Tumgik
#anche capolavori
io-pentesilea · 3 months
Text
Mi confermate che anche voi quando cucinate mettete la vostra musica preferita e cantate a squarciagola?
Oggi castagnole e 'Questo piccolo grande amore'.
Piccoli capolavori.
Barbara
Tumblr media
41 notes · View notes
angelap3 · 15 days
Text
Tumblr media
"Io nell'Unione Sovietica ci sono stata una volta sola perché dopo non mi ci hanno voluto più. Anche quest'anno, l'anno delle Olimpiadi, mi hanno rifiutato il visto come a una criminale. Comunque quella volta vidi cose nient' affatto esaltanti, e non solo nel campo della libertà".
"Intervista con il Potere"
Mi sono sempre chiesta come sia successo che ho scoperto Oriana, così tardi, la risposta mi è stata data da Oriana stessa, nel mio paese è stata semplicemente bandita, è famosa in tutto il mondo, i suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue, voi non ne troverò nemmeno uno in russo (Sono anche informata al "Fondo Oriana Fallaci", cercavo in internet, e non un solo libro è in russo.
la mia rabbia non è dovuta a opinioni politiche... ma a quanto sia ingiusto privare milioni di donne russe a conoscere ammirare i suoi capolavori. "Lettera a un bambino mai nato", "Un Uomo", "Un cappello pieno di ciliege", "Insciallah".
Conosciuta e amata in tutto Mondo. Una Donna straordinaria sconosciuta in Russia 😥😥😥❤️
11 notes · View notes
gregor-samsung · 1 month
Text
[La commedia all'italiana]
“ La commedia all'italiana, nella confusione dei generi, ha il grande merito di non aver allontanato del tutto il pubblico. Qui non si parla di capolavori, sappiamo bene che i capolavori sono mosche molto rare, e sappiamo anche chi li fa. Ma uno strano comportamento degli altri "capolavori" italiani è che si tratta quasi sempre di tragedie che col tempo si avviano a diventare comiche. Le eccezioni sono rare, e sappiamo tutti quali sono gli autori che resistono all'usura del tempo: Rossellini, Fellini, Antonioni, Rosi, un altro paio li lascio scegliere a voi. Gli altri preferirei tacerli, pensano già troppo loro stessi a farsi pubblicità, a spargere il terrorismo ideologico e artistico, e alla fine viene voglia di difendere "la commedia all'italiana", soprattutto se si pensa a quei "capolavori" che hanno i minuti contati e rendono pensoso il ceto medio, sempre sull'onda della moda. La commedia italiana ha rivelato una certa Italia che esiste, e che gli italiani avevano sotto gli occhi e non vedevano.
L'Italia dei soliti ignoti (bisognerà rifarsi a questo lontano film di Monicelli), quella dei "mostri", della legislazione arretrata, del boom e delle congiunture, l'Italia della televisione, della provincia ormai tentacolare, dei moralisti e degli imbroglioni. L'Italia, insomma, che esce dalla commedia dialettale e sentimentale per guardarsi com'è fatta. Si è scoperto un tipo di italiano eterno, che viene da Machiavelli, e che affronta la vita con tranquilla amoralità, comicamente e talvolta con una certa disperazione. I nostri comici bene o male rappresentano l'Italia. Sordi e Tognazzi, Gassman e Manfredi sono l'Italia. Ne siamo circondati. Oltre che parlare di registi (Risi, Scola, Salce e altri) qui bisogna parlare anche degli scrittori, e cito i quattro più rispettabili, Rodolfo Sonego, Age e Scarpelli, Ruggero Maccari. Bene, si ha l'impressione, leggendo le critiche dei giornali, che costoro debbono passare il tempo a difendersi dall'accusa di facilismo. Io ammiro in loro invece la grande fecondità inventiva, lo spirito di osservazione sempre aggiornato, l'agilità costruttiva delle loro storie, e l'umorismo oltre che la comicità. È un cinema che è una variazione attuale della commedia cinquecentesca, fatto con lo stesso spirito di spregiudicatezza dei tempi d'oro. Faccio qualche esempio: chi ha visto "Riusciranno i nostri eroi etc.", si è reso conto che finalmente l'italiano esiste, appunto perché trasportato fuori del suo habitat. Chi ha visto l'episodio delle due checche nel film "Vedo nudo" non ha potuto non ammirare la semplice grazia dello svolgimento e della recitazione. E chi ha visto Sordi nell'ultimo episodio della "Contestazione generale", sa che siamo davanti ad un piccolo capolavoro, piccolo ma resistente. Infine mi sembra che la commedia all'italiana, anche nei casi più clamorosi (Il medico della mutua) pur con tutte le sue facili risate indica problemi che sollevati dalla saggistica, dal giornalismo, dalla narrativa, chissà perché annoiano. “
Ennio Flaiano, Frasario Essenziale - per passare inosservati in società, introduzione di Giorgio Manganelli, Bompiani (collana Nuovo Portico, n° 41), 1986¹; pp. 78-79.
