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pangeanews · 4 years

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“Viva l’Italia! Firmato Ezra Pound”. Le lettere di Ez a Mussolini

28 ottobre 1943. Il dispaccio s’intitola, semplicemente, “Rapporto al Duce”, Report to Il Duce. Tra le tante cose, spicca “la proposta di un autobus da La Spezia a Salò, via Genova, Tortona, Piacenza e Cremona, per dare alla Repubblica una nuova spina dorsale”. In effetti, “la Liguria è completamente tagliata fuori dalle comunicazioni. Occorre prendere tre treni per arrivare da Rapallo a Brescia”. Non è la sola, questa, tra le service note di Ezra Pound in direzione Salò: ancora una volta il poeta insiste sulla teoria del “credito sociale” di C.H. Douglas, chiave di volta per un sistema economico più sano, consono alla libertà dell’individuo, alieno alla prevaricazione dello Stato totale e all’egofollia capitalista (sul punto: il capitolo “C.H. Douglas & il Credito Sociale” in, Luca Gallesi, Le origini del Fascismo di Ezra Pound, Ares, 2005). Il ‘carteggio’ tra il poeta e il Duce durò dieci anni – più che uno scambio, fu un monologo poundiano.

Vent’anni prima, a Rapallo, Pound giocava a tennis con William B. Yeats, ospitava un Ernest Hemingway in cerca di fama, lavorava ai Cantos ‘Malatestiani’. Nel 1923, da Rapallo, Pound va a Rimini, alloggia al Palace Hotel, piglia a bestemmiare. “La biblioteca è chiusa, il dannato custode ha l’influenza e il direttore è troppo pigro – o deve insegnare fisica altrove”. I ‘servizi pubblici’ italiani facevano acqua già allora. Pound, però, trova un alleato. Il portiere Averardo Marchetti, “ha giurato di forzare la biblioteca e di chiamare il Sindaco se non è aperta”, scrive il poeta, chiosando, “è un nobile fascista”. Secondo Lawrence Rainey, studioso di Thomas S. Eliot, di Ezra Pound, ma anche del Futurismo italiano, ‘Ez’ ha subito il fascino del Fascismo a Rimini, “nel primo mattino del 12 marzo 1923, appena quattro mesi dopo la Marcia su Roma di Mussolini, quando il poeta arrivò nella città di Rimini” (in Between Mussolini and Me, “London Review of Books”, marzo 1999). Vent’anni dopo il poeta scrive dispacci al Duce, di stanza a Salò, dandogli consigli, relazionandolo sul dilagare comunista in Europa (“Movimenti spontanei comunisti in Inghilterra non esistono. I pochi intelligenti e genuini comunisti in Inghilterra sono comunisti non perché appoggiano l’azione dei Bolscevichi ma perché sono contro gli usurai e contro l’usura. Tutti – dico tutti – i capi del Partito Comunista e i loro più gallonati aiutanti sono, almeno dal 1938, pagati da Mosca e assegnati a mansioni di spionaggio industriale”).

* 30 gennaio 1933. Nel mezzo del guado, dieci anni dopo la visita a Rimini, dieci anni prima dei dispacci inviati a Salò, alle ore cinque e mezza del pomeriggio, Ezra Pound incontra Benito Mussolini a Palazzo Venezia, Roma. L’abboccamento è preparato da tempo. Il 23 aprile 1932 ‘Ez’ contatta il segretario personale del Duce, Alessandro Chiavolini, “annunciandogli il desiderio di comunicare e incontrare il leader del governo italiano”. “Durante l’incontro, Pound presenta a Mussolini l’edizione dei Draft of XXX Cantos pubblicata tre anni prima a Parigi”. In quel volume, sono raccolti i ‘canti’ dedicati a Sigismondo Pandolfo Malatesta, visto da Pound – nel suo modo visionario di imbrigliare la Storia – come l’alter ego del Duce. Inoltre, Pound consegna a Mussolini “i 18 punti programmatici che sono la base della sua concezione ideologica”, poi pubblicati nel 1940 sul “Meridiano di Roma” come Di un sistema economico. L’incontro con Mussolini è recensito nel repertorio dei Cantos, wunderkammer del delirio dove Confucio e piazzale Loreto sono pareggiati in catatonico caos. Incipit del XLI: “Ma qvesto/ disse il Duce, è divertente”. Commento della figlia Mary, nel volume dei Cantos edito da Mondadori: “Nell’unica udienza che Pound ebbe con Mussolini, nel 1933, alla domanda ‘Che volete?’ rispose: ‘Pace, per terminare il mio poema’, e gli consegnò una copia dei primi XXX Cantos. Sfogliandoli il Duce li trovò ‘divertenti’”. Oltre alla pace, però, Pound fece anche la guerra.

Maggio 1976. C. David Heymann pubblica un libro, Ezra Pound the Last Rower: A Political Profile, dove mostra un mannello di Letters from Ezra Pound to Benito Mussolini. Personaggio rapace, Heymann: la sua carriera comincia, trentenne, nell’orbita di Pound; proseguirà con una serie di biografie ‘scottanti’ su Jackie Kennedy (nel 1989), su Elizabeth Taylor (1995), su ‘Bob’ Kennedy (2002) – muore nel 2012. In ogni caso. La prima lettera di Pound a “Sua Eccellenza il Capo del Governo” segue l’incontro romano, è datata 17 aprile 1933, è scritta a Rapallo, via Marsala 12-5. “Eccellenza e Duce…”, così si rivolge il poeta al capo di stato, “in omaggio devoto” viene allegato al biglietto il manoscritto di Jefferson and/or Mussolini e ABC of Economics. Nota del burocrate del Ministero degli Affari Esteri: “Il noto scrittore americano Ezra Pound ha inviato a Sua Eccellenza il libro intitolato… e la copia dattiloscritta di… Questi libri dimostrano chiaramente l’amicizia dell’autore verso il Fascismo”. Nel 1925 Pound aveva scritto ad Harriet Monroe, editrice della rivista Poetry, che “personalmente penso il meglio possibile di Benito Mussolini. Se lo compariamo agli ultimi presidenti americani e premier britannici, beh, non possiamo permetterci di insultarlo”. ‘Desecretando’, per così dire, le “nove lettere di Ezra Pound a Mussolini custodite presso il Dipartimento di Giustizia a Washington, tra i documenti dell’FBI”, di fatto, Heymann intende chiarificare la relazione tra Pound e il fascismo. Fino agli anni, lividi, della Repubblica Sociale.

