Tumgik
#Orrore
femmenoir-red · 8 months
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Stop violence...🖤❤️
@femmenoir-red
-emozioninoired 23*08*23
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Corrado Farina, ...Hanno cambiato faccia, 1971
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spettriedemoni · 9 months
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Scelgo di ricordare i tanti morti di Hiroshima con un’immagine che viene dall’altra città giapponese colpita da una bomba atomica pochi giorni dopo, Nagasaki.
Sono due bambini, due fratelli. Quello portato a spalla è morto. Il fratello più grande aspetta con compostezza il momento in cui il fratello verrà cremato.
Nessuna foto più di questa probabilmente spiega bene l’orrore di una esplosione atomica.
Nessuna foto più di questa credo esprima il dolore e la sofferenza.
Mai più.
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gregor-samsung · 6 months
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" Nella lettera del 1963 scritta al figlio di Eichmann, dopo il processo e la condanna a morte di suo padre in Israele, Anders, nel tentativo di andare alle radici di quella mostruosità che fu lo sterminio di sei milioni di ebrei, scrive: «L’inadeguatezza del nostro sentire non è un semplice difetto fra i tanti; non è neppure soltanto peggiore del fallimento della nostra immaginazione o della nostra percezione; essa è invece addirittura peggiore delle peggiori cose che sono già accadute; e con questo voglio dire che essa è persino peggiore dei sei milioni [di morti della Shoah]. Perché? Perché è questo fallimento che rende possibile la ripetizione di queste terribilissime cose; ciò che facilita il loro accrescersi; ciò che probabilmente rende addirittura inevitabili questa ripetizione e questo aumento. Infatti a incepparsi non sono solo i sentimenti dell'orrore, della stima o della compassione, bensì anche il sentimento della responsabilità. Per quanto possa sembrare infernale, anche per quest’ultimo valgono le medesime cose che valevano per l’immaginazione e la percezione: esso si fa tanto più debole quanto più aumenta l’effetto a cui miriamo o che abbiamo già raggiunto; diventa cioè uguale a zero. E questo significa che il nostro meccanismo d’inibizione si arresta del tutto non appena si sia superata una certa grandezza massima. E poiché vige questa regola infernale, ora il ‘mostruoso’ ha via libera» [G. Anders, Wir Eichmannsöhne, 1964]. L’esperimento nazista – non per la sua crudeltà, ma per l’irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità di un’organizzazione che cresce su se stessa al di fuori di ogni orizzonte di senso, dove, come nel caso di Stangl, “sterminare” assume il semplice significato di “lavorare” – può essere assunto come quell'evento che segna l’atto di nascita dell'età della tecnica. "
Umberto Galimberti, Il libro delle emozioni, Feltrinelli (collana Serie bianca), settembre 2021. [Libro elettronico; corsivi dell’autore]
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apropositodime · 8 months
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Che madre è una donna che copre, protegge e consiglia al figlio mostro /stupratore, di nascondere lo smartphone e di far passare la ragazza per una poco di buono.
Ditemi voi che madre è, che donna è, che persona è.
Butterei dentro anche lei.
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soldan56 · 10 months
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Ha ripreso in video il patrigno mentre la stuprava, unico modo per convincere la madre che stava dicendo la verità, che davvero era vittima, e da anni, di violenze sessuali. È stato il coraggio di questa ragazzina di 15 anni, precipitata in questo incubo da quando ne aveva dieci,
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non-sonosoloparole · 11 months
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aniafro · 1 year
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amore, dov’eri?
ti porti a spasso certi pensieri?
dubita di tutto, fai discorsi seri
perché i tuoi occhi azzurri ed i tuoi pensieri stanno diventando neri.
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femmenoir-red · 4 months
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❤️
@femmenoir-red
-emozioni
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Ugo Liberatore, Nero veneziano, 1978
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spettriedemoni · 10 months
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Mi sveglio e trovo queste notizie. In Francia un tipo ha fatto stuprare la moglie almeno 80 volte da una cinquantina di uomini mentre lei era sedata, una cosa che mi ha disgustato talmente tanto da non riuscire a finire di leggere l’articolo.
Il problema della violenza sulle donne è serio, ne muore una ogni tre giorni forse pure di più.
Mi mette una tale angoscia questa cosa che non avete idea.
