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#cantautori
la-scigghiu · 2 months
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.🦋.
Se in mezzo a tutto il resto ancora ci sei Forse esiste una parte di me che spera ancora che sia possibile...
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gregor-samsung · 7 months
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" È fondamentale interrogarci su quanto la paura stia deformando la nostra vita e le nostre scelte, e se quel che temiamo di perdere valga veramente la pena che proviamo nel chinare la testa, nel rinunciare a seguire quello che crediamo giusto o che desideriamo. Il personaggio principale di Storia di un impiegato, l’album di Fabrizio De André dedicato ai movimenti giovanili che dal ’68 alla fine degli anni settanta hanno scosso la vita politica italiana, è un uomo che si pone queste domande in ritardo. L’album è uscito [il 2 ottobre] 1973, ed è stato il primo in cui De André abbia dichiarato il proprio orientamento politico; prima di allora le sue canzoni erano uno splendido riflesso del cantautorato francese, elegante e popolare allo stesso tempo. Adesso l’autore genovese affronta direttamente il tema della rivoluzione giovanile, della lotta al sistema: il protagonista dell’album è un uomo ordinario, che non si trova a vivere la sua vita dove vuole che sia, ma dove la pista della proprietà e dei ruoli l’ha portato. È la paura ad aver costruito le sue scelte, e nulla di quello che vive è realmente frutto di una sua decisione. È un uomo realmente così distante dalle nostre esistenze? In quale rigagnolo galleggia la realtà di questo trentenne e fin dove tiene nascosta la faccia, a rischio d’annegare?
Da quanti anni il suo e il nostro mondo s’è ristretto nel bugigattolo dell’ufficio, tra la scrivania ingombra e il muro dall’intonaco ingrigito? Con quanta cura, la mattina, scivola fuori dal letto per non svegliare la compagna? (E una sveglia non gli serve da anni: ormai è la ripetizione di ogni cosa a farlo alzare puntuale.) Quante volte ha fissato il suo volto allo specchio, controllato la rasatura, indossato la camicia stirata la sera precedente, la solita giacca, il solito nodo alla cravatta? Potremmo essere noi. Fuori il Maggio francese non vuole smettere di riscaldare l’aria: da tempo le donne hanno strani monili tra i capelli, sorridono con tranquillità e guardano negli occhi gli uomini. L’impiegato di De André le osserva sulla metropolitana, tiene le mani raccolte tra le cosce, le spalle curve, conta gli anni che lo distanziano da quel mondo: e non ne trova molti, ma ne trova abbastanza. «Eppure i miei trent’anni sono pochi più dei loro», pensa, e questo non gli dà alcun sollievo. L’ufficio è ancora al suo posto, nello stesso quartiere di sempre, allo stesso piano del medesimo edificio. Sarà così anche negli anni successivi, per ogni singolo giorno della sua giovinezza, inoltrandosi nella maturità, fino a costeggiare la vecchiaia: allora la gita sarà finita ed ecco il momento di scendere al molo. Avrà una buona, sicura vecchiaia. È questo che si dice salendo le scale e incrociando gli sguardi dei colleghi. Qualcosa da condividere con i figli, quando ne vorrà avere. Ha ottenuto un buon posto di lavoro. L’ha ottenuto molto presto. Di che dovrebbe lamentarsi? Mentre regola l’altezza della sedia e dispone le pratiche sulla scrivania, mentre comincia a «contare i denti ai francobolli», sente cantare in strada, oltre la finestra dell’ufficio. Un corteo, colori, slogan e intorno la cinta scura della polizia, gli scudi e i manganelli sollevati, le spalle affiancate e i fumogeni. Guarda i manifestanti e pensa che soprattutto le donne, coraggiose e indipendenti, sono bellissime. Prova a immaginarsi in mezzo a loro, e si sente ridicolo: in piazza dietro la muraglia di caschi, schiacciato dai corpi di chi fugge alle cariche. Sarebbe letteralmente «fuori luogo». Nessuno tra quei ragazzi lo conosce e poi, come dovrebbe vestirsi? In mezzo al corteo sembrerebbe un infiltrato della Digos. Ovviamente verrebbe licenziato: come fare a lasciare il posto di lavoro per un motivo simile? E come spiegarsi, più tardi, con la compagna? "
Salvatore La Porta, Less is more. Sull’arte di non avere niente, Il Saggiatore (collana La Cultura, n° 1134), 2018¹. [Libro elettronico]
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andrea-non-sa-tornare · 5 months
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Non conosce paura,
l'uomo che salta
e vince sui vetri e spezza bottiglie,
ride e sorride
Perché ferirsi non è possibile
Morire meno che mai e poi mai
Insieme visitate la notte che dicono è due anime
E un letto e un tetto di capanna utile e dolce
Come ombrello teso tra la terra e il cielo
Lui ti offre la sua ultima carta
Il suo ultimo prezioso tentativo di stupire
Quando dice, "È quattro giorni che ti amo
Ti prego, non andare via, non lasciarmi ferito"
E non hai capito ancora come mai
Gli hai lasciato in un minuto tutto quel che hai
Però stai bene dove stai….
