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#Giovan Battista Vico
osarothomprince · 1 year
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Spaccio di droga a via Giovan Battista Vico ad Ischia...
Spaccio di droga a via Giovan Battista Vico ad Ischia, i carabinieri fermano ed arrestano C.C. 25enne ischitana, già nota alle forze dell’ordine in quanto arrestata lo scorso 11 ottobre per detenzione di eroina e sottoposta alla misura dell’avviso orale su proposta dei carabinieri.Intorno alla mezzanotte, la ragazza è stata notata dai carabinieri mentre passeggiava…Spaccio di droga a via Giovan…
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downtobaker · 5 years
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James Joyce, viaggio al termine del Novecento
James Joyce, viaggio al termine del Novecento
di Stefano Bartezzaghi.
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Con l’”Ulisse” sconvolse il romanzo. Con “Finnegans Wake” andò oltre, inventando un poema dalla lingua babelica dove i miti si confondono con le canzonacce. L’ammiratore Umberto Eco lo definì «terrificante».
“Riverrun”, “Meandertale”, “Chaosmos” sono tre fra le parole-chiave (molte, e tutte assenti da ogni vocabolario) del romanzo di cui l’autore stesso pensava: «Forse è…
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il-gufetto · 3 years
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Il concetto di eroe è cambiato nel corso dei secoli: nel mondo antico, con tale termine, s'indicavano semplicemente individui dotati di abilità sovrumane. Tale posizione era dovuta alla loro condizione biologica, in quanto figlio di una divinità, mentre l'elemento morale era completamente assente (molti eroi antichi uccidevano, stupravano e torturavano); il concetto ha, poi, subito profondi mutamenti. Giovan Battista Vico ne parla come dei mostri e designa la loro età come precedente a quella degli uomini. Oggi, con eroe, non intendiamo più un essere dotato di forza bruta; ma qualcuno che si contraddistingue per il suo essere altruista ed è in grado di anteporre il benessere pubblico a quello individuale. Secondo tale concezione, tutti possono potenzialmente essere eroi; ma solo alcuni ci riescono (l'essere eroe richiede uno sforzo ultimo che non tutti gli uomini sono disposti a fare).
Ma proviamo a comprendere meglio la speculazione di Vico: a che servono gli eroi? L'eroe rappresenta i nostri sogni e i nostri ideali, un essere a cui affideremmo la nostra vita, perché è qualcuno da imitare, ma non è reale (per questo il filosofo lo paragona all'adolescenza e dunque all'età dei sogni). Gli eroi sono esseri che vivono e vengono idealizzati solo nella nostra mente in quanto perfetti e la perfezione, si sa, in natura non esiste. È da questa consapevolezza, e dalla volontà di riappropriarsi di ciò che ci rende umani, che nasce l'età degli uomini.
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Annibale Caccavello
Italia, Napoli 1515 - Napoli 1570
- scultore del periodo 1500
- allievo di: Giovanni da Nola
- coevo e collaboratore di: Giovan Domenico D'Auria
- seguace e ispirato da: Giovanni Angelo Montorsoli
- Di famiglia originaria di Massa Lubrense che lavorava il marmo, fin da piccolo si appassionò alla scultura. Per questo motivo, il padre lo inviò da Giovanni da Nola, di cui ben presto divenne discepolo, assieme a Giovan Domenico d'Auria. Questo trio ebbe subito modo di farsi notare per la realizzazione del complesso funerario della celebre cappella Caracciolo di Vico nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara. In particolare, Annibale realizzò per la predetta famiglia gentilizia le statue di Sant'Andrea apostolo, di San Giovanni Battista e di Sant'Agostino
- Secondo Benedetto Croce, la sua bravura lo rese più noto e apprezzato rispetto ai due colleghi. Vero è comunque che, alla morte del maestro, il sodalizio tra Caccavello e d'Auria si configurò come un vero e proprio «predominio nel panorama scultoreo napoletano» del XVI secolo. Un brillante esito della loro sinergia, come segnalò Salvatore Di Giacomo, si può riscontrare nel complesso scultoreo rappresentato dalla Fontana dei Quattro del Molo, per il quale la coppia realizzò le «statue gigantesche» dedicate ai fiumi Tigri, Eufrate, Gange e Nilo
- Appare convincente ritenere di mano del Caccavello sia le figure del Cristo risorto, di S. Francesco e S. Nicola da Bari e dei due Angeli che stanno al culmine della tomba di Sigismondo Sanseverino nella chiesa dei SS. Severino e Sossio, sia parte cospicua dei rilievi raffiguranti episodi storici nel basamento della famosa tomba di don Pedro de Toledo in S. Giacomo degli Spagnuoli, sia infine il rilievo con la Caduta di s. Paolo a S. Maria delle Grazie a Caponapoli, che un documento del 1539 riferisce a Gian Domenico d'Auria, altro notevolissimo allievo di Giovanni da Nola, ma che appare piuttosto come l'opera in cui per la prima volta è in atto il sodalizio tra il d'Auria stesso e il Caccavello con netta prevalenza dell'impronta di quest'ultimo
- Come architetto eresse e decorò insieme a Giovan Domenico d'Auria la Cappella di Somma nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara.