 Nota: Il volume è una raccolta postuma di scritti inediti e varî (taccuini, appunti, fogli sparsi di diario o di viaggio).
14 notes · View notes
youregonnabeokkid · 3 months
Text
comunque un livello cosí basso che anche le canzoni mediocri sembrano dei capolavori
12 notes · View notes
vintagebiker43 · 1 year
Text
Tumblr media
Cara Agenzia Armando Testa,
sono la Venere di Botticelli, quella vera.
Quella laggiù in fondo alla sala, appesa alla parete. Come ogni giorno sono circondata da migliaia di turisti.
Fino a qualche giorno fa, sono sincera, non vi conoscevo. Poi ho scoperto che avete realizzato una Campagna Pubblicitaria per promuovere il turismo in Italia usando e distorcendo la mia immagine: #opentomeraviglia.
Mi avete fatto diventare, come dite voi moderni, un’Influencer.
Mi avete fatto sorridere.
Mi avete vestito.
Mi avete messo in altri contesti stereotipati italiani, ad esempio con la Pizza in mano,
Io non ho detto nulla.
Sono abituata a queste manipolazioni.
Lo faceva già Andy Warhol nelle sue famose serigrafie nel 1984.
Anche Chiara Ferragni è venuta a farsi un selfie con me.
Viviamo nell’epoca del turismo di massa fatto di superficialità e likes.
Magari volevate solo creare un Hype, come dite voi moderni.
Però quando ieri ho letto la vostra lettera, tracotante e supponente, pubblicata sul Corriere, non ci ho visto più.
C’è una cosa che proprio non mi torna.
Voi dite, cito testualmente: “La Armando Testa ringrazia, e Venere con noi.
Erano più di 500 anni che non si parlava di lei cosi tanto”.
Ma stiamo scherzando?
Se solo foste venuti agli Uffizi, invece di andare in Slovenia, avreste visto che io NON sono per niente con voi.
Anzi io non ho bisogno di voi.
Io vado benissimo così come sono.
Nuda, con tutti i significati neoplatonici nascosti, che non credo voi capirete mai.
Io sono da sempre, da quando Sandro Botticelli mi dipinse, dandomi il volto di Simonetta Vespucci, il simbolo della bellezza femminile nell’arte.
Per me vengono da tutto il mondo.
Un milione e 800 mila visitatori passano a trovarmi ogni anno.
Grazie a me gli Uffizi sono il primo museo in Italia, più visitato del Colosseo.
E nel mondo sono al decimo posto.
Quindi, diciamolo con chiarezza, è grazie a me che siete diventati famosi in questi giorni e non vice versa!
Tra qualche mese nessuno si ricorderà di voi, se non per la figuraccia fatta.
Tra dieci anni io invece sarò ancora, ogni giorno, circondata dai miei fan, come dite voi moderni.
Un’ultima cosa.
Sapete perché sono stata dipinta?
Per promuovere l’immagine nel mondo dei miei committenti, la famiglia dei Medici. In pratica, se non ve ne foste resi conto, io ho la stessa funzione di una vostra campagna pubblicitaria. Solo che ai miei tempi gli artisti creavano capolavori, bellezza eterna e il Rinascimento. Oggi invece i vostri creativi scopiazzano sul web dei meme ridicoli.
Tutto molto imbarazzante!
O, come direste voi moderni, Cringe!!
