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#La natura se ne fotte
ross-nekochan · 11 months
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Sono giorni in cui sento la solitudine forte e chiaro. Non è la solitudine di cui ho parlato le scorse volte, in cui ero sola ma accettavo la mia condizione. Questa è diversa.
È una solitudine dove ti senti individuo unico: una monade.
Sarà stata la botta di due giorni fa, più il fatto che ora una coinquilina si è licenziata e l'altra è tornata a casa questo weekend, quindi sono partita sola per ritrovarmi di nuova sola.
Ma perché gli esseri umani si sentono soli e sono tristi per questo? Sarà uno di quegli istinti inspiegabili della biologia umana? Ci sta, in fondo persino gli animali vivono in gruppo, spesso perché si sopravvive come specie meglio insieme che da soli. Forse ci portiamo appresso questo bagaglio biologico e, avendo creato intere società, non riusciamo più a farne a meno, né della cooperazione né del contatto umano.
Ieri pomeriggio dopo aver letto tanto, non sapevo più come distrarmi e mi sono messa sotto le coperte. Ero stanca ma senza sonno. Avrei potuto piangere un po' ma non l'ho fatto. Ero quasi tentata dal riempire quel vuoto mangiando. Come al solito. Il mio fantastico metodo disfunzionale per gestire le emozioni negative. Oggi, invece, mi sono fatta una foto indecente in accappatoio.
In fondo, sono entrambi metodi per avere uno spike di dopamina. Il cibo, la foto (l'erotismo che ne consegue), il sesso, l'alcol, la droga: in fondo fanno tutte la stessa cosa ed è il motivo per il quale ne siamo ghiotti. Siamo proprio macchine perfette, tese continuamente a ristabilire i disequilibri organici e ormonali attraverso azioni che sembrano dettate dal niente... e invece col cazzo.
Forse ho veramente uno squilibrio in testa come mia nonna e ho bisogno degli psicofarmaci. Forse la mia costante depressione è peggiorata veramente. Forse ha ragione lei a dire che ha paura e che è preoccupata per me per il peggio, specie adesso che sto per andarmene lontano. In fondo una volta lì sarò davvero una monade ed esserci o non esserci sarà quasi impercettibile per chiunque, persino per me stessa.
Mi è ritornato di nuovo l'eterno dilemma del voler capire perché è così necessario per l'essere umano amare ed essere amati. Potrei prenderlo come un dogma, come la gente fa con le religioni, col veganesimo o con altre cose: è così punto e basta. E invece no. Perché ne abbiamo bisogno? Perché non essere amati adeguatamente causa certe ferite dilanianti dentro? Adeguatamente poi è pure un concetto estremamente soggettivo. Infatti amare è tutto un gioco di incastri per cui si sta in pace nel momento in cui il tuo modo di amare mi appaga e viceversa. Se non è così, è tutto un gioco di compensi e di accontentarsi.
Però io sogno sempre di poter sfidare le leggi dell'essere umano, di poter essere l'unica al mondo che non ha bisogno di essere amata e vivere perfettamente in pace con sé stessa così. Poi invece una persona a caso mi fa un complimento a caso e capisco che sono lontana trilioni di anni luce dall'essere quella che vorrei essere. Sempre perché è l'inesistenza della mia autostima che mi fotte, così credo almeno.
Chissà se esiste o se è mai esistita nel mondo una persona sola. Magari triste il giusto, però sola. Senza una relazione amorosa, senza famiglia e con giusto qualche affetto lontano. (Già solo a pensarlo, sembra una cosa impossibile. Ma perché sembra così impossibile pensare a un essere umano in una condizione del genere senza che sia in un'isola deserta?) Se sì come è morto? È morto di vecchiaia? Si è suicidato? Se sì, lo ha fatto in pace o in tormento? Avrà scritto un diario o un romanzo su di sé? Forse dovrei cercare, per non sentirmi sola...
Ecco, di nuovo la mia natura di essere umana mi riporta a voler sentire una connessione, un contatto umano. Non c'è scampo.
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immensoamore · 2 years
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Pochi pensieri sparsi e un po’ a cazzum sulle prossime elezioni a cui siamo chiamati domani .
Ricordate che votare è un dovere civico, soprattutto verso gli elettori. Quindi la stronzata “tanto non cambia niente” vi immette direttamente nella cesta di quelli che poi non si possono lamentare degli esiti (sei andato tu?) perché poi rompe molto i coglioni e fa di voi degli irresponsabili. Che voi non andiate a votare non è nell’interesse del politico ma puramente di chi vota per cui fare uno sforzo vi legittima a esseri umani, nulla più; considerate i diritti fini ad oggi conquistati frutto di lacrime,e spesso sangue,di gente che c’è morta per quei diritti. Onorate quelle morti e lottate per conservarli i diritti non per eliminarli; ricordatevi che non essere parte di una categoria (uso un termine impropriamente ma vorrei ne comprendeste il senso) non vi esonera dal prendervi cura e tutelare le stesse. Un giorno potreste essere parte di una categoria di cui non fotte sega a nessuno e rimpiangereste o maledireste chi ignora l’importanza di quella a cui appartenete. Sono sempre cazzi di tutti, nessuno escluso. L’astensionismo crea un danno, a tutti, sempre. Il non sentirsi rappresentati da partiti politici in questo dato momento (dato molto comune) non esime da un voto consapevole. Non si può essere in linea con tutto ma i principi cardine sono sicura possiate trovarli. Se non li avete trovati non avete ascoltato e qui si ritorna alla responsabilità morale di ognuno di noi. Andate a votare sapendo come si esprime il voto perchè il divieto del voto disgiunto renderebbe nulle le schede. Si mette solo una croce (SOLO UNA) non una sul nome e una sul simbolo. Se votate il nome va a tutta la coalizione in proporzione ai voti (e al soggetto ovviamente), se la mettete pure su un simbolo va tutto a puttane. Allora mettete su un simbolo e va pure al nominativo di riflesso. Se andate a votare fate in modo che sia buono e espressione della vostra volontà altrimenti è un voto a cazzum e abbiamo già il porcellum che rompe i cojoni e di cui nessuno ha capito un ca@@o. In momento è quello che è, c’è una guerra in atto, siamo in piena crisi energetica, la natura si è rotta le palle di noi,e lo sta palesemente dimostrando, e c’è da salvare il salvabile: fate la vostra.
Buon voto e cerchiamo di non fare cazzate.
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Mi manca , il mio posto nel mondo ,mi manca , il Molise , la nostra casa, il verde dei campi , il nibbio reale , il freddo del mattino e il profumo della legna che arde , mi manca l’amicizia di chi non mi fa metter piede in terra e mi chiama appena arrivato per una sambuca , per una chiacchierata , mi manca quel disinteressarmi a tutto ciò che è superfluo , mi manca quella natura incontaminata aspra e così potente che se non stai attento si riprende anche le case .Per impegni non rinviabili e tante cose futili sono già passate 3 settimane dall’ultima volta che sono stato a Casa . Ormai ho capito che quell’impressione di male fisico che provo ogni volta che vado via e’ reale, ogni volta che il maledetto lavoro , la scuola di mia figlia , i problemi che hai qua … mi costringono a tornare alla mia seconda casa che poi in effetti sarebbe la prima . Il problema è’ che io in questa civiltà non ci voglio più stare , non mi attrae , non ha mordente su di me . Io sento un richiamo alla terra , al cielo stellato , a profumi magici, a gente che ti guarda senza invidia , gente che non ha niente ma con te divide tutto! Questa terra così bella vive un abbandono di oltre il 70% dei residenti perché non ha il centro commerciale , non ha il sushi d’asporto, perché il lavoro manca eppure è’ bella come il Trentino . La bellezza e’ ovunque , cascate , boschi, riserve naturali e arte e storia . A volte ne sono così geloso che ne parlo pochissimo con colleghi e’ conoscenti ma a voi lo posso dire , magari con la crisi che c’è qualche soldo in tasca in piu’ mi avrebbe fatto comodo però chi se ne fotte ! Era scritto nel destino arrivare lì , era scritto nel destino che avremmo fatto fatica e ci saremmo fatti un mazzo cosi’ per rimetterla apposto questa casa. In genere i figli adolescenti non amano viaggiare con i genitori , siamo rimasti increduli infatti , nostra figlia Aurora ama più di noi questa casa dice che : le dona serenità interiore. La scorsa estate ( mi pare di averlo già raccontato) in viaggio di ritorno , per strada si lascio’ andare ad una affermazione che ci emoziono’ moltissimo , ci disse : non possiamo restare qui per sempre ? Ieri invece era pensierosa , credevo fossero fatti di scuola …, invece mi ha sorpreso ancora , pensava alla sua casetta nel nulla , ci pensava come me adesso e mi ha confidato che stava immagazzinando nei pensieri , giornate nei boschi , corse con il nostro cane , cene insieme ai nostri amici perché , cosi’ mi ha detto :un giorno mi toccherà raccontarle ai miei figli con i quali mi piacerebbe rivivere gli stessi momenti . Sono scappato via commosso. Uscite da questo nostro tempo ,portatevi fuori,fate una gita in campagna armati di pane e salame, visitate il nulla , spegnete i telefonini e fissate nella memoria queste giornate memorabili . Credete ad uno sconosciuto , credeteci veramente …il resto non conta nulla.
