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#Orsetti del cuore
xstitchpattern · 2 years
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Non frega niente a nessuno ma vi stilo lo stesso la lista dei miei film prefetiti in assoluto: Koda fratello orso, l'incredibile vita di Timothy Green, Spiderwick, sette minuti dopo la mezzanotte, la vita segreta delle api, the tree of life e il vento del perdono
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gelatostracciatella · 9 months
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Gli orsetti del cuore❤️‍🩹
#me
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gregor-samsung · 1 year
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“ Il corpo è sporco, l’intelligenza un peccato. Le preghiere, ancora ancora, il peggio erano le vite dei santi, e delle sante in particolare: Agnese, l’agnello bianco, torturata, data in pasto ai leoni, fustigata, Blandina, stessa sorte, Maria Goretti, una coltellata al cuore, e Giovanna d’Arco, i lacrimoni versati per lei in classe. Bernadette, quasi analfabeta bambine mie, ma è lei la prescelta dal buon Dio, un’umile pastorella, modesta, povera, non avrete mica creduto che nostro Signore sia andato a cercare dei sapientoni?, avrebbe potuto, certo, ma no, no, pensate ai tre bimbi di Fatima, o ai ragazzi della Salette eccetera. Ascolto affascinata. La semplicità, l’innocenza, la mortificazione della carne, fino al massimo grado, il corpo martirizzato, deturpato dalla scrofola come quello di santa Germana. Ognuna di loro ha sacrificato la propria vita, e non c’è niente di più gradito a Dio, bambine­ mie. Mentre lasciarsi sciogliere in bocca due deliziosi orsetti di cioccolato, la salita alla fune, parlottare mentre si è in fila sono tutte cose vagamente peccaminose. Il filo rosso è sempre fare dei sacrifici, per esempio impedirsi di parlare quando se ne ha voglia, rinunciare al dolce, lavare i piatti al posto della mamma, ogni volta che c’è qualcosa che non avete voglia di fare, fatelo. Compilate un quadernetto dei sacrifici, annotate tutto. Alcune di noi lo riempivano con lunghi elenchi numerati, fittissimi. Emulazione nella negazione di sé. Può anche darsi che la stessa solfa venga propinata nelle scuole religiose per ragazzi, che siano sottoposti allo stesso regime di purezza e terrore, ma non potranno mai essere vessati quanto noi: hanno il permesso di azzuffarsi, vengono incoraggiati a primeggiare, e i cari preti non hanno così in odio le loro palle, duos habet et bene pendentes. Molto presto, convinta che le donne siano più devote degli uomini: si affollano in chiesa la domenica, mentre mio padre aspetta fino alle Palme per andare a confessarsi prima della comunione di Pasqua, con la morte nel cuore e soltanto per non far scoppiare il finimondo in casa. Convinta, del resto, che sia giusto così, che le donne debbano esserlo, più devote. A nessuno importa se un uomo è religioso o meno, mentre noi ragazze siamo su questa terra per salvare il mondo con le nostre preghiere e la nostra condotta esemplare. Per fortuna mi sento sopraffatta, ben lontana dall’essere all’altezza nonostante gli sforzi, i sacrifici, che non mi colmano della felicità promessa. Combatto per tenere nascosta la mia infamia: la gioia che provo nel collezionare voti alti, nel vedere cose che non dovrei vedere, nel sottrarre caramelle in drogheria. La mia naturale cattiveria. “
Annie Ernaux, La donna gelata, traduzione di Lorenzo Flabbi, Roma, L'Orma editore (collana Kreuzville Aleph), 2021¹; pp. 57-58.
[1ª Edizione originale: La Femme gelée, Paris, Éditions Gallimard, 1981]
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princessofmistake · 1 year
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Ho fatto tutto quello che potevo per impedire a mio figlio di sprofondare nella dipendenza da metamfetamina. Non sarebbe certo stato più facile vederlo distruggersi con l’eroina o la cocaina, ma come ogni genitore che ha vissuto la mia esperienza finisce inevitabilmente per imparare, questa droga ha una caratteristica unica e devastante. Stephan Jenkins, cantante dei Third Eye Blind, ha dichiarato in un’intervista che la metamfetamina ti fa sentire «arguto e brillante». Ma ti fa diventare anche paranoico, cinico, distruttivo e autodistruttivo. E così ti ritrovi a fare cose eccessive e irragionevoli per sentirti ancora più arguto e brillante. Nic era stato un bambino sensibile, sagace, eccezionalmente sveglio e gioioso, ma con quella droga diventava irriconoscibile. Era sempre stato all’avanguardia sulle ultime tendenze – in successione, Orsetti del Cuore, My Little Pony, Transformers, Tartarughe Ninja, Guerre Stellari, Nintendo, Guns N’ Roses, il grunge, Beck e molte altre. Ed era all’avanguardia anche con questa droga, dalla quale era già dipendente ben prima che i politici americani la denunciassero come il peggiore flagello che avesse mai colpito la nazione. Con i suoi oltre trentacinque milioni di consumatori in tutto il mondo, è la droga più usata, più dell’eroina e della cocaina messe insieme. Nic sosteneva di avere cercato la metamfetamina per tutta la vita. «Quando l’ho provata la prima volta», disse, «ho capito che era lei.» La nostra storia famigliare è naturalmente unica ma al tempo stesso universale, poiché ogni storia di tossicodipendenza si rispecchia nelle altre. Ho scoperto quanto ci assomigliavamo la prima volta che sono andato agli incontri dei gruppi famigliari di Al-Anon. Ho dovuto vincere molte resistenze, ma quelle riunioni, anche se spesso mi facevano piangere, mi rafforzavano e alleviavano il mio senso di isolamento. Inoltre, le storie degli altri mi preparavano alle sfide che dovevo ancora affrontare. Non erano una panacea, ma ero grato anche per il più modesto sollievo, e sentivo il bisogno di una guida spirituale. Ero ansioso di aiutare Nic a fermare la sua caduta, di salvare mio figlio. E questo, insieme ai miei sensi di colpa e alle mie paure, mi consumava. Poiché sono un giornalista, non deve sorprendere che scrivessi per cercare di dare un senso a quello che accadeva a me e a Nic, e anche per trovare una soluzione, una cura. Cercavo ossessivamente informazioni su questa droga, la dipendenza e le terapie. Non sono il primo scrittore per il quale questo lavoro è diventato un’arma con cui combattere un terribile nemico, oltre che una purificazione, la ricerca di un bagliore di speranza nell’abisso, e uno straziante processo attraverso il quale la mente organizza e regola l’esperienza e l’emozione che la sommerge. In definitiva, i miei sforzi non potevano salvare Nic. E la scrittura non poteva guarirmi, anche se mi sosteneva. Anche l’opera di altri scrittori mi è stata di grande aiuto. Ogni volta che lo tolgo dallo scaffale, il libro di Thomas Lynch Bodies in Motion and at Rest: On Metaphor and Mortality si apre da solo al capitolo «Come siamo». L’ho letto decine di volte, e ogni volta ho pianto un po’. Davanti al corpo senza vita del figlio steso sul divano, Lynch, poeta e saggista, esprimeva la stessa triste ma lucida rassegnazione scrivendo: «Voglio ricordarlo com’era, quel ragazzino solare e intelligente con gli occhi azzurri e le lentiggini, con il suo primo completo per la festa di diploma della sorella o che si succhia il pollice mentre disegna sul banco della cucina o suona la sua prima chitarra, oppure in posa con i fratelli il primo giorno di scuola». Perché leggere le storie degli altri può aiutarci? Non è soltanto perché, come si suol dire, «mal comune mezzo gaudio»: l’infelicità può infatti essere anche così assorbita da se stessa da non desiderare alcuna compagnia. Le esperienze degli altri mi hanno aiutato nella mia battaglia emotiva; leggendole, mi sentivo un po’ meno folle. E come le storie che avevo sentito alle riunioni di Al-Anon, le relazioni scritte degli altri mi servivano da guida in acque sconosciute. Thomas Lynch mi ha mostrato che è possibile amare un figlio perso probabilmente per sempre.