Già, ma cosa scrive Pound a Mussolini? Speculazioni economiche, teoria monetaria. Esempio. Rapallo, 22 dicembre 1936. “Duce! Duce! Molti nemici, molto onore. Voglio vedere tutti gli usurai come nemici d’Italia. Ma, Duce!, il sistema delle tasse è un pericoloso residuo del passato, un cadavere pernicioso, che deve essere sepolto insieme al Re Bomba e a Francesco Giuseppe. Poiché lo Stato fornisce una misura di scambio, lo Stato funziona. Lo Stato ha diritto a esigere un compenso per il suo lavoro. Ma questo compenso è fondamentalmente diverso dalla tassa”. Firmato, “Viva l’Italia, Ezra Pound, jure italico”. Una lettera del 15 maggio 1937 si apre con una epigrafe riassuntiva: “La tassa non è una quota azionaria/ Una nazione non ha bisogno/ e non deve pagare l’affitto per/ il proprio credito”. Da lì in poi comincia quello che Richard H. Rovere su Esquire, primo settembre 1957, narrava come The Question of Ezra Pound. “Negli anni al St. Elizabeth’s, Pound ha costantemente sostenuto di non essersi voluto opporre al suo paese durante la guerra. Nei momenti di lucidità, sottolinea che avrebbe potuto salvarsi dalla miseria in cui è precipitato accettando la cittadinanza italiana, nel 1939. Ha preferito aggrapparsi al passaporto americano. È un fatto che nel 1942 abbia tentato di prendere l’ultimo treno diplomatico che ha condotto i cittadini americani da Roma a Lisbona. Gli è stato rifiutato il permesso di salire a bordo. Non ha avuto altra scelta che tornare a Rapallo… Gli aspetti criminali di Pound durante la guerra sono talmente frivoli storicamente quanto è grandiosa la sua poesia”.

Ezra Pound pensava che la poesia dovesse contenere tutto: il mito e la teoria economica, l’estasi e la lotta estenuante, estetica, etica, politica. Non pensava tanto a una lirica conoscitiva, con proprietà d’intelletto (come T.S. Eliot), ma al verbo attivo, agente. Nel 1944 pubblica L’America, Roosevelt e le cause della guerra presente e Introduzione alla Natura Economica degli Usa per le Edizioni Popolari di Venezia. A Fernando Mezzasoma, Ministro della cultura popolare della RSI, il 15 marzo 1944, Pound comunica il desiderio di editare “l’edizione bilingue dello Studio Integrale di Confucio”, “i discorsi di Confucio”, “il libro di Mencio”, “le odi e l’antologia degli antichi poeti cinesi collezionata da Confucio”. Nel 1954 Scheiwiller pubblica il libro di saggi Lavoro ed usura; dal 1955 il grande editore milanese lavora per una petizione da inviare all’ambasciata americana, domandando la scarcerazione del poeta: tra gli altri, firmano Attilio Bertolucci e Giorgio Caproni, Carlo Levi, Mario Luzi, Alberto Moravia, Marino Moretti, Eugenio Montale, Umberto Saba, Elio Vittorini. I fascisti, comunque, non prendevano sul serio il poeta. Un funzionario dell’ufficio di Galeazzo Ciano, in calce a una lettera inviata da Pound al Duce, il 15 aprile del 1934, chiosa, “una cosa è certa, questo scrittore è mentalmente squilibrato”. (d.b.)

*In copertina: Ezra Pound in una fotografia di Lisetta Carmi, 1966, Zoagli

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#Letteratura #main #Cantos #Ezra Pound #Fascismo #Lettere #Mussolini #Poesia #storia

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the-hexagonal-conundrum · 4 years

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Surveillance economies

[...] we first turn to Zuboff’s descriptive prem-ise that a discontinuous shift occurred in the elementary logic of capi-talism in the early 2000s in Silicon Valley (pp. 69–70). A phenomenon of “surveillance capitalism” emerged, she posits, qualitatively distinct from its twentieth-century precursors (pp. 85–88).

We make three points to parry this historical claim. First, although we concur that there are important changes in scale and method, we question whether “surveillance capitalism” is as distinct from earlier his-torical iterations of capitalism as Zuboff would have us believe. Second, we posit that these economic strategies are more entangled with the state than Zuboff suggests. Indeed, the state seeds and shapes those economic strategies in a way that hints at a greater capacity for law to influence capitalist development than Zuboff allows. Third, and most im-portantly, we question whether surveillance capitalism is appropriately treated as a unitary sociological phenomenon. Rather, what Zuboff paints as unitary is better characterized as plural. There is not one economic strategy but rather an underlying heterogeneity in economic strategies. It is for this reason that we prefer the less totalizing term “surveillance economies” rather than the monolithic phrase “surveillance capitalism.”

Book Review by Aziz Z. Huq & Mariano-Florentino Cuéllar. https://harvardlawreview.org/2020/02/economies-of-surveillance/

#surveillance #capitalism #economies #zuboff

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dangkynhanhieusanphamcom · 5 years

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We Need Our Mojo Back Vis-à-Vis China

Bill Gertz is the dean of American defense journalists, and brings vast knowledge and an abundance of sources to his latest book. His review of China’s efforts to gain a decisive edge in military technology is indispensable reading for anyone concerned with the rapid rise of a prospective adversary. Gertz is a reporter first and foremost, and Deceiving the Sky: Inside Communist China’s Drive for Global Supremacy distills the thinking of America’s military and intelligence establishment in a terse and highly readable presentation.

What We Don’t Know

The book’s lacunae are less the fault of the senior defense correspondent for the Washington Times and Washington Free Beacon than of the American national security establishment itself. Our institutions lack a clear understanding of what China is doing and what we should do in response. Amid the impressive mass of detail, readers are left to wonder what the Chinese really want. If they were to take over the world, what would they do with it? In the case of Nazi Germany or the Soviet Union, we know the answer, because we saw Germans and Russians at work as occupiers. China reached its present borders for the most part by 800 C.E. under the Tang Dynasty and has shown little interest in sending troops to occupy other countries.

A related question involves China’s order of battle. What does China hope to achieve with its anti-satellite weapons, carrier-killer missiles, anti-submarine devices and so forth? Gertz presents the sort of war scenario that staff officers grind out as a matter of course, without explaining what Chinese war aims might be.

A key issue is the distinction between China’s notorious theft of U.S. technology and its homegrown innovations. Not until page 185 do we read of the most striking and strategically important Chinese invention:

A major worry for American defense planners and intelligence strategists is China’s drive to deploy extremely secure quantum communications. This development was announced by China in August 2016 . . . Quantum communications for the Chinese are designed to produce encryption that is unbreakable—a capability that would hamper what has been a strategic advantage for the United States in relying on the very capable code breakers at the US National Security Agency.

Earlier in the book, Gertz had spent four pages recounting China’s theft, in 2013, of U.S. plans for the C-17 military transport plane. Reprehensible as that may be, it was not a game-changer. Quantum communications, a Chinese innovation, inaugurates a revolution in signals intelligence.

Gertz discusses Washington’s campaign to dissuade its allies from buying fifth-generation (5G) mobile broadband technology from China’s national champion Huawei Technologies. By the time the book went to press, it was evident that the initiative was a humiliating failure; not a single country on the Eurasian continent bent to American threats, which included the suspension of intelligence-sharing. Quantum communications help explain why.