Ps : la foto me l’ha girata Massimo il mio migliore amico , lui non è scappato via , lui e’ rimasto lì dove e’ nato , lui ha avuto il coraggio di non andarsene altrove ,per lui il lavoro e’ fatica tutti i giorni, gli devo molto lui si che mi ha insegnato a vivere .
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latuavocedinotte · 2 days
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"Nessun bacio è traditore. Rivelare non è mai tradire. E quando la voce violenta e dominatrice della nostra mente già elicita il senso di colpa, è solo perché il cuore s'è autodeterminato. Non v'è un singolo atto di coraggio orfano di follia e sfacciataggine. I baci, i più profondi, noi li conoscevamo bene. Conoscevamo il martirio di quel che rivelavano, ma quel pomeriggio di giugno alla Natura non bastavano più gli aurei raggi del sole: desiderava bruciare nel trionfo di sangue e oro dell'estate, morbido d'un respiro di luce. E quando affondavo con cura la mia lingua nella sua bocca, quando il suo respiro si mesciava con il mio, quando una parte impertinente e strafottente di lei mi costringeva a restarle attaccato con un corpo sempre più leggero dei vestiti che celvano la mia pelle, ecco, noi eravamo Natura. Era il cuore che si ribellava al cervello, un impulso atavico che non chiedeva cagion d'essere. Quella l'avremmo lasciata agli speculatori, agli intellettuali, o magari agli psicologi. Prendemmo fiato: un fuoco ardeva in noi e reclamava ossigeno. Chi se ne fotte della ragione. Era bella. Insopportabilmente bella. Ed era piccola al mio confronto. Il suo respiro, una supplica. Avevo sete della sua saliva, fame del sapore della sua lingua. Credo che a noi artisti vada l'ingrato compito di trovare parole nuove per descrivere ciò che la gente crede di conoscere bene. Non mi sottoporrò a questo rituale intellettivo, buono più alla critica che al lato pratico. Il sesso con lei era una forma d'Arte, la più alta e sopraffina. C'era un qualcosa in lei: un fiore, un seme, una scintilla. Un qualcosa di così forte e magnetico in grado di rendere ogni bacio una rivelazione, e ogni colpo forte e vigoroso che assestavo entrando a fondo dentro di lei fino a sfiorarle l'anima, ebbene, una spasmodica ricerca di libertà. Ciò che la libertà non asservisce è solo un velo, gettato negli occhi di chi la Vita cerca di irretire con l'eterna, inconsolabile litania capace di suonare più o meno così: "Non hai bisogno d'altro se non di quel che puoi mangiare. Altro non serve se non quello che ti sistema. Questo è il presente". Ma davanti a me il suo corpo si muoveva al di fuori del tempo e dello spazio. Che valore poteva avere un'ora, un pomeriggio, una notte o una vita, senza che la sua pelle avesse vestito la mia? Sotto di me, prigioniero delle sue gambe intrecciate, io ero in lei, incantatrice: il suo incantesimo fatto di gemiti e sussurri generava la forza della mia erezione, così profonda al centro dei suoi fianchi, ma non era che l'illusione di dominio. Il sesso rende prede i predatori, e predatori le prede. Ogni vittoria, una morte. E il piacere giungeva sempre, allora com'ora, con una punta di dolore"
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fathersmemories · 10 months
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La vita se ne fotte
Intanto, bisogna essere consapevoli d'essere una variabile infinitesimale dell'universo e che la giustizia è un concetto inventato dall'uomo ed ignoto in natura (ma pure a parecchia gente, eh…).
Magari la fede può concedere qualche conforto. Forse. A me no.
Giusti e meritevoli, disonesti e mediocri, e tutta l'umanità di mezzo, non fa differenza. La vita è quello che ti capita e riesci a costruire nel tempo concesso.
Poche le certezze. Dal primo ricordo all'ultimo, perdite e sofferenze, ma anche bellezza e speranza.
È la classica metafora del bicchiere mezzo vuoto. Però, sai, il bicchiere si può anche riempire. Qualche volta. Se vuoi. Certamente, a starlo a guardare non si riempie da sé.
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g-l-o-r-i-a-a-a · 2 years
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Da: "La felicità contromano. Come convivere con la #sortebuttana"
L'ho chiamato "Pinuzzo".
Pinuzzo è il dolore che sento per la mancanza che provo e che mi rimane appiccicato addosso, tutto il giorno.
Pinuzzo, appena mi sveglio, si sveglia con me e mi guarda.
A Pinuzzo non gli va di fare niente.
Pinuzzo vuole piangere e basta.
Io a Pinuzzo gliel'ho detto:
"Pinù, veniamoci incontro... Facciamo così: io faccio le cose, tu mi dai tregua e io ti prometto che, nell'arco di una giornata, se tu vuoi piangere un po', io te lo concedo. Stabbè?"
"Stabbè!"
Da quando abbiamo fatto questo patto, Pinuzzo mi segue.
Ed è già un grande vantaggio perché almeno non sono io che seguo lui.
Ieri gli ho detto:
"La vedi quella persona, Pinuzzo?"
"Sì" - mi ha risposto.
"Quella persona ha un Pinuzzo, pure lei!"
"Seee vabbè!"
"Ti giuro!"
"Non pare proprio!"
"Ti dico sì!"
"Vabbè sarà un Pinello! Un Pinuzzo più grande di me, è impossibile!"
"Pinù, tu lo sai che ogni Pinuzzo, anche il più piccolo, è sempre grande per chi se lo porta dietro? E sai, non è per male! È perché, i vuoti, come li misuri? Un vuoto, vuoto è. Pure se è un vuoto che occupa pochissimo spazio. Un Pinuzzo è sempre pesante per chi ci convive!"
"E a me che me ne fotte!" - ha detto il vastaso - "il vero Pinuzzo sono io!"
Allora l'ho portato a spasso e gli ho fatto conoscere i Pinuzzi degli altri.
All'inizio, attipo che li guardava con sospetto e diffidenza.
Poi ha cominciato, quantomeno a tenerli in considerazione.
Poi, con alcuni, ha socializzato.
Così ha visto che non è il solo Pinuzzo al mondo e un po' si è ridimensionato.
Pinuzzo, non lo fa per male, è la sua natura, ma lui ci prova tutti i giorni a far sì che gli consegni la giornata.
E io lo guardo e gli dico: "Pinuzzoooo! No!"
E lui sbraita e mi risponde che un giorno tutti i Pinuzzi del mondo si uniranno e, soprattutto, a Dicembre, sì a Dicembre, faranno squadra e ci renderanno la vita impossibile.
Gli ho risposto che gli piacerebbe tanto.
Poi gli ho messo il guinzaglio e gli ho fatto fare una passeggiata.
