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#canti di castelvecchio
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Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora rampolli, su l'alba, da' lampi notturni e da' crolli d'aeree frane!
Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch'è morto! Ch'io veda soltanto la siepe dell'orto, la mura ch'ha piene le crepe di valeriane.
Nascondi le cose lontane: le cose che son ebbre di pianto! Ch'io veda i due peschi, i due meli, soltanto, che danno i soavi lor mieli pel nero mio pane.
Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada! Ch'io veda là solo quel bianco di strada, che un giorno ho da fare tra stanco don don di campane
Nascondi le cose lontane, nascondile, involale al volo del cuore! Ch'io veda il cipresso là, solo, qui, solo quest'orto, cui presso sonnecchia il mio cane
Giovanni Pascoli 
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mirmidones · 3 years
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sometimes reading poetry without commentary feels like being on a ship above the mariana trench and peering at the dark water: you know there are vertiginous depths to it but you can only see your reflection peering back at you
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invisibile-al-mondo · 7 years
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Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora rampolli, su l’alba, da’ lampi notturni e da’ crolli d’aeree frane! Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch’è morto! Ch’io veda soltanto la siepe dell’orto, la mura ch’ha piene le crepe di valerïane. Nascondi le cose lontane: le cose son ebbre di pianto! Ch’io veda i due peschi, i due meli, soltanto, che dànno i soavi lor mieli pel nero mio pane. Nascondi le cose lontane che vogliono ch’ami e che vada! Ch’io veda là solo quel bianco di strada, che un giorno ho da fare tra stanco don don di campane… Nascondi le cose lontane, nascondile, involale al volo del cuore! Ch’io veda il cipresso là, solo, qui, solo quest’orto, cui presso sonnecchia il mio cane.
-G. Pascoli; Nebbia ( @invisibile-al-mondo )
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L'IMMAGINE DEL RACCONTO - di Gianpiero Menniti
ECHI DELLO SPIRITO
«Rimane nella valle il canto.»
- Giovanni Pascoli (1855 - 1912):  "La partenza del boscaiolo", da "I canti di Castelvecchio". 1903
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Doppio anniversario per il nostro poeta nazionale
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Giorgio Vasari, Ritratto di sei poeti toscani (1544)
Tutta Italia quest’anno ricorda i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri e celebra, il 25 marzo, il secondo Dantedì, giornata istituita nel 2020 (ne abbiamo parlato nel nostro blog) dal Consiglio dei Ministri. Le numerose iniziative sono state organizzate in modo da consentire sia una visita sul posto, sia tour virtuali che allargano in modo esponenziale le possibilità di vedere e conoscere. Se, prima di partire alla riscoperta del grande Durante, sentite l’esigenza di ripassare la sua biografia, vi consigliamo un classico, Vita di Dante di Giorgio Petrocchi, una biografia recente di Giorgio Inglese e una fiction televisiva in cui Dante è magistralmente interpretato da Giorgio Albertazzi.
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Sono veramente innumerevoli le manifestazioni che si svolgeranno in Italia (la più curiosa è forse quella di un liutaio che ha raffigurato i 33 canti dell’Inferno su altrettanti violini), e in particolare a Firenze e nelle altre città in cui il padre della lingua del sì ha soggiornato. Per la gran parte rimandiamo ai link relativi, ma ci piace ricordare in primo luogo la brillante iniziativa dell’Accademia della Crusca che, per ogni giorno del 2021, farà apparire nel proprio sito ufficiale una diversa parola o espressione di Dante arricchita da un breve commento.
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Raffaello, Stanza della Segnatura, Città del Vaticano (1509)
Piazza Dante. #Festivalinrete è un progetto di 41 festival di approfondimento culturale uniti per celebrare il sommo poeta. “Piazza Dante sarà una piazza virtuale in cui contenuti multimediali (video, interviste agli autori, scritti inediti) daranno la possibilità a tutti di vivere le iniziative realizzate via via dai Festival”. Per quanto riguarda Milano, anticipiamo che gli eventi, curati da Elisabetta Sgarbi, si svolgeranno durante la tradizionale manifestazione La Milanesiana (giugno-luglio 2021).
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Agnolo Bronzino, Ritratto di Dante (1532-33)
“Molto interessante il progetto UniBg per Dante 2021, sviluppato dall’Università di Bergamo. Su un canale dedicato è in continuo aggiornamento la serie di cortometraggi 5 minuti con Dante: brevi conferenze-video di critica e di esegesi tenute da più di 50 studiosi italiani e stranieri del mondo della letteratura e di scienze affini all’italianistica”.
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Per la serie infinita “l’arte ispira l’arte”, la Comedìa ha esercitato un ruolo importante anche come fonte creativa non solo per la letteratura e le arti figurative, ma anche per la musica: questa antologia musicale comprende autori come Monteverdi, Liszt, Rossini, Puccini, Ponchielli e molti altri.
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La nave di Teseo ha appena dato alle stampe l’ultima fatica del celebre dantista Giulio Ferroni  L’Italia di Dante. Viaggio nel paese della  Commedia. “Seguendo la traccia della Divina Commedia, e quasi ripetendone il percorso, Giulio Ferroni compie un vero e proprio viaggio all’interno della letteratura e della storia italiane: una mappa del nostro paese illuminata dai luoghi che Dante racconta in poesia”. Questo cammino critico-letterario ha dato lo spunto alla realizzazione del progetto L’Italia di Dante, che prevede una piattaforma digitale, in cui le località visitate dal Poeta o da lui citate saranno proposte in veri e propri itinerari virtuali.