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gregor-samsung · 5 months
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“ Il giorno prima, i combattimenti erano stati saltuari e senza esito. Nei punti di scontro il fumo della battaglia era rimasto sospeso tra gli alberi sotto forma di cortine azzurre finché non furono dissolte dal cadere della pioggia. Nella terra ammollata le ruote dei cannoni e dei carri di munizioni tagliavano profondi solchi irregolari, e i movimenti della fanteria sembravano impediti dal fango che si attaccava alle scarpe dei soldati quando, con le divise inzuppate e i fucili malamente protetti dalle mantelline dei cappotti, si trascinavano di qua e di là in linee sinuose per la foresta gocciolante e il campo allagato. Ufficiali a cavallo, col volto che spuntava sotto il cappuccio di tela gommata luccicante come un elmo nero, si facevano strada, isolatamente o a gruppetti casuali, andando avanti e indietro apparentemente senza meta e senza ricevere attenzione da nessuno tranne che dai colleghi. Qua e là qualche morto col vestito sporco di terra, la faccia nascosta da una coperta o all'aria, gialla e terrea sotto la pioggia, aggiungeva la sua influenza demoralizzante a quella degli altri squallidi elementi della scena e intensificava la desolazione generale con un particolare effetto depressivo. Erano molto ripugnanti, questi relitti d'uomini, niente affatto eroici, e nessuno sentiva il contagio del loro patriottico esempio. Morto sul campo dell'onore, sí; ma il campo dell'onore era tanto bagnato! Fa una certa differenza. La battaglia campale che tutti s'erano aspettata, non c'era stata; nessuno dei piccoli vantaggi derivati, ora a questa, ora all'altra parte, in scontri accidentali e isolati, avevano avuto seguito. Attacchi portati senza convinzione provocavano una resistenza ottusa che si accontentava di respingerli. Gli ordini venivano eseguiti con fedeltà meccanica, nessuno faceva niente di piú del suo dovere. — L'esercito è codardo oggi, — disse il generale Cameron, comandante della brigata federale, al suo aiutante maggiore. — L'esercito ha freddo, — rispose l'ufficiale al quale erano state rivolte quelle parole, — e poi... certo, non ha voglia di finire come quello lí. E indicò uno dei cadaveri che giaceva in una pozzanghera; il fango schizzato dagli zoccoli dei cavalli e dalle ruote dei cannoni gli aveva inzaccherato la faccia e i vestiti. Anche le armi da fuoco sembravano contagiate da questa neghittosità militare. Il crepitio dei fucili suonava apatico e poco convincente. Non aveva senso e non destava quasi attenzione né ansia da parte degli altri reparti non direttamente impegnati nella sparatoria e delle riserve in attesa. Uditi da vicino, gli scoppi dei cannoni erano fiacchi in volume e timbro: mancavano di mordente e di risonanza. Sembrava che i pezzi sparassero a salve con cariche ridotte. E cosi la futile giornata si trascinò alla sua tetra fine. Segui una notte di disagio, poi una giornata d'apprensione. “
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Brano tratto dal racconto Un tipo d’ufficiale raccolto in:
Ambrose Bierce, Storie di soldati, traduzione di Antonio Meo, nota introduttiva di Francesco Binni, Einaudi (collana Centopagine n° 41, collezione di narratori diretta da Italo Calvino), 1976; pp. 132-133.
[Edizione originale: Tales of Soldiers and Civilians, San Francisco: E.L.G. Steele, 1891]
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itsmyecho · 2 years
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Con che coraggio riuscite ancora a guardarvi allo specchio dopo aver ferito la persona che dicevate di amare?
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Oltre la percezione
Stavo attraversando la barriera temporale. Se il tempo lo si può guadare con moto proprio e volontario, liberandosi dalle rapide perenni dei secondi che si gettano nel passato, io lo stavo percorrendo, senza freni né limiti, espulso dal suo flusso monocorde. Non so come lo compresi: ne possedevo una spontanea consapevolezza che non ammetteva dubbi. Il gorgo che roteava dentro di me era ripido, sottraeva il fiato, sbriciolava i pensieri. Poi la mareggiata di percezioni sensibili mi travolse. Rumori, odori, sapori, aderenze, colori. Tutti di un calibro inimmaginabile, incontenibile per i miei recettori finiti. La luce fluida, densa, fumosa, impermeabile, che non si lasciava attraversare dallo sguardo, mi avvolse. Era una luce che urlava, i suoi acuti erano opprimenti, le sue dita di acciaio ti stringevano l’anima. La luce era fredda, priva di calore, e le sue volute erano cangianti, in profondità i colori ristagnavano imprigionati tra le pieghe, come in camere dalle pareti sbarrate e imbottite. Colori estremi, tutti, senza ordine, fusi uno nell’altro, e poi di nuovo indipendenti, nitidi, senza sfumature, senza la razionalizzazione imposta dalla spettrografia, ribelli alla pacifica convivenza nella luce bianca. Colori estremi. Nessun artista avrebbe mai potuto riprodurli, nessuna suggestione paesaggistica, nessuna incarnazione della natura poteva avvicinarsi a quella disperata perfezione.
