Si pulisce le mani. Ha paura delle macchine.
E allora abbiamo avuto l'idea, durante il montaggio, che il film non avrebbe dovuto iniziare così.
Così, durante il montaggio, abbiamo deciso di far entrare in scena il protagonista, nel modo più sintetico possibile, in tribunale per il divorzio.
Così, per portarlo lì in modo rapido e sintetico, ho pensato di usare le valigie più volte. Innanzitutto, un primo piano delle valigie…
Nella seconda inquadratura, qui, le valigie sul nastro trasportatore, la telecamera mette chiaramente a fuoco una delle valigie. La individua. La osserviamo.
Lì, abbiamo raggiunto il tribunale, e saltiamo una parte del percorso al passo successivo.
Ecco, è una piccola aggiunta. Mi hai chiesto come monto. Lo puoi vedere lì. Ho visto che questa inquadratura non era convincente.
Mancava qualche dettaglio, come un primo piano sulle gambe o altro che ci permettesse di effettuare la transizione sul primo piano del protagonista. Lì.
Questo primo piano non era bello, e anche questa panoramica non aveva un bell'aspetto. L'ho visto durante il montaggio.
In seguito, abbiamo girato in un'altra location, sui gradini di una chiesa a Parigi, la scena con i piccioni. Questo ci ha permesso di andare dai piccioni alla sua faccia.
Naturalmente, è ovvio, questo protagonista marchiato dal piccione, è una specie di archetipo. Se si marchia qualcuno, non importa con cosa lo si marchia, sai che quello diverrà importante nella storia.
Qui siamo sul primo piano. Vediamo chiaramente cosa è successo. Non è un documentario, perciò non è un vero piccione.
Michel, il nostro ragazzo degli effetti speciali, che stava proprio qui su una scala alta, ha premuto lo stantuffo di una siringa riempita con quelli che sembravano escrementi di piccione.
In un certo senso, questa particolare scena riassume perfettamente l'intero film. Il protagonista spaventa il piccione, il piccione vola via, e lui rimane là,
sorridendo dolcemente, guardando il piccione, finché il piccione non gli caca sulla spalla.
Allora, ovviamente, sente che il destino lo sta maltrattando. Stava osservando questo piccione con una tale gioia che si sente umiliato.
Il tema del film è l'umiliazione gli uomini non sono e non vogliono essere uguali. Il film è anche sull'uguaglianza.
Il protagonista non è allo stesso livello di tutti gli altri. Nella prima scena, gode di qualcosa che si alza nel cielo, che svolazza in maniera molto bella,
e questo oggetto di intenso piacere gli procura dolore. Viene immediatamente umiliato, non solo perché il piccione caca sulla sua spalla, ma perché il suo candore nei confronti della natura lo ha tradito.
Il piccione simboleggia la natura anche se la scena si svolge in città. Volevamo davvero che Zbigniew trasmettesse questo messaggio.
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