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Un altro tour virtuale è quello che permette di ammirare gli scatti di Massimo Sestini per Dante 700, “un racconto del mondo lirico, politico e biografico di Dante attraverso venti fotografie che ritraggono il volto del poeta in luoghi che ne conservano memoria e ispirazione”.
Anche Verona, che ospitò Dante fra il 1313 e il 1318, ha preparato un programma molto ricco, tra cui segnaliamo La Verona di Dante: un viaggio in video per scoprire i luoghi del Poeta nella città veneta, con la collaborazione di Claudio Santamaria. Per quanto riguarda le arti figurative, il Museo di Castelvecchio ospiterà due mostre ispirate ai canti dell’Inferno: una dell’illustratore americano Michael Mazur e una di Gabriele Dell’Otto, noto per i disegni dei supereroi della Marvel, le cui immagini troviamo nelle nostre biblioteche nell’edizione dell’Inferno curata da Franco Nembrini. Fra gli spettacoli, Dante Project di Paolo Fresu e La figura femminile nella Divina Commedia a cura di Lella Costa.
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Per quanto riguarda Ravenna, dove Dante passò gli ultimi anni, ricordiamo in special modo una “mostra della mostra”, ovvero un percorso di documentazione storica allestito al Museo d’arte, che descrive le celebrazioni nazionali per il VI centenario dantesco del 1921, inaugurate dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione Benedetto Croce. “Già aperta Dante nell’arte dell’Ottocento. Un’esposizione degli Uffizi a Ravenna allestita negli Antichi Chiostri francescani, limitrofi alla Tomba di Dante. Frutto di una collaborazione con gli Uffizi, prevede un prestito di un nucleo di opere a cominciare dal Dante in esilio di Annibale Gatti. Nell’opera il poeta è ritratto in un momento di intima riflessione, in compagnia del figlio, nella pineta di Classe, citata nel Purgatorio”. Estremamente interessante, infine, la mostra Le arti al tempo dell’esilio presso la chiesa di S. Romualdo, che espone le opere che il poeta stesso poté vedere durante le sue peregrinazioni, come il Polittico di Badia di Giotto, il San Paolo di Jacopo Torriti e il preziosissimo Offiziolo, un manoscritto miniato, per la prima volta esposto, appartenuto al poeta Francesco da Barberino, amico di Dante.
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Polittico di Badia, Giotto
Forse il Poeta, esule, bandito dalla sua amata Firenze, ramingo per l’altrui scale, pensava proprio a se stesso quando, in Pg XXII 67-69, fa pronunciare da Stazio questi versi rivolti a Virgilio:
Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte.
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pangeanews · 5 years
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Discorso intorno alla fotografia del buco nero M87. Ovvero: i poeti devono riappropriarsi del cosmo. D’altronde, Pascoli cantava “le solitarie Nebulose” e Majakovskij voleva interrogare Einstein
Sembra l’occhio di Sauron, la pupilla che ti fissa dal fitto del cosmo, ti risucchia, con inesplicabile seduzione. Per alcuni è un anello che sta realizzando la sua forma, incandescente, ad altri pare la carezza di un angelo, l’ultimo amen prima dell’incomprensibile, la traccia dell’innocente sull’oscuro che smargina.
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L’uomo, intendo, è impastato di linguaggio: le cose non esistono nella loro definizione ‘scientifica’, ma per la natura linguistica che le anima. Per questo, mi sembra irritante dare al buco nero appena fotografato – impressionante: fotografare il cuore di tenebra, fermare l’assedio dell’oscurità – e alla galassia che lo ammanta la didascalia M87. Facciamo una gara lirica a chi assegna, a questo occhio indimenticabile, il nome più bello.
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Quando ero piccolo avevo un libro di mitologia greca e uno sul cosmo. Mi sembravano la stessa cosa. Il mito non serve a spiegare l’ignoto, il cosmo. Al contrario, serve a tracciarlo nella nostra mente, che è linguistica, e nella nostra carne, che è affettiva. L’uomo ragiona ancora per ‘storie’, non per incestuose cronache di logaritmi.
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L’Event Horizon Telescope ha fotografato per la prima volta un buco nero: l’intuizione astratta di un uomo trova conferma nella natura del cosmo. Che raffinatezza. Il buco nero M87 si trova nel cuore dell’Ammasso della Vergine, che è costituito da 87 galassie visibili, molte delle quali si chiamano Leda, altre Virgo, ovviamente, con un numero identificativo al fianco. Tra poco chiamo Ian Solo e mi getto nell’improbabile.
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Da bravo cristo, fiero della propria ignoranza, sfoglio il The Astrophisical Journal Letters, dove un articolo dettagliato, First M87 Event Horizon Telescope Results. I. The Shadow of Supermassive Black Hole. Intorno a questa idea dell’ombra del buco nero sarei pronto a scrivere un poema. Ci capisco poco, va da sé. Questo è l’esordio introduttivo: “I buchi neri sono una predizione fondamentale della teoria della relatività generale (Einstein 1915). Una definizione caratteristica dei buchi neri è il loro ‘orizzonte degli eventi’, un confine casuale nello spaziotempo da cui nessuna luce può sfuggire (Schwarzschild 1916)”.