Gli ho fatto vedere le lucine che ci sono in giro per la città: quelle delle decorazioni.
Ci dissi: "Pinù, lo sai perché sono così belle? Perché un po' si spengono, un po' si accendono. E io e te siamo così, in questo momento.
Siamo una lucina di Natale. Un po' spenti e un po' accesi. Prenditi il tuo tempo ma non prenderti tutto. Ché se ti prendi tutto, tanto è il buio che nemmeno tu ti trovi più!"
Parsi ca u capì.
Io, per sì e per no, ci detti puru un vucciddratu.
È misu ca si fa la ucca duci e mi dà tregua.
Domani vidìamu chi mi cunta. ♥️
Sofia Muscato
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mia madre se ne fotte di tutto quello che mi succede, psicologicamente, emotivamente, l’insonnia che mi tiene incatenata da mesi e con l’università: ci sono problemi tecnici dall’inizio dell’anno, tutti noi studenti combattiamo con la segreteria e lei mi tratta come se fosse colpa mia o fossi io la rappresentante che può provare a risolvere i problemi: risultato? sto avendo un crollo nervoso. e mi dice di CRESCERE, perché sono ancora BAMBINA. quando succede, all’improvviso non capisce più che io soffro d’ansia e attacchi di panico e che sono una forza della natura a tenermi tutto dentro per tanto tempo. si comporta come se fossi io a causare i problemi dell’università: “sempre e solo a te succedono ste cose?” quando succedono A TUTTI. sono giorni che dico sempre le stesse cose, che tutto questo succede e io non posso farci nulla. e la RAPPRESENTANTE non mi risponde al telefono. non risponde a nessuno. questa qui è una mia amica che ha problemi personali ma forse non ha capito che se si tratta di qualcosa di grave è tenuta a rispondere. bello perché non vedeva l’ora di diventare rappresentante per prendersi una rivincita e perché le piaceva aiutare. io ti capisco, anch’io non rispondo molto in questo periodo perché preferisco stare sola e tranquilla ma i messaggi li leggo e li ascolto tutti perché se è successo qualcosa di grave e serve il mio aiuto non posso negarlo, non è nella mia natura. a maggior ragione questo dovrebbe funzionare per lei che ha un compito ben preciso.
e questi problemi sono legati alla segreteria che non risponde e se ne forte di noi studenti che non risuscitiamo a prenotare in presenza. per andarci mi serve spendere soldi per un tampone che poi mi servirà per andare in palestra: crede che non voglia andare da nessuna parte? 1 VOGLIO FARMI VEDERE IN PRESENZA e 2 HO NECESSITÀ DI ANDARE IN PALESTRA perché VOGLIO continuare ad allenarmi BENE dopo due anni di fermo causa pandemia, inoltre c’è la mia pt che mi sta aspettando da una settimana; sono stata poco bene e quando mi sono ripresa il medico non poteva ancora farmi fare tamponi (serve un certificato firmato da lui)
IO DI QUESTE COSE CHE CAZZO DI COLPA NE HO? l’esaurimento che mi fa venire mia madre è così forte da farmi venire voglia di prendermi a schiaffi da sola, di fare qualcosa per svenire e non sentire più niente.
ribadisco che sono stanca di ripetere sempre le stesse cose, è come se comandassi io questi eventi ma in realtà soffro solo a causa di tutto questo stress e nessuno prova a mettersi nei miei panni. lo farebbe soltanto G… l’unico che l’ha fatto già un paio di volte.
che schifo quando ti servirebbe una spalla su cui piangere senza dare spiegazioni (perché non voglio assolutamente fargli scendere le palle e anche perché non capirebbe tutti sti casini talmente che sono complicati) e non ce l’hai e in più vorresti che fosse qualcuno in particolare.
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geminicolecollins · 3 years
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( M O O D ) 
* Era notte fotte, una notte grigia come le ultime che aveva passato. Sapeva del loro grigiore non perché aveva visto il cielo, ma perché il cielo lo sentiva dentro. Si sentiva uno schifo, si sentiva psicologicamente una totale merda. Aveva gli occhi gonfi dalle lacrime. Stare in osservazione, in quarantena, chiuso in una stanza da solo, non gli faceva bene, non gli faceva proprio bene. Il silenzio lo distruggeva di notte mentre di giorno le persone nei corridoi e tutto quel vociare lo distruggeva. Era come se sentisse il doppio, sia dentro che fuori. Lui era impazzito. Stava per impazzire quella notte, anche nel momento in cui poteva stare bene ed invece non lo era. Non aveva nemmeno il suo maledetto telefono. Si alzò dal letto e come un pazzo andò verso il vetro che lo separava dal corridoio. * Riportatemi da Rosalie! RIPORTATEMI LA MIA CAZZO DI VITA! Voglio uscire! Voglio scappare! Voglio... * I dottori, senza alcuna pietà, lo sedarono. Chissà sarebbe stato meglio! *
[ #Ravenfirerpg _ Hospital _  '' A Girl can save me'' ] 
* Nessun cuore pulsante, non più almeno, nessuna pelle da poter toccare, nessuna persona con cui parlare, nessuno sguardo, nessun contatto. Niente di tutto questo era presente in quella nuova vita che si era affacciata per James. La nuova esistenza sembrava averlo distrutto prima del tempo della fioritura, lui, unico fiore di se stesso, era già appassito.   Era il niente che si susseguiva nei minuti, nelle ore e nelle giornate di un povero ragazzo che non era più umano e che non lo aveva neppure capito. James era abituato al niente, era sempre stato abituato alla solitudine, a cavarsela da solo, ad andare contro tutti, ma ora tutto sembrava impossibile. Solo, triste, debolmente più sensibile a tutti e cinque i sensi, più violento e ancor più audace di prima, James stava sperimentando l'isolamento. Chiuso in una stanza con un vetro, senza cellulare, chissà dove l'aveva perso, il nuovo  ragazzo si sentiva un topo chiuso in gabbia. L'avevano rinchiuso dopo l'ennesimo attacco di violenza post-traumatica. Ogni tentativo di uscire da quella prigione era vano, i dottori non l'avrebbero mai e poi mai lasciato andare né l'avrebbero spostato dall'isolamento. Urlava ogni notte, batteva contro il vetro, urlava ancora e ancora fino ad addormentarsi per terra. Sentiva un fuoco dentro che lo divorava, l'aveva divorato anche quando, qualche giorno prima, aveva detto a Rosalie che avrebbe voluto baciarla. Il bacio che si immaginava era violento quasi quanto le sue crisi, ma questo dettaglio aveva cercato di celarlo. Era  questa sensazione che perseguitava James. James Cole Collins soffriva di attacchi di rabbia e di ira dovuti al trauma o forse dovuti alla sua natura, ma quest'ultimo punto non era considerato da nessuno. Era a terra, dormiente, quando il profumo di argan non lo svegliò. Urlò, questa volta terrorizzato. Mosse i suoi piedi spingendosi fino al muro, poi, frettolosamente si alzò.   Il suo cuore batteva forte per lo spavento. Di fronte a lui, una ragazzina che con un tubo sotto le narici lo guardava con gli occhi lucidi. * Chi cazzo sei? * Disse facendo un passo avanti in modo avventato, sembrava innocua, ma com'era arrivata dentro la sua stanza se era tutto chiuso? Alzò un sopracciglio e la fissò, avrebbe voluto metterle le mani addosso e strangolarla. La ragazzina con una voce sottile, ma determinata gli rispose* Colei che ti aiuterà, imbranato. Fammi indovinare.. tu sei il tipo che urla e che non rispetta le regole pensando di ottenere il controllo della tua vita... pensi sia carino?                                                                             * James, stupito, sorrise rispondendo * E tu pensi sia carino entrare in una camera barricata? * La ragazza roteò gli occhi e scosse la testa* Avevo sentito dai dottori che eri antipatico, ma non pensavo così tanto. Comunque ho saputo che soffri della malattia di Amok, follia rabbiosa, monomalia omicida e suicida, aggiungerei. E' una malattia insensata e paragonabile ad intossicazione perenne. * James sgranò gli occhi e sentì la rabbia divampare dentro* Ma... Perché sai tutte queste cose? Che vuoi? * La ragazza allungò la mano, aveva l'aria di chi era soddisfatta di se stessa* Piacere sono Hope, sono qui per aiutarti. * Il sorriso ironico trionfò sulle labbra del ragazzo. Allungò il braccio per stringere quella mano* Che fortuna avere un'impicciona.