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umi-no-onnanoko · 13 days
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Adoro gli adesivi, sulla cover.
Ti ringrazio, sono degli orsetti del cuore, puoi trovarli su Shein per meno di 1€
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lisia81 · 11 months
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Goodbye my princess
Parto con un appunto a Viki.com. Che senso ha tenere a catalogo 2 versioni dello stesso dramma??? Se non era per l’app di my Drama list che non trova i titoli, se non scrivo in inglese, quando mai avrei capito che esisteva una prima versione da 52 episodi e una seconda, Directors cut da 55??
Sono arrivata intorno alla puntata 40, ho letto la prima recensione e ho saputo che forse, e dico forse (!!!) era meglio ripescare la seconda versione perché conteneva parti fondamentali per comprendere la storia e i personaggi..
Mi domando anche chi l’ha messo in onda: 150-180 minuti massimo su 55 puntate (non 16, non 24, non 36 puntate)ha senso tagliarli?Che senso ha storpiarlo così?? Vi siete resi conto della cappellata che avete fatto??
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La seconda annotazione. Sono arrivata a questo drama grazie alle prime considerazioni di @dilebe06 .Mi aveva incuriosita, non avevo la forza psicologica di affrontare Til the End of the Moon e, complice il fatto che ho deciso di suicidarmi con ebike sulla discesa di casa (non credete alla storia inventata da mio marito e mia figlia che mi sono fatta male per salvare 7 gattini, 1 elefante, 2 vecchietti e il debito pubblico venezuelano), ho fatto una full immersion.
Mi aspettavo una storia d’amore xanxia alla The Legends, invece ho beccato una tragedia degna di Euripide.
La mia visione parte da questi due presupposti. Mi sono ritrovata quasi alla fine, a dover mettere in discussione tutto ciò che, fino a quel momento, avevo pensato e rielaborare i contenuti che avevo visto fino a quel momento. Avevo considerato Goodbye my princess un prodotto grottesco, con personaggi volutamente esagerati. Le reazioni e le interazioni fra gli attori principali erano slegate, incomprensibili degne di un bipolarismo dilagante, di cui il lead era l’imperatore supremo. Già Chen Xingzu non era il mio attore preferito, in questo personaggio poi lo trovavo ancora più irritante e odioso. I paesaggi sono mozzafiato, la colonna sonora è molto bella, i costumi sono spettacolari, ma potevano valere una media del 9? Andavo avanti per il divertimento di capire a quale follia potesse arrivare la storia, non capendo bene i voti alti che questa serie avesse ricevuto. Poi ho ripescato scene e dialoghi persi, e tutto è stato chiaro e diverso.
Quindi, a chi non l’ha visto, consiglio caldamente la Directors cut di questo drama. Vale la pena vederlo? Si, ne vale la pena, anche se non siete patiti del genere. La storia è bella, c’è il giusto mix tra intrighi, amore, colpi di scena e tragedia.
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Chi sono i lead di questo drama? Tratto da una novella, la cui autrice ha la nomea di far soffrire i suoi personaggi, narra la storia della 15 enne Qu XiaoFeng, Nona principessa dello Stato Xi a cui viene imposto il matrimonio ,con colui che sarà l’erede al trono del potente Stato Li. XiaoFeng, cresciuta libera, coccolata e priva di ogni pensiero, non ha molta voglia di abbandonare le sue terre, i suoi affetti e la sua vita per andare in uno stato lontano 3 mesi da casa sua. Nutre una cotta adolescenziale per il suo Shifu ,Gu Jian , ma è disposta ad accettare il matrimonio combinato da brava principessa, senza però dover cambiare il suo stile di vita.
Dall’altra parte, nell’impero Li, vi è Li Cheng Yi, Quinto principe dell’impero, un ragazzo solare di 18-20 anni, scherzoso, che non ha nessuna brama per il potere, un po soffocato dalla madre adottiva, l’imperatrice, e molto legato al primo fratello, il 30 enne Li Chengji erede al trono. Vive in un ambiente, la corte imperiale, in cui le vipere a confronto, sembrano gli orsetti del cuore, ma non ne è ne è consapevole, fino all’inizio della nostra storia.
Per chi non vuole spoiler o anticipazioni consiglio di fermarsi qua con la lettura e magari ci si becca dopo per il confronto.
PARTIAMO DA QUESTO ASSIOMA: In questo drama NESSUNO È COMPLETAMENTE BUONO E NESSUNO È COMPLETAMENTE CATTIVO. Questo è il fulcro ufficiale del tutto.
Se devo fare una classifica partendo dai personaggi migliori, in testa ci metto il generale Pei Zhao.
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Maestoso, corretto , leale, fedele, amico sia del nostro principe che della nostra principessa. Parla poco, ma fa tanto. Ho il dubbio che abbia ispirato A’Du nella sua decisione di essere muta (Ricordiamoci la frase che lui stesso dice Gu Jian “ A’Du ha scelto di essere muta”). Mantiene segreti che potrebbero sconvolgere i nostri protagonisti e cerca fino all’ultimo di preservare la salvezza mentale dei due lead. Fallendo purtroppo miseramente. Avrebbe in alcune occasioni potuto fare di più? Sicuramente si, ma come detto sopra, nessuno qua è esente da pecche.
Al secondo posto ci metto Min Yue.
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Questa povera ragazza, discendente della famiglia Chen, è sopravvissuta alla strage, è stata acquistata dalla proprietaria di un bordello, che ne ha fatto la miglior cortigiana dello stato. E’ una persona, buona, posata ed intelligente. A 24 anni scopre da Gu Jian che il padre, che credeva morto, ha preferito salvare e scappare con il nostro spadaccino folle Gu Jian, piuttosto di verificare che moglie e figlia fossero vivi. Padre che per 22 anni, preso dai suoi piani di vendetta, non ha mai neppure preso in considerazione l’idea di scoprire, che fine avessero fatto moglie e figlia. Tuttavia lo perdona aiutando sia lui, che Li Cheng Yin. Si innamora (?) dell’imperatore e ne rimane pure incinta. Per poi scoprire che dietro a tutte le sue disgrazie c’è lui. E decidere di uccidersi portando con se il bimbo che aveva in grembo. Avesse alla fine dato retta al padre e al momento opportuno se la fosse svignata, forse il suo destino sarebbe stato diverso.
Arrivo a A’Du e il suo personaggio controverso
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Per gran parte del dramma l’ho considerata una santa. Gli sterminano la famiglia e tutto il suo clan (i terribili Danchi ) e le tocca sopportare e consolare i pianti e il dolore di Xiao Feng, come che lei non avesse patito le stesse sofferenze, se non maggiori. La sopporta e supporta in ogni sua scelta, per quanto spesso sconsiderata. Però dopo metà drama un po come personaggio, si perde. Si fa trascinare dagli eventi, e dalla protagonista, se non riprendendosi nell’ultima puntata. Doveva essere un po più incisiva con Shao Feng e non fidarsi così tanto di Gu Jian. Avesse rivelato a Shao Feng qualcosa in più sul suo passato o l’avesse strigliata al momento opportuno, lo spettatore si sarebbe evitato molte lungaggini e situazioni ridondati.
Arriviamo alla nostra protagonista.
Ad inizio drama ci si trova davanti una ragazzina buona, semplice, intelligente e alla mano. Priva di costruzioni e malizia. Ci sbatte un po contro, specialmente nella prima parte, l’attrice, Peng Xiao Ran, che per quanto brava, 15 anni non li dimostra. Questo crea nello spettatore un po di confusione. Ti aspetteresti maggior maturità dalla lead perché, davanti a te, vedi una donna fatta e finita, quando in realtà il personaggio nella storia è veramente una ragazzina alle prime armi con la vita. Tuttavia il ruolo è difficile e complesso, e visto che la storia si sviluppa in vari anni, col tempo questa sensazione viene meno. Xiaofeng è un personaggio positivo, porta nella corte imperiale una ventata di allegria e freschezza.