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Leggendo del buco nero e della profezia realizzata di Einstein, mi viene in mente quanto ricorda Roman Jakobson in quel libro miracoloso, Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. “Nella primavera del 1920 tornai a Mosca, stretta nella morsa dell’assedio. Portai nuovi libri europei e notizie sul lavoro scientifico dell’Occidente. Majakovskij mi fece ripetere più volte il mio resoconto confuso della teoria generale della relatività… ‘Io sono assolutamente convinto che la morte non ci sarà. I morti saranno resuscitati. Troverò un fisico che mi spieghi punto per punto il libro di Einstein’. Per me in quell’istante si rivelò un Majakovskij completamente diverso: l’imperativo di una vittoria sulla morte lo possedeva… In quel tempo Majakovskij era preso dall’idea di inviare a Einstein un radiotelegramma di saluto: alla scienza del futuro da parte dell’arte del futuro”.
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Majakovskij e Einstein: che incontro clamoroso sarebbe stato. Poesia e scienza, in effetti, sono uno. L’ascesa al cosmo la fa più la poesia che la scienza, perché l’uomo, ripeto, è una creatura linguistica, che ha i verbi nel sangue. Si costruisce una nave per atterrare sulla luna perché qualcuno, per secoli, la luna la ha cantata, la ha ‘creata’ con il linguaggio, con la poesia.
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Che scienza e poesia siano abbracciate è un concetto limpido ai poeti. Lo sapeva Walt Whitman (“Amo lo spirito scientifico – essere sicuri ma non troppo, la volontà di abbandonare le idee quando le prove le contraddicono: questo è buono – mantiene le vie aperte – dà vita, pensiero, affetto, umanità, la possibilità di ritentare dopo un errore, dopo una ipotesi sbagliata”), lo ha ribadito Saint-John Perse dalla tribuna del Nobel: “è il pensiero disinteressato di scienziati e poeti che è onorato, qui. E qui almeno una volta non guardateli come fratelli ostili: stanno esplorando lo stesso abisso, varia solo il loro modo di investigazione… In verità, ogni creazione della mente è prima di tutto ‘poetica’ nel senso proprio della parola; e finché esiste un’equivalenza tra i modi della sensibilità e l’intelletto, è la stessa funzione che si esercita al principio nelle imprese del poeta e dello scienziato… Il mistero è comune, comunque. E la grande avventura della mente poetica non è in alcun modo secondaria rispetto agli avanzamenti, drammatici, della scienza moderna. Gli astronomi sono stati scossi dalla teoria dell’universo in espansione, ma non ve n’è di meno, di espansione, nella morale infinita dentro l’uomo, dentro il suo universo”.
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Come si sa, Giovanni Pascoli è un poeta eminentemente ‘cosmico’, esaspera le necessità abissali di Leopardi. Ne Il ciocco, il più vasto dei Canti di Castelvecchio, Pascoli canta “le solitarie Nebulose”, “il folgorio di Vega”, la “cripta di morti astri, di mille/ fossili mondi”, “i Soli” che “la neve della Eternità cancella”. Pascoli è orientato alle galassie, ai mondi che nascono e si sfasciano, all’incredibile attualità dei tempi. La sua, va da sé, non è una descrizione ‘scientifica’, quella non serve: il poeta mette le ali alla scienza perché scorge il lembo dell’invisibile, solletica i misteri, dentro e fuori di noi, che poi altri, con altre armi, andranno a esplorare.
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E poi? E poi c’è Montale, il grande tagliagole della galassia, che negli Ossi di seppia ci dice “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti”, e allora il poeta si concentra sul suo ombelico, non più telescopico, non più microscopio che sonda i misteri dell’animo, ma piscina di una illustre non vita. Da Montale – un assoluto genio – ai poeti casalinghi nel proprio ego di oggi, si spalanca un buco nero.
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Un bel libro divulgativo, Origini. Quattordici miliardi di anni di evoluzione cosmica (Codice, 2005), scritto da due scienziati, Neil deGrasse Tyson e Donald Goldmisth, conclude così: “Ogni nuovo modo di aumentare la conoscenza annuncia l’apertura di una nuova finestra sull’universo… Se ci imbarchiamo in questo viaggio non è per un semplice desiderio, ma per il mandato, conferitoci dalla nostra specie, di ricercare il nostro posto nel cosmo. Quello che abbiamo scoperto, i poeti lo hanno sempre saputo”. Il libro è serrato da una citazione dai Quattro quartetti di Thomas S. Eliot.
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Sui giornali, oggi, intorno al buco nero, mi sarei atteso i versi di un poeta, che in quel buco, icona dell’insondabile, ci avrebbe gettato, a far pasto del mai visto. Invece. I poeti devono riappropriarsi del cosmo, perché il cosmo è una deflagrazione linguistica. (d.b.)
L'articolo Discorso intorno alla fotografia del buco nero M87. Ovvero: i poeti devono riappropriarsi del cosmo. D’altronde, Pascoli cantava “le solitarie Nebulose” e Majakovskij voleva interrogare Einstein proviene da Pangea.