-Pezzi di vetro- F.De Gregori
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clacclo · 1 year
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Guarda "Anna - Lucio Battisti - Brano Del 1970..." su YouTube
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eliophilia · 11 months
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Ma c'è tanto sole e mi accorgo che ne ho bisogno come un fiore e ho bisogno di stancarmi e di camminare, di sentire l'acqua, il vento e di respirare, peccato che qui vicino non c'è il mare.
Fabio Concato - Guido piano
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seminando-rebeldia · 4 months
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11 GENNAIO 1999 CI LASCIAVA IL GRANDE FABER
"Non c'è speranza nell'uomo se non nell'amore che uccide l'odio, nella carità che uccide la cupidigia e rancori e ingiustizie. I potenti rammentino che la felicità non nasce dalla ricchezza né dal potere, ma dal piacere di donare. La morte è rimorso per chi non ha saputo aprirsi in vita alla compassione"
•FabrizioDeAndrè•
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Le cose che abbiamo in comune sono così tante che quasi spaventa. Viviamo da più di vent' anni ed entrambi comunque, da meno di trenta.
Ci piace mangiare, dormire, viaggiare, ballare, sorridere e fare l'amore
Lo vedi, son tante le cose in comune che a farne un elenco ci voglio almeno tre ore...
Abbracciarti, studiare il tuo corpo, vedere che in viso eri già tutta rossa e intanto scoprire stupito e commosso che avevi le mie stesse identiche ossa
E allora ti chiedi, non è sufficiente?
Cos'altro ti serve per esserne certa
Con tutte le cose che abbiamo in comune, l'unione fra noi non sarebbe perfetta?
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simplypaola · 1 year
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Sempre e per sempre tu
Ricordati
Dovunque sei
Se mi cercherai
Sempre e per sempre
Dalla stessa parte mi troverai...
Francesco De Gregori
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aitan · 1 year
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[...] Per la prossima sessione di karaoke del duo Salvini/Meloni mi permetto di suggerire [...] qualche altro brano.
Tipo:
– Nella mia ora di libertà (sempre di De Andrè). Quella che fa:
Certo bisogna farne di strada
Da una ginnastica d’obbedienza
Fino ad un gesto molto più umano
Che ti dia il senso della violenza
Però bisogna farne altrettanta
Per diventare così coglioni
Da non riuscire più a capire
Che non ci sono poteri buoni
Da non riuscire più a capire
Che non ci sono poteri buoni
– La locomotiva (di Guccini). Simpatico sentirli intonare:
Ma un’ altra grande forza spiegava allora le sue ali,
Parole che dicevano “gli uomini son tutti uguali”
E contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
La bomba proletaria e illuminava l’ aria
La fiaccola dell’ anarchia,
La fiaccola dell’ anarchia,
La fiaccola dell’ anarchia…
– Meno male che adesso non c’è Nerone di Edoardo Bennato. Perfettamente in tema.
Meno male che adesso non c’è Nerone no no
Meno male che adesso non c’è Nerone
Ed alle feste che organizzava
C’era il bel mondo ed anche lui suonava
Gli altri all’aperto senza protestare
Se no aumentava le tasse da pagare
Meno male che adesso non c’è Nerone, no no no
Meno male che adesso non c’è Nerone
Però in fondo ci sapeva fare
E per distrarli dalle cose serie
Ogni domenica li mandava in ferie
Tutti allo stadio a farli divertire
– E per concludere, un brano meno popolare ma straordinariamente attuale di Fausto Amodei.
Si chiama Se non li conoscete.
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P.s. Poi mi sorge dentro il dubbio di star facendo il loro gioco, di esser stato di nuovo adescato come un pesce all’amo. “Parlatene bene o parlatene male non importa, purché se ne parli”. Frase attribuita a Mussolini che segue da vicino il solito Oscar Wilde, che fece dire a Dorian Gray: “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about“.
Ma non deve essere neanche questo. La premiata ditta in questo momento non credo sia in cerca di visibilità (almeno a livello nazionale).
C’è qualcosa che mi sfugge. Forse sono solo indifferenti, o coglioni che fanno vedere che si divertono mentre altrove si muore come da sempre si muore.
Ho visto un re
Sa l’ha vist cus’e’?
Ha visto un re!
Ah beh, sì beh
Un re che piangeva seduto sulla sella
Piangeva tante lacrime
Ma tante che
Bagnava anche il cavallo
Povero re
E povero anche il cavallo
Sì beh, ah beh, sì beh, ah beh
Povero re, e povero anche l’annegato. Questa (se non la conoscete) era di Dario Fo e Paolo Ciarchi e la cantava Jannacci.
