Se a molte persone togli loro il dolore, non gli resta niente.
Per questo spesso difendono la loro sofferenza e vedono il sacrificio come una virtù.
Quando apri un varco verso intenzioni e azioni staccate dalla sofferenza, spariscono.
Si dissolvono perché non sanno respingere la possibilità, ma nemmeno vogliono conoscerla.
Moltissime persone vanno fiere del dolore che portano.
Lo scambiano per sapienza... ed è tutto quello che sanno.
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Libertà e sicurezza sono due opposti? Non può esserci sicurezza se c'è libertà? E non può esserci libertà se c'è sicurezza? E si muore di più a non avere libertà o a non avere sicurezza?
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Il peccato mortale
L’idea che ci facciamo delle nozioni spirituali o religiose, prima di incamminarci davvero nella vita spirituale, è solitamente un totale fraintendimento personale. Spesso quando si vive la pratica, la comprensione di quella data nozione viene completamente ribaltata. Ai nostri tempi, nessuno ritiene più utile né tanto meno allettante il concetto di ‘peccato’. Sappiamo anche che non è presente in tutte le tradizioni o gli insegnamenti e questo ci consola molto, soprattutto se siamo ‘peccatori’ incalliti. Quest’ultima parte però non è molto accurata. Direi piuttosto che, nelle altre tradizioni, si tende solo ad usare un linguaggio diverso. Oggi ci dedichiamo al ‘peccato mortale’ per sfatare qualche mito, comprenderne il vero significato e fare chiarezza su un aspetto molto sottile.
Partiamo da questa sottigliezza. A volte mi domandate se una particolare abitudine o tendenza naturale che avete possa essere o meno un ostacolo alla spiritualità. La mia risposta è invariabilmente ‘no’ ma dobbiamo capire bene perché è no. Potreste pensare, e all’inizio è quasi naturale farlo, che il no significhi che potrete tenere la vostra abitudine anche dopo. Non è così scontato. Per essere più precisi, il ‘no’ è dovuto più al fatto che, se praticate, qualsiasi tendenza contraria alla spiritualità sarà trascesa. Dunque non importa affatto come cominciate, perché è la pratica a trascendere le tendenze. Non dobbiamo diventare santi prima di iniziare un percorso spirituale ma è piuttosto la spiritualità che ci renderà man mano più puri. Se avete intenzione di iniziare, vuol dire che avete quanto basta in termini di distacco e di discernimento per incamminarvi e il resto lo farà il percorso stesso.
Gli unici ostacoli possibili al conosci te stesso sono la mancanza d’onestà e di perseveranza. All’inizio, quasi tutti noi siamo inclini a ‘lavorare’ solo su quello che vogliamo togliere e siamo invece molto indulgenti sui vizi a cui siamo ‘attaccati’ ma, se siamo onesti, pian piano ci renderemo conto che quell’attaccamento ci causa dolore e, volendo togliere il dolore, ci occuperemo anche di quell’attaccamento.
Se non ci fermiamo, capiremo inoltre che non è la particolare ‘abitudine’ di per sé a causarci problemi ma è l’attaccamento in generale a qualsiasi abitudine e tendenza, a qualsiasi cosa o persona a ricreare il dolore e, conseguentemente, l’indulgenza sarà sempre meno presente.
Il conosci te stesso è un metodo nel quale parlare di peccato non ha quasi senso, perché nulla può impedirvi di conoscervi ma, ragioniamo su questo, l’aspetto più sottolineato riguarda la nostra stessa identificazione. Leggiamo sin da subito che questo percorso ha a che fare con una sorta di cambio d’identificazione o perdita d’identificazione psicologica ma, non capendo cosa implica e quant’è profonda questa trasformazione, ci preoccupiamo di particolari secondari. Avendo capito che il punto centrale è l’attaccamento e non le particolari tendenze, riformuliamo il concetto di ‘peccato’ con quello di ‘attaccamento alla materia’ e vedrete che, ahimè, non fa una piega, anche in termini d’identificazione.
Ogni indole di attaccamento verso l’esterno, a cose e persone, è sia sintomo che causa del ‘sentirci una cosa’, ossia della nostra identificazione con la materia. Quando cominciamo a distaccarci dai desideri esterni è perché cominciamo a sospettare che la felicità non si trovi da quelle parti. Ci è sempre più chiaro che qualcosa non va a livello basilare nella ricerca del piacere. È lì che, solitamente, sentiamo la prima ‘chiamata’ o la prima fascinazione per la filosofia spirituale. Quando poi si inizia finalmente a praticare, ci si distacca dal desiderio interiore. Avendo sviluppato sufficiente distacco dalla materia esterna e grossolana, passiamo ad occuparci della materia sottile. Che la chiamiamo meditazione, ‘conosci te stesso’, osservazione passiva, testimoniare o esame di coscienza, quello che attuiamo è un primo distacco dalla materia sottile, così da conoscerla e comprenderla, esattamente come abbiamo fatto precedentemente con quella esterna. Se questo processo non viene interrotto e arriva a maturazione, scatta la contemplazione, il silenzio o il samadhi. Qui scopriamo che la nostra vera natura non è materiale.