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cullaperfidie · 7 years
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Nebbia
Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora rampolli, su l'alba, da' lampi notturni e da' crolli d'aeree frane! Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch'è morto! Ch'io veda soltanto la siepe dell'orto, la mura ch'ha piene le crepe di valerïane. Nascondi le cose lontane: le cose sono ebbre di pianto! Ch'io veda i due peschi, i due meli, soltanto, che dànno i soavi lor mieli pel nero mio pane. Nascondi le cose lontane che vogliono ch'ami e che vada! Ch'io veda là solo quel bianco di strada, che un giorno ho da fare tra stanco don don di campane... Nascondi le cose lontane, nascondile, involale al volo del cuore! Ch'io veda il cipresso là, solo, qui, solo quest'orto, cui presso sonnecchia il mio cane. Da Canti di Castelvecchio, Giovanni Pascoli
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Il canto della Befana: memorie lontane. Dai precristiani, passando dal Rinascimento, fino ai giorni nostri
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Il canto della Befana: memorie lontane. Dai precristiani, passando dal Rinascimento, fino ai giorni nostri
“…Vi ringrazia la Befana che l’avete favorita, Dio vi lasci lunga vita, buone gente state sana …”
Così si conclude il tradizionale canto della Befana, quando i cosiddetti questuanti ringraziano del dono ricevuto. Il canto della Befana è una delle tradizioni più diffuse e radicate in tutta la Garfagnana, non c’è paese o paesino dove la sera del 5 gennaio sulla porta di casa non vengano cantate queste folcloristiche strofe.Le origini di questi canti si perdono nella storia più antica, fanno parte di quel bagaglio ancestrale di riti pagani e che i secoli(e qualche Papa furbone…) trasformeranno in religiosi.
Ma partiamo dall’inizio e tutto è da ricondurre a quelle feste che prima del Cristianesimo indicavano le scadenze di un periodo agricolo (una infatti cadeva proprio in questi giorni), tutto era legato indissolubilmente al buon andamento del raccolto e alla sopravvivenza della comunità che per favorirsi nuovi e floridi raccolti procedeva liturgicamente con dei canti propiziatori e lo scambio di doni che significavano l’abbondanza, segno inequivocabile di ricchezza nella quantità di frutti che la terra avrebbe (forse) generato in quell’anno. Le cose cambiarono e nel II secolo dopo Cristo, fu istituita la festa dell’Epifania e la gente imparò a tenere il piede in due staffe (un po’ come si fa oggi…) da una parte si festeggiava il suo significato religioso,ma dall’altra continuava il suo rito pagano benaugurante. Arriviamo così nel periodo rinascimentale e vediamo ancora che questi canti della Befana sono più che mai presenti nella Valle, si parla in certi documenti che addirittura dopo i canti di questua vengono donate carni di maiale, infatti erano i giorni riconducibili all’uccisione dell’animale e alla conseguente abbondanza di carni che venivano poi redistribuite meticolosamente alle persone più povere.
Canti della Befana (foto di Keane tratta da “Il giornale di Barga”)
Eccoci così arrivare ai giorni nostri (per “giorni nostri” intendo dire da un paio di secoli ad oggi…) e guardiamo come si svolgevano e si svolgono adesso le befanate. La vigilia dell’Epifania verso il tramonto giovani e meno giovani si riuniscono nella piazza principale del paese per partire per il giro di questua,naturalmente dopo che uno di loro aveva indossato i vestiti da Befana e si era cosparso il viso di cenere per non farsi riconoscere. Ma vi siete mai domandati perchè poi la Befana nella stragrande maggioranza dei casi è sempre interpretata da un uomo? Qui si cade nel maschilismo e nel proibizionismo dei secoli cosiddetti “oscuri”, quando alle donne era vietato assolutamente sia recitare che mascherarsi. Ma torniamo però allo svolgimento di questo rito. Almeno uno dei partecipanti doveva avere con se almeno uno strumento musicale, indispensabile  per accompagnare il canto, nella maggior parte dei casi una fisarmonica o un violino, fondamentale era anche la presenza dell’ asinello che nelle grandi ceste che portava avrebbe conservato i doni ricevuti nella serata. Aveva così inizio il giro del paese e anche questo non si svolgeva a caso ma aveva un preciso itinerario , prima si cominciava dalle autorità locali e dal prete. Il tutto era guidato da un suonatore che precedeva di pochi passi la Befana e il somaro e dietro stava tutta la compagnia dei befanotti, ci si fermava così di porta in porta e si attaccava con il canto, al termine del quale il padrone porgeva omaggi appositamente preparati per l’occasione: costante era la presenza di noci,nocciole,mandarini e arance. L’ultima parte del rituale prevedeva il canto di una o più strofe di augurio o ringraziamento.