Non è gelosa, dice sempre quello che pensa e si espone in ogni situazione con il suo desiderio e senso di giustizia. Ma sono proprio questi principi a rovinarla. Si fida di tutti, incondizionatamente, rimanendo ferita in maniera indelebile dai vari tradimenti. Lei non concepisce la vendetta, è distrutta dall’odio che prova per colui che ama, perché non sa come combatterlo o esserne vinta. Per questo prima si butta prima nella fonte dell’oblio e poi decide di togliersi la vita. La sua maggior colpa? egoisticamente pensare che tutti debbano essere come lei e non avere punti oscuri. Posso capirlo a 15 anni. Ma dopo 3 anni di intrighi di corte dovresti averci fatto il callo, capito come funziona ed essere meno radicale. Per il tuo bene e sopratutto di chi ti circonda. In molti cercano di farglielo capire: dalla sua governante, all’imperatrice vedova, da Pei Zhao ad A’Du, ma per quanto sembra ogni tanto illuminata sulla via di Damasco, ricade negli stessi errori. Solo alla fine riesce a far pace con ciò che rappresenta e ciò che prova, con la fine tragica che ne deriva.
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Veniamo al nostro amato principe.
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Il personaggio più complesso di tutta la saga. E devo dire che Chen Xingzu ha fatto un ottimo lavoro interpretativo. Gli stati d’animo del principe,dolore, follia, dolcezza, intelligenza, amore arrivano diretti a chi guarda questo drama. Ho detto in precedenza Li Chen Yin è un ragazzo allegro scherzoso e spensierato. Decide di partire insieme al fratello perché non sopporta gli intrighi di corte e vuole veramente bene a Li Chenji. E’ consapevole che questo viaggio per chiedere un alleanza matrimoniale è in realtà l’ultimo percorso di un condannato a morte? Secondo me no. Ci sarebbe andato ugualmente? secondo me si! Certo è che se se ne fosse stato a casa, probabilmente il suo destino con Xiaofeng sarebbe stato diverso e felice (la ragazza a palazzo sarebbe arrivata ugualmente e al secondo fratello non sarebbe importato una cippa di lei). Durante il viaggio però vengono attaccati due volte. La prima volta da emissari mandati dal Palazzo, la seconda volta sotto le spoglie dei Danchi. Li Chen yin si scontra con la dura realtà. E’ cresciuto in una famiglia dove la verità non è importante, gli intrighi sono più diffusi della polvere in un castello abbandonato e sopravvive solo chi è più sveglio e forte e privo di morale. Per usare le parole del primo fratello, per essere principe ereditario devi essere un lupo non un cane domestico. In più viene a sapere che la madre adottiva, la megera dalle sopracciglia impossibili,
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ha ammazzato la sua madre naturale e il suo clan di origine è stato sterminato dal primo ministro (cosa che poi scoprirà non essere vera, ma un gioco di equilibrio e potere del padre imperatore, giusto per non farci mancare nulla). Aizzato dai membri del clan Chen decide di vendicare il fratello farsi giustizia a corte iniziando la scalata verso la posizione di principe ereditario, schiacciando, usando, aggirando e raggirando ogni persona o ostacolo sul suo percorso. Nel bel mezzo di questa missione di vita incontra Xiaofeng. Io credo che il ragazzo fosse sincero. Anche l’idea di usarla per arrivare al re dei Danchi, non fosse un unire l’utile al dilettevole, ma un mezzo per conoscere questa ragazza che gli ha rubato il cuore. Con lei Li Chen Yin può essere il ragazzo che che è sempre stato. Io credo, che quando ha portato il cadavere del lupo al nonno, fosse sincero nel volerla portare via subito e andarsene per sempre con lei. Poi la realtà è ricomparsa prima sotto forma del cugino Gu Jian, poi del sottoposto e ha deciso di seguire il destino in parte scelto e in parte designato.
Il primo appunto che posso fargli è questo. In mezzo ai Danchi ci sei stato, hai visto che è vero che sono un po barbari ma tutto sommato persone fiere e disposte all’accoglienza. Ma capire se veramente sono stati loro ad ammazzare tuo fratello no?? Ti fidi del governatore Gao che prima dice una cosa e poi un altra? Con il matrimonio potevi già pacificare i confini. E lo sai bene. Ok, che tuo fratello ti ha fregato anticipando l’attacco. Ma veramente un altra soluzione non c’era?
Secondo appunto. Che cavolo hai fatto tenere li Xiaofeng in una tenda dal tuo servitore!
Terzo appunto. Le ammazzi il nonno, lo sai e vai da lei senza organizzare per lo meno una difesa plausibile? Convinto che lei ti perdonerà per una storiella che gli hai raccontato tempo prima? ma il cervello lo hai lasciato sul campo di battaglia dentro l’elmo?
Passiamo al periodo post rigagnolo dell’oblio. Precisamente io non ho compreso quando Li Chen Yin si è innamorato nuovamente di Xiaofeng e ha deciso di usare Sese come paracolpi. Però entrambi hanno delle visioni del passato. Caro principe, te che ti reputi così sveglio, che ti butti nel lago a salvare la principessa lasciando annegare la tua presunta amata, quando Xiaofeng ti chiede: “ma noi, ci siamo gia conosciuti?”.. indagare un attimino sulla cosa no? Ho sempre creduto, dal suo modo di comportarsi, che lui sottofondo ricordasse. Invece i ricordi gli si risvegliano all’ultima puntata.questo mi ha lasciato molto perplessa.
Altra annotazione. la nostra principessa ti piace. Ok abbiamo capito che il palazzo orientale è peggio di Guantanamo e tu la vuoi proteggere standole lontano, ma io mi domando come Xiaofeng sia riuscita a innamorarsi nuovamente di te! Siete stati sposati 3 anni. Tre anni di liti, battibecchi, ogni tanto qualche gesto carino, ma poco di più! Forse e dico forse, se avessi coltivato quel rapporto, raccontato parte delle tue paure e debolezze, angosce con la persona che dici di amare, il vostro rapporto sarebbe cresciuto, sareste cresciuti assieme e magari sareste stai in grado di affrontare anche il passato. Sul finale Xiaofeng dice più volte a Li Chen Yin che lo perdona e che ha amato solo Gu Xiaowu. Gu Xiaowu per Xiaofeng è la parte buona, bella anche del suo matrimonio. Li Chen Yin invece è suo marito, ma è anche colui che le ha distrutto la vita. Quando lei si suicida Xiaofeng dice Li Chen Yin deve vivere e avere una vita felice (ora che sei libero e hai sconfitto tutti). Perchè è Gu Xiaowu che muore con lei.
Veniamo al peggiore di tutti. Gu Jian, Shifu di Xiaofeng, e cugino del lead.
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E’ innamorato della lead ma la offre come carne da macello a Li Chen Yin per la vendetta del clan. Per poi pentirsene (più o meno) a più riprese. La stessa Xiaofeng gli dice che il suo tradimento è il peggiore di tutti, si fidava di lui come nessuno al mondo.
Quando ricompare nella sua vita, con Xiafeng oramai prossima alle nozze, lei lo percepisce estraneo, fa fatica fidarsi. Cosa che invece con Li Chen Yin non accade. Gu Jian lo sa bene, ma nulla continua ad insistere e a sbronzarsi. Se veramente si voleva redimere, doveva prendere il coraggio a due mani e dire la verità sul passato sia a Xiaofeng che a Li Chen Yin. Quando poi fa finta di essere Gu Xiaowu, Xiaofeng è sul punto di tornare da Li Chen Yin. Perché non identifica Shifu con il suo unico amore. E quando muore ammazzato dalle frecce, io vedo una Xiaofeng sopraffatta dal dolore per il gesto di Li Chen Yin più che per la morte di Shifu. Egoista e con poche giustificazioni.
Parliamo poi del palazzo orientale. Qui i personaggi orridi vanno a braccetto. Dalla nonna vedova che dice a Xiaofeng che è egoista, al secondo principe che è pronto ad ammazzare popoli, i fratelli e il padre perché è stato educato così, a Sese che viene imbrigliata nella gelosia e nelle tre dell’imperatrice. Chiunque finisca li, a parte Xiafeng perde umanità e moralità.