Cordialmente
La Venere
@Simone Terreni
#opentochiediscusaabotticelli
63 notes · View notes
diceriadelluntore · 7 months
Text
Tumblr media
Storia Di Musica #295 - Fleetwood Mac, Rumours, 1977
Di solito un duetto tra una voce maschile e una femminile è si presente in molti dischi, ma in modo episodico. Sembra strano, ma i gruppi in cui le voci principali sono state una maschile e una femminile sono molto più rari di quello che all’apparenza potrebbe pensare. Partendo da questa osservazione, i dischi di ottobre saranno dedicati appunto a casi del genere: ho cercato di unire cose molto note e significative ad altre meno, come è nello spirito di questa rubrica. Si parte oggi, nella prima domenica di ottobre, con uno dei dischi più belli, di successo e imitati di tutti i tempi. Eppure tutta questa gloria non era né scontata né, soprattutto, immaginabile dato che il capolavoro nacque proprio quando tutto sembrava irrimediabilmente compromesso, in un periodo di tensione altissima tra i membri della band che ne fu autrice. I Fleetwood Mac nascono come gruppo brit-blues sotto l’egida di Mick Fleetwood (batteria) Peter Green (chitarra) e John McVie (basso) che lasciano i Bluesbreakers di John Mayall ed intraprendono una carriera autonoma. Si chiamano così perché Green unì il cognome del batterista al Mac di McVie. Iniziano subito a farsi notare, con alcuni pezzi molto belli come Man Of The World, Albatross e Black Magic Woman, che diverrà famosissima solo anni dopo con la cover dei Santana. In questo periodo composero almeno due grandi dischi di rock blues (l’omonimo Fleetwood Mac del 1968 e Then Play On del 1969, dalla stupenda copertina e che nel titolo cita nientemeno che La Dodicesima Notte di Shakespeare). Poi Green se ne va, iniziando una carriera solista dignitosa ma non superlativa. Dal 1970 al 1975 Fleetwood e McVie chiamano a sé molti musicisti per rimpiazzarlo, tra gli altri ricordo Danny Kirwan, Bob Welch, Bob Weston, che durano più un meno un annetto con il gruppo. Colpisce invece la cantante Christine Perfect, che nel frattempo si sposa con McVie, divenendo Christine McVie, entrando in pianta stabile nella formazione. Gli album di questo periodo sentono della poca amalgama tra i membri, finendo per essere scialbi e dimenticabili. Rimasto nel 1975 senza chitarrista, Fleetwood incontra Lindsey Buckingham, che a dispetto del nome è un ragazzo californiano, che in coppia con la sua compagna, Stevie Nicks, aveva pubblicato un disco di leggero pop dal titolo Buckingham + Nicks (che sono una scelta nella scelta, dato che univano una voce femminile e una maschile soliste). Il primo lavoro della nuova formazione è clamorosamente stupendo: Fleetwood Mac (secondo disco omonimo, già un record) nel 1975 è uno dei dischi più venduti in assoluto e trascinato dai singoli Warm Ways, Say You Love Me e la stupenda Rhiannon, diviene già un classico. L’attesa per il proseguimento è spasmodica, tanto che la prima cosa a segnare il passo è la band stessa: sia la coppia Buckingham - Nicks che quella Perfect - McVie si stavano separando, e Fleetwood scoprì sui giornali che la moglie lo tradiva con un amico. Nonostante le dicerie che la davano sul punto di sciogliersi, la band si concentra nelle registrazioni di uno dei capolavori assoluti del pop-rock di tutti i tempi e lo intitolano con notevole spirito ironico Rumours (che ricordo in inglese vuol dire brusio, ma anche chiacchiericcio e dicerie).