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La cappella di San Matteo nella Cattedrale di San Siro, uno dei sepolcri della famiglia Imperiali a Genova
di Mirko Belfiore
Incastonata fra la moderna via Cairoli e l’antica via San Luca, nel quartiere della Maddalena, trova sede uno dei più antichi templi cristiani della città di Genova: la Basilica di San Siro.
1. Basilica di San Siro, prospetto neoclassico di Carlo Barabino (XIX secolo)
  Eretta, secondo la tradizione, intorno al IV secolo d.C. su un luogo di culto già dedicato ai Dodici Apostoli, fu la prima cattedra vescovile della città fino a quando la sede non venne spostata presso la Cattedrale di San Lorenzo (X secolo). Ospita le spoglie di uno dei santi più cari della tradizione cittadina: il vescovo San Siro (IV secolo) e leggenda vuole che lo stesso abbia scacciato da un pozzo il temibile “Basilisco”, una creatura mitologica che con la sua presenza atterriva i genovesi; metafora di quella lotta all’eresia ariana, allora imperante, che l’Episcopo intraprese durante il suo governo e che gli valse la riconoscenza dei suoi fedeli e l’intitolazione della suddetta chiesa.
2. Genova, Vico San Pietro della Porta, lapide marmorea che raffigura San Siro nell’atto di sottomettere il Basilisco, iscrizione latina del 1580
  Superata la soglia dell’imponente portale d’ingresso neoclassico opera dell’architetto genovese Carlo Barabino, si viene subito catturati dalla complessità decorativa delle superfici, uno dei massimi esempi del Barocco genovese e frutto di una ricostruzione avvenuta dopo il terribile incendio del 1580.
3. Basilica di San Siro, navata principale
  L’immenso ambiente scandito da una serie di imponenti colonne binate e suddiviso in tre navate, affascina non solo per la magnificenza della cupola e delle ampissime volte, rivestite da affreschi, stucchi e fregi, opera della bottega dei Carlone (1650-1670) ma anche per l’ampio presbiterio dove, in tutta la sua raffinatezza, si erge l’altare maggiore realizzato dal francese Pierre Puget (1670), realizzato in bronzo e marmo nero. Considerevole poi, la successione di cappelle nobiliari e imponenti statue di apostoli che si stagliano lungo i lati delle navate minori e che nel ricco corredo artistico portano la firma di famosi artisti della scena seicentesca genovese e non: Taddeo Carlone, Gregorio de Ferrari, Orazio de Ferrari, Orazio Gentileschi, Domenico Fiasella, Aurelio Lomi, Domenico Piola e Andrea Semino.
4. Basilica di San Siro, particolare della cupola con gli affreschi di Giovan Battista Carlone (1650-1670)
  Queste molteplici tombe gentilizie erano riservate alle principali famiglie patrizie della città (Centurione, Grimaldi, Invrea, Lomellini, Pallavicini, Pinelli, Serra e Spinola), le quali contribuirono profumatamente alla decorazione artistica della Cattedrale, ricevendo in cambio l’assegnazione di questi spazi tramite un giuspatronato (sistema di privilegi e oneri concessi dall’autorità ecclesiastica).