Più stiamo qui, più l’identificazione materiale e mentale si perde.
Il succo quindi è che più abbiamo attaccamento alla materia più ci sentiremo materia. Ovviamente questo equivale a sentirci mortali. Dunque tutto il concetto di peccato mortale si rivela vero e, non tanto come condanna da scontare, ma come stato effettivo e presente della nostra condizione umana. Solo attraverso la pratica spirituale costante perdiamo il vizio di attaccarci alla materia e smettiamo allora di sentirci ‘materia’, di sentirci ‘mortali’, il che cambia notevolmente anche il nostro approccio agli altri, che non tratteremo mai più come oggetti.
Mi raccomando allora, non ci fasciamo la testa prima di iniziare e non ci dedichiamo troppo al controllo delle azioni esterne. Il punto focale è l’attaccamento. Quando la comprensione delle dinamiche interiori aumenterà, il distacco sarà più forte e le azioni subiranno un cambiamento naturale e spontaneo.
Tenete solo presente che non vi si promette che quello a cui siete attaccati rimarrà, perché questo è il meraviglioso effetto naturale della trascendenza.
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Dieci massime spirituali - Lama Surya Das
Dieci massime spirituali – Lama Surya Das
Ciascuna di queste dieci brevi massime, per quanto concise e stringate, potrebbe ricevere un ampio commento a sé stante … ma non è questo il nostro scopo. Prova così: scegline una al giorno e per i successivi dieci giorni fanne un oggetto di attenta e profonda “meditazione”. Prima la leggi con attenzione, quindi ci rifletti un po’, dopodiché abbandoni i significati contestuali e ne contempli le…
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...It was me, Professor Stephen Seligman and my colleague Dr. Mersia Gabbrielli... #seligman #stephenseligman #infanzia #intersoggettività #attaccamento #Childhood #intersubjectivity #attachment (presso UniCa - Università degli Studi di Cagliari) https://www.instagram.com/p/Cd2_y_WM9Mc/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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MARY AINSWORTH
PS dello sviluppo che ha identificato 3 stili di attaccamento principali, che sono:
1. Sicuro: i bambini con attaccamento sicuro utilizzano il caregiver come base sicura da cui partire per esplorare il mondo. Quando il caregiver è presente, manifestano vicinanza nei suoi confronti, sono accoglienti, sorridenti, interagiscono positivamente con la figura di riferimento, esplorano l’ambiente ed esaminano i giocattoli presenti. Quando il caregiver è assente, il bambino potrebbe protestare leggermente per la sua presenza e manifestare segnali di stress e disagio, ma, dopo essersi calmato, riprende tranquillamente a giocare, anche con l’estranea. Al ritorno della figura di attaccamento, si aggrappa a lei, è sorridente e si lascia consolare.
2. Attaccamento insicuro-evitante: è caratterizzato da un bambino che tende a evitare o ignorare il caregiver - spesso la madre - mostrando poco o nessun interesse per l'interazione e il contatto affettivo. Questo comportamento è generalmente il risultato di caregiver non reattivi o emotivamente indisponibili, il che porta il bambino a sviluppare un senso di insicurezza e a diventare autosufficiente.
3. Attaccamento insicuro ambivalente: è caratterizzato da un comportamento di attaccamento molto intenso. I bambini con questo tipo di attaccamento tendono a essere estremamente sensibili alla presenza della figura di attaccamento e possono avere difficoltà a esplorare l'ambiente circostante. Inoltre, quando la figura di attaccamento si allontana, i bambini possono mostrare un'intensa reazione di distacco, come il pianto disperato. Infine, al ritorno della figura di attaccamento, i bambini possono mostrare comportamenti ambivalenti, come cercare la vicinanza ma anche mostrare rabbia.
Negli anni '90, Maine e i suoi collaboratori hanno aggiunto un ulteriore stile di attaccamento:
- Attaccamento Insicuro-disorganizzato: si riferisce a bambini che mostrano un mix di comportamenti evitanti e resistenti, spesso sembrano confusi o persino spaventati dal caregiver. Non mostrano un modello coerente di comportamento.
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