Con una maniacale cura che rivoluzionerà il concetto stesso di arrangiamento e produzione (anche per l’uso delle più avanzate tecnologie dell’epoca, come fecero nello stesso anno gli Steely Dan con Aja) Rumours, che esce il 4 Febbraio del 1977 è davvero perfetto: penso che chiunque abbia mai pensato di scrivere una canzone abbia voluto creare qualcosa come Go Your Own Way, trascinante e fantastica. Ma già l’apertura con Second Hand News (che richiama le dicerie di stampa del titolo) che ha echi di musica celtica fa capire che non è un album qualunque. Dreams, che da solo vendette oltre un milione di copie come singolo, è altra canzone definitiva, come Never Going Back. Songbird è piano e chitarra acustica, e diventerà uno dei momenti clou dal vivo. The Chain, che nasce come unione di idee scartate, è un country folk un po’ psichedelico, ed è uno dei pochi brani accreditati a tutti i membri della band. You Make Loving Fun, altro singolo vendutissimo, I Don't Want to Know (già nel repertorio solista di Stevie Nicks) è allegra e ritmica, Oh Daddy e la misteriosa Dust Gold Woman (che per anni si è favoleggiato fosse una canzone sulla droga, che girava molto alle feste cui partecipavano) chiudono il disco. Disco suonato, cantano (memorabili gli intrecci vocali, i salti melodici di tre voci grandiose), prodotto al massimo livello (da Fleetwood e la band con Ken Caillat e Richard Dashut) e dove le singole personalità pur mantenendo piena autonomia individuale, si completano alla perfezione. E ho sempre pensato che 40 milioni di copie vendute in tutto il mondo, con 31 settimane consecutivi al primo posto della Classifica Billboard statunitense, paese dove vendette da solo 20 milioni di copie (che lo fanno uno dei dischi di maggior successo di ogni tempo) e il Grammy del 1978 come miglior disco abbiano oscurato di fatto la bravura di un lavoro non costruito per il successo (almeno non in queste dimensioni) e che nasce dalla voglia di lasciare tutto alle spalle del personale, per mettere tutte le energie nel lavoro. Il momento magico continuerà con Tusk, altro gioiello, passato alla storia per essere costato nel 1979 oltre un milione di dollari in registrazioni. Dopo un Tusk Tour grandioso, la band si ritira in Francia, dove abbandonerà il sofisticato, colto e meraviglioso suono di questi due gioielli per un pop più leggero e senza mordente. Evidentemente forse si erano riappacificati.
23 notes · View notes
fashionbooksmilano · 11 days
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Seta Oro Cremisi
a cura di Chiara Buss
Segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza
SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2009, 192 pagine, 23x28cm, 200 ill.a colori e 10 b/n, ISBN 9788836614912
euro 45,00
Primo volume della collana Seta in Lombardia, il volume accompagna una raffinata mostra proposta dal Museo Poldi Pezzoli di Milano, dedicata ai tessuti in oro e seta che, quale bene di lusso per eccellenza, hanno contraddistinto la signoria dei Visconti e degli Sforza durante l’età rinascimentale.
Veri capolavori, che conferiscono ulteriore rilevanza all’esposizione poiché testimoni dei sorprendenti risultati di uno studio – mai fino ad ora così completo ed esaustivo - dedicato ai tessuti auro-serici lombardi del XV secolo. Un’appassionante ricerca, progettata dall’ISAL (Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda) e condotta in collaborazione con nove istituzioni europee, che per la prima volta ha documentato con chiarezza l’eccellenza delle tecniche di lavorazione ed è pervenuta al riconoscimento di reperti tessili esistenti che mai nessuno aveva individuato.
A Milano infatti l’arte della seta nacque dalla volontà del duca Filippo Maria Visconti che fece chiamare, nel 1442, due setajoli – rispettivamente da Firenze e da Genova – i quali portarono in città le maestranze, i macchinari e le materie prime per dare avvio a una vera e propria “industria della seta”: nel volgere di un quarto di secolo, con una rapidità dunque sorprendente, tale produzione raggiunse i livelli di quelle veneziane, genovesi e fiorentine, considerate le migliori in Occidente.
Questa esposizione – attraverso sessanta oggetti tra tessuti, vesti, ricami ma anche gioielli, ritratti e opere d’arte applicate – offre dunque l’opportunità di far conoscere lo sfarzo della corte milanese, la più ricca e potente della penisola italiana nella seconda metà del Quattrocento, ma anche di illustrare le ricerche effettuate su alcuni preziosi esemplari esistenti, che, per la prima volta, hanno fornito una serie di dati estremamente interessanti tanto sui materiali usati (seta, kermes, indaco, cocciniglie, zafferano, oro, rame e argento) quanto sulle tecniche di filatura.
Il catalogo accoglie numerosi saggi che illustrano le scoperte di laboratorio e d’archivio, in una panoramica a tutto tondo che, oltre alla storia politica e artistica del ducato e alla qualità della vita a corte, esemplifica le profonde conoscenze scientifiche che accompagnavano la questa particolare produzione e, non ultimo, l’aspetto sociale della struttura artigiana milanese.