5. Basilica di San Siro, particolare del presbiterio
  6. Basilica di San Siro, altare maggiore di Pierre Puget (1670)
  7. Basilica di San Siro, cappella gentilizia famiglia Grimaldi-Cebà, Annunciazione di Orazio Gentileschi (olio su tela, 1624).
  Una di queste fu concessa nel 1599 alla famiglia Imperiale e divenne subito il luogo di sepoltura della dinastia. Fra i molti membri che quivi trovarono sepoltura ricordiamo: Gian Giacomo, facoltoso banchiere e Doge di Genova nel biennio 1617-1619, il figlio Gian Vincenzo, illustre collezionista e celebrato poeta, e Francesco Maria, Senatore della Repubblica e Doge nel biennio 1711-13.
8. Basilica di San Siro, cappella gentilizia della famiglia Imperiale
  La cappella nobiliare, posta subito alla sinistra del varco d’accesso, si presenta come uno spazio non troppo ampio ma dall’ambientazione intima e raccolta. Essa è introdotta da una massiccia balaustra e da una coppia di imponenti colonne in marmo arabesco di Carrara, su cui poggia un architrave spezzato con mensole aggettanti, al centro del quale si inserisce lo stemma gentilizio della famiglia. L’intera superficie interna è rivestita da un diffuso rivestimento lapideo, caratterizzato da compositi intarsi marmorei che riprendono fedelmente gli stilemi baroccheggianti dell’edificio.
All’interno, altre due eleganti colonne corinzie in marmo nero di Portovenere sorreggono un imponente architrave spezzato, manufatto che trova solide basi su compatti parallelepipedi dalla bicromia B/N, collegati a un ampio altare in marmo. Nell’incavo creatosi, un piccolo podio accoglie uno dei tre putti posti in alto che insieme ai restanti due, posti ai lati, vanno a comporre un elegante gruppo statuario. Un pregevole motivo a dentelli decora sia l’architrave centrale che le mensole poste ai lati mentre alcuni fregi si diffondono su tutta la superficie emergendo sottoforma di cartigli, volute e arricci.
Sui profili angolari, il prospetto è scandito da una nicchia posta a mezza altezza, dove probabilmente trovava posto un’opera d’arte, e da un piccolo portale cieco inquadrato da greche e bassorilievi dalle linee sinuose.
L’intero paramento marmoreo fu messo in opera dagli artisti Battista Orsolino e Domenico Solaro mentre l’unica opera artistica presente, un olio su tela, venne realizzata nel 1605 dai fratelli Agostino e Giovanni Battista Montanari, i quali rappresentarono le concitate fasi del martirio di San Matteo, ucciso in terra etiope per mano di un sicario inviato dal re Irtaco. Ciò che più addolora è sicuramente la perdita senza possibilità alcuna di recupero degli affreschi e degli stucchi che impreziosivano la piccola volta a botte della cappella, opera dell’artista Bernardo Castello (primi decenni del XVII), molto attivo nelle commissioni della famiglia Imperiale. Questi realizzò una serie di riquadri con tematiche inerenti alle storie della “Sacra Famiglia”, irrimediabilmente danneggiati da una delle frequenti incursioni aeree intercorse durante la Seconda guerra mondiale e che sconvolsero Genova fra il 1940 e il 1945.