About to Go Dark

Not only the Chinese, but South Korean, Japanese, British and other teams are building the capability to embed quantum communications in the new 5G networks. Not only will China go dark to U.S. signals intelligence; the rest of the world will, too, and in short order. Huawei’s 5G systems will wipe out America’s longstanding advantage in electronic eavesdropping. The U.S. intelligence community spends $80 billion a year, mostly on SIGINT, and the whole investment is at risk. Washington’s view, dutifully reported by Gertz, is that Huawei’s dominance in 5G systems will allow China to steal everyone’s data. The reality is far more ominous, as I understand it. China will enable the rest of the world to cut off America’s access to everyone else’s data. When Secretary of State Mike Pompeo urged a senior German official not to buy Huawei’s broadband, the German replied that China hadn’t eavesdropped on Chancellor Merkel’s cell-phone conversations, as had the United States.

Huawei owns 40 percent of the patents related to fifth-generation broadband, largely because it spent twice as much on research and development as its two largest rivals (Ericsson and Nokia) combined. The strategic challenge to the United States comes not from Chinese technology theft, obnoxious as that is, but from Chinese innovation backed by state resources. The American intelligence community realized too late that China had gained the upper hand, and convinced the Trump administration to try to postpone the 5G rollout until it could work out what to do next. The failure is of such catastrophic proportions that no one in a position of responsibility dare acknowledge it for fear of taking the blame.

Domination of E-Commerce and E-Finance

Huawei’s vision of a global broadband market under its domination is hardly a secret. This is a case where China has advertised its intentions while the United States ignored the issue. Since 2011, the company’s website has promulgated an “eco-system” enabled by broadband networks that in turn would bring in Chinese e-commerce, e-finance, logistics, and marketing—in short, the whole array of business and financial services that will integrate the labor of billions of people into the greater Chinese model.

The world will become a Chinese company store: Chinese banks will lend the money, Huawei will build the broadband network and sell the handsets, Alibaba and JD.Com will market the products, Ant Financial will make micro-loans, and Chinese companies will build airports and railroads and ports. As an investment banker for a Hong Kong boutique from 2013 to 2016, I saw this first hand, and reported it here. Among other things, Huawei is building most of Mexico’s new national broadband network, including 5G capability, in a consortium with Nokia financed by a group led by Morgan Stanley and the International Finance Corporation. Huawei also dominates telecommunications infrastructure in Brazil and other Latin American countries. China’s tech dominance in America’s neighborhood, remarkably, has occasioned no official comment from Washington.

In my view, this is far more alarming than what Gertz envisions. He writes, “China will control all deals and win any business arrangements it seeks by dominating the information domain and thus learning the positions of bidders and buyers. All Chinese companies will be given advantages in the marketplace.”

That simply isn’t the way things work. China will lock whole countries into Chinese hardware through state-financed national broadband networks, including Brazil and Mexico, where construction is underway. It understands the network effect that made Amazon and Facebook dominant players in the U.S. market, and will use its financial and technological head start to establish the same sort of virtual monopoly for Chinese companies throughout the Global South.

China envisions a virtual empire, with military deployments to protect key trade routes, starting with oil from the Persian Gulf. China’s navy established its first overseas base in Djibouti last year. Meanwhile China has invested heavily in high-tech weaponry, including satellite killers. During the first minutes of war, the United States and China would destroy each other’s communications and reconnaissance satellites. But China has a network of thousands of high-altitude balloons around its coasts, too many for U.S. forces to destroy.

Why a Shooting War Is Unlikely

The dog that doesn’t bark in this particular night is China’s land army. China has about 40,000 marines and an additional 60,000 seaborne mechanized infantry, enough to invade Taiwan. Otherwise its ground forces are feeble. China spends about $1,500 to arm an infantryman, as compared to $17,500 for his American counterpart. China owns no ground-attack aircraft like the American A-10 or the Russian SU-25. Unlike the United States, China hasn’t equipped its forces for any foreign expeditions, excepting of course the threat against Taiwan. With few exceptions its military priority is control of its own coastline. That in my view is why a shooting war is not likely. America cannot win a war on China’s coast, and China has scant interest in fighting anywhere else.

As we examine the details, the picture of a Soviet-style communist regime bent on world domination falls apart. China’s concept of world domination is so different from what we imagine that it has halfway come to fruition before we noticed it. The broader issues are too complex to address in a review, but I feel obliged to add that there is quite a different way of looking at present-day China, as an imperial system with a 3,000 year history.

In extensive contacts with Chinese officials, I haven’t met a single dedicated communist, except for the distinguished professor of Marxist-Leninist studies who asked me to help his child find a job on Wall Street. I do not believe in Gertz’s distinction between the good Chinese people and the wicked communist leaders. The emperor (the leader selected by the Mandarin caste that today masquerades as communists) is the capo di tutti capi, whose job is to limit the depredations of local power centers and maintain order. Most mainlanders will tell you blandly that, without an emperor they would kill each other, as they indeed have done after the fall of every Chinese dynasty.

No one should minimize the brutality of the present dynasty by any means; but it is no more reprehensible than the Ming, who buried a million forced laborers in the Great Wall, or the Qin, who destroyed the whole literary record of the Chinese kingdoms that preceded it and buried alive hundreds of scholars to ensure that no memory of the past survived. Every Chinese in a position of influence, when asked about the Muslim Uyghur minority in China’s far West, will say matter-of-factly, “We’re going to kill them all.” China has been exterminating “unruly barbarians” on its borders for thousands of years. That is why the Huns came to Europe and the Turks came to Asia Minor: Chinese punitive expeditions against these peoples forced them to migrate westward.

In China’s view, the “Century of Humiliation” that lasted from the First Opium War of 1848 to the Communist Revolution of 1949 was a temporary aberration that displaced China from its dominant position in the world economy, a position the present dynasty seeks to restore. If we do not want this to happen, we will have to dominate critical technologies, including quantum computing, quantum communications, broadband, Artificial Intelligence, and missile defense.

Weak Proposals

The recommendations that Gertz offers at the book’s conclusion do not convince me. He proposes to disengage economically from China; I should think that our object should be to introduce innovations that disrupt and discredit China’s state planning. We have none at the moment, but that is because American high-tech industry has invested overwhelmingly in software and left the manufacturing to Asia. We require a revival of American R&D on the scale of our response to Sputnik. Gertz also proposes “covert financial warfare” to disrupt China’s overseas borrowing. He does not seem to realize that China is a net creditor to the extent of $1.6 trillion, which means that it can finance its own requirements readily. He wants to crack down on Chinese nationals abusing their position in the United States, and so forth.

None of this will make a difference. Our problem is far graver. China now graduates four STEM bachelor’s degrees to every one of ours, and the ratio is rising. Foreign students earn four-fifths of all doctoral degrees in electrical engineering and computer science at U.S. universities. Because we have so few engineering students (just 5 percent of undergraduate majors), engineering faculties are small, which means that most of the foreign students return to teach in their own countries. The United States has trained a world-class engineering faculty at Chinese universities, such that the best Chinese students stay home. I know Chinese IT managers who will not hire Chinese students with a U.S. bachelor’s degree, because the Chinese programs are more rigorous.