Le befanate (foto di Feliciano Ravera, Fotocine Garfagnana)
Il cerimoniale era, ed è abbastanza consolidato ma poteva (e può) variare per alcuni situazioni particolari. Nel caso che la casa visitata fosse abitata da ragazze in età da marito, i cantori venivano fatti entrare e generalmente si improvvisava qualche giro di danza con le giovani. Anche se si capitava nelle osterie e nei bar la situazione era soggetta a piccole variazioni, il proprietario faceva accomodare il gruppo e dopo aver fatto i doni offriva da bere a tutti.Il caso era totalmente diverso se la famiglia da visitare era stata colpita da un lutto. Giorni prima ci si informava se il padrone di casa avrebbe gradito la visita dei cantori, se la risposta era positiva il canto si limitava a poche strofe e se il responso fosse stato negativo la compagnia di befanotti si asteneva dal canto, transitando nelle vicine vie mantenendo il più rigoroso silenzio, anche se poi generalmente il padrone di casa colpito da lutto in qualche maniera faceva giungere il suo dono. Prendiamo poi in considerazione se in paese vi fosse stata una famiglia talmente povera che anche il più semplice dono sarebbe costato loro un enorme sacrificio, il canto propiziatorio si sarebbe svolto comunque. Perchè mai privare una famiglia di questo momento di aggregazione? Anzi i ruoli si sovvertivano completamente poichè i befanotti, buona parte di quanto regalato fino al momento, lo donavano in parte e con generosità alla misera famiglia. Molto raramente succedeva che qualcuno non aprisse la porta all’allegra brigata,perchè sennò effettivamente erano dolori. Un rifiuto era come non voler partecipare alla vita comunitaria, rompere un consolidato codice di comportamento, era punito con insulti e lanci di pietre. Figuriamoci un po’, proprio per queste eccezioni ci fu un periodo che le befanate di questua furono proibite, ad esempio a Barga nel 1414, così si legge nel “Liber Maleficiorum” (l’attuale codice penale)
“…per ciascuna persona che ardisca, la notte della Befana, di andare alla casa di qualsiasi persona di Barga a dire quelle disoneste parole,le quali sono state dette per l’ adietro,sotto pena di soldi dieci, a ribadire per ciascuna persona e per ciascuna volta che la vigilia dell’Epifania canterà quelle brutte cose che si usano da lungo tempo”
Particolare invece è la befanata di Sassi e di Eglio (comune di Molazzana). Solitamente il canto della Befana negli altri paesi garfagnini non varia di molto ed è quasi sempre uguale, mentre qui già dai giorni precedenti si preparano strofe specifiche per ogni componente della famiglia del paese. Si tratta di un modo di mettere in piazza tutti i peccati,ironizzare sui difetti di ciascuno, raccontare le disavventure occorse durante l’anno, ma la notte della Befana era tutto permesso, i padroni di casa facevano finta di gradire ingoiando amaro, comunque non si rifiutavano mai di donare. Ecco come Alcide Rossi (studioso locale) nel 1966 ricordava questi fatti:
“…al mio paese per il modo i cui venivano fatti i “rispetti”(n.d.r:le strofe dedicate), per quello spirito di spontaneità in cui nascevano tra il goliardico,lo scanzonato ed il rusticano, teneva in fervore tutti i canterini trenta giorni prima del 6 gennaio. Si diventava così tutti poeti…Dovevano essere rivolte affettuose,elogiative per chi donava molti “befanini”(n.d.r.:doni), invece mordaci, caustici, talvolta anche un po’troppo sfacciati contro coloro a cui l’avara porta non si apriva”.
Ma le strofe più belle rimangono quelle di Giovanni Pascoli nel 1897 che da Castelvecchio volle ricordare così la Befana, con il suo più celebre canto:
Viene viene la Befana vien dai monti a notte fonda. Come è stanca! La circonda neve, gelo e tramontana. Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce, e la neve è il suo mantello ed il gelo il suo pannello ed il vento la sua voce. Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano alla villa, al casolare, a guardare, ad ascoltare or più presso, or più lontano. Piano, piano, piano, piano.
Chi c’è dentro questa villa? Uno stropiccìo leggero. Tutto è cheto, tutto è nero. Un lumino passa e brilla. Chi c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda… Tre lettini con tre bimbi a nanna, buoni. guarda e guarda… Ai capitoni c’è tre calze lunghe e fini. Oh! Tre calze e tre lettini…
Il lumino brilla e scende, e ne scricchiolano le scale; il lumino brilla e sale, e ne palpitano le tende. Chi mai sale? Chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa, sale con il suo sorriso. Il lumino le arde in viso come lampada di chiesa. Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra sente e vede, e s’allontana. Passa con la tramontana, passa per la via maestra: trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare? Un sospiro lungo e fioco. Qualche lucciola di fuoco brilla ancor nel focolare. Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda… Tre strapunti con tre bimbi a nanna, buoni. Tra la cenere e i carboni c’è tre zoccoli consunti. Oh! tre scarpe e tre strapunti…
E la mamma veglia e fila sospirando e singhiozzando, e rimira a quando a quando oh! quei tre zoccoli in fila… Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente; fugge al monte, ch’è l’aurora. Quella mamma piange ancora su quei bimbi senza niente. La Befana vede e sente.
La Befana va sul monte. Ciò che vede e ciò che vide: c’è chi piange e c’è chi ride; essa ha nuvoli alla fronte, mentre sta sul bianco monte.
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retegenova · 5 years
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Per La Voce e il Tempo, action painting e musica
Dal Mediterraneo alla Georgia
Mercoledì 17 luglio, ore 18 – Cortile di Palazzo Bianco (biglietti € 10,00)
CUORE
D’AltroCanto Duo
Giulia Prete e Elida Bellon  – voci
Emanuela Scotti – pittrice
Un’antologia di canti di tradizione orale, interpretati da un duo di appassionate cantanti e ricercatrici intorno alla polisemia della parola cuore. La dinamica, il ritmo e la durata dei suoni si confrontano con l’intensità del tratto e la forza della materia pittorica che si genera estemporaneamente, sincronizzando voce e immagine, sentimento e sensi.