[ M O O D ] *Il viso pallido, gli occhi persi nel vuoto. Dentro di lui vi era un’anima nuda ed urlante di dolore, fuori di lui il vuoto e le tenebre che lo inghiottivano. Davanti a lui un vetro freddo e silenzioso, dall’altro lato del vetro della gente, delle anime radunate tra loro, ma divise da lui. Che ci fa questa gente fuori? Cosa ne sarà di lui e della sua storia sospesa? Sulla sua pelle le macchie di un lutto non avvenuto, le stesse macchie che hanno preferito l’odio all’amore. Non era morto, ma  in realtà era morto umano ed era un dooddrear. * •••••• (Fra di loro) si nasconde una speranza smarrita che il nemico la vuole che la vuol restituita. E una fretta di mani sorprese a toccare le mani che dev'esserci un mondo di vivere senza dolore. Una corsa degli occhi negli occhi a scoprire che invece è soltanto un riposo del vento un odiare a metà. •••••••••
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fenitelaminaperdue · 5 years
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Hai mai letto ’ Emmanuelle’ di Arsane?
Sono atterrato a Monaco e sono risalito di notte sulla coincidenza per Amburgo. Hallo. Hallo. L’Hostess dall’uniforme impeccabile ed il sorriso da circostanza sfavorevole, mi indica la strada, come se non ci fosse un unico corridoio nel quale incanalare la stanchezza di questo viaggio. Sono al 19 A. Quando ho la possibilità scelgo sempre il 19A lato finestrino poiché è quasi sempre a ridosso delle ali e durante le virate si apprezza lo sforzo, di questa supposta gigante di alluminio e plastica, di rimanere in equilibrio senza scivolare giù, come glicerina nello sfintere. E poi è giorno in cui sono nato. Sono un mediano metodista dalla nascita. Sempre al centro o poco piu’ in la, nessuna dote particolare, solo sostanza, cocciutagine, nessun estro o dono generoso di madre natura. Sono di nuovo in volo. Guardo giù e come sempre il mondo se ne fotte. Se ne fotte di questo finto uccello ripieno di conglomerati cellulari non abbastanza evoluti da farsi spuntare le ali e quindi abbisognevoli di un trucco per guardare dall'alto questo sasso sottostante che gira in maniera misteriosa, intorno ad un asse invisibile, sospeso in un nulla chiamato universo, in attesa probabilmente di sciogliersi come ghiaccio in un bicchiere . Il mondo se ne fotte di quello che mi passa nella testa, cioè di te. Quindi se ne fotte di me e di te, e mentre io riesco a fottermene del mondo ancora non riesco a fottermene di te. Lo vedi quelle luci li? Ecco me ne fotto. E quel barbecue gigante laggiu? Me ne fotto. E della forza di gravità che tiene le patate sottoterra? Me ne fotto. Me ne fotto anche di questa turbolenza che fa inondare il vichingo al mio fianco di birra. Sono un uomo dalle dimensioni compatte che se ne fotte della vita, che è una cosa molto più grande e complessa, ma non di te. Mentre lo penso non sento nulla che sia rabbia, odio, amore o comunque un sentimento di assoluta potenza quanto piuttosto un neutro stupore. Se fossi qui ti chiederei hai mai letto ' Emmanuelle' di Arsane? Risponderesti di no ne sono sicuro. Purtroppo o per fortuna io l'ho letto a 14 anni, perché mio padre aveva nella sua biblioteca personale una vano segreto, ma non troppo segreto per un ragazzino curioso e pruriginoso, in cui aveva ben disposti la migliore letteratura erotica della storia. Arsane, De Sade, Anais Nin, Pauline Reage, Lolita di Nabokov. Il paradiso a luci rosse per un novello lucidatore di flauto. Grazie papà.Adesso chiederei una coperta, se invece del vichingo ci fossi tu e la stenderei su di noi, e tu, senza mai aver letto Arsane,sono sicuro inizieresti a toccarmi ed io toccherei te, perché Arsane, De Sade, Nin, Reage, Nabokov tu non li hai mai letti, ma per un caso strano erano tutti nei tuoi cromosomi come nei miei e quindi non potevamo non annusarci, sentirci, toccarci, piacerci, amarci, desiderarci. Quando ti ho visto per la prima volta non so perché ma io l'ho visto, e tu l'hai visto. Ed in questo.mondo che se ne fotte di noi, noi, almeno per un attimo, ce ne siamo fottuti del mondo.
"Pelle: è la tua proprio quella che mi manca in certi momenti e in questo momento è la tua pelle ciò che sento nuotando nell'aria." cantano i Marlene Kuntz
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chez-mimich · 4 years
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L’IDEAL-TIPO DI FACEBOOK (NEW ENTRY)
L'evoluzione degli ideal-tipi presenti nei social è, come tutto, in continuo mutamento e naturalmente occorrono degli aggiornamenti. Vediamo di fare il punto delle "new entry"
IL SANREMISTA: figura, in realtà, presente da anni su Facebook, era relegato in secondo piano; pubblicava timidamente foto di qualche cantantino o qualche immagine del Teatro Ariston. Ormai invece i "sanremisti" sono tracimati e hanno invaso ogni angolo delle pagine Facebook. Pubblicano di tutto: fotografie, video, tracce audio, link di giornali, ma soprattutto compongono dotti saggi sociologici che, iniziano con le invettive contro chi dice di non guardare il festival (cosa che ritengono assolutamente impossibile) e terminano inneggiando a Salvini. Il "sanremista" si sente investito dal sacro fuoco e invece potrebbe essere investito da un'automobile, se sorpreso sul lungomare sanremese. Trancia giudizi feroci su presentatori, cantanti, ospiti, pubblico; si salvano solo Vincenzo Mollica per ovvi motivi e l'ospite-caso umano (sempre presente nei festival). Il “sanremista” può anche beatificare gli stessi presentatori, cantanti, ospiti, pubblico nel caso gli vadano a genio. Il “sanremista” risponde a tutti gli interventi degli altri utenti, salvo poi cancellarli dalla lista degli amici o bloccarli, se solo osano non pensarla come lui. Non è rara la querela per lesa maestà al “canzonettificio ligure” e interventi che occupano dalle due righe a tutto lo spazio disponibile sul proprio profilo. Il “sanremista“ dorme poco (dovendo seguire il festival), è già attivo dalle prime ore del mattino pubblicando post minacciosi o allusivi a quanto accadrà alla sera. Dopo il festival il “sanremista“ scompare, rimuove, tende a diventare mimetico. Nei casi più gravi, nega di aver seguito il festival e cade in un profondo letargo fino al febbraio successivo. Il “sanremista” una volta si collocava politicamente a esclusivamente a destra o al centro, oggi esiste anche il ”sanremista di sinistra“, molto più colto, ma molto più rompicoglioni. Il ”sanremista” appartiene ad ogni classe sociale, sesso, fascia di età. E' da considerarsi un ammalato e come tale merita rispetto.