We can only best China through innovation, and we are losing our edge in that regard. Nothing short of a grand national effort on the scale of the Kennedy moonshot or the Reagan Cold War defense buildup will get our mojo back.

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source https://dangkynhanhieusanpham.com/we-need-our-mojo-back-vis-a-vis-china/

#dangkynhanhieusanpham

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lexxikitty-blog1 · 6 years

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Collide-O-Scope by Andrea Bramhall Series: Norfolk Coast Investigation Story: #1 Read: May 2016 Rating: 5 Stars

I received an ARC of this book from NetGalley and Ylva Publishing in exchange for an honest review. This is my second book by this author. I rather enjoyed the first book I had read. It has been more than a year, though, since I read that book. I hadn't read another in between because of a 'trap' I sometimes fall into - if I love the first book that I read by an author (or, at least, really like), and I do not immediately read something else by them; I fall into the trap of fearing reading something 'less than perfect', which would seemingly, somehow, undermine my previous read. Yeah, I know, not logical. Location A small village, Brandale Staite, in North Norfolk England. A place of 39 year round residents (there had been 40, but Connie’s dead now). The village swells to four hundred ‘in season’. ‘The campsite holds six hundred people per night.’ Note: there is a map at the front of the book. It shows King’s Lynn (where Kate lives and where a second murder investigation takes place off-scene), Hunstanton (where the police work out of while investigating) but does not show Brandale Staite (unless that is also called Brancaster?). Main Characters There are two points of views in this book. Detective Sergeant Kate Brannon is relatively newly promoted to her position (three weeks before the beginning of this book), and relatively newly arrived in the area (moved to Kings Lynn from Norwich at same time as promotion). Though she grew up in a small village like setting near the sea. Nearish to an oil rig. This is important since her pop worked on one. Before it burned – it and him on it. Mother died when Kate was young. So she was raised by her grandmother, but she’s passed on now as well (when Kate was 17). Kate is currently 35. Drives a BMW Mini. Of Importance : There is a question that Gina asks Kate, something like ‘will someone miss you when you die?’ the answer is ‘no’. Georgina ‘Gina’ Temple is a woman who works as the second in command at Wells campsite (the manager). She is a mother of 9 year old Sammy, who she had when she was 17, making her 26 when the book opens. Had liked drinking a bottle of Shiraz with Connie. Also drinks Rioja. Of Importance : Sammy (daughter), Matt Green (father of her child), and Connie Wells (boss and friend). Secondary Characters NOTE: Since this is a mystery and ‘everyone’s a suspect’ I’ve attempted to add people as their names came up the first time. Not by order of importance. Police Inspector Savage is the person in control of the crime scene where Wells body was found. He is meet at the beginning of the book, and mentioned several times thereafter but has little to no interaction with the story after the beginning. Detective Inspector Timmons is Kate’s direct boss and would have normally lead the investigation of Wells death but for a slightly higher priority murder investigation involving three women in a ‘the middle of King’s Lynn.‘ Dr. Ruth Anderson is the medical examiner. Sergeant Stella Goodwin is ‘an experienced sergeant’ who will handle the inside the office stuff, while Kate handles the outside the office investigation. Technically she has been 'left in charge' when Timmons goes off to attempt to solve some other 'more important' case. I say technically because Goodwin and Brannon more often work together than have Goodwin dictate what Brannon will do. Detective Constable Jimmy Powers is Kate’s assistant. ‘A guy in his late twenties.’ Police Constable Collier is a newbie partnered up DC Brothers. Both working on the investigation. Detective Constable Tom Brothers works on the investigation. Makes jokes a lot. He ‘looked a little like a panda in reverse.’ Len Wild is the head of the forensics team working on the murder investigation. Villagers William Clapp is a worker at Wells’ campsite. He is a ‘thin, blonde guy’ with a ‘diamond earring . . . in his left ear.’ Leah Shaw is Connie’s ex. Described as being the people person of the relationship, though that is not in evidence in the book. Leah is currently bunking with Ally Robbins. Matthew ‘Matt’ Green is the father of Sammy Temple, and works for Sands. Lives in ‘Pebbles Cottage, Brandale Staithe.’ Ally ‘the Cat’ Robbins works on a lobster boat (or a fishing boat at least). Has a reputation of being ‘a tramp who’ll sleep with anything that doesn’t say no.’ Edward and Rupert Sands are the people that own half the village. Something like bitter rivals of Connie Wells. Murder Victim Connie Wells is/was a woman who ran the successful camp site in the village – the one that, in season, provides a great deal of support to the rest of the business in the village. The campsite is called ‘Brandale Backpackers and Camping.’ She was formerly attached to a woman named Leah, but sometime in the past, prior to the start of the book, they had split apart (six months prior?). Everyone, including the ex, but not including Gina and Sammy, describes Connie as being a bitch. And kind of disliked her. Medical examiner gave an approximate age for Wells of between 30 and 40. Of Importance : Merlin (dog), Leah (ex.), workers of her business, villagers Plot The book opens with a prologue. One that I see occasionally and kind of dislike for one specific reason. It allows the reader to see the character alive and bouncing around as a fully realized character. Then kills them. There’s a reason I stopped reading so many mysteries. Gets depressing – that. Well, so, the book opens, and a woman is out walking her dog along a particular path near a marshy flood plain. She has her camera with her and is taking pictures. Unlike most of her times taking pictures, she is less focused on nature and the like, and more on what is happening involving some lobster traps. Gun shots go off. Merlin, Connie’s dog, squeals in terror. The birds flee. Connie shrugs. The noise makers have gone off – sounds that are made in the morning by farmers to drive off birds. Connie raises her camera and focuses. Another shot goes off. Chapter one finds a Detective Sergeant Kate Brannon heading to a crime scene. There’s a frantic dog being held by a police officer, a crime scene inspector, and police. The police do not yet know who the victim is, since she does not have any identification on her, and she is missing her face. The book proceeds with following Brannon as she investigates. Timmons, her boss, would normally be the lead investigator, but another case comes up of slightly more importance. Relatively quickly, like in the first chapter (I think I recall), the identity is revealed to the police, though, of course, the reader already knew. Connie Wells has died. By gunshot. Wells, it turns out, has a business in the village, or on the outskirts, that involves a seasonal campsite. That campsite adds a ton of business to the village, and, as some note, the village itself would greatly suffer if that campsite were to close. Which, as it turns out, Wells was within a week of doing. And the whole village knew about this issue. Meanwhile, Wells has an ex-girlfriend who has made threats against her. The richest family, or at least the one that owns half the village (I rephrase as I do not know how wealthy Connie might have been), also despise Wells. It was mutual. So – everyone wanted her dead. Well . . . not exactly. One at least wanted her dead. The rest? Baring a few here and there (including Gina and Sammy Temple, and possible one or more of her other employees), just thought she was a bitch. So Brannon must first determine who the victim was, then who killed her. Overall There are many types of police books – a few of the varieties include (1) those that are mostly about the crimes and the people who investigate them (emphasis on investigation – police procedural – ‘just the facts’); (2) those that are like 1, but include a heavier emphasis on characters; (3) similar to 2 but injects romance while still focused mainly on the investigation; (4) like 3 but focus is mainly on the romance, while the investigation takes something of a back seat; (5) those which are mostly romance in nature, maybe mixed with danger, but the focus is heavily focused on the romance; plus a million and one other variations. This book is one that leans between 2 and 3 above – the book is heavily into the murder investigation (Kate), with some character development stuff (Gina), while having a bit of romance floating in the air . . . lightly in some places (beginning), a lot heavier in others (80%+) (Kate, Gina). I was thinking, while reading this book, that it reminds me of reading a Peter Lovesey book. I did not have a fully developed thought when I was thinking of Lovesey – beyond the idea that, unlike many/most lesbian fiction mysteries that involve the police, this specific book had a Lovesey vibe. This means nothing to those who have no idea what I’m talking about, of course. See, not fully developed thought. My point of thinking of him, had to do with emphasis – a lot of the lesbian fiction mysteries I’ve read have had romance be something of much greater importance than the mystery (at least those that include the police – there are many wherein it seems as if the characters in the story forget that there’s actually a mystery to solve, in favor of . . . um . . humping); while this book here gives greater importance to the mystery. Still, no inherent reason to bring Lovesey up. It was just a thought that had crossed my mind at some point. Lovesey’s books, specifically those that involve Peter Diamond, are ones that involve murder investigations set in England which is a more leaning 2 (depending on book and scene) with occasional dips into injecting romance. As in there is a lot of importance on characters. Right. No idea why I had that thought. Let’s move on. This book was a rather thrilling exciting mystery that included the right mix of romance. Granted, those who look for romance, as in capital R Romance, should probably look elsewhere, but there is a flavor of it here. There is one slight issue I have with the book. Though it is hard to indicate my 'issue' when it occurs so late in the book that I can't really mention it. I'll just say that there is something of a cliche in lesbian mystery books that pops up near the end. Though, to be fair, I've seen the scenario play out similarly in 'mainstream' fiction. I've just seen it more often in lesbian mystery books for whatever reason. Also, to be fair, this "cliche' is handled quite well in this book. Despite my 'issue', this a rather good book. Quite enjoyable. I would probably give the book a relatively solid rating of 4.70. May 4 2016