(foto e cs completi di bio in allegato)
Giovedì 18 luglio, ore 20.30 – Chiesa dei Ss. Cosma e Damiano (biglietti € 10,00)
Venerdì 19 luglio, ore 21.30 – Piazza della Torre, Castelvecchio di Rocca Barbena (SV)
CANTI DALLA GEORGIA
Ensemble Adilei con la partecipazione di D’AltroCanto Duo
Sandro Natadze, Lasha Bedenashvili, Nodar Japaridze, Temur Darchia, Demetre Qiria,
Kote Chavleishvili, Shotiko Katamadze – voci
Il canto tradizionale georgiano è patrimonio immateriale dell’UNESCO dal 2001: il giovane ensemble Adilei, nato nel 2012 e già protagonista di tournée in Europa e Stati Uniti, esegue con con vigore un repertorio di brani polifonici sacri e profani – talvolta accompagnandosi con strumenti tradizionali – che attraversa le montagne dell’Alto Caucaso fino alle sponde del Mar Nero. 
I Concerti sono introdotti martedì 16 luglio ore 17/21(Chiesa di S. Giorgio, piazza S. Giorgio)dal workshop Musica tradizionale della Georgia In collaborazione con la comunità georgiana di Genova
(foto e cs completi di bio in allegato)
Info: +39 338 1965248, + 39 347 3125175
www.lavoceiltempo.com – [email protected]
facebook: la Voce e il Tempo, twitter: VoceTempo, instagram: lavoceiltempo
Associazione Musicaround – www.musicaround.org
Ufficio Stampa
Marzia Spanu
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Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
NetParade.it
Quezzi.it
AlfaRecovery.com
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Il Secolo XIX
CentroRicambiCucine.it
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Informatica Servizi
Edilizia
Il Secolo XIX
MusicforPeace Che Festival
MusicforPeace Programma 29 maggio
Programma eventi Genova Celebra Colombo
Genova Celebra Colombo
Genova 17/18 lug. – Cuore (D’AltroCanto Duo) e Canti della Georgia (Ensemble Adilei) Per La Voce e il Tempo, action painting e musica Dal Mediterraneo alla Georgia Mercoledì 17 luglio, ore 18 - Cortile di Palazzo Bianco (biglietti € 10,00)
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tmnotizie · 5 years
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PESARO – Prende il via venerdì 14 giugno da Cerasa di San Costanzo la V edizione della rassegna itinerante “Terre e Immagini – racconti di uomini e atmosfere”, che si snoderà in 11 appuntamenti, per concludersi il 27 agosto a Castelvecchio di Monte Porzio.
Nata da un’idea del presidente dell’associazione culturale “I Fanigiulesi” Fabio Brunetti, la rassegna, che vede i patrocini e contributi dei Comuni di San Costanzo, Monte Porzio, Isola del Piano, Mondavio e del Comitato cittadino di Stacciola, oltre al patrocinio della Provincia di Pesaro e Urbino, si propone di far conoscere meglio realtà vicine e lontane che verranno a raccontarsi attraverso la musica, le storie, il teatro ed altre forme d’arte.
Il programma è stato illustrato in conferenza stampa dal direttore artistico Fabio Brunetti, dal presidente della Provincia e sindaco di Isola del Piano Giuseppe Paolini, dai sindaci di Monte Porzio Giovanni Breccia e Mondavio Mirco Zenobi e dal vice sindaco di San Costanzo Omar Ciani. Questi gli 11 appuntamenti, tutti ad ingresso libero, con inizio alle ore 21.15:
Venerdì 14 giugno – “Un ponte fra i popoli” a CERASA DI SAN COSTANZO (Piazza IV Novembre). Si tratta di un progetto che il noto fisarmonicista Bardh Jakova, di Scutari, porta avanti da anni facendo suonare insieme ragazzi di etnie diverse dell’area balcanica. Al suo fianco ci sarà un suo allievo, il fanese Matteo Facchini, uno dei fondatori della band “Obelisco Nero”.
Domenica 23 giugno – “La musica: lingua universale” nel centro storico di MONDAVIO, a cura dell’ensemble Elisabetta Del Ferro di Pesaro (viola da gamba), Angelo Signore di Caserta (tamburi a cornice), Bardh Jakova di Scutari (fisarmonica) e Jabel Kanuteh del Gambia (kora). Quattro musicisti, quattro culture, quattro ritmi diversi che si fondono, si integrano, per dimostrarci che la musica è la lingua universale.
Sabato 29 giugno – “La scighera…” a MONTE PORZIO (Piazza Garibaldi), a cura della “Ciap’istess Band” di Milano: aneddoti, buona musica e tante risate.
Venerdì 5 luglio – “Anche le marionette hanno un’anima” a STACCIOLA DI SAN COSTANZO (Piazza Mauruzi): gli artisti di strada Francesca Montanari di San Costanzo e Yoan Degeorge di Tolosa racconteranno il mondo delle marionette e la loro esperienza in giro per l’Europa.
Sabato 13 luglio – “Pizza e tarantella: i sapori di una terra” a CASTELVECCHIO DI MONTE PORZIO (Piazza XXIV Maggio). Il gruppo “Pizza e tarantella” viaggia con un forno a legna per preparare la pizza con i prodotti di una terra che ha propri sapori e propri ritmi: il pubblico assaggerà le specialità, tra musica e storie.