9. Basilica di San Siro, cappella gentilizia famiglia Imperiale, Martirio di San Matteo dei fratelli Agostino e Giovanni Battista Montanari (olio su tela, 1605)
  10. Basilica di San Siro, cappella famiglia Imperiale, particolare della volta con affreschi sulla Sacra Famiglia di Bernardo Castello (XVIII secolo)
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mariarosariaurraro · 4 years
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Verdi Ischia #Urraro Un comune che fa acqua da tutte le parti. Bastano pochi minuti di pioggia per trasformare le strade del comune d’Ischia in pericolosi torrenti in piena, fiumi o laghi. Strade completamente allagate invase da masse d’acqua importanti che trasportano fango e qualsiasi cosa incontrano sul loro percorso, rendendole pericolose e impraticabili. In ordine di tempo, ieri pomeriggio sono bastati pochi minuti per trasformare via Acquedotto, nei pressi del vivaio e del girarrosto, in un torrente in piena. Acqua e fango che scendeva da via Arenella, che in alcuni casi superava l’altezza dei marciapiedi. Una situazione che avviene puntualmente anche a via Roma ( https://www.facebook.com/1562317688/posts/10216770538246778/?extid=0&d=n ), in via Giovan Battista Vico ( https://www.facebook.com/1562317688/posts/10216762618408787/?extid=0&d=n ) e in via dello Stadio, all’altezza della pompa di benzina, dove in quel punto si forma addirittura una pozza d’acqua enorme simile a un lago, che dura per ore. Una situazione vergognosa che dura da anni e dove le amministrazioni comunali che si sono susseguite non sono state capaci di risolvere. Si progettano inutili opere pubbliche con aiuole e crocevia decentrati, con sperpero di denaro pubblico e non si riprogettano le strade creando una rete di caditoie da far confluire le acque meteoriche in condotte sotterranee, dove una parte, dopo essere stata depurata, potrebbe essere stoccata in cisterne e utilizzata per innaffiare le aiuole pubbliche, come avviene in Germania, limitando così lo spreco del prezioso liquido e i disagi agli utenti della strada.
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Cenni storici
Collepino, anticamente detta Colle-Lupino (Colle del Lupo) o Collepieno, è un piccolo castello dell’alto medioevo appollaiato sulle pendici orientali del Monte Subasio.
È a quota 600 metri s.l.m. e dal suo promontorio, sempre illuminato dal sole, si gode l’ampio panorama del torrente Chiona, della città di Foligno e della Valle Spoletana della quale S. Francesco disse: – “NIHIL IUCUNDIUS VIDI VALLE MEA SPOLETANA” – non ho visto niente più bello della mia Valle Spoletana.
Fondato presumibilmente da pastori, coloni e boscaioli della zona, questo piccolo paese fa il suo ingresso nella storia quando l’Abbazia di San Silvestro, costruita nel 523 da San Benedetto a due chilometri circa da Collepino, diventa Camaldolese ad opera del ravennate San Romualdo abate, nel 1025.
Si parla di una prima famiglia, quella degli Acuti, alla quale successero gli Urbani; capostipite di questi ultimi fu un certo Ser Nicolò, creato cavaliere e conte palatino dall’Imperatore Ottone IV nel 1210.
Le vicende di Collepino sono legate al Ducato di Spoleto, alla abazia di S. Silvestro, al Comune di Spello, alle Signorie perugine, allo Stato Pontificio.
Tralasciando gli altri periodi, ci interesseremo particolarmente delle Signorie che più funestarono l’Umbria, le sue città, i suoi castelli, la prima che ci riguarda da vicino è quella di un certo Bartoloccio.
Fino al 1340 circa, Collepino era stato un Castello del Comune di Spello e gli Urbani ne erano stati i castellani.
Nel Medioevo, dal 1347 la troviamo indipendente sotto la Signoria di un certo Ser Bartoloccio di Ser Giacomo.
Le notizie che abbiamo su questo Bartoloccio sono imprecise e contrastanti.
Secondo il Donnola era costui uno spadaccino di ignoto casato che, dopo aver tenuta soggiogata Spello e combattuto contro il Ducato di Spoleto per allargare i suoi confini a spese dello Stato Pontificio, fu cacciato dalla città nel 1352 dal Cardinale Egidio Albornoz e mandato dal Papa Innocenzo VI a Spoleto in qualità di Vicelegato.
Gli spellani respirarono e si misero volentieri sotto la protezione del Ducato per liberarsi da questo despota.
Cacciato da Spello, il Bartoloccio si rifugiò fra i boschi vicino a Collepino e da qui faceva frequenti incursioni a Spello, con le sue soldatesche, tenendo nel terrore la popolazione.
Il Cardinale a questo punto, per rabbonirlo, gli affidò il comando di Collepino, mettendogli a disposizione due guardie per la vigilanza del Castello (pagate due scudi al mese) e due Consoli per l’amministrazione della giustizia.
Questi ultimi avevano uno stipendio di tre scudi al mese e potevano multare fino ad un massimo di tre scudi.
Ma, presumibilmente per il suo malgoverno, il Bartoloccio fu rimosso dalla sua carica dalla Camera Apostolica nel 1369 e tutti i suoi beni furono confiscati.