Milano, ottobre 2009 - febbraio 2010
14/04/24
6 notes · View notes
susieporta · 3 months
Text
Tumblr media
Per chi mi ha chiesto delle mie sensazioni sul film “Perfect Days”.
La solitudine è un fardello che pochi possono permettersi di sopportare. C’è chi, come Hirayama, la fa accomodare in casa e le offre la poltrona migliore. Hirayama è un uomo all’apparenza semplice, se usiamo il metro di misura del ruolo che rappresenta in società. Pulisce i bagni pubblici. Ma lo fa con una grazia e una dedizione tali da portarci - arrivati già a metà film - a volergli dire grazie. Indugia sui rubinetti, strofina e lucida, usa pure uno specchietto modello dentista, per controllare i bordi interni dei water che non riesce a vedere. Tutto è armonia in lui, gentilezza, cura. Osserva il mondo in silenzio. E parla poco, Hirayama, non spreca parole. Sa quanto possano rivelarsi inutili quando al loro posto gli occhi riescono a esprimere i pensieri più profondi. Per rendere leggere le sue traversate metropolitane ascolta musica. Superba musica, a dire il vero. Non mancano Nina Simone, Van Morrison, Lou Reed, Patty Smith... Gli altri personaggi nello sfondo, ovattato e quasi onirico, sembrano a servizio di un unico obiettivo, esaltare la bellezza dell’abitudinarietà, abiurata invece dagli assetati di emozioni sempre più estreme. Ma Hirayama non ha paura di misurarsi con i soliti rituali giornalieri: sveglia all’alba, igiene personale, infilarsi la tuta da lavoro, caffè al distributore (un’unica volta ne prenderà due insieme), salire sul furgone carico dei prodotti per pulire i bagni e via al lavoro. Ritorno a casa, bicicletta, bagni pubblici per una pausa relax, doccia, pub e ritorno a casa. I ritmi sono gli stessi in un’armonica sequenza che allo spettatore all’inizio potrebbe apparire asfittica. È solo a fine pellicola che messi tutti insieme i momenti di Hirayama si riveleranno nello stupore della loro profondità, compresi gli alberi che fotografa quando è in pausa, gli occhi di una ragazza timida che pranza su una panchina vicino alla sua, i “da uno a dieci” del giovane collega Takashi, le frasi della libraia che accompagnano le vendite, dando valore a ogni libro che cede ai clienti (e sempre acquisti in offerta per Hirayama, seppure siano capolavori senza tempo. Ah, quanto ci piace incontrare librai così appassionati), la lampada che non illumina mai abbastanza, ma serve…
Nel silenzio che accompagna la pellicola per buona parte dello svolgimento, ognuno avrà modo di ripensare alle “cose della propria vita”. Compresi certi flashback che non vorremmo riportare a galla. Tuttavia, anche questi, in Perfect Days, ci riconciliano con la parte di noi destinata a restare in bianco e nero (tale e quale al film).
Andatelo a vedere, con la stessa voglia di scartare un cioccolatino al rum: dolce, breve, ma potrebbe dare alla testa, e solo nel bene.
P. S.
Gli autori citati nel film sono: William Faulkner, Aya Kōda, Patricia Highsmith.
Catena Fiorello Galeano
#perfectdays #wimwenders #film #kôjiyakusho
9 notes · View notes
petalidiagapanto · 22 days
Text
«Credo di aver imparato molto poco in tutti questi anni.
Ho imparato che ci sono molte cose sconsiderate che puoi fare. E tra quei milioni una che è ancora più sconsiderata delle altre. E di solito fai quella.
Ho imparato che certi odori si fissano nella memoria, e quando li risenti è come se tutti quegli anni non fossero mai passati.
Ho imparato che il sabato è meglio della domenica.
Ho capito che chiunque ha qualcosa da raccontare, ma ho capito anche che l’odio per certe persone ti aiuta a vivere meglio.
Ho imparato che certe mattine saresti disposto a dare via un braccio pur di dormire alti cinque minuti.
Ho constatato che alcune città sono capaci di farti scordare anche come ti chiami.