#Norfolk Coast Investigation Story #First in Series #Lesbian Mystery #Mystery #Lesbian Fiction #Book Review #Lesbian Book Review #ARC #Netgalley #2016 Reads #Ylva Publishing #5 Stars #Favorites

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deliciouslymagicalcollection · 7 years

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9 Tips to Avoid Becoming an Investment Fraud Victim

Investment fraud is as old as the world itself. From the day we stopped trading livestock and produce and began using money as a means of exchange, dishonest people have been trying to cheat and swindle it away. Though it is an old problem, recently Bemie Madoff and now (allegedly) Allen Stanford have brought it back to our attention in a big way. As an investment professional as well as a consumer, it's an outrage that both inexperienced and savvy investors alike get taken advantage of by conmen and charlatans. So in an effort to battle these wrongs and protect you from being a victim yourself, I offer these guidelines to reduce the risk of imprudent investment as well as fraud. 1. Educate yourself. Buy a basic investment primer if you don't know the basic nature and risk VS return characteristics of traditional stock, bond, money market, CD & mutual fund investments. Double digit returns invariably mean higher volatility. Annuities and retirement plans are long term investments. If an investment sounds "too good to be true", it probably is! Avoid the seduction of "alternative investments" except as a minor piece of a diversified portfolio. 2. TWOU Inventory Is All Established to Make an Advance Map out your goals before shopping or investing. What is the purpose and time horizon for the planned investment and your need for liquidity? 3. Who are you considering investing with? Never do business with a stranger you've only met over the phone or internet. You've been detecting clues about liars all your life by looking people in the eye and watching their response to impromptu questions! Get their business card It should show evidence of regulatory oversight and ideally professional designations (such as CFP®, CHFC or CPA PFS) which show evidence of continuous training and ethics reviews. Almost all investments are regulated either as securities or insurance and you can check out the investment advisor at finra.org/brokercheck or verify insurance licensing with the state. The Entrepreneurial Dreamer For Texas go to tdi.state.tx.us/. 4. Be careful mixing business with pleasure. Affinity fraud occurs when investors relax their investment scrutiny because they know or know of the salesperson from church, civic or social organizations. Con-men frequently depend on this approach! 5. Beware of "edutainment". Radio, TV and newspaper commentators are not legally responsible for their stated views and some program formats promote audience interest by featuring two radically different viewpoints. Merely writing a popular book or appearing on Oprah does not make someone an invest-ment expert or appropriate investment advisor! 6. Ask tough questions. How is the salesperson compensated? Does he or she have an incentive to promote "new issues" or proprietary products? Will there be regular written performance reports and is online lookup available? 7. Don't be rushed - check it out. Say no to any salesperson that pressures you to make an immediate deci-sion. Get an independent research report on any stock or bond and a prospectus on mutual funds or vari-able annuities. Be suspicious of "hot tips" or "one time offers". 8. Benefit from internal controls. Never make investments in cash or payable to the salesperson. Most in-vestments can be held within a SIPC insured brokerage account and initial investments should be pay-able by check to the brokerage firm (or insurance company). 9. Limit your exposure. Investing in 2017 - Energetic, Passive or Every single? Limit the amount you invest in any one security to 5 - 10% of your investment capi-tal. Diversification is your friend.

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everettwilkinson · 7 years

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Weekend Reads: El Capitan, Everest, and Peak Performance

It has been an epic week. And I don’t use that adjective lightly.

At 31 years of age, Alex Honnold became the first person to “free-solo” to the top of El Capitan, the 3,000-foot-tall granite wall in Yosemite National Park.

Just so we are clear: He did so without ropes or safety gear, just a small bag of chalk. And he made it to the top in under four hours. To further put it into perspective, in January 2015, Kevin Jorgeson and Tommy Caldwell became the first to free-climb the Dawn Wall, one of the routes up the face of El Capitan. It took them 19 days. And unlike Honnold, they used harnesses and ropes for safety.

The day after Honnold’s remarkable feat, more than 21,000 runners took to the road for the annual Comrades Marathon, a grueling 86.73-kilometer race between the cities of Durban and Pietermaritzburg in South Africa. It is the world’s largest and oldest ultramarathon race. Runner’s World describes it as: “Fifty-five brutal miles. Five torturous climbs. A ruthless clock.”

On Monday, four Arab states — Saudi Arabia, Egypt, the United Arab Emirates (UAE), and Bahrain — took the extraordinary step of severing diplomatic ties and transport links with Qatar, a US military partner.

The following day (6 June) marked the 73rd anniversary of D-Day, the Allied invasion of Normandy during World War II. John Authers of the Financial Times writes that it was “one of the bloodiest and most important days of warfare in human history.” Here’s a look at a remarkable set of colorized photos of the D-Day landings.