Secondo gli Olorini invece nel 1354 Collepino, mettendosi nelle mani di Bartoloccio di Ser Giacomo Urbani, capo dei Ghibellini, si ribella alla Santa Sede.
Il vescovo di Firenze Filippo Antella, rettore del Ducato di Spoleto, ordina l’assalto contro i collepinesi che, nonostante il grande valore dimostrato, devono arrendersi a discrezione.
Intanto a Spello muore Pietro di Maurizio Targarino e a Collepino Cecco di Ser Matteo d’Urbano; il Comune di Spello chiede al Papa di eleggere come Gonfaloniere Bartoloccio di Ser Giacomo.
A questo scopo invia ad Avignone don Francesco di Ser Giacomo, segretario del cardinale di S. Croce e fratello del Bartoloccio.
Dopo quattro mesi don Francesco ritorna da Avignone con il titolo di Vescovo di Ippona e Abate dell’abazia di Venafro (Isernia-Molise) per sé, e con la carica di Gonfaloniere a vita di Spello e Collepino per il fratello Bartoloccio.
Per questo nomine furono fatti molti festeggiamenti sia a Spello che a Collepino.
All’inizio Bartoloccio si mostrò molto generoso: liberò i prigionieri pagando i loro debiti, fece molte elemosine ai poveri, sistemò molte giovani maritandole o monacandole ed usò molte equità anche con i delinquenti.
Nel 1359, recatosi ad Avignone per ossequiare il Papa, si vide confermato il titolo di Gonfaloniere a vita di Spello e Collepino.
Ma nel 1366, in combutta con un certo Vico, detto il Rosso per il colore dei suoi capelli, comincia a tiranneggiare Spello e il contado.
Il Comune lo fa riprendere dal fratello vescovo e Bartoloccio momentaneamente si pente.
Morto il fratello, che lo lascia erede dei suoi beni, si vendica contro i nobili di Spello che volevano liquidarlo e, sobillato dal Vico, fa uccidere Giovanni degli Urbani insieme a molti altri avversari, altri li fa gettare dalla rupe di Collepino e fa scannare numerose donne perché favorevoli ai suoi avversari.
Il Comune di Spello allora, con il permesso del Rettore del Ducato di Spoleto, Cardinale Egidio Albornoz, inviò Francesco di Ser Pietro fu Targarini, con molti uomini armati, alla casa del Bartoloccio che fu bruciata.
Bartoloccio e il Vico riuscirono però a fuggire e per qualche tempo seminarono il terrore nelle campagne uccidendo, rubando e usando la violenza.
Mentre fuggivano verso Assisi, furono sorpresi dagli armati del Comune e uccisi.
Dopo Bartoloccio ci furono a Collepino numerosi altri reggenti ed uno di costoro esigeva la riparazione delle mura di Collepino a spese del Comune di Spello, il cui Governatore, signor Nello Baglioni, nominò come giudice Messer Spinello de Spini di Ascoli nel 1431.
Quest’ultimo sentenziò che il Comune non era obbligato a riparare dette mura.
Nel 1460 Braccio Baglioni, comandante delle truppe pontificie, per assicurarsi la Signoria di Perugia, uccise il cugino Pandolfo ed il nipote Nicolò.
La frenesia del potere scatenò tra i familiari una serie di congiure e stragi che terminarono in una lotta ferocissima nel luglio del 1500, che estinse quasi il casato.
L’unico superstite Gianpaolo Baglioni, dopo essersi crudelmente vendicato su tutti i suoi avversari, estese il suo dominio su tutta l’Umbria; a Collepino, a ricordo del suo dominio, fissò lo stemma del suo casato: IL GRIFO RAMPANTE E CORONATO tuttora visibile presso la porta del Castello. Nel 1534 Papa Paolo III, per le necessità dello Stato Pontificio, lasciato esausto da Clemente VII per le guerre contro i Turchi e la costruzione della Basilica di S. Pietro, aumentò di tre quattrini a libbra il prezzo del sale.
Perugia, con Rodolfo Baglioni e numerosi altri Comuni, reagì a questo provvedimento ribellandosi al Papa, uccidendo il Legato Pontificio, Vescovo di Terracina, con tutti i suoi consiglieri riuniti in seduta.