Domenica 21 luglio – “Gent d’ S’nigaja” a MONTE PORZIO (Piazza Garibaldi), a cura di Simone “Quilli” Tranquilli e Leonardo Barucca: due poeti, pensatori, romantici e arrabbiati, innamorati della loro Senigallia, della quale racconteranno al pubblico in modo originale.
Venerdì 26 luglio – “L’ultimo round: storie di ring, guantoni e cazzotti” a ISOLA DEL PIANO (Ca’ Cecilia, Piazzetta Asta) a cura di Francesco Belfiori di Sant’Angelo in Vado che racconterà, da bravo affabulatore, la sua più grande passione: la boxe.
Mercoledì 7 agosto – “PescAmare: la marineria fanese” a SAN COSTANZO (Piazzetta del Borghetto). Il pluripremiato regista fanese Andrea Lodovichetti presenterà il suo ultimo capolavoro, un bellissimo e commovente docufilm sulla marineria fanese.
Venerdì 23 agosto – “Racconto in concerto. La Grande Guerra: storie e canti” a ISOLA DEL PIANO (Piazza Umberto I). L’associazione “Strade Note” di Padova proporrà un viaggio struggente tra miserie e sacrifici dei ragazzi della Grande Guerra.
Sabato 24 agosto – “Atmosfere dal Mississippi al Brenta” a SANT’ANDREA DI SUASA (MONDAVIO), dove i “Blues del Brenta” di Padova proporranno un blues nostrano e scanzonato, declinato nel dialetto veneto.
Martedì 27 agosto – “Il primo Secondo: storie romagnole” a CASTELVECCHIO DI MONTE PORZIO (Piazza XXIV Maggio) con l’attore, giocoliere ed attento osservatore Denis Campitelli di Bertinoro (Cesena), che racconterà nella sua lingua la sua terra: la Romagna. 
Per ulteriori informazioni: [email protected], cell. 338.1519181
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aroomwithspace · 5 years
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L'ora di Barga
Al mio cantuccio, donde non sento se non le reste brusir del grano, il suon dell'ore viene col vento dal non veduto borgo montano: suono che uguale, che blando cade, come una voce che persuade.
Tu dici, E` l'ora; tu dici, E` tardi, voce che cadi blanda dal cielo. Ma un poco ancora lascia che guardi l'albero, il ragno, l'ape, lo stelo, cose ch'han molti secoli o un anno o un'ora, e quelle nubi che vanno.
Lasciami immoto qui rimanere fra tanto moto d'ale e di fronde; e udire il gallo che da un podere chiama, e da un altro l'altro risponde, e, quando altrove l'anima è fissa, gli strilli d'una cincia che rissa.
E suona ancora l'ora, e mi manda prima un suo grido di meraviglia tinnulo, e quindi con la sua blanda voce di prima parla e consiglia, e grave grave grave m'incuora: mi dice, E` tardi; mi dice, E` l'ora.
Tu vuoi che pensi dunque al ritorno, voce che cadi blanda dal cielo! Ma bello è questo poco di giorno che mi traluce come da un velo! Lo so ch'è l'ora, lo so ch'è tardi; ma un poco ancora lascia che guardi.
Lascia che guardi dentro il mio cuore, lascia ch'io viva del mio passato; se c'è sul bronco sempre quel fiore, s'io trovi un bacio che non ho dato! Nel mio cantuccio d'ombra romita lascia ch'io pianga su la mia vita!
E suona ancora l'ora, e mi squilla due volte un grido quasi di cruccio, e poi, tornata blanda e tranquilla, mi persuade nel mio cantuccio: è tardi! è l'ora! Sì, ritorniamo dove son quelli ch'amano ed amo.
Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio, 1903
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L'IMMAGINE DEL RACCONTO - di Gianpiero Menniti "Rimane nella valle il canto". - Giovanni Pascoli. "La partenza del boscaiolo". Da "I canti di Castelvecchio". 1903
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arteversomarte · 6 years
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#Poesie di Giovanni #Pascoli - Canti di #Castelvecchio #GiovanniPascoli #ArteVersoMarte (presso Caffe Ristretto Lucca)
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pangeanews · 4 years
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“È un guerriero nato, fallo combattere ancora”. Gabriella Sica e il canzoniere per Valentino Zeichen
Libro originale e pungente, di “congedo cerimonioso” per usare un titolo di Giorgio Caproni da poeti noti, a volte amici, e da un’epoca tramontata (tanto più alla luce degli ultimi eventi di pandemia), quest’ultimo di Gabriella Sica, che si riaffaccia sulla scena della poesia a dieci anni dal suo ultimo libro.
Viene da pensare per incredibile analogia di sorte al Valentino dei Canti di Castelvecchio di pascoliana memoria, ma quello che si legge in Tu io e Montale a cena, Poesie per Zeichen per i tipi Interno Poesia Editore è un Valentino Zeichen affatto sentimentale, sia pure intimo e delicato, e pur sempre “coriaceo al vetriolo”, evocato nel canto struggente e malinconico dalla penna di Gabriella Sica, tra le più riconosciute voci della poesia italiana. Inseparabile amica di sempre, la Sica dedica al poeta e profugo istriano la sua ultima fatica letteraria, in memoria del più estroso e irregolare tra i poeti italiani contemporanei, personaggio già in vita ai limiti della leggenda. Si tratta di 44 poesie (più due prose) divise in tre sezioni: la prima formata da due poesie sul poeta in vita, la seconda, Quaranta poesie, sul poeta in morte, e la terza, ancora di due sole poesie, dopo il tempo del lutto stretto.