LO STALKER DI GRETA THUNBERG: vive nel classico stato di bipolarità; è generalmente un uomo gentile, cortese, anche simpatico che pubblica le foto della famiglia, del cane e delle cene con amici e colleghi. Si comporta, insomma, in maniera gradevole e sta con una certa empaticità sui social. Quando però sulle pagine di Facebook compare una foto della bambina svedese, lo stalker sbotta, dà in escandescenze, erutta, esplode. Tutta la sua rabbia velenosa si scarica sulla povera bambina che viene seduta stante collocata nella vasta categoria delle donne dai facili costumi. A questo punto lo stalker non molla più la preda, la segue ovunque come uno squalo eccitato dall'odore del sangue. Le motivazioni sono piuttosto semplici: lo stalker se ne fotte della natura, ma non ama che qualcuno glielo faccia notare. E' un fumatore e un automobilista incallito, un inquinatore, frequentatore di piste da sci, sprecone, consumista, ma sopratutto papà, e se quella fosse figlia sua, la manderebbe a scuola a calci nel culo altro che borraccette di metallo! Naturalmente esiste anche la versione femminile, ma la descrizione dello stalker donna sarebbe adatto solo ed esclusivamente ad un pubblico adulto.
L'APOLITICO: è un leghista o un fascista convinto, ma non lo ammetterà mai. In ogni questione afferma di non interessarsi di politica, poi però mette like esclusivamente a: 1. Pagina degli amici Predappio; 2. Pagina dedicata alla memoria dello scultore Enrico Butti (autore del monumento ad Alberto da Giussano a Legnano); 3. Pagina del Ku Kux Klan. La sua attività sui social è circoscritta all'indignazione, riferita a fatti come tunisini che derubano paralitici, marocchini che picchiano ciechi, nigeriane che cagano dentro l'ufficio postale (e davanti a tutti) e poco altro. Professano in continuazione di non occuparsi di politica poiché è una cosa sporca. Sono favorevoli alla pena di morte, alla castrazione chimica, alla tortura (ove occorra), al licenziamento degli statali (tutti). Odiano le tasse, odiano i tassatori, odiano i tassisti (per affinità linguistica).
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justregardlessness · 5 years
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Felice C.: «Diciamo che non ho menomazioni fisiche visibili ma il mio cuore e la mia testa, per come sono ormai conformati, non mi consentono di vivere alla pari con gli altri. Signor Cocuzza io chiedo di ricevere la pensione di invalidità civile perché è fallito il comunismo»
Cocuzza: «Che è fallito?»
Felice C.: «Il comunismo, signor Cocuzza»
Cocuzza: «…»
Felice C.: «Non capisce? Lei è cattolico?»
Cocuzza: «Sì»
Felice C.: «Crede nel Paradiso?»
Cocuzza: «Sì»
Felice C. «E spera di andarci?»
Cocuzza: «Certo…sì»
Felice C. «E per andare in Paradiso, signor Cocuzza, lei si comporta in un certo modo, da bravo cattolico, seguendo cioè le regole che la Chiesa le ha insegnato. Non so, rispetta i Dieci Comandamenti, va in Chiesa, fa le sue buone azioni, fa la carità, è giusto. Ora, dopo tanti anni che lei segue queste regole, esse stesse sono diventate un comportamento meccanico. Signor Cocuzza è corretto dire che lei ormai si comporta da buon cattolico senza nemmeno più pensarci? Per riflesso condizionato?»
Cocuzza: «Cioè, che vuole dire? Che sono abituato?»
Felice C.: «Bravo»
Cocuzza: «Sì»
Felice C.: «Allora, facciamo un’ipotesi. Mettiamo il caso che lei potesse morire e ritornare indietro vivo»
Cocuzza: «Morire?»
Felice C.:«Eh…»
Cocuzza: «Lo sa che è impossibile attualmente?»
Felice C.: «E’ un’ipotesi, signor Cocuzza. Allora, lei muore, va nell’aldilà e scopre che il Paradiso non esiste. Si accorge che tutti i sacrifici che ha fatto sulla terra da vivo, non servono a nulla perché il premio non c’è. Non solo non c’è il premio, non c’è nemmeno la punizione per i cattivi, per quelli che delle regole se ne sono ampiamente fregati, a differenza sua. Quindi né premio né punizione, né Paradiso né inferno. Ora, abbiamo detto che lei può tornare vivo sulla terra. Però, sapendo a questo punto che nell’Aldilà non c’è niente, signor Cocuzza, lei continuerà a comportarsi come prima? Seguendo le buone regole del bravo cattolico?»
Cocuzza: «E chi me lo fa fare?»
Felice C.: «Bravo, “io faccio quello che mi pare”, ma è un’illusione purtroppo signor Cocuzza perché per lei comportarsi da cattolico è un riflesso con-di-zio-nato, non può farne a meno, continuerà contro la sua volontà a comportarsi come prima. Ora, immagini che tutto questo le capiti non con delle regole che servono a guadagnarsi il Paradiso ma con delle regole che servono a vivere meglio su questa terra. Signor Cocuzza, questa è la mia condizione: gli ideali che sostenevano la mia etica sono falliti ma io non posso vivere altrimenti che seguendo meccanicamente quegli stessi ideali. E allora io uso un codice di comportamento che questa società non ritiene valido. Sono inadatto a vivere in questa società. Ma se sono inadatto a vivere lei, tecnicamente, come mi definisce? Un…»
Nonno: «Invalido!»
Cocuzza: «Invalido?»
Felice C.: «Ed essendo un invalido, che mi spetta?»
Nonno: «La pensione!»
Cocuzza: «La pensione!»
Felice C.: «Ci è arrivato, sono felice!»
Cocuzza: «Complimenti, bravissimo!»
Felice C.: «Quindi lei è d’accordo con me, signor Cocuzza?»
Cocuzza: «No, che d’accordo. Ho capito»
Felice C.: «Io le sto dando l’occasione per aprire un varco nell’ordinamento giuridico, c’è un nuovo handicap da mettere agli atti, è l’handicap morale, signor Cocuzza, lei ne può essere l’artefice»
Cocuzza: «Ma che handicap morale, lei ha semplicemente creduto negli ideali sbagliati»
Felice C.: «No, no, no non mi tratti con sufficienza, non me lo merito. E’ un caso, solo un caso che siano cadute le mie regole e non le sue, non faccia lo sbruffone con me signor Cocuzza»
Cocuzza: «Ah sì? Scusi ma perché non lo va a dire alle persone di quei paesi le cose che sta dicendo a me?»
Felice C.: «Ma quali paesi?»
Cocuzza: «I paesi…senta ma lei è un comunista o no?»
Nonno: «Sfegatato!»
Felice C.: «Ma che c’entra? Zitto, sta’ zitto, non è il comunismo signor Cocuzza, non è il comunismo che mi manca. Non sono uno stupido! A me manca il sogno comunista. Ogni uomo ha diritto ad un sogno. Io sono stato ingannato. Voglio essere risarcito. Io per vent’anni ho creduto veramente che un miliardo di cinesi fossero tutti educati, felici e sorridenti solo perché erano comunisti. Poi ho scoperto che facevano le esecuzioni in piazza. Pigliavano dei ragazzi di quindici, sedici anni solo perché avevano rubato una bicicletta, un pugno di riso, li facevano inginocchiare per terra e gli sparavano un colpo in testa. E la gente applaudiva. Io ero comunista perché sono contro la pena di morte signor Cocuzza, sono stato ingannato e voglio essere risarcito. Mi spetta!»
Cocuzza: «Ho capito, ma la legge non prevede un caso come il suo. Io che scrivo nel registro? “E’ incapace di vivere perché è fallito il comunismo”?»
Felice C.: «Esatto, io sono malato signor Cocuzza, la mia è una forma di malattia di cui lo Stato deve tenere conto. Io sono un tossicomane ideologico, sono in crisi di astinenza, posso fare di tutto signor Cocuzza e lo farò!»
Cocuzza: «Che vuole dire?»
Felice C.: «Che mi lascerò finalmente andare. Che non avrò più scrupoli, che diventerò un delinquente»
Cocuzza: «E faccia quello che le pare…»
Felice C.: «E sarà anche colpa sua!»
Cocuzza: «Mia? E io che c’entro?»
Felice C.: «Lei non mi prende nella giusta considerazione!»
Cocuzza: «No, io faccio solo quello che è nelle mie possibilità…»
Felice C.: «Ma la smetta con la storia delle possibilità! Faccia quello che è nelle sue responsabilità!»