Il cronista del tempo, Cesari Bontempi scrive che a Perugia non si era mai vista una strage così crudele.
Paolo III inviò allora un rinforzo di truppe di 10.000 soldati per sbaragliare i ribelli. Perugia fu “ripulita” da tutti i rivoltosi.
Per la zona di Spello l’incarico fu affidato al Vicelegato di Foligno Giovanni Battista Savelli il quale riuscì a recuperare Spello e i Castelli vicini.
In questa circostanza furono demolite le mura di Collepino perché dentro di esse si erano rifugiati i partigiani dei Baglioni, diventati nemici dello Stato Pontificio.
Stessa sorte toccò all’abazia di S. Silvestro che fu rasa al suolo.
Si era arrivati all’anno 1535. Intanto Paolo III a Perugia, sulle case distrutte dei Baglioni, fece erigere da Antonio Sangallo il giovane, nel 1541 una fortezza che dal suo nome fu chiamata ROCCA PAOLINA, “Ad repellendam audaciam perusinorum” per respingere l’audacia dei perugini.
Con la sottomissione di Perugia, anche Collepino tornò sotto lo Stato Pontificio, accogliendo tra le sue mura un Presidio militare, con sede in una casa ancora esistente ed abitata, che si trova sulla destra presso la porta del Castello. Queste guardie a Collepino diedero origine alle più antiche famiglie: Antiseri, Bevilacqua, Quinti e Cristiani.
Tornata la pace, questo laborioso Castello passò sotto la saggia guida del Preposto Abate di S. Silvestro e sentì solo da lontano l’eco delle guerre successive fino a che non fu proclamato il Regno d’Italia nel 1861.
Da antichi documenti, risalenti al secolo scorso risulta che Collepino, entro e fuori le mura, contava 80 fuochi (famiglie), all’incirca 500 persone.
Da un documento stilato da Don Giovanni Buccilli si sa che al 31 Dicembre 1939 gli abitanti erano 355.
Dopo la seconda guerra mondiale è iniziato un inarrestabile processo di emigrazione e fino agli anni 80 nella parrocchia di Collepino si contavano circa 110 persone: una trentina entro le mura, gli altri nella valle del torrente Chiona, attualmente il Centro abitato di Collepino conta 9 persone per di più anziani con relative badanti.
Fortunatamente l’amore per i luoghi ameni e incontaminati fa sì che fra le innumerevoli località umbre, che ogni anno in estate vengono visitate da migliaia di turisti, ci sia anche Collepino che, per alcuni mesi dell’anno, si rianima riempiendosi di gente.
La chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria conserva le antiche campane che provengono dalla antica abazia di S. Silvestro e ne portano la firma.
La grande in puro gotico ha la scritta: MENT(ION)ES CAM(PANAE) SPONTANEU(M) HONORE(M) DEI ET PATRAE LIBERATIONE(M): la campana onora spontaneamente Dio ed esalta la libertà della patria.
La piccola reca inciso: “MCCXXX” G(RE)G(ORIUS) P(A)P(A) N(0)N(US) – ABB(A)S RO(dul)FUS: 1230 – Gregorio IX Papa – Abate Rodolfo.
Aspetto attuale
Il paese, dopo i danni subiti con il terremoto del 1997, è stato sapientemente ristrutturato mantenendo le caratteristiche della storia medievale, con le case in pietra rosa del Subasio e le stradine lastricate.
E’ tutto ben pulito e ben tenuto nonostante i pochissimi abitanti che ci sono rimasti.
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sciscianonotizie · 6 years
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infosannio · 5 years
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Festa della Cipolla di Vatolla, VI Edizione
Festa della Cipolla di Vatolla, VI Edizione
Dal 13 luglio cinque week-end all’insegna della riscoperta del gusto e degli archetipi del Cilento.
  Torna, per la sesta edizione, la Festa della Cipolla di Vatolla, frazione del Comune di Perdifumo in provincia di Salerno, nel cuore del Cilento, famosa per aver ospitato nel ‘600 il filosofo Giovan Battista Vico. Un lungo appuntamento, tra i più attesi dell’estate cilentana, che si articolerà in…
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