Imperatore ed imperatrice. Così simili, così spietati. Sarà per questo che il loro matrimonio è durato 30 anni?
Ci sarebbe da parlare di altri 50 personaggi. Ma ho paura di non finire più.
Posso aggiungere che il finale ci sta con Li Chen Yin che ha adempiuto alla promessa fatta a Xiaofeng espiando così il suo rimorso e va alla ricerca dell’amore perduto o dell’oblio dei ricordi.
E con queste considerazioni credo di essere riuscita ad esorcizzare anche questo drama. Prima o poi credo riprenderò coraggio e lo riguarderò, da capo a piedi, perché di sicuro mi sono persa tante altre parti fondamentali.
Quindi:
Goodbye my princess!!!
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loscatolone · 4 years
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•SET SCUOLA•
Negli anni 80, con l'avvento in Italia di nuove serie di giocattoli e cartoni animati, cambia pure "l'estetica" a scuola.
Ciò che era stato fino alla fine degli anni 70, viene totalmente cancellato, le vecchie cartelle marroni, grigio, nere, lasciano il passo a quelle ispirate appunto dai supereroi ed eroine che spopolano in tv o nelle pubblicità nei giornalini.
Quanti di noi, abbiamo frequentato le elementari con la nostra cartella dei MASTERS o BARBIE? E chi non andava a scuola senza il diario dei CALCIATORI o di POOCHIE? E ancora, chi non aveva il portapastelli di BIG JIM o degli ORSETTI DEL CUORE?
Se questi oggetti potevano costare comunque una certa somma, ti bastava comunque avere qualche adesivo del tuo eroe preferito (per tutto il ventennio 1970/1989, c'è stata la moda di abbinare adesivi a qualsiasi cosa si volesse pubblicizzare) e appiccicarlo sull'astuccio, sul diario o, sulla copertina del quaderno, anzi no, sul quaderno no, potevi sempre sperare che il tuo cartolaio di fiducia avesse a disposizione una vasta scelta di quaderni con le copertine di He-Man e soci e se ti andava bene potevi sperare di trovare la gommina, il tempera matite o la penna dei MIO MINI PONY, il righello dei TRASFORMER, a compensare il fatto che alle elementari, tu ci andavi con la cartella dei Puffi, il panierino bianco con i quadretti marroni e azzurri, il portapastelli in ecopelle marrone e il diario di Cino Ricci, skipper di Azzurra nel 1984, regalo di una vicina di casa che a te ha sempre fatto ca*are (sia la vicina che il diario).
💼📚📐🖍️
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portinaio · 5 years
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https://www.facebook.com/Eternal-Un-Mondo-Di-Cartoni-714974938524935/
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buscandoelparaiso · 3 years
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ma parliamo di cose serie,,,,, 
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gelatostracciatella · 2 months
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Anche qui orsetti del Cuore, nel completino e belle unghie :)
Grazie ☺️☺️☺️☺️
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You’re My Favorite Human
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One Shot scritta per il primo giorno del @malex-cupid​
Theme: Failed First Date 
Ao3
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È tutto così rosso. E rosa. E a forma di cuore. È come se un intero settore del supermercato fosse esploso e si fosse ricomposto nel giro di una notte, da cartolina di Natale a biglietto di San Valentino. È un po' sconcertante, Michael lo pensa ogni anno. È puro consumismo ed è una piaga sociale, un buco nero in cui spariscono il buon senso della gente e una quantità assurda di soldi.
Michael non è un moralista ma su questo è abbastanza sicuro. Magari è perché lui non ha mai avuto soldi da sprecare o forse perché tutto ciò che ha sempre voluto – delle risposte, una famiglia, qualcuno da amare – non si poteva comprare, ma davvero questa corsa perenne all'acquisto lui non la capisce. Non capisce questa fretta di passare da una celebrazione all'altra, dove i sentimenti hanno il valore di un regalo e del suo scontrino.
Ok, forse un po' moralista Michael lo è, su certe cose per lo meno. O forse è colpa di Sanders, a furia di stare con lui, un po' del suo cinismo deve esserglisi appiccicato addosso. Michael annuisce a se stesso, perché sì, è definitivamente colpa di Sanders, ed è più piacevole pensare al fatto che sia stata la sua vicinanza a formarlo piuttosto che gli anni di abusi e privazioni.
Michael strizza gli occhi e sospira. Com'era finito a fare ragionamenti esistenziali davanti agli scaffali del supermercato non sa spiegarselo, in fondo doveva solo comprare dei cereali. Invece sono almeno venti minuti buoni che se ne sta fermo lì, a contemplare orsetti di peluche, cuscini a forma di cuore, cioccolatini e biglietti di auguri. È tutto così rosso. E rosa. E nessuno si è accorto che ci sono veramente troppi cuori? E nonostante questo, tutto ciò gli dà molto meno fastidio degli anni passati. Anzi, non gli dà fastidio per niente. Nessuna battutaccia che affiora sulla punta della lingua, nessun principio di orticaria per tutta quella sdolcinatezza, solo il riflesso automatico dei suoi soliti pensieri. Michael se ne rende conto con un po' di orrore ma immagina che ci sia una prima volta per tutto. Soprattutto se hai un Alex Manes nella tua vita.
Michael si mastica un labbro e il sorriso che non riesce a trattenere. Alla fine, e gli è chiaro in modo doloroso, è tutta qui la differenza. Alex. Fino a quel momento, San Valentino non aveva davvero significato nulla di particolare per lui, nemmeno quando aveva tentato con tutte le sue forze di far funzionare le cose con Maria. Nemmeno lì aveva voluto dire niente di più che seguire la massa, buttare qualche dollaro nel buco nero del consumismo e potersi dire che sì, era un buon fidanzato, che poteva esserlo, che se tra lui e Alex non aveva funzionato, era colpa di Alex, ma certamente non sua.
Era stata colpa di entrambi in realtà, Alex lo sapeva da sempre, Michael invece aveva avuto bisogno di più tempo e di spazio per vedere le cose come stavano e ammetterlo a se stesso. C'era stato troppo dolore, troppa rabbia e troppa stanchezza perché l'amore imperfetto di Alex bastasse a riparare tutti i silenzi e le assenze e le ferite della loro storia. C'era stata troppa speranza disillusa perché Michael riuscisse a guardare oltre la propria sofferenza, perché riuscisse a riconoscere anche quella di Alex, perché potesse vedere che lui ci stava provando davvero, che stavolta era lì per restare. Certo, alla fine c'era riuscito, ma quanto c'aveva messo? Troppo. Troppo di sicuro. Quanto tempo sprecato. Quanta inutile attesa.
La consapevolezza è una scossa di elettricità dietro gli occhi, come ogni volta che finisce per pensarci, e un orsetto di peluche si muove sullo scaffale di fronte. Micheal se ne accorge perché sente la familiare pressione della telecinesi in testa che lo spinge a riprendere il controllo. L'orsetto torna immobile e, per fortuna, nessuno si è accorto di niente ma, davvero, la corsia del supermercato è un posto pessimo per lasciarsi andare a viaggi mentali di quel tipo. Michael sospira, doveva solo comprare una scatola di cereali. Invece, uscirà di lì con qualcosa di rosso e a cuori, vero? Micheal se lo sente e la sensazione di allegra esaltazione che accompagna il pensiero la fa sembrare la decisione migliore del mondo. Il peluche di prima lo fissa dallo scaffale con i suoi occhi di vetro ma non lo ispira per niente, si può fare di meglio. I cioccolatini gli fanno storcere la bocca, si può definitivamente fare di meglio, i churro di Arturo li battono a mani basse in qualsiasi occasione. I bigliettini di San Valentino, invece, quelli hanno potenziale.