All of this was before former FBI Director James Comey’s riveting testimony to the US Senate Intelligence Committee and the general election in the United Kingdom, which saw campaigning suspended over the weekend due to the London Bridge terrorist attacks.

If I were to pick a theme or two for this week, it might well be endurance and resilience.

Here are some good reads and one TED Talk in case you missed them:

I recently had the opportunity to watch Meru, which documents the efforts of three climbers — Conrad Anker, Jimmy Chin, and Renan Ozturk — to conquer the “Shark’s Fin” route on “Meru, a 21,000-foot-plus mountain in the Garhwal Himalayas in northern India.” The Shark’s Fin is a 1,500-foot vertical rock wall at the very top that is regarded as one of the toughest climbs in the world. Meru won the 2015 Sundance Film Festival’s prestigious Audience Award. It is a remarkable feat of camerawork and a tale of resilience and human endurance. To undertake climbing Meru, “You can’t just be a good ice climber,” says Jon Krakauer, the bestselling author of Into Thin Air, “You can’t just be good at altitude. You can’t just be a good rock climber. It’s defeated so many good climbers and maybe will defeat everybody for all time. Meru isn’t Everest. On Everest, you can hire Sherpas to take most of the risks. This is a whole different kind of climbing.” As David Ferry explains, Chin filmed much of the climb while tacked to the Shark’s Fin rock wall, the final section of the 21,850-foot Meru Peak. If you’re curious about what drives people to scale seemingly insurmountable peaks, and the mental and physical strength needed to survive the conditions and setbacks, this one is for you. (NPR, Outside)

Meru made me think of Kilian Jornet Burgada, the Spanish ultra runner-turned-alpinist who summited Mount Everest twice in one week without oxygen or fixed ropes. He was the subject of a 2013 profile I included once before and am doing again: “Becoming the All-Terrain Human.” According to Jay Bouchard, “Burgada set a new record for the fastest known alpine ascent of the world’s highest peak in the early hours of Monday morning, having climbed 11,429 feet to the top of Everest in a mere 26 hours.” Outside profiled him in 2014. “You need to be humble. This sport is about improving, not winning,” he told the magazine. “You never learn from victory.” (Kilian Jornet, The New York Times, Outside, Himalayan Times )

It is easy to get bogged down in negativity these days, which is why I appreciated a recent The Science of Work article suggesting the best self-help advice may be to focus not on self-esteem but on “other-esteem.” It was a good reminder to ask: “How can I start seeing more of the good in people, more often?” (Fast Company)

Brad Stulberg, a columnist for Outside magazine and co-author of the new book Peak Performance, writes that so much of performance focuses on the individual but that that only tells half the story: “What sets the best apart from the rest isn’t cutting-edge technology, or ritzy facilities, or even great individual athletes or coaches,” he says. “It’s the supportive community and culture; when the athletes and coaches are all dedicated to getting better and supporting each other in doing so. This kind of culture makes doing the hard thing just a little easier, whether the ‘hard thing’ is a specific task, keeping a positive attitude amongst a string of setbacks, or gritting out a tedious stretch of work.” While a positive environment and great leaders can have a positive effect on a group, negativity may be a more powerful force. He cites a 2010 study of US Air Force Academy cadets in which psychologists from the National Bureau of Economic Research (NBER) tracked a cohort of cadets over four years: “Even though all the squadrons trained and recovered in exactly the same manner, some squadrons showed vast increases in fitness over four years whereas others did not. It turns out the determining factor as to whether the 30 cadets within a squadron improved was the motivation of the least fit person in the group. If the least fit person was motivated to improve, then his enthusiasm spread and everyone improved. If, on the other hand, the least fit person was apathetic or, worse, negative, he dragged everyone down. Just like diseases easily spread through tight-knit groups, so does motivation. And it’s quite contagious.” If you’re feeling demotivated, ask yourself: Who is in my squadron? Whose motivation is rubbing off on me? (The Mission)

Stulberg’s article reminded me of a recent tweet by Stanford University professor Bob Sutton: “The culture of any organization is shaped by the worst behavior the leader is willing to tolerate.” Sutton is the author of a book with the mildly obscene title: The No Asshole Rule: Building a Civilized Workplace and Surviving One That Isn’t. He wrote an article explaining why he had used “such a bold (and to some, offensive) title.” (Harvard Business Review )

Speaking of leadership, the late Warren Bennis was “an eminent scholar and author who advised presidents and business executives on his academic specialty, the essence of successful leadership — a commodity he found in short supply in recent decades.” When he died in 2014, his obituary noted that Bennis “believed in the adage that great leaders are not born but made, insisting that ‘the process of becoming a leader is similar, if not identical, to becoming a fully integrated human being.’ . . . Both, he said, were grounded in self-discovery.” His daughter, Kate Bennis, recently wrote about what her father might have made of this moment in history. (The New York Times, Kate Bennis Coaching)

I love walking and really enjoyed this wonderful essay on the relationship between walking, thinking, and writing. (The New Yorker)

From walking, my thinking leads me to driving, or more specifically, not driving, and what a future with driverless or self-driving cars looks like. RethinkX, an independent think tank that analyzes and forecasts the speed and scale of technology-driven disruption and its implications across society, released a report, “Rethinking Transportation 2020-2030,” and notes “we are on the cusp of one of the fastest, deepest, most consequential disruptions of transportation in history.”

Does .999 . . . = 1? Mathematician Steven Strogratz describes the blog post,”0.999 . . . It Just Keeps On Going” as “a careful discussion, both mathematically and psychologically, of why .999 . . . = 1 and why many people don’t believe it.” (Shiny Pebbles and Other Stuff)

If you’re an arachnophobe, this next article probably isn’t for you. “The Thoughts of a Spiderweb“ is a fascinating exploration of spiders apparently offloading cognitive tasks to their webs. (Quanta Magazine)

Morgan Housel recently penned a thoughtful post on the difference between expiring knowledge and long-term knowledge and why it’s important to shift the balance to the latter: “Expiring knowledge tells you what happened; long-term knowledge tells you why something happened and is likely to happen again. That ‘why’ can translate and interact with stuff you know about other topics, which is where the compounding comes in.” (The Collaborative Fund)

This echoes a recent column by Andrew Hill about the real return on reading novels, or “brain food.” (Financial Times)

And finally, architecture critic Justin Davidson recently made his TED debut with a wonderful talk on “Why Glass Towers are Bad for City Life — and What We Need Instead.” (TED)

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All posts are the opinion of the author. As such, they should not be construed as investment advice, nor do the opinions expressed necessarily reflect the views of CFA Institute or the author’s employer.

Image credit: ©Getty Images/Ray Kachatorian

Lauren Foster

Lauren Foster is managing editor of Enterprising Investor and co-lead of CFA Institute’s Women in Investment Management initiative. Previously, she worked as a freelance writer for Barron’s and the Financial Times. Prior to her freelance work, Foster spent nearly a decade on staff at the FT as a reporter and editor based in the New York bureau. Foster holds a BA in political science from the University of Cape Town, and an MS in journalism from Columbia University.