Cocuzza: «Lei per me sta benissimo! Se ha bisogno, vada a lavorare!»
Felice C.: «E come faccio a lavorare signor Cocuzza? Io sono mesi che non esco di casa, non ce la faccio ad andare per strada, guardare negli occhi le persone che per vivere devono schiacciare la propria dignità!»
Cocuzza: «Tutti dobbiamo fare i conti con la realtà…»
Felice C.: «Ma questa è la vostra realtà, non la mia!»
Cocuzza: «E allora combatta con la sua di realtà…»
Felice C.: «E come faccio? Dove va? Che cosa devo fare signor Cocuzza? Devo denunciare tutti quelli che andavano in giro con i capelli lunghi e con l’eskimo? Erano milioni! Sono scomparsi? Con chi me la prendo? Con quelli che mi impedivano di comprare i dischi di Lucio Battisti perché si era sparsa la voce che forse era fascista? E io l’amavo e mi vergognavo a dirlo! Per lei è facile, signor Cocuzza, insegnare ai suoi figli che l’essere umano è di natura cattiva, che la gente parla, parla ma poi ognuno pensa ai fatti suoi, io non potrei mai insegnare queste cose a mio figlio, non gli potrei mai insegnare che sul lavoro non deve guardare in faccia a nessuno se vuole andare avanti, che votare non serve a nessuno, solo ai politici che devono rubare, per voi è facile dire queste cose, perché secondo voi adesso la gente sta bene, nessuno muore più di fame. E allora che cosa gli dovete insegnare ai vostri figli? Solo stronzate! Che il fumo fa male, che mangiamo troppa carne rossa, che ogni anno a Natale vengono distrutti troppi abeti…e chi se ne fotte, Cocuzza? Voi non mi volete aiutare? Allora insegnatemi a vivere come voi, senza scrupoli e senza sensi di colpa, altrimenti mettemi in un mondo dove non esistono zingari, negri, poveri, disperati, un mondo dove non si sappia quanti bambini muoiono di fame ogni giorno mentre noi mangiamo le primizie, abbiamo sei televisori per famiglia, due macchine a testa… mandatemi qualcuno che mi dimostri che vivere in questa società è giusto altrimenti diventerò un delinquente. E si ricordi, signor Cocuzza, che è un caso, solo un caso che siano cadute le mie regole e non le sue!»
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aikerbicosyudu · 5 years
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sono Agnese 
Non dormo mai o dormo come la natura durante un’inverno nucleare. Sono le quattro e cinquanta am, sono Agnese e ho dovuto togliere i sottotitoli non riuscivo più a seguire. 
Sono Agnese, ho un pezzo di eroina nel portafogli, non lo tocco, non vedo l’ora, non la capisco. 
Sono Agnese e ieri mentre riposavo, circa orario di pranzo, mia sorella irrompe nella stanza, prende le cartine e spazza via il fumo, perso. 
Sono Agnese e mi chiedo cosa fai, merito una sberla che mi faccia cambiare rotta, ma tu non fai mai niente a caso, no ? 
Sono Agnese e mi fido più dell’istinto che di qualsiasi altra cosa.
Sono Agnese, passerei ore a toccarmi i capelli e sto prendendo la patente; che spasso dimenticare di dare precedenza perché si sta fissando il vuoto pensando che effettivamente è molto strano che Bale ringrazi Satana ai Golden scazzen 
Sono Agnese e ho pensato che tutti potessero leggermi nella mente 
Sono Agnese a volte non mi lavo 
Sono Agnese, voglio cantare ubriaca marcia con le gambe che s’incrociano e sputare su chi viene ai nostri concerti gratuiti 
Sono Agnese e ho creduto per diciannove anni che ne capissi di politica per arrivare alla conclusione che di vecchi abomini extraterrestri me ne sbatte il cazzo , sono Agnese e vi invito tutti ad Autoprodurvi all’arbitrarietà siamo umani in gabbia perché abbiamo cercato troppo una casa fino ad  accettare di essere chiusi dentro perché troppo stupidi per pulirci il culo da soli, sono Agnese e sostengo che possiamo pulirci il nostro culo autonomamente e responsabilmente visto che un culo sporco è un problema generale, il tanfo di merda ? 
Sono Agnese ed ad ottobre avrei potuto adottare un maledetto moscone, un giorno il suo ronzio mi precedeva fino al bagno, nella stanza il moscone si posizionò sul mio riflesso, tra gli occhi,  gli sputai contro 
Sono Agnese e dell’astrologia se non hai libri non capirai un cazzo mai e poi mai , sono Agnese ed oggi dormo al buio, sono Agnese e sogno un gruppo di neri arrabbiati urlanti “NO BOY NO BOY FUCK BOY” che corrono verso la mia stanza per tirarmi il letto da sotto la schiena , sogno anche di avere un motorino e perderlo a piazza dante perché l’ho dimenticato, ricordi ci raccontavamo sogni, avevo dimenticato 
Sono Agnese, sono le cinque e quindici, so che oggi prenderò delle tachipirine perché su sette giorni, dieci ho mal di testa
Sono Agnese, mia nonna a quattordici anni prima di morire il ventuno Settembre non mi riconobbe 
Sono Agnese , non ricordo la mia prima volta con un ragazzo, sono Agnese e sono testarda come un mulo, come un ariete, come Salvini, come quelle fottute vecchie coi punti, comprarsi un suppellettile per dementi è il massimo, o no vecchiacce 
Sono Agnese e la mia vita sembra quella di Zeno Cosini, sbaglio corteo funebre inavvertitamente perché prima o poi la verità deve uscire  e l’unica cosa autentica in questo rapporto tra genero e sposato è che non si sopportano, l’inconscio liberatorio , probabilmente si stava dirigendo al gruppo di persone rimuginando sulle veridicità dei sentimenti reciprochi, la verità? Eccola, non è il corteo giusto e non si è nemmeno sforzato di contraddirsi decidendo di non andare
Sono Agnese, il caso non esiste 
Sono Agnese a volte vorrei solo sangue , a volte non capisco cosa mi fermi dal compiere delle azioni, per la prima volta immagino mio nonno, silenzioso che mi tiene per il braccio, ho la sua faccia stampata, non voglio descriverla .
Sono Agnese tengo più al morto che al vivo
Sono Agnese, avevo undici, dodici anni, ricordo le lacrime sulla tastiera, cercavo di essere la migliore amica possibile, tipo Giusy del mondo di Patty o Salem il gatto di Sabrina , i compagni di scuola però mi prendevano in giro
Sono Agnese, Chiara Cappellieri, Alessandra Torriero, andate a farvi fottere, che ci voleva a dirmi o mongolò ch cazz stai ricenn, ti vogliamo bene per quello che sei
Sono Agnese, mi innamorai di Melissa, stemmo insieme un anno circa, ci piaceva fare le cose da adulti, relazioni complicate, fabbricarci problemi, riempire le vasche di birra, Sono Agnese e il primo aprile 2014 la ragazza mi disse di voler tornare con me, era un pesce d’aprile
Sono Agnese, vi avrei dato la chiave della stanza coi milioni e mi avrebbe stupito trovarci solo falene dopo il vostro passaggio 
Sono Agnese, la prima botta me la sono fatta da sola, quindici marzo 2015, quindici anni, sono Agnese e a quindici anni volevo farmele tutte 
Sono Agnese, dicono che sono un latin lover, ma io mi sento così imbranata 
Sono Agnese e ho imparato a non sentire la mancanza di nessuno, non mi cambia niente, il guaio è che tutto è uguale anche quando tutto è apposto 
Sono Agnese e se dico non lo so o se dico sì è no e se dico no è sì, se rimango immobile è sì voglio che resti 
Sono Agnese e preferirei strapparmi la lingua a morsi e ficcarmela su per il culo con una mano inchiodata al tavolo a martellate che uscire dalla mia zona comfort
Sono Agnese, mi dispiace di aver dato per scontato
Sono Agnese e mio malgrado pur avendo avuto ragione (ma chi cazzo se ne fotte che che cos’è la ragione) non ho saputo giostrarmela 
Sono Agnese e vorrei tanto ridere di gusto con te senza le ferite che abbiamo e poterci lasciare andare 
Sono Agnese e se ti chiedi cosa faccio, o mi fumo uno spinello o sto fantasticando 
Sono Agnese e non capisco se tutte quelle persone che ho incontrato a cui ho voluto bene che cazzo di fine hanno fatto 
Sono Agnese, ma sto diventando quello che sono 
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elisadagliocchiblu · 6 years
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Non vale la pena affannarsi, la natura va avanti benissimo senza di te, di te se ne fotte.