Ho imparato che ci sono persone così esteticamente stupefacenti che emanano addirittura luce propria. Sembrano, non so… fosforescenti!
Ho imparato che se ripeti una parola tante volte, all’improvviso perde di significato.
Ho imparato che una sigaretta, specie se sei a terra, può addirittura salvarti la vita.
Ho imparato che non c’è cosa più inebriante che impuntarti sulla tua scelta. E poi sbagliare.
Ho imparato che la voce di Frank Sinatra è uno dei motivi per stare al mondo. E la Heineken è l’altro.
Ho capito che certe regole sono fatte per andarci contro.
Mi sono accorto che non c’è cosa più divertente che dare ragione a un idiota. E dentro ridere.
Ho imparato che la nostalgia ha lo stesso sapore della cioccolata bollente.
Ho imparato che i film di Ingmar Bergman non sono solo capolavori: sono lezioni di vita.
Ho capito che niente è più bello che alzarsi la notte mentre tutti gli altri dormono e girovagare in solitudine come un cane tra i rifiuti, alla ricerca di una qualsiasi sensazione appagante.
Ho imparato che certa gente ha la testa solo per separare le orecchie.
Ho imparato che la tua camicia preferita attira il sugo in modo micidiale.
Ho imparato che non c’è cosa più bella che svegliarsi una mattina senza sapere che ore sono, senza riconoscere la stanza e soprattutto senza ricordare come ci sei arrivato. Ma soprattutto ho imparato che i giorni veramente importanti nella vita di una persona sono cinque o sei in tutto. Tutti gli altri fanno solo volume. Così fra sessant’anni non ti ricorderai il giorno della tua laurea, o quello in cui hai vinto un Oscar.
Ti ricorderai quella sera in cui tu e i tuoi amici, quelli veri, avete fumato 10 sigarette a testa e ubriachi persi avete cantato per strada a squarciagola fradici di pioggia. Quelli sono i momenti in cui la vita davvero batte più forte.
P.S.: Però, in fondo, qualcosa l’ho imparato»
(Federico Fellini)
Tumblr media
3 notes · View notes
chez-mimich · 10 months
Text
I PARADOSSI DI VENERE
Un paio di giorni fa, a Napoli, qualcuno ha dato fuoco ad una delle opere d’arte contemporanea più celebri al mondo, la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto. Il primo paradosso, il più evidente, è che per molti, soprattutto per molti di quelli che si indignano, la Venere ha cominciato ad esistere nel momento della sua fine. Non la conoscevano, ma appena si è sparsa la notizia della sua distruzione è cominciata l’indignazione. Il secondo paradosso è che la maggior parte di quelli che si indignano, darebbe fuoco a tutta l’arte contemporanea (e forse anche agli artisti). Poi c’è un terzo paradosso: la Venere è stata bruciata a Napoli, che come diceva Benedetto Croce è un paradiso abitato da demoni, città paradossale per eccellenza, che vorrebbe diventare una capitale dell’arte contempera e per molti versi lo è, ma dove qualcuno distrugge una delle opere più rappresentative. “La Venere degli stracci” è bruciata per mano di qualche balordo, ma, ultimo paradosso, è proprio un gesto così che la pone sul piano di tanti altri capolavori dell’arte che nei secoli sono stati deturpati da pazzi o balordi, come László Tóth, il geologo ungherese che nel 1972 deturpò la Pietà michelangiolesca di San Pietro o come il David colpito da Pietro Cannata nel 1991. Qualche volta furono gli artisti stessi ad infierire sulle opere, per restare a Michelangelo, fu lui stesso a dare la famosa martellata sul ginocchio del Mosé ora in San Pietro in Vincoli a Roma. Addirittura Filippo Tommaso Marinetti nel suo “Manifesto del Futurismo” affermava di voler dar fuoco ai musei. Quindi, per ora, accontentiamoci di aver visto andare a fuoco la “Venere degli stracci” di Pistoletto. Venere, dea della bellezza, e gli stracci della nostra contemporaneità, erano un magnifico connubio poetico, ma il piromane, chiunque esso sia, consegna direttamente l’opera all’eternità.