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from CapitalistHQ.com http://capitalisthq.com/weekend-reads-el-capitan-everest-and-peak-performance/

#TrumpNews #CapitalistHQ.com

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worldhotelvideo · 6 years

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pangeanews · 5 years

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“Trump è un razzista, Obama non meritava il Nobel per la pace (né Bob Dylan quello per la letteratura), l’Islam è responsabile di un fondamentalismo distruttivo”: intervista fiume a Wole Soyinka

[Wole Soyinka, di fatto, è il solo scrittore africano insignito del Nobel per la letteratura. Il premio gli è accaduto nel 1986; gli altri due ‘nobeliati’ sono sudafricani bianchi, Nadine Gordimer (era il 1991) e John Maxwell Coetzee (nel 2003). I suoi libri sono pubblicati in Italia da Jaca Book, che l’anno scorso ha mandato in libreria “L’uomo è morto? Smurare la libertà” e tra l’altro, con il marchio Calabuig, ha stampato testi importanti come “La strada” (2018), “Gli interpreti” (2017), “L’uomo è morto” (2016). L’editore Bompiani ha pubblicato nel 2015 “Africa”. In maggio Jaca Book pubblicherà il testo poetico ” Ode Umanista per Chibok”. Quest’anno Soyinka compirà 85 anni. Già drammaturgo al Royal Court di Londra e prof a Yale e ad Harvard, voce critica della letteratura africana – e per questo, antipatico ai dittatori – Soyinka è stato intervistato da Henry Louis Gates Jr. L’esito è reso pubblico dal “New York Review of Books” con il titolo “There’s One Humanity or There Isn’t: A Conversation”. Traduciamo ampi stralci dalla conversazione]

***

Henry Louis Gates Jr.: Wole, qual è il suo punto di vista circa l’impatto di Donald Trump in Africa, e come viene percepito nel continente?

Wole Soyinka: Mi permetta di dirlo senza tanti giri di parole. Viene considerato una mina vagante che sta dimostrando comportamenti razzisti, xenofobi, e tenuti nascosti a lungo.

Gates: Esiste un rapporto di causa-effetto tra il fatto che un uomo di colore abbia occupato la Casa Bianca per otto anni e che poi sia stato eletto il suo esatto opposto?

Soyinka: Trump si è presentato con un programma basato sul disprezzo politico, razziale e ideologico nei confronti di Obama. Non è stato nemmeno discreto riguardo alla sua missione di smantellare l’eredità di quest’uomo di colore.

Gates: Ed è senza precedenti, nella mia esperienza, che un politico dica: “La cosa più importante per me è cancellare i provvedimenti politici del mio predecessore”.

Soyinka: È insolito. In Nigeria e in altri paesi, quando si sente che un presidente o un governatore è arrivato e ha iniziato a sparlare delle politiche, dei traguardi o delle attività del proprio predecessore, di solito è per un solo scopo. Cancella questo, quello, quell’altro, così può ricominciare da capo a guadagnarsi i soldi. In altre parole, spesso alla radice c’è la corruzione. [ride] Questa è la prima volta che ho visto un approccio iconoclastico, la negatività pura come scopo, come ideologia di un nuovo presidente. È come dire agli americani “Vi hanno venduto uno scemo. Io sono l’autentico americano e quindi posso fare quello che voglio”.

Gates: È corretto dire che Donald Trump è razzista?

Soyinka: Direi proprio di sì. So che i politici possono dire o fare qualsiasi cosa, ma allo stesso tempo, credo sia del tutto meschino che un’arma pericolosa come il razzismo possa essere usata per fare carriera. Il razzismo politico è controverso. Viene deliberatamente usato come arma per mettere una parte contro l’altra. Qualsiasi capo di Stato, persino un funzionario minore, può fare affermazioni riguardo a “paesi di merda” – e addirittura menzionarli! – e dire, “D’altro canto, potete portarmi i norvegesi con occhi azzurri. Non mi importa che loro entrino nel paese”. Si può essere più razzisti? Ci si può avvicinare oltre alla funesta dottrina dell’ideale di umanità degli ariani con gli occhi azzurri?

Gates: Ha strappato la sua green card quando ha sentito che Trump era stato eletto presidente. Perché l’ha fatto?

Soyinka: Perché ho capito cosa stava succedendo. E molti non sanno quanto io sia legato alla nostra diaspora, non solo storicamente o intellettualmente, ma anche emotivamente.

Gates: La diaspora africana?

Soyinka: Sì, assolutamente, la diaspora africana, che sia negli Stati Uniti, ai Caraibi o persino in Iraq, dove abbiamo scoperto gli Zanj [minoranza africana, nata da schiavi, in Iraq, ndr]. Uno dei fatti poco noti su di me è che ho avuto una piccola, minuscola parte nella desegregazione dell’America, quando ho personalmente abolito la segregazione in una piscina ad Atlanta durante una conferenza tenutasi lì nei primi anni Sessanta. L’emozione provata nel vedere un uomo di colore salire alla posizione più elevata in questa nazione basata su una cultura schiavista, è stata paragonabile alla visione del decollo di un razzo verso lo spazio. Quindi quando ho visto ciò che sembrava un rovesciamento delle conquiste della diaspora nera, mi sono allarmato e abbattuto. L’ho capito, e ho detto ”se gli americani permettono che ciò succeda, quest’uomo che rigurgita una retorica divisiva e razzista, ridurrò la relazione che ho con questo paese”. Quindi non ho detto di aver voltato del tutto le spalle agli Stati Uniti. È stata una dimostrazione di come mi sentivo. In più per tagliare la carta sono andato all’ambasciata.

Gates: L’ha tagliata?

Soyinka: Era difficile strapparla. Non sapevo come fare, quindi l’ho tagliata. La porto in giro come un talismano, così se mi verrà mai negato l’accesso negli Stati Uniti dirò “Okay, so perché lo state facendo. Volete un souvenir? Ve ne do un pezzo”. Perciò sono andato all’ambasciata perché bisogna formalizzarlo.

Gates: Quindi ha firmato il ripudio. Non l’ha più ripresa?

Soyinka: Valuterò se riprenderla quando vi sarete liberati di Trump.

Gates: Lei è stato insignito del Nobel. Ricordo che molti rimasero sorpresi – alcuni euforici, alcuni scioccati – quando la commissione conferì a Obama il Premio Nobel per la pace poco dopo essere stato eletto. Cosa ne pensò lei?

Soyinka: Posso dirle francamente che non credo sia stato un gesto positivo. Prima o poi i capi di Stato si trovano obbligati a prendere provvedimenti drastici, che non possono essere considerati nell’ottica della pace, ma possono essere giustificati dalle circostanze – se si viene attaccati, ad esempio. Se qualcuno attaccasse persino la mia Nigeria senza alcuna ragione e il presidente non prendesse nessun provvedimento, sarei in prima linea con coloro che lo vorrebbero buttare fuori dall’ufficio. E credo che alle persone in questo tipo di posizione, che devono fare scelte difficili non si dovrebbe consegnare un riconoscimento come il Premio per la pace. Dopo la fine del mandato si possono guardare i risultati e verificare se siano state messe in pratica politiche o azioni che la promuovessero. Perché per me la pace non è una virtù banale. È qualcosa che l’intero universo brama prima o poi. Non bisogna essere all’altezza di un premio. Il riconoscimento dovrebbe essere post factum. Questo è l’unico motivo per cui ero contro il Nobel.