Come in un’epopea classica, la raccolta si apre con un’invocazione alla madremadonnina perché lo liberi da un letto di ospedale: «se ci sei salvalo salvalo tu se mi ascolti/fallo tornare tra noi/al dolce tepore d’aprile/questo non è uno scherzetto/prometto lo inviterò di più a cena/è un guerriero nato/fallo combattere ancora». Zeichen è visto come un combattente costretto da bambino nel dopo guerra a lasciare Fiume per ricostruire la sua patria a Roma, un Enea disperso dopo la fuga dall’incendio: «Anche tu sei dall’est in fiamme sceso/dall’Adriatico agitato/al Tirreno che gli scogli stanca/dal vecchio Oriente/al periglioso Occidente/per la pianura in là verso il Lazio/sei giunto fino a Roma».
Il ricordo si fa più intenso quando affiora l’osso della parola, vera vis poetica, ingrediente madre del ricettario lirico di Zeichen: «Sta nella sua officina il fabbro romano/ crea e vende manufatti originali/di una lingua povera elementare/ minima e assoluta poco melodiosa/ dove il fulmine è radice e fine/ […] Privo di tutto laconico operoso/fino all’ultimo respiro/ non sta dove si può vivere una casa/vera lui non la vuole/ quel poco cura solo il poco/ esule come si sente con i suoi morti/ ascolta qualche tortora che canta/ mette un po’ di briciole sul davanzale».
Il tempo, come bizzarra e inflessibile misura di tutte le cose, grande meccanismo regolatore della vita e del mondo fa da basso continuo alla raccolta, fiume carsico che attraversa le colline, i pini di Roma, Ponte Milvio, Piazza del Popolo, Villa Strohl Fern col suo Rilke, la Galleria d’Arte Moderna, Villa Borghese, fino ad arrivare lì, “nell’Arcadia di via Flaminia, nella Casa del poeta incarnata a Roma di tutta la vita” respirando la città eterna e la sua immagine bifronte, accogliente e crudele, struggente e carica di una bellezza malinconica in tutto il suo incanto di una primavera in fiore, prima ancora della rovinosa putrefazione della “grande bellezza”: «È una leggenda la baracca a Roma/ sta in un vicolo cieco sulla Flaminia/ all’ombra di una collina di pini/ nel cielo celeste alti intagliati/più sotto macchie gonfie di lecci/e mimose come in un bel quadro/ […] siede pensoso sul da farsi il poeta/lì coltiva una coppia di piante/ un fico e una vite americana/tra steli di lillà penduli in trionfo».
La casa-baracca, dove la Sica in un afflato nostalgico cerca ancora di imbastire quelle serate conviviali con i punti lenti di una cena che apre il cuore: «pensaci cosa possiamo ancora fare/  insieme cucinare/ […] pochi ingredienti ben scelti/ nel fulgido impasto di rose e spine/ invitare ospiti d’onore/ […] scrivere le care nostre ricette/ profumo senza l’aspro dei limoni/brace di rosmarino alla griglia/ salvia bruciata in fumo/ fuoco scoppiettante d’alloro/ nel bel piacere conviviale/ […] e stare come verde foglia stare».
Verde come l’esistenza nel tempo tra fine e inizio secolo, in cui amicizie, incontri e cene mondane riempiono il solitario Zeichen. Intanto Gabriella Sica cura per Rai Cultura (allora Rai Educational), alcuni film documentari sui poeti del Novecento, tra cui uno su Eugenio Montale (si possono vedere ora su RaiPlay). Un insolito Montale a cena, che canticchia, da ex baritono, l’aria rossiniana “La calunnia è un venticello”, proprio come nella poesia centrale di Sica, quella che dà il titolo al libro. Immagina infatti, la poetessa, di invitare il cantore immortale di Clizia e del girasole impazzito a una cena tutta personale, intima a tre: «Non è un gioco questo di/ stasera è un incontro a sorpresa/ il più imprevedibile per noi due/tu io e Montale a cena./ Dall’aldilà fremente di piacere/ […] banchettando ilari noi tre insieme/al secolo nuovo brindando/come un niente lo snodo al/Novecento il rallentato addio».
Un addio che si fa sempre più serrato nella vuota malinconia: «ogni cosa dice addio all’altra/ e tu dici addio a noi e a ogni/ amico nessuno trova più le parole/ un gran silenzio è sceso su/ Roma come un’ampia ombra». Valentino è nel vento col suo invisibile “palloncino blu notte”, stretto al polso e mai più sciolto fin da bambino quando la madre Evelina l’aveva legato per il lungo esilio: «incurante di proiettili e spari/aveva resistito alle “Fortezze/Volanti B17” e ai “rabbiosi 88 antiaerei”».
Anita Piscazzi
*In copertina: Valentino Zeichen in un ritratto fotografico di Dino Ignani
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theemptiestday · 7 years
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La mia sera, Giovanni Pascoli (Canti di Castelvecchio)
E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era... sentivo mia madre... poi nulla... sul far della sera.
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