(Sotto la “Venere degli stracci” al Louvre in una mia fotografia del 2013)
Tumblr media
10 notes · View notes
caoticoflusso · 4 days
Note
Nemmeno io sono esperto, diciamo che ho sempre letto libri da ignorante senza approfondire troppo o con troppe compentenze(?) diciamo, Il maestro e Margherita è un capolavoro ed è tra i miei preferiti, ho letto anche Memorie dal Sottosuolo ed era veramente bello, aggiungo subito Noi alla lista
Grazie mille
a mio parere non esistono libri infantili (te lo dice chi pensa che il piccolo principe sia uno dei miglior capolavori mai scritti), perciò non considerarti ignorante al riguardo!!
nel caso dovesse non garbarti affatto, leggiti anna karenina che seppur un classico, è essenziale.
o un ‘ritrovarsi a parigi’ di gazdanov
e figurati, alcun bisogno di ringraziare, lo faccio con piacere!
2 notes · View notes
bloodyfairy83 · 1 month
Text
Guardare un film di Allen è sempre un' esperienza piacevole, anche quando sei consapevole che le sue ultime opere non sono all'altezza dei suoi vecchi capolavori.
In Coup de chance ti lasci trasportare in questa bellissima e affascinante Parigi autunnale che fa da sfondo alla storia d'amore tra Fanny, una donna sposata con uno stronzo riccone e Alain, uno scrittore squattrinato che incontra casualmente dopo tanti anni. Tra intrighi, inganni, sensi di colpa e scherzi imprevedibili del destino il film scorre via che è una meraviglia, ricordandomi a tratti Match Point, anche se decisamente meno amaro e cupo.
Tumblr media
Un colpo di fortuna - Coup de chance (Woody Allen, 2023)
2 notes · View notes
abatelunare · 1 year
Text
Operazioni poco convincenti
Tra gli spot televisivi che maggiormente stressano gli apparati genitali degli spettatori, figura in prima fila quello secondo cui venderanno in edicola una serie di capolavori della letteratura mondiale - I Promessi Sposi, Odissea e Divina Commedia, tanto per fare qualche nome - adattati per i bambini. Ecco, questa operazione editoriale a me personalmente mette qualche brivido addosso. Perché quando si tratta di letteratura, in Italia adattare significa deformare, disinfettare e semplificare (nell’accezione più negativa possibile). La Divina Commedia non è il racconto del cazzo di un poeta borioso che si gira tre regni ponendo domande a destra e a manca. Così come l’Odissea non è semplicemente il racconto di come Ulisse torna a casa dopo pericolosissime peripezie. Sono opere molto più complesse, che temo ne usciranno impoverite, insieme a tutte le altre (ho preferito, per la salvezza della mia cistifellea, evitare di visionare il programma completo delle uscite). I bambini non sono stupidi (siamo noi a farli diventare tali), ma nemmeno sono pronti per tanta ricchezza e complessità culturali. L’idea di un primo approccio a certi libri mi può anche star bene. Spero solo non sia in mano a ignoranti pronti a disinnescare presunti ordigni pericolosi soltanto nelle loro teste.
20 notes · View notes
gregor-samsung · 6 months
Text
“ Nel giro di 24 ore Yuri è diventato libero, ricco e possessore di un autoveicolo. Le leggi della DDR, la Repubblica Democratica Tedesca, cioè la Germania est, non permettevano di visitare i paesi occidentali; prima dell’età della pensione si poteva viaggiare solo nei cosiddetti paesi fratelli, del blocco orientale, e neanche in tutti. A partire dall’ottobre del 1989 le grandi manifestazioni di protesta a Lipsia e a Berlino costringono alle dimissioni il primo ministro Honecker, e in seguito l’intero governo. Il 4 novembre la Cecoslovacchia apre le frontiere con la Germania ovest, creando cosí un corridoio che verrà subito attraversato da decine di migliaia di tedeschi dell’est. Il 9 novembre cade il Muro di Berlino, ma Yuri quasi non se n’è accorto. Come tutti ascoltava le notizie, alla radio e in televisione, ma il giorno prima si erano aggravate le condizioni di suo zio Hannes, che viveva da solo. La madre l’aveva pregato di prendersi un permesso per stargli vicino; nonostante si muovesse