Alessandro D'Avenia - Cose che nessuno sa
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gcorvetti · 2 years
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Non ci sto a...
Capì 'ncazzo, ma non perché è difficile o troppo complesso, e non sono neanche l'unico, ma proprio perché non c'è documentazione esaustiva, magari c'è ma è frammentata e sparsa nell'universo cosmico della rete. Dopo questo sproloquio e un mese passato a studiare e fare pratica, mi trovo quasi al punto di partenza, ma con la compagnia che immagina che sono ad un buon livello per spararmi dritto col cannone nell'emisfero della rete per controllare e agire sulle minchiata e stronzate, ne ho lette di assurde, che gli esseri umani possano non solo pensare ma anche scrivere in un social network. Non sono del tutto sorpreso perché un pò mi immaginavo che quello che vediamo noi singolarmente è solo una fetta minima, i nostri contatti, le pagine che ci piacciono, fan di quello fan di questo, le inserzioni che ci appaiono a seconda delle nostre ricerche e...basta, quindi una minimissima parte del tutto che c'è nella rete, o almeno nei social networks. E credetemi voi che leggete ho visto cose orripilanti scritte anche male sui profili di sta gente, persone che, qualcuno direbbe, votano...io dico sta gente si riproduce, fotte sega se votano o meno, ma si moltiplicano.
Sono oramai convinto che la fine del genere umano arriverà per mano dell'uomo stesso, la natura forse ci metterà del suo, come sta dimostrando ultimamente, ma la percentuale maggiore la vedo dalla nostra.
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“ELZEVIRI NAPOLETANI” SPINE E ROSE "Chi va pe' chesta via Spine e Rose truvarrà Chesta è ‘na bucia' E pure verità”                                                                               La VespaBrigante
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Per i giovanissimi e per chi non frequenta le belle lettere degli epigrammi ed epigrammisti, un breve biografia di Raffaele Petra, marchese di Caccavone oggi Poggio Sannita fu un ottimo epigrammista, poeta ingegnoso, acuto e pungente. Egli coglie l'aspetto comico e satirico dei vizi e difetti umani, Scrisse la “Culeide”, poemetto sarcastico ed umoristico, che segna la rottura del Petra con i moduli e gusti tradizionali, sono Raffaele Petra, marchese di Caccavone oggi Poggio Sannita fu un ottimo epigrammista , poeta ingegnoso, acuto e pungente. Nasce a Napoli il 7 gennaio 1798 In molti suoi epigrammi ciò che viene in risalto è l'aspetto comico-satirico anche se a qualcuno potrà sembrare prosaico e volgare. Egli coglie l'aspetto comico e satirico dei vizi e difetti umani, riuscendo a dimostrare grande duttilità nell'alternare frasi eleganti e ricercate a frasi sconce e spesso vernacolari. Scrisse la “Culeide”, poemetto sarcastico ed umoristico, che segna la rottura del Petra con i moduli e gusti tradizionali, e i numerosi epigrammi, rimasti famosi, in cui satireggiava su nobili e clericali, sulla borghesia cinica e rapace e la monarchia borbonica. Dopo il 1860, scomparsi i Borboni, ritorna alla novella in versi, pubblicando “Maria Faiella” nel 1866, in cui il giudizio sulla monarchia piemontese è disincantato e disilluso. Morirà a Napoli il 16 novembre 1873. Avvertendo vicina la fine, scriveva con tranquillità di chi non ha rimorsi : Gli occhi mi vengo meno / mi son talmente infidi, / che nitida la morte / veggo qual mai non vidi. / Sordo divento appieno / lubricamente invecchio / sento l'eternità / e la mia sordità / me ne parla a l'orecchio
I lumi ormai son spenti / lo sciacquittio è finito, / salute ai rimanenti, / guagliò, levate 'o brito!
Senza dimenticare che al Caccavone (e altri epigrammisti) don Benedetto Croce dedicò alcune erudite, ed eleganti pagine, colpito da quel brillante epigramma di 'A cunfessione 'e Taniello:
Taniello, ch’ave scrupolo, mo che se vo’ nzurà, piglia e da Fra Liborio va pe se cunfessà. - Patre, - le dice, - io roseco e pe niente me ‘mpesto; ma po’ dico ‘o rusario, e chello va pe’ chesto... Patre, ‘ncuollo a li femmene campo e ‘ncoppo a o’ burdello; ma sento messe a prereche e chesto va pe’ chello. Jastemmo, arrobbo... ‘O prossimo spoglio e lle dongo ‘o riesto; ma po’ faccio ‘a lemmosena... e chello va pe’ chesto. - E mo, Patre, sentitela st’urdema cannunata: ‘a sora vosta, Briggeta, me l’aggio ‘nzapunata... - Se vota Fra Liborio: — Guaglio’, tu si’ Taniello? Io me ‘nzapono a mammeta, e chesto va pe’ chello!
Buona lettura.
----------------------------------------- IL SECOLOD'ORO DEGLI EPIGRAMMI
Il cultore di epigrammi ben poco raccoglierebbe in terra di Molise. Oltre agli immancabili dileggi di campanile, a volte rozzi e diffamatori, non più di un paio di componimenti. Il primo, squisitamente letterario, di Jovine, bolla l’ufficiale giudiziario de Le terre del Sacramento:
Filoteo Natalizio uom d’umore  sempre gaio or sequestra il mulo a Tizio pignorar vuol tutto a Caio.
Di maniera il secondo, e anonimo, che immortala lo scroccone Alcòn (ma c’è chi dice trattarsi di un cane), su una lapide muscosa di Villa De Capoa a Campobasso:
Qui giace Alcòn, tributo a lui di pianto niun sparso avrìa a questa tomba accanto. Ei lo previde, e nei funebri onori il pianto assicurò dei creditori.
Ben altro s’illudeva di trovare in mezzo a noi chi fiutava le tracce di Raffaele Petra, marchese di Caccavone (1798-1873), i cui epigrammi furoreggiarono a Napoli nel secolo scorso. Ma i cui legami con il Molise riescono oggi poco evidenti per colpa di un vezzo imperdonabile dei nostri antenati: quello di sbattezzare, cambiare i nomi a paesi e contrade, specie all’indomani dell’unità d’Italia. Si mossero per primi i cittadini di Castelluccio Acquaborrana. Non appena Francischiello, re di Napoli, li lasciò nelle mani di Vittorio Emanuele, giudicarono costoro non essere più tempi di favola. E mutarono l’antico nome in quello meno suggestivo, ma conciso e moderno di Castelmauro.
Via via altri borghi seguirono quell’esempio. Però quasi mai furono così radicali. Si accontentarono di aggiungere al nome una indicazione storico-geografica, che scongiurasse omonimie con altri comuni italiani: così ad esempio Bagnoli, il cui consiglio comunale in data 28 dicembre 1862 deliberò l’aggiunta “del Trigno”, autorizzata dal R.D. 26 marzo 1863. Le popolazioni molisane, forse, erano spinte anche dall’umano desiderio di vantare trascorsi illustri al cospetto dei “piemontesi”. Nei primi anni di unità d’Italia proliferarono regi decreti che sancivano i tanti riferimenti al Sannio e ai Sanniti (Montefalcone, Mirabello, San Giuliano, Morrone, Cantalupo, Civitanova…), o al sacro e beneaugurante Volturno (Cerro, Colli, Rocchetta, San Vincenzo). Di natura diversa la risoluzione di Cameli, che nel 1896 ricorse al sovrano per cambiare l’antico nome in Sant’Elena Sannita. Con l’omaggio ad Elena, fresca sposa del futuro Vittorio Emanuele III, allora principe ereditario, si pose fine ai motteggi dei vicini, che chiamavano anche gli abitanti cameli, cioè “cammelli o uomini sciocchi” (Masciotta). Qualche anno più tardi toccò a Ripalta (o anche Ripalda), proporre istanza per ribattezzare l’abitato con il vezzoso nome di Mafalda. Alla principessina, secondogenita di Vittorio Emanuele III, si sacrificò il gagliardo nome di Ripalta. Nome che qualche antico documento aveva “storpiato” nello stupendo Ribalba.