Michael si avvicina all'espositore, i riccioli che gli cadono sugli occhi. Troppi glitter... troppo rosa... troppo scemo... Michael boccia un biglietto dopo l'altro, anche se il ragazzino di diciassette anni che è stato una vita fa e che è tornato a vivergli in testa da quando sta con Alex, tutto occhioni e sorrisoni melensi, gli urla di prenderli tutti. Ed è quello che fa. Prende quello con troppi glitter e quello troppo rosa, quello troppo scemo e almeno un altro paio che non ha neanche guardato bene. Il diciassettenne dei suoi ricordi sta già architettando un piano - cosa fare, come, quando e che biglietto usare - e Micheal ha deciso di buttarsi e seguirlo. Questo San Valentino sarà speciale, se lo merita lui e se lo merita Alex, con buona pace del consumismo.
Prima però, i cereali.
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La penna fa un'altra pigra piroetta davanti ai suoi occhi, prima che Michael la fermi a mezz'aria. Alex è ancora sotto la doccia, l'acqua che scorre piano dietro la porta chiusa del bagno, e non ha idea del conflitto interiore che attanaglia l'altro. Il biglietto rosso o il biglietto scemo? Michael non ci dorme da due notti, da quando finalmente – finalmente – ha ristretto le sue scelte a quei due cartoncini. Tutto il resto, il loro primo appuntamento di San Valentino, è già pronto, dettagliato fino all'ultimo particolare, organizzato con la stessa cura che riserva ai suoi progetti o al più delicato dei motori che gli sia mai passato tra le mani. Sarà romantico e sdolcinato e ridicolo e Michael non vede l'ora. Se solo riuscisse a capire quale biglietto usare e perché scegliere quello giusto sembra essere di capitale importanza. Non lo è, lo sa, è tutto nella sua testa, dubbi e ostacoli creati dal nulla, una specie di scusa costruita a priori, qualcosa a cui dare la colpa se le cose non dovessero  funzionare.
Michael sbuffa - perché deve sempre complicarsi la vita da solo? -, afferra la penna, scarabocchia qualcosa sul biglietto rosso e poi lo piazza sotto la tazza di caffè di Alex. E aspetta. Aspetta che l'acqua smetta di scorrere e che la porta del bagno si apra. Aspetta che le stampelle battano sul pavimento e che Alex arrivi in camera. Aspetta mentre se lo immagina buttare a terra l'asciugamano e vestirsi, la protesi montata saldamente a ciò che resta della sua gamba destra. Aspetta finché se lo vede comparire davanti, il passo solo un po' irregolare, le maniche del maglione tirate su. E se Michael si incanta un attimo a fissarlo - gli occhi scuri, gli zigomi perfetti, le mani eleganti -, chi può davvero biasimarlo?
"Ehi, buongiorno!" Alex sorride, gira intorno al tavolino e lo bacia.
Michael accoglie il saluto, il bacio e le mani tra i suoi capelli con un mugolio soddisfatto. Anche qui, chi può biasimarlo?
"Buongiorno," ricambia, "ho portato la colazione."
Alex ride, osserva con la stessa meraviglia di sempre la caffettiera che arriva da sola dalla cucina a riempire le tazze e scarta con soddisfazione il sacchetto del Crashdown. Prima o poi dovrà parlare con Micheal e chiedergli qual è davvero il problema, se pensa semplicemente che non mangi abbastanza o se ha proprio paura che si lasci morire di fame. Intanto lo lascia fare, lascia che piombi a casa sua quando vuole, per controllare che sia tutto a posto, per lasciare la colazione, il pranzo o qualsiasi altra cosa. Lascia che si prenda cura di lui, insomma, e la cosa fa bene ad entrambi.
Micheal gli si siede accanto, gambe e braccia larghe ad occupare il resto del divano. Alex lo osserva mentre mangia, c'è qualcosa di strano stamattina, come se Micheal fosse ad un passo dal vibrare fuori dalla sua stessa pelle, un piede che batte a terra, la gamba che balla, una mano che tormenta le cuciture del divano. È ansia, Alex non ha dubbi, ma ha la sensazione che sia una cosa positiva questa volta.
"Non bevi il caffè?"
La domanda ha un tono un po' troppo forzato per essere disinteressata. Alex ha una mezza idea di far finta di non aver capito e di tirare le cose un po' per le lunghe, giusto per vedere dove sarebbero andati a parare, quanta pazienza sopravviveva ancora nell'ansia di Micheal. Molto poca, sospetta.
Alex si allunga a prendere il caffè, gli occhi che lasciano Michael quanto basta per notare il cartoncino rosso sotto la tazza. È piegato in due, sopra c'è una navicella spaziale e nel suo fascio di luce la scritta You're my favorite human riempie tutto lo spazio. Dentro, la grafia tutta spigoli di Michael lo invita al loro "primo appuntamento di San Valentino". Alex ride, ingoia a vuoto un paio di volte e poi sventola il biglietto verso Micheal.
"Primo appuntamento, eh?"
"Di San Valentino" precisa Michael, e la precisazione è importante, perché loro un primo vero appuntamento lo hanno avuto e hanno faticato così tanto per arrivarci che non vuole rischiare, nemmeno per sbaglio, di sminuirlo. C'erano voluti più di tredici anni, innumerevoli guerre - reali e metaforiche -, un paio di padri malvagi da debellare, il coraggio di dar voce ai propri desideri frustrati e di zittire le voci meschine di una vita intera. Era stata una fatica ma se l'erano guadagnata, quella serata a tenersi per mano, prima davanti alla statua di Jesse Manes, memento perenne a tutti i loro incubi, e poi davanti al resto di Roswell, perché tutti vedessero e capissero, finalmente, cos'erano l'uno per l'altro. E poi era stato Alex ad organizzare la serata, e questo bastava perché fosse l'appuntamento perfetto. A volte Michael suonava melenso anche a se stesso, ma non poteva farci niente e ci si era rassegnato senza troppi patemi dopo il primo bacio con Alex al museo. Andava così con lui, non c'era molto da fare. E davvero, cosa poteva farci, quando Alex lo guardava così?
"Primo appuntamento di San Valentino", Alex ripete la frase, la rilegge in silenzio, se la rigira in testa.
"Allora? Che ne pensi? È patetico, vero?"
Alex odia il dubbio nella voce di Michael e, ancora di più, odia che possa essere stato lui a mettercelo.
"No, Micheal, è bellissimo. Così tanto che non so davvero cosa dire… è una cosa nuova, questa, per me..." e Alex si preme il biglietto contro il petto.
"Appunto, non abbiamo mai avuto un San Valentino insieme, voglio vedere che effetto fa."
Michael si stringe nelle spalle, incerto, esposto, vulnerabile.
"Non vedo l'ora!" e la sincerità nella voce di Alex è così reale che Michael si svuota finalmente di tutta l'ansia accumulata. È un po' come un palloncino che si sgonfia, con tanto di sospiro di sollievo, profondo, rumosoro, teatrale.
"Menomale!" esclama, mentre scivola di più sul divano.
Alex scuote la testa, sorride e butta giù l'ultimo sorso di caffè ormai freddo. Poi ruba un bacio a Michael, rapido, più guancia che labbra, e si alza.
"Richieste particolari per questo appuntamento? Non so, devo vestirmi in qualche modo specifico?"
Micheal si raddrizza a sedere, improvvisamente attento, e squadra Alex dalla testa ai piedi con uno sguardo di fuoco.
"Metti la giacca di pelle, ti prego!" e la voce di Michael è una carezza in cui Alex si cullerà tutto il giorno.
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Michael avrebbe dovuto saperlo che organizzare la cosa secondo l'ispirazione del ragazzino che era stato - tanto tempo fa e per troppo poco tempo - si sarebbe rivelata una fregatura. Avrebbe dovuto saperlo, fidarsi un po' meno di tutto quell'entusiasmo ed infilarci a forza giusto un po' di cautela in più. Non tanta, solo un po', quella che sarebbe bastata per non ritrovarsi in questa situazione. Quanto ne sarebbe bastata per ricordarsi di staccare il telefono, il suo e quello di Alex, e tirare su così tanti muri nella sua testa da tenere Isobel alla larga da qui all'eternità. E invece no, Michael si è fidato, ha pensato che per una volta sarebbe andato tutto bene. Che stupido.