ormai a fatica, lo zio non aveva mai voluto farsi ricoverare. Yuri non ha chiesto il permesso, tanto in quei giorni non lavorava nessuno. Aveva le chiavi; è salito dallo zio la mattina presto, e l’ha trovato seduto per terra con la schiena contro il divano. Respirava a fatica, aveva rovesciato sul pavimento delle pastiglie e non era riuscito a raccoglierle. Yuri ha raccolto le pastiglie, ne ha date due allo zio con un bicchier d’acqua e ha chiamato l’ambulanza. Siccome però in quei giorni non lavorava nessuno, l’ambulanza è arrivata due ore piú tardi. Intanto, lo zio Hannes aveva fatto in tempo a rivelare a Yuri dove teneva nascosti i suoi risparmi, convertiti al mercato nero in marchi occidentali (in una cartellina sul tavolo; lo zio aveva letto Edgar Allan Poe); a consegnargli le chiavi della sua Trabant verde pisello; a dirgli che per lui era stato come un figlio, il figlio che non aveva avuto; e a morire. Yuri ha atteso l’ambulanza carezzando i capelli dello zio, ancora folti e quasi neri. Poi, rimasto da solo, ha aperto la busta. Gli è sembrato che i soldi fossero parecchi. Ha passato lo sguardo sulla libreria, enorme, in cui per decenni lo zio aveva conservato, insieme ai grandi capolavori della letteratura mondiale, uno sterminato archivio di riviste, anche qualcuna russa, polacca o cecoslovacca. «Kultur im Heim»; «Eulenspiegel»; la «NBI», la «Neue Berliner Illustrierte»; «Film und Fersehen»; «Frischer Wind»… Le aveva raccolte per tutta la vita, dio sa per farsene cosa, e adesso era morto. A Yuri è venuto prima da piangere, poi un attacco di rabbia. Per metri e metri di scaffali, quelle riviste denunciavano in maniera insopportabile che lo zio, e lui stesso, e tutti, avevano sprecato la vita in mezzo a tante sciocchezze che non contano niente. Cosa se ne faceva lo zio, adesso, dei grandi successi sportivi della DDR, delle grandi conquiste sociali a cui nessuno credeva tranne, forse, lui? Meglio bruciarle, quelle riviste, e subito. Yuri ha aperto la finestra perché voleva buttarle in cortile, ma lo sguardo gli è caduto sulla macchina, parcheggiata lungo il muro; adesso era sua. È andata subito in moto, cosa che non si poteva mai dare per scontata, con una Trabant. Lo zio la teneva bene, teneva bene tutto: i suoi libri, le camicie che si stirava da solo. Trattava con rispetto tutto quello che gli stava intorno, povero zio Hannes, cosí onesto, cosí convinto della bontà delle sue idee, evaporate nel giorno della sua morte. Il serbatoio era pieno. “
Guido Barbujani, Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti, Einaudi (collana Super ET Opera Viva), febbraio 2022¹; pp. 150-151.
14 notes · View notes
martsonmars · 3 months
Text
boh raga primo per le cover anche no, ci sono stati dei capolavori
6 notes · View notes
elorenz · 3 months
Text
La sciagurata vita di John Cazale, cinque film ch'erano cinque capolavori.
Grandissimo amico di Al Pacino che convinse la Paramount Pictures a dargli una parte ne Il Padrino: Fredo Corleone. Coppola si innamorata del suo modo di recitare e lo prende anche per La Conversazione accanto a Gene Hackman, altra perla del cinema americano. Sidney Lumet lo vede assieme al suo amico Pacino ne il Padrino e lo scrittura per Quel pomeriggio di un giorno da cani, altro capolavoro. Con la parte di Salvatore Naturile viene candidato come miglior attore non protagonista ai Golden Globe (1976). Lo stesso anno gli viene diagnosticato un cancro ai polmoni. Scritturato per la parte ne Il Cacciatore la Universal, saputo del cancro, ritira l'ingaggio ma De Niro e Maryl Streep la compagna di Cazale, convinsero la produzione a continuare. La parte di Cazale è piccola in quel film ma dimostra ancora una volta la bravura di un attore particolare, sfigato (in un senso positivo). Morì prima della fine delle riprese e non fu mai in grado di vedere il film concluso. Un attore estremamente promettente che nella sua breve esperienza recitativa ha partecipato solo a film di spessore.
5 notes · View notes