Canzoni d’altri tempi. Indubbiamente, canzoni d’altri tempi.
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makiemekie · 1 year
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Traccia n. 8 del brano composto, suonato e cantato da Massimo Messina (Maxmex), facente parte della raccolta "RITORNA" (Maxmex 2023).
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la-scigghiu · 8 days
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gregor-samsung · 11 months
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[Battiato:] «Dividerei i miei periodi grossolanamente in tre fasi: gli anni '70, quando c'era un individuo sul palco pieno di cose elettroniche tanto da sembrare un laboratorio ed un pubblico dall'altra completamente estraneo. Ho avuto la fortuna di aver avuto dei seguaci che restavano sempre delusi. Era quasi inevitabile. Quindi i miei concerti erano sempre affollati, perché è come se mi stessero dando sempre l'ultima possibilità, anche se alla fine restavano comunque delusi. Io non avevo il minimo rimorso e rispondevo ai famosi dibattiti dell'epoca che poiché mettevo in gioco la mia vita, non era giusto chiedermi di accontentare il pubblico. Perché non era il mio scopo. Nutrivo in pratica un disprezzo per gente che pagava un biglietto e che invece aveva bisogno anche di qualche forma di assistenza, di consolazione. Poi, negli anni '80, ci fu un successo inaspettato e di contro da parte mia un vero disprezzo per questa forma, perché non accettavo questo genere di esagerazione: era qualcosa di squilibrato. Fino ad arrivare a periodi in cui mi sono riconciliato con l'elemento musicale che veniva a costituire un centro e se volevi entrarci dovevi spostare il tuo fisico e la tua sensibilità ed andargli vicino. In quel momento ci fu l'unione tra quello che facevo - anche se non sembravano dischi commerciali, visto che si trattava di concerti acustici con pianoforte ed orchestra d'archi - e l'affetto che il pubblico cominciò a manifestarmi. Se prima ero immune e consideravo tutto strumentale, a quel punto la volontà e la forza di questo pubblico cominciò ad entrarmi dentro; sentivo che c'era brutalmente uno zoccolo duro. E che ancora oggi rimane la base.»
Catania, 30 Dicembre 1998
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Brano tratto dall’intervista di Jonathan Giustini Franco Battiato e Manlio Sgalambro: svolte/entropie pubblicata nel numero monografico dedicato a Franco Battiato di Nuove Effemeridi - rassegna trimestrale di cultura, Edizioni Guida, Palermo, n° 47, 1999/III, Anno XII; p. 10.
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marina98s · 1 year
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Ogni cicatrice è un autografo di Dio
Nessuno potrà vivere la mia vita al posto mio
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clacclo · 1 year
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Francesco Guccini Le piogge d'aprile
Ma dove sono andate quelle piogge d'aprile
che in mezz'ora lavavano un'anima o una strada
e lucidavano in fretta un pensiero o un cortile
bucando la terra dura e nuova come una spada?
Ma dove quelle piogge in primavera
quando dormivi supina e se ti svegliavo ridevi
poi, piano, facevi ridere anche me con i tuoi giochi lievi?
Ma dove quelle estati senza fine,
senza sapere la parola "nostalgia"
solo colore verde di ramarri e bambine
e in bocca lo schioccare secco di epifania?
Ma dove quelle stagioni smisurate
quando ogni giorno figurava gli anni a venire
e dove a ogni autunno, quando finiva l'estate
trovavi la voglia precisa di ripartire?
Che ci farai ora di questi giorni che canti?
Dei dubbi quasi doverosi che ti sono sorti?
Dei momenti svuotati, ombre incalzanti di noi rimorti?
Che ci potrai fare di quelle energie finite?
Di tutte quelle frasi storiche da dopocena?
Consumato per sempre il tempo di sole e ferite
basta vivere appena, basta vivere appena...
E ora viviamo in questa stagione di mezzo
spaccata e offesa da giorni agonizzanti e disperati
lungo i quali anche i migliori si danno un prezzo
e ti si seccano attorno i vecchi amori sciagurati
dove senza più storia giriamo il mondo
ricercando soltanto un momento sincero
col desiderio inconscio di arrivare più in fondo
per essere più vero
Ma dove sono andate quelle piogge d'aprile?
Io qui le aspetto come uno schiaffo improvviso
come un gesto, un urlo o un umore sottile
fino ad esserne intriso
Io chiedo che cadano ancora
sul mio orizzonte angusto e avaro di queste voglie corsare
per darmi un'occasione ladra,
un infinito o un ponte per ricominciare.
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conleggerezza · 1 year
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Io voglio il sole dentro di me, io cerco il sole dentro di te.
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seminando-rebeldia · 1 year
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Fabrizio De André
“Anime Salve”
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