"Una serata di pace ho chiesto, una!" Michael brontola, di nuovo, ancora. Lo sta facendo dall'esatto momento in cui è stato trascinato lì, a mettere ordine nell'ennesima crisi aliena. Ma che problemi avevano? Quale mistero irrisolto gli impediva di starsene buoni senza causare danni, senza esporsi, senza correre il rischio di farsi scoprire? Sul serio, cosa c'era che non andava?
"Niente, avete solo un piccolo complesso di superiorità... manie di protagonismo… e pessimo, pessimo, tempismo."
Michael si morde la lingua per non imprecare, già parla ad alta voce senza accorgersene ed Alex è chiaramente irritato, sente che non sarebbe una buona idea perdere quel briciolo di calma che ancora gli resta. "Non sarebbe dovuta andare così stasera", borbotta, le parole che si impigliano in bocca.
"No."  Alex è laconico e non è mai un buon segno e Micheal si sente impotente.
Poco lontana da loro, Isobel distoglie lo sguardo dall'ultima vittima di Bonny e Clyde, le memorie delle ultime ore riscritte perché non resti traccia della rapina aliena, delle cose inspiegabili, delle cose che volavano in aria come dotate di vita propria.
"Ho fatto quello che potevo, adesso tocca a Max." Isobel raccoglie i capelli in una stretta coda di cavallo, raddrizza un lungo orecchino e sospira. Michael le concede un cenno della testa e nulla più, non gli interessa per niente sapere come Max giustificherà il tutto allo sceriffo, cosa scriverà nella denuncia, né tantomeno come gestirà i due ladri. Non sono fatti suoi, non gli interessa, questa volta non ha né la voglia né la forza per farsi coinvolgere. Ci ha provato e, a questo punto, sospetta che Bonny e Clyde siano più interessati a rendere giustizia ai loro omonimi del passato che ad integrarsi davvero a Roswell.
"Mi dispiace se questo vi ha rovinato la  serata." Isobel sembra sincera e stanca e delusa come loro.
"Non credo sia successo solo a noi." Alex si stringe nelle spalle, piccoli frammenti di vetro che scricchiolano sotto ogni suo passo. Isobel imita il gesto, perché cosa c'è da aggiungere? La serata ormai è andata.
"Ok, noi ce ne andiamo. Ciao Iz!"
Michael afferra Alex per mano e se lo tira dietro, piano, attento a non strattonarlo, i vetri per terra sono un ostacolo già da soli. Il viaggio verso casa è silenzioso, la delusione di Michael ancora così piena di rabbia da non lasciare spazio a nient'altro.
"Non è la fine del mondo."
Quando Alex rompe il silenzio, sono già dentro casa, le luci del patio un riflesso sfocato oltre le finestre del salotto. Lo sa anche Michael che non è la fine del mondo, o almeno lo sa la sua parte razionale. È molto più difficile farlo capire alla sua parte romantica, che si era immaginato la serata fino al più insignificante particolare e che se l'è vista sfuggire come fumo tra le dita.
"Non è la fine del mondo, Michael! Non lo è! Ci rifaremo". Alex lo afferra per le spalle e lo scuote appena, perché lo guardi, perché registri la convinzione nella sua voce, perché semplicemente ci creda.
"Prima eri arrabbiato anche tu." Non è una domanda, Michael lo afferma e basta ed ha ragione, ma la rabbia di Alex è diversa dalla sua, è il fastidio dell'essere sempre tirati in mezzo ai drammi degli altri. Quella di Michael, invece, è cieca, vira senza minimo sforzo all'autodistruzione, come se, alla fine dei conti, tutto fosse colpa sua, anche quando, chiaramente, non lo è.
"Sono arrabbiato, chi ha detto il contrario?" Alex gli fa scivolare le mani sul collo, calde e protettive. "Mi scoccia che ci abbiano rovinato la serata, e mi scoccia ancora di più perché tu ci tenevi così tanto… ma non è la fine del mondo, ok? Non è colpa tua, qualunque cosa la tua mente ti stia dicendo, va bene?"
Micheal sospira e la rabbia lo abbandona piano, al suo posto solo una stanchezza dolente. "Ma non potevano farla domani la rapina?" si lamenta.
"Te l'ho detto che voi alieni avete un pessimo tempismo. Pessimo!"
Alex preme la fronte contro quella di Micheal, cerca i suoi occhi nonostante l'angolo scomodo e lo bacia, sorriso contro sorriso.
"Ti va di raccontarmi come sarebbe dovuta andare la serata?"
"Davvero?"
"Mhm mhm, sono molto curioso di sapere cosa avevi organizzato e che tipi di programmi avevi per la mia giacca di pelle."
Le mani di Alex adesso sono tra i suoi capelli, le dita impigliate tra i ricci e tirano appena, quanto basta perché i pensieri di Micheal prendano una direzione ben specifica. La serata sarà anche andata a rotoli, niente cena e niente drive in e niente stelle al buio, ma Alex è qui, è San Valentino e hanno tutta la notte davanti.
Michael afferra la giacca, si tira Alex contro e gli sfiora un orecchio con le labbra.
"Il programma era questo…" e la giacca scivola via senza sforzo.
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corallorosso · 2 years
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I poliziotti non vogliono le mascherine rosa perché sono vittime del sessismo, anche se non lo sanno di Maria Cafagna Un importate sindacato di Polizia si è lamentato pubblicamente per l’arrivo di una fornitura di mascherine FFP2 rosa. Nel documento inviato al capo della Polizia Lamberto Giannini si chiede "un immediato intervento volto ad assicurare che i colleghi prestino servizio con mascherine di un colore diverso (bianche, azzurre, blu o nere) e comunque coerenti con l’uniforme della Polizia di Stato evitando dispositivi di altri colori o con eventuali decorazioni da ritenere assolutamente inopportuni” perché “Appare altresì chiaro che la rilevanza delle funzioni svolte dalla Polizia di Stato impone all’Amministrazione di preservare il decoro dei propri operatori, evitando che gli stessi siano comandati a svolgere attività istituzionale con dispositivi di protezione di un colore che risulta eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare l’immagine dell’Istituzione”. In molti hanno evidenziato che il problema non fosse tanto il colore delle mascherine in sé, quanto il fatto che il rosa è un associato alle donne, più precisamente al femminile, o per essere ancora più precisi a certi stereotipi come leziosità, fragilità e una certa leggerezza sciocca, tutti stereotipi che ancora oggi affliggono le donne. Va da sé che tutte caratteristiche che non si sposano con l’immagine che vorrebbe dare di sé una persona che deve garantire l’ordine pubblico. Dico che il rosa è tradizionalmente e non storicamente un colore da donne perché fino a qualche decennio fa il colore associato al femminile era l’azzurro, il colore del velo della Madonna: l’azzurro era il colore dell’innocenza, della purezza, della rettitudine e della sottomissione, quella che la moglie rispettosa e devota doveva al marito. Al contrario il rosa era un colore maschile perché era associato al rosso, colore della guerra, del sangue, della virilità. I colori sono colori, i significati che portano glieli attribuisce la società in base a criteri totalmente arbitrari. Possiamo quindi farci scivolare addosso la questione delle mascherine rosa e farci una bella risata oppure possiamo cogliere l’occasione per chiederci perché questi uomini siano inorriditi davanti a quel carico di FFP2. (...) Se nascerà una bambina è facile che la sua stanza sia rosa e piena di ninnoli, bambole e leziosità; se nascerà un bambino, lo aspettano una cameretta azzurra, orsetti, qualche macchinina e magari i gadget della squadra del cuore del papà. Già nel modo in cui accogliamo una vita operiamo delle distinzioni basate sul sesso biologico, distinzioni che diventano sempre più marcate man mano che andiamo avanti con gli anni e che spesso non tengono conto delle caratteristiche e delle naturali inclinazioni dell’individuo. Tutto questo può portare a delle conseguenze anche gravi: pensate a un ragazzo a cui fin dalla più tenera età viene impedito di esprimere le sue emozioni, a cui vengono precluse delle attività solo perché è un maschio e un maschio certe cose non le fa – ma chi lo ha deciso? – a cui viene detto che un “vero uomo” non deve piangere e che non deve permettere alla “sua donna” di andare in giro con la minigonna, frequentare le amiche, andare in palestra perché tutti la guardano e così via. E sopratutto che un “vero uomo” non fa le cose “da femmine” come cucinare, stirare, cambiare i pannolini e, appunto, indossare il rosa. (...) Dopo aver fatto anche io delle battute sulla notizia delle mascherine ho cercato di fare mente locale e devo ammettere che al netto di qualche eccezione, nella mia vita ho incontrato pochissimi uomini che indossassero il rosa. Mentre le donne possono indossare più o meno qualsiasi colore, l’abbigliamento maschile ha ancora tantissime limitazioni che spesso ne precludono la praticità: pensate ad esempio quanto sarebbe più comodo se tutte e tutti d’estate potessimo indossare le gonne, un capo d’abbigliamento infinitamente più comodo e fresco dei pantaloni. Davanti all’inesorabile aumento delle temperature, sarebbe un toccasana, eppure la stragrande maggioranza degli uomini inorridisce solo all’idea. La verità è che chi ha scritto quel comunicato ha ragione, un poliziotto con la mascherina rosa è un bersaglio, è meno autorevole perché meno “maschile” e l’autorevolezza è ancora oggi una caratteristica che attribuiamo più facilmente a un uomo che a una donna. Una donna che vuole essere autorevole essere meno “femminile”, come ci insegna la storia dei rigorosi tailleur pantalone di Angela Merkel. Per lo stesso principio, un uomo che vuole farsi rispettare deve stare lontano da tutti quello che richiami la femminilità come il colore rosa, ma anche come le lacrime, e le emozioni. A leggerlo sembra una follia ma si delle norme non scritte che regolano la nostra società e a cui tutte e tutti dobbiamo sottostare pena lo scherno e l’esclusione. La soluzione non è ritirare le mascherine rosa, non è nemmeno indossarle, ma aiutare gli uomini a comprendere che la battaglia per la parità di genere riguarda anche loro perché sebbene in forme molto minori rispetto alle donne, alle minoranze, e alla comunità LGBTQI+, anche loro sono vittime degli stereotipi. Questa è una battaglia che dovremmo fare tutti e tutte insieme, affinché ognuno e ognuna di noi possa indossare ciò che meglio crede e soprattutto possa essere ciò che vuole senza per questo sentirsi meno autorevole, meno attraente, meno libero.
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lacrime-di-gioia · 4 years
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Quando fai rumore, e qualcuno se ne accorge
Parole: 1429
Beta: server di Discord (credo)
Fandom: Sanremo RPF (Cenone di Natale AU/Sanremo Family AU)
Ship: background (neanche tanto) Levodie, Jdato (è inutile negare ancora)
Avvertimenti: misgendering (inconsapevole) e cugini troppo impiccioni. E le pippe mentali di Cally.
Note autore: devo tutto a @giulia-liddell, che ha creato questi personaggi. Avviene tutto la sera stessa dell’uscita IN AMICIZIA di Cally e Anita
(X). Sembra passata una vita, da quando l'ho scritta
La serata era iniziata in maniera relativamente tranquilla, se non si considerava la discesa rocambolesca dalla sua stanza, per evitare sguardi indiscreti e il fatto i tacchi nuovi erano decisamente scivolosi.
Le dispiaceva dover sgattaiolare fuori casa come una tredicenne in punizione, ma non voleva neanche dover rispondere alle domande di tutti i cugini.
Insomma, è normale cercare un po’ di privacy, in questo bordello pensò, mentre chiamava un taxi.
Il locale che avevano scelto era davvero carino, anche se a quell’ora era già decisamente pieno.
Era anche abbastanza fuori zona, così non avrebbero dovuto avere nessuno tra i piedi.
Amava i suoi cugini, e tutta la famiglia allargata, ma le era anche mancato passare del tempo con la sua fidanzata, senza uscite di gruppo.
A questo proposito, la vide avvicinarsi, fasciata nel suo abito di tulle rosso svolazzante.
Sussultò, quando se la ritrovò davanti con due bicchieri in mano. Era una dea.
La ragazza, però, sembrava concentrata a fissare un punto dall’altra parte della pista da ballo.
“Tesoro, cosa guardi?” le urlò , appoggiandole una mano sul braccio per attirare la sua attenzione.
“Niente, mi era sembrato di vedere…” sospirò l’altra: “Non importa, siamo qui per divertirci, no?”
La fidanzata annuì, trascinandola verso la pista da ballo.
Ma Claudia non riusciva non pensare a che cosa ci facesse Antonio in quel locale, soprattutto vestito e truccato in quel modo.
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Cally è distrutto: durante il viaggio di ritorno ha addirittura fatto fatica a mantenere lo sguardo sulla strada. Ed anche in quel momento, buttato sul letto ancora vestito, non riesce a togliersela dalla mente. Cazzo, mi ha dato un bacino da scuola materna, ed io sto già fottuto, bene..
Era stato un normalissimo bacio sulla guancia, da amica, prima di rientrare in camera sua. Anche lui ne aveva dati di simili a decine di ragazze, quindi perché quello gli brucia sulla pelle come un marchio infernale?
Dannata Anita.
Ma il pensiero più assurdo lo colpisce mentre sta facendo la doccia: e se andasse davvero a trovarla?
Cally si accorge di aver fatto la scelta più cretina della sua vita, quando a metà della scala di legno appoggiata contro alla sua finestra (o, almeno, spera che sia la sua finestra, perché non vuole di certo ritrovarsi nel mezzo di una hotline tra Riccardo ed Eugenio, dato che il primo si trova nella stanza di fianco) si sporge per guardare giù. Che modo stupido di morire, cadendo da una scala. Fa un respiro profondo, prima di riprendere a salire. Ormai sono qui, devo farcela.
E meno male che la finestra è aperta, perché dubita che Anita abbia voglia di spiegarne l’eventuale distruzione.
È quasi alla fine della scala, quando la vede: è in mezzo alla stanza, struccata e vestita con un semplice abitino di cotone azzurro, che immagina essere il suo pigiama, mentre piega diligentemente la gonna e la camicetta che aveva indossato quella sera.
Cally realizza che non lo stava aspettando, quando lei sposta lo sguardo verso la finestra e sussulta, accorgendosi di non essere più sola.
Arrossisce subito, dandogli le spalle e cercando di coprirsi il viso con le mani.
Con una mossa degna della pubblicità dell’olio Cuore, Cally scavalca il davanzale, fino a raggiungerla in pochi passi. Anita è ormai di uno strano colorito a metà tra le orecchie di zia Ama, e un peperone maturo:“Non dicevo veramente, sul venirmi a trovare,” mormora la ragazza, senza accennare a togliere le mani dal volto: “volevo lasciarti una buona idea di me, così sono orribile, ti farò sicuramente schifo”.
Cally non sa cosa fare, ma rimanere imbambolato dopo ad una confessione del genere sembra bruttissimo anche per i suoi standard, quindi le si avvicina e la cinge da dietro in un abbraccio, appoggiando la testa sulla sua spalla: “Ti dà fastidio?” sussurra, per essere sicuro di non forzarla. Anita sembra trattenere un singhiozzo, mentre gli risponde: “No, anzi, va bene”. Non sa quanto stiano così, ma lei sembra essere quasi a proprio agio, quando Cally si stacca, e le propone di tirare davvero fuori caramelle e computer.
Si accoccolano sotto alle coperte, nelle lenzuola a fiorellini di Anita, e fanno partire una commedia romantica. E nella penombra rischiarata solo dallo schermo del PC, tutto diventa lecito: anche quando le loro mani si sfiorano, per poi stringersi, anche quando Cally le sposta un ciuffo di capelli dal viso con la mano libera, anche quando, poco prima di cadere tra le braccia di Morfeo, lei lo sente sussurrare un “Ani, sei bellissima”.
Pensa che potrebbe benissimo rimanere lì per sempre, con Anita addormentata sul petto e gli orsetti gommosi. Non che al momento scappare sia una possibilità concreta, dato che non può fare movimenti improvvisi senza rischiare di svegliare la sua bella addormentata, ma non si lamenta.
Un po’ la invidia, perché ora, per colpa della sua insonnia si ritrova a guardare le travi a vista del soffitto della sua camera, e non capisce come possa essere successo tutto così in fretta: fino a qualche mese prima non sopportava neanche l’idea di starci di fronte ai pranzi di famiglia, ed ora era nel suo letto. Si sente anche un po’ imbecille, in realtà: insomma, Anita aveva accettato di uscire insieme “in amicizia”, di certo non sente quelle dannate farfalle che attanagliano invece il suo stomaco.
Okay, gli aveva tenuto la mano, ma è un comportamento normale tra amiche, no?
Era stato un normale pigiama party tra ragazze, con il film romantico e le caramelle gommose. Accidenti, non sono come Tarek o Marco, che neanche si accorgono di essere ad un appuntamento, senza che qualcuno glielo faccia notare.
Non era un appuntamento. E gli ci vuole davvero tanta forza di volontà (e di negazione) per non ammettere che, sì, vorrebbe che lo fosse stato.
D’altro canto, però, sa bene come ci si senta a trovarsi a fare i conti con la propria identità di genere, e non vuole assolutamente forzarla a dover affrontare altri casini, in quel periodo già delicato. Soprattutto, non davanti a tutta la famiglia.
E, in fin dei conti, neanche Cally muore dalla voglia di esporsi così.
Esporre cosa? Neanche l’hai baciata.
Anzi, neanche sai quale sia il suo tipo, in fondo. Certo, ha avuto una storia con Claudia,che  è decisamente diversa da te. Ma magari faceva parte della recita, in cui interpretava un ruolo:“Antonio, il cugino perfetto, cis ed eterosessuale, con una fidanzata perfetta”.
È strano, constata, in fondo non la conosco neanche così tanto.
Ecco, a questo punto potrebbe anche avere un fetish strano, tipo i piedi.
Sorride, scuotendo la testa. Beh, magari questo no.
Non si riesce ad impedirsi di lasciarle un bacio sulla fronte, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi sopraffare dalla stanchezza.
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Elodie è un po’ preoccupata. Non è sicuramente gelosa, ma non ha ancora metabolizzato a fondo quello che Claudia le ha detto in taxi, al ritorno.
Non è possibile che fosse davvero Diodato, nel locale, vero?
Ha bisogno di schiarirsi le idee, tutto qui. Una passeggiata nel giardino dietro alla casa sembra una prospettiva davvero allettante. Si districa lentamente da Claudia, che nella notte si era mossa fino ad intrecciare le gambe con le sue, e l’aveva stretta in un dolce abbraccio.  
La bionda si alza pigramente, per poi afferrare al volo qualcosa da mettersi (probabilmente, quella felpa è anche della fidanzata, ma ormai non ci fa neanche più caso). Lancia un’ultima occhiata a Claudia, che dorme ancora beatamente, prima di uscire dalla stanza, cercando di non fare troppo rumore con la porta.
È così immersa nei suoi pensieri, che non la nota subito. E anche quando la vede, rimane un attimo perplessa. Cosa ci fa quella scala, lì?
Sicuramente, il giorno prima non c’era. Si massaggia le tempie, cercando di ricordare di chi sia quella finestra.
Riccardo dovrebbe avere la stanza in quella parte del corridoio, si ricorda, è possibile che Eugenio sia venuto a trovarlo, e gli abbia fatto una sorpresa?
Oh, no. Realizza, paralizzata dall’orrore. La camera di Riccardo è quella di fianco.
Lì c’è Diodato. Cazzo, perché questa sera porta tutto a lui?
Elodie non si considera un’impicciona, ma ormai ci è dentro fino al collo, quindi tanto vale arrivare alla fine del tunnel. Quello che vede una volta arrivata in cima, però, la lascia ancora più confusa e con più domande di prima: Perché diamine Cally è nel letto di Diodato, e lo sta abbracciando?
È stato lui a mettere lì quella scala?
Oh, Cally, spero che tu abbia una buon spiegazione, pensa, scendendo dalla scala per ritornare nella sua stanza, perché non ne uscirai facilmente .
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waitthetimeyouneed · 4 years
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Le notti insonni fanno male
“Quanta forza servirà Per diventare debole Per distruggere lo scudo che Mi difende da sempre”
Voce del Verbo - Ermal Meta
Mi sento persa. Un viandante nel deserto in cerca della sua oasi. Un forestiero avvolto nel suo mantello che cammina affaticato nella notte alla ricerca della sua stella, nascosta dalle fronde maestose degli alberi. Mi sento come se non avessi più nulla da dare, più nulla da dire. Come se le parole fosse finite eppure so che non è così, continuo a scrivere senza un freno perché è l’unica cosa che so fare. Scrivo come se non ci fosse un domani e non è un buon segno. Una marinaio che tenta di trovare la scialuppa di salvataggio. Mi sento alla deriva, nel bel mezzo dell’oceano ad osservare la terraferma allontanarsi sempre di più. Vederla diventare un puntino. Vederla sparire dietro un orizzonte che si confonde con l’acqua salina. Mi sento in mezzo alla burrasca e sento che non sto combattendo. L’acqua mi strattona da tutte le parti, appesantisce gli abiti, riempie i polmoni. Quante parole non ho potuto dire perché non mi è stato permesso di farlo. Quante cose vorrei poter dire eppure non posso. Quante cose ho dovuto sentire. Quante parole sono state sprecate e sono state gettate nel vento della tempesta, senza darci più valore e la peggio cosa è che le ricordo tutte. Quanti giorni sono passati. Li tengo a mente. Li ho segnati nell'anima. Li ho impressi a fuoco per non dimenticarli mai - come se poi fosse possibile - e giornata dopo giornata, aggiungo quelli nuovi. Quanti momenti sono stati polverizzati. Quanti fotogrammi sono stati strappati ed io sono ancora qui a tentare di rimetterli insieme, dopo che lo scotch si è staccato per l’ennesima volta. Sono ancora qui che aspetto, nonostante la mia vita vada avanti, nonostante sia andata avanti io, aspetto ancora. Non me ne pento. Mi dispiace soltanto. Posso dire soltanto che mi dispiace. Mi sento persa. In cerca di qualcosa che neppure io so, o forse sì. Mi sento distante. Fredda. Glaciale. Ciononostante nutro le fiamme. Mi sento vuota. Un guscio di noce, come se qualcuno avesse preso un enorme cucchiaio e avesse estratto tutto il contenuto spirituale, lasciandomi priva di qualsiasi sensazione, lasciandomi alle prese con me stessa, come a dire.”Ora prova a ricostruirti”. Ho messo cerotti con orsetti su cicatrici profonde. Ho fasciato alla bell’e meglio le ferite e ho guardato al giorno successivo eppure mi sento come se tornassi, ogni santa volta, al punto di partenza, senza via di fuga. Senza permesso di fare altro. Non so dove sto andando. Non so a che punto sono. Non lo so quanto tempo ci ripiegherò a ricostruirmi ma ho un po’ paura. Ho disperso così tante parti di me in giro per non far vedere altri chi sono veramente che la cosa mi si è ritorta contro, anzi, mi si è ritorta contro nel momento esatto in cui sono riusciti a ricostruire la mia immagine. Come se tutti avessero potuto vedere il mio piccolo cuore avvizzito e avessero potuto scherzarci su e più cerco di nasconderlo, ancora oggi, più lo vedono. Sono tornata dentro il muro, contro la mia volontà. Per forza di cose, sono stata costretta. Che cosa triste. Mi servirebbe un abbraccio.
(Scusate, questa sera è così).
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