La frenesia innovativa puntò in alto. E diede luogo anche al tentativo di sostituire con Sannio il millenario nome di Molise. Ma il buon senso in questo caso prevalse: il buon senso che suggeriva (e suggerisce ancora oggi), di non disperdere i nomi vivi e storici, per non disperdere con essi le memorie, le tradizioni, gli avvenimenti, il patrimonio socio-culturale da quei nomi evocati e in qualche nome salvaguardati. Anche il consiglio comunale di Caccavone, sull’esempio di tanti altri comuni molisani, colse l’estro per far giustizia di un nome che si riteneva plebeo e poco decoroso, comunque troppo esposto ai dileggi delle popolazioni finitime, come per esempio:
Caccavone iètte a la guèrre senza spare né curtella, vencette a ru battaglione, viva viva Caccavone.
Nel 1921, il consiglio comunale sostituì a Caccavone il perfino poetico nome di Poggio Sannita. Incurante della musa popolare che cantava (e canta ancora):
Aria di Caccavone, aria gentile caccavonese, e chi ti vo’ lassare? Chi vol bona salute e vol campare cento e mille anni venga al nostro paese.
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(in foto: Raffaele Petra duca di Caccavone.
Incurante, soprattutto, di recidere l’ultimo e più stretto legame con l’antico padrone che fu Raffaele Petra, duca di Vastogirardi e marchese di Caccavone. Anzi. Niente di più probabile che gli amministratori si decidessero per Poggio Sannita anche per prendere le distanze dal celebre marchese. Il quale, da parte sua, ben poco aveva fatto per ribadire il rapporto con il paesino molisano. È vero che volle chiamarsi marchese di Caccavone, rinunciando al nome di famiglia e a quello meno fragoroso di duca di Vastogirardi. Tuttavia non emulò gli antenati, che amavano trascorrere buona parte dell’anno nel palazzo edificato (o restaurato), nel 1761. Il marchese di Caccavone, inserendosi in qualche modo nella schiera esecrata dei nobili che vivevano lontano dai feudi, non amava lasciare Napoli.
Nella capitale borbonica tenne il primato tra gli epigrammisti e attinse grande notorietà. Ma beneficiò di fama equivoca. I bacchettoni dell’epoca disprezzarono arguzia, spontaneità, freschezza delle immagini, finezze, elasticità e doppi sensi del dialetto. E bollarono per pornografici i suoi versi. Dai quali, invece, traspare una visione seria della vita. Con la trovata scoppiettante, è chiaro l’intento di mettere alla berlina vizi, comportamenti e persone spregevoli, magari dalla società riverite. Molto nitido il ritratto del Caccavone, lasciatoci da Raffaele de Cesare ne La fine di un regno (a giudicare da quanto trascritto dal Masciotta), dal quale ritratto ci limitiamo a riportare:
Il Caccavone … era uno stoico, e aveva degli stoici la elasticità del pensiero e delle immagini e le abitudini di vita. I suoi versi in lingua italiana sono bellissimi. Non rideva mai, aveva colore terreo, quasi cadaverico, vestiva dimesso, né mostrava soverchia tenerezza per l’acqua e il sapone. La sua cattedra era il Caffè d’Europa. Quando un critico di nome lo chiamò poeta di malaffare, il marchese di Caccavone contrattaccò. L’epigramma, di perdurante attualità, si burlava di quanti, in ogni tempo e in ogni luogo, pretendono di sparar sentenze su tutto e tutti:
Io, poeta da bische, te, gran critico, agguaglio ad un eunuco a guardia d’un serraglio che di giorno e di notte l’Arti, come odalische, vigila tutte e nessuna ne fotte.
Si badi bene: l’autore non satireggia sulla critica in sé. Nel qual caso, critico serio e di vaglia lui stesso, avrebbe ben meritato la controreplica, magari giocata sulla falsariga del proverbio:
ae tibi nigra! dicebat caccabo ollae.
cioè (più o meno): Scansati che mi tingi!
diceva il caccavone (paiuolo) alla pignatta.
No. Egli deride i sedicenti critici. Nel Testamento d’un poeta, poemetto satirico di tono scherzoso intorno a poeti e letterati napoletani, il Caccavone, severo critico letterario, aveva fustigato gli acchiappanuvoli che vaneggiavano ancora improbabili arcadie. Tra i tanti, piace riportare lo sberleffo che indirizzò al Marchesin Pietracatella, da identificare in Francesco Ceva Grimaldi, futuro senatore del Regno d’Italia, piuttosto che nel padre di costui, Giuseppe, marchese di Pietracatella e primo ministro borbonico, gratificato della qualifica di uomo colto niente di meno che dal De Sanctis. Figlio o padre che sia, il Marchesin Pietracatella merita la caricatura per aver iniziato un suo volumetto con i lamenti funebri per la morte della giovane sposa, concludendolo con i versi celebrativi delle grazie di una nuova fiamma. È la comparazione bislacca tra gli occhi neri della bella e le ali del corvo a scatenare la fantasia del Cacccavone:
... a lui son grato se a far dei paragoni m’ha insegnato. Che se nei versi alla futura bella, dal De Ritis chiamati originali, dir volle il Marchesin Pietracatella: “Somiglian gli occhi tuoi di corvo all’ali”, dietro l’esempio suo dir posso a quella che mi ferì cogli amorosi strali pel suo ricolmo petto alabastrino: “Somiglia il tuo bel petto all’Appennino”.
Il Caccavone, sulla cui figura fiorì gran messe d’aneddoti, niente pubblicò in vita. Gli eredi pinzocheri bruciarono le sue carte. Ma poesie ed epigrammi ben presto comparvero a stampa e impreziosirono raccolte antologiche e monografiche. Finalmente nel centenario della morte, il godibilissimo volume critico di Antonio Palatucci, Poesie e Poemetti del Marchese di Caccavone, Napoli 1972, (ristampato con aggiunte nel ‘80 col titolo Tutto Caccavone), superò la leggenda. E consegnò al mondo delle lettere un poeta e letterato d’indubbia forza e originalità.
--------------------------------------------- Bibliografia
- Francesco JOVINE, Le terre del Sacramento, Einaudi, Torino 197216 (1950) - Eduardo DI IORIO, Campobasso. Itinerari di storia e di arte, Arti Grafiche La Regione, Campobasso 1978 - Giambattista MASCIOTTA, Il Molise dalle origini ai giorni nostri, 4 voll. (I e II Napoli 1914-1915, III e IV Cava dei Tirreni 1952), ristampa 4 voll., Tipografia Lampo, Campobasso 1981-1985 - Elio PAOLETTI, Poggio Sannita dalle origini ai nostri giorni, Libreria Editrine Redenzione, Napoli-Roma 1978 - Filippo MOAURO, Caccavone, Stab. Tip. Francesco Lubrano, Napoli 1908 - Raffaele DE CESARE, La fine di un regno, Lapi, Città di Castello, 1909 - Benedetto CROCE, La letteratura della nuova Italia, saggi critici, IV, Laterza, Bari, 19222 - Antonio PALATUCCI, Poesie e poemetti del marchese di Caccavone, La Nuova Cultura, Napoli 1972 - Antonio PALATUCCI, Tutto Caccavone, La Nuova Cultura, Napoli 1980
- Giovanni Mascia
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