Gates: Come giudicherebbe l’eredità di Obama come presidente?

Soyinka: Per come mi ha influenzato personalmente quando detenevo la green card ed ero un residente permanente di questo paese, posso dire grazie al cielo per la Obamacare nei tempi duri per la mia famiglia. Quindi capisco il suo valore, il suo significato per la gente normale. E rivolto a chiunque cominci a smantellarla: per me equivale ad un crimine contro l’umanità. Per quanto riguarda la politica estera, ovviamente Obama è stato risoluto se necessario. Ricordo le sue prime dichiarazioni dopo che divenne presidente: “Offriamo una mano di amicizia, ma allo stesso tempo siamo pronti ad agire con il pugno della resistenza”. Credo che questo esprima chiaramente quale dovrebbe essere la filosofia di qualsiasi governante nel mondo. Alcuni pensano che fosse cauto fino alla timidezza. Non sono affatto d’accordo. L’incremento delle armi di distruzione di massa rende possibile lo scoppio di una terza guerra mondiale. Viviamo in un mondo estremamente precario che richiede equilibrio e attenzione. Lo ha dimostrato nell’incredibile impresa di catturare Osama bin Laden. È necessario un leader cauto, di buoni principi, ed efficace per autorizzare un’operazione del genere come segnale al mondo che non si commette questo tipo di atrocità senza aspettarsi ripercussioni. È servito coraggio. Le persone obiettarono che fu omicidio extragiudiziale. Lo trovo davvero ridicolo. È stato un crimine globale e Obama ha preso provvedimenti. Allo stesso tempo, tuttavia, l’ecumenismo, possiamo dire, di Obama, il suo senso di dedizione per l’uguaglianza delle culture, a volte lo ha condotto sulla strada sbagliata. Ad esempio, credo che la sua affermazione al Cairo sia stata un disastro in termini di liberazione dell’umanità – quando ha parlato del suo, non proprio assenso, ma sostegno al diritto di qualsiasi cultura di costringere le donne ad indossare il velo. Questo genere di discorso ha reso quello di umanità un concetto relativo. Per me, c’è un’unica umanità o non c’è affatto. Nessuna cultura ha il diritto di umiliare la femminilità. Anche se non si può fare nulla a riguardo, quanto meno non si deve mai fare una dichiarazione che supporti una qualsiasi nozione di relativismo culturale, non quando sono coinvolti la dignità e i diritti fondamentali dell’umanità. Inoltre credo che Obama abbia preso troppo le distanze dalla comunità di colore. L’ho trovato piuttosto seccante. Finché non si raggiunge piena giustizia razziale – questo non accadrà nel tempo della mia vita e probabilmente nemmeno della vostra – come una sorta di modalità di esistenza sociale naturale e casuale, deve esserci sempre un qualche tipo di attenzione verso gli strati più svantaggiati della popolazione, sia che si parli in termini di genere che in termini razziali. E penso che Obama abbia voltato le spalle a questo tipo di umanità. Direi che questi sono i problemi principali che ho avuto con Obama. Per il resto, sono convinto che il suo sia stato uno dei mandati più progressisti alla Casa Bianca, e che gli americani abbiano il diritto di rimpiangere la loro scelta nelle ultime elezioni. […]

Gates: Ci aiuti a comprendere il ruolo del fondamentalismo religioso in Nigeria, sia quello islamico che quello cristiano evangelico.

Soyinka: Si presenta sotto varie forme e le persone ritengono saggio essere obbiettivi, ma quando si parla di morti nell’ordine delle centinaia e spesso uccisi in modi orrendi, bisogna essere estremamente diretti e franchi. Esiste un fondamentalismo innocuo e trascurabile e uno maligno e violento, e sfortunatamente è l’Islam a produrre quel genere di fondamentalismo aggressivo e distruttivo. O almeno coloro che hanno commesso questi crimini contro l’umanità affermano di essere musulmani. E non basta che i leader, tra l’altro molto in ritardo, continuino a dire “Questo non è Islam.” Lo sappiamo già. La cosa importante, il fattore decisivo, è che sono i sostenitori del “vero Islam” – stando a ciò che dicono – a commettere questi crimini contro la comunità. All’inizio sono stati coccolati, viziati. Il governo si è fatto in quattro per ignorare gli eccessi. I loro stessi capi religiosi hanno mantenuto il silenzio per qualche tempo, finché sono diventati anch’essi dei bersagli. Ci sono state delle eccezioni, devo evidenziarlo. Grazie al cielo fin dall’inizio ci sono state eccezioni che hanno gridato a squarciagola “Questi non siamo noi. Non è la nostra religione. Queste persone sono criminali. Sono psicopatici. Non abbiamo niente a che fare con loro”. Ma per ragioni politiche il governo si è rifiutato di prendere sul serio questa minoranza fino a tempi recenti, quando si sono verificati episodi vergognosi come il rapimento delle ragazzine portate nella foresta e trattenute per anni. Traumatizzate, deumanizzate. Un’atrocità dopo l’altra. Fondamentalmente è un problema di impunità. O hai una costituzione o non ce l’hai. O hai delle leggi o non le hai. Se hai delle leggi e un gruppo di persone continua a trasgredirle, sostenendo di essere autorizzate dalle sacre scritture a commettere dei crimini, allora non fanno parte del sistema di governo generale. La prima reazione si sarebbe dovuta verificare quando lo stato del Zamfara decise di adottare la Shari’a come legge del sistema legale. Fu chiaramente detto che ciò era contro la costituzione, la quale non permette uno stato teocratico. Tuttavia, come capita spesso in questi casi, l’allora presidente Olusegun Obasanjo adottò una politica di pacificazione per rimanere al potere. E gli è stato detto “Devi prendere provvedimenti”. Ma intanto stava facendo la corte proprio a questi gruppi per ottenere il loro supporto e prolungare la sua permanenza al governo. E così l’impunità regnò sovrana. Una cosa seguì l’altra, sia su scala maggiore che minore. I diritti umani diventarono un pensiero secondario, ammesso che ce ne sia stato uno. Furono adottati tutti i tipi di pena non presenti né nella costituzione né nella legislazione, ad esempio l’amputazione per i piccoli furti. Sì, un caso si è verificato prima che l’intervento internazionale costringesse il governo a porre fine alla cosa. Ma almeno una di queste pene fu portata a termine e altri furono minacciati. Ricorda il noto caso della donna condannata alla lapidazione? Se una sentenza del genere fosse portata a termine, strapperei il mio passaporto. Non riuscirei a concepire l’idea di vivere in una nazione, definendomene cittadino, che permette queste atrocità: seppellire una donna fino