I colori. I colori vibravano svincolati da ogni contenuto, isolati nel fattore cromatico, divinità primordiali prigioniere nei recessi di un culto estinto, non più figli obbedienti della luce, i colori come uno spasmo verso la vita, un lamento di esistenza mancata. Fui immerso nei colori. E assieme ai colori i suoni, gli odori, i sapori, le aderenze, l’idea stessa di sensibilità, l’anima priva del corpo, rumori, note musicali scappate disordinatamente da un pianoforte, staccate dal pentagramma, dall’ordine musicale, dall’armonia dell’universo, rumori e note vibravano assoluti, né mano umana avrebbe potuto trascriverli su carta e ripeterne le melodie antiespressive, né orecchio aveva mai udito il loro forsennato infuriare. Il suono selvaggio, il richiamo brado di animali indomabili, le percussioni ottuse dei pensieri dell’uomo contro la paratia della stiva, contro l’insufficienza del cosmo, l’esplosione di stelle traboccanti miliardi di anni e materia fibrillante.
E il tatto, l’aderenza completa del corpo, l’appartenenza, la fusione con la luce densa, era dentro di me, mi attraversava, una compenetrazione tra le membra, come disgregarsi in infinite particelle infinitesimali e ognuna di esse abbracciava una particella di luce, si avvinghiava a lei e poi tornava a ricollocarsi al suo posto per dare vita al mio corpo ricostruito, intatto, invaso dalla luce densa, cangiante che pulsava dentro di me con i suoi colori, i suoni, gli odori, i sapori.
Furono istanti intensi, ma non provavo ancora orrore. Assistevo a uno spettacolo inenarrabile, come mai avrei immaginato possibile, un trionfo di elementi incontaminati, puri, che si avvolgevano, si contorcevano, stridevano l’uno con l’altro in una contrazione disperata verso la vita, la creazione, l’incarnazione nell’essere, la codificazione della materia. Ne percepivo la sofferenza diffusa, più che sofferenza era un fremito: quegli elementi primari erano intrappolati nell’assenza della vita, ma non ne soffrivano coscientemente, come animali nati in gabbia, che non conoscendo la libertà non comprendono la propria prigionia e fremono nello spazio angusto che hanno a disposizione. Conobbi l’esaltazione dei sensi, il loro pulsare fino all’ultimo stadio, oltre i vincoli della vita e della morte, del tempo, della distanza. Il vortice iniziale nel quale sentivo di precipitare si attenuò, ora galleggiavo sospeso in un alone di fumo scuro, come se fossi stato avvolto da un anticorpo prodotto dall’immenso organismo all’interno del quale ero un estraneo. La mancanza di direzioni, non un suolo su cui poggiare i piedi, un soffitto da sentire sopra la testa, rettilinei d’aria in cui infilare le braccia, mi rendeva impossibile definire la posizione del mio corpo. Ero ancora in piedi o ero svenuto, sdraiato a terra esanime, mentre il mio spirito si dissociava in una emulsione onirica; sarei mai tornato alla realtà. Ma esisteva una realtà che potesse definirsi tale in contrapposizione alla quale potevo riconoscere l’irrealtà o il sogno, l’incubo o le allucinazioni, l’assurdo o il metafisico.
Il flusso costante di particelle che mi attraversava non era spiacevole, la paura si attenuava prevaricata da una curiosità inappagata da una lenta assuefazione a stimolazioni nuove. Poi all’improvviso, quando già cominciavo a ritenere un’esperienza piacevole l’immersione nel primordio, divenne morbo contagioso, ferita infetta e maleodorante. Non mutarono i colori nel loro aggrovigliarsi confuso, non mutarono le cascate di suoni e note che rutilavano nella densa foschia violacea, ma cambiò improvviso il mio modo di sentirli, la compressione del mio spirito nel ricevere quelle sollecitazioni.
Muffa, fuliggini, putrefazione, rigagnoli di sangue scuro, il suono cupo del distacco, il sapore della malattia. Le grida dei colori, disperate, la luce che urlava i suoi acuti opprimenti di orrore. La luce era gelida, priva di calore, le sue volute erano cangianti, in profondità i colori erano imprigionati tra le pieghe, come in camere dalle pareti sbarrate e imbottite contro cui scagliavano esasperati la propria impotenza. L’immersione in un fluido di non vita, nella brodaglia indifferente divenne soffocante, mi rivoltai, cercai di nuotare per sottrarmi, per tornare alla vita, lontano dalle tenebre del pensiero, dove era sottratto anche il riparo dell’oscurità.
Poi mentre l’esasperazione iniziò a bruciarmi nella testa, dal fondo limaccioso di quella palude di sensazioni perverse, emersero due mani ruvide, rinsecchite ad artiglio che si diressero verso di me…
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silviaaquilini · 1 year
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Un incubo che continua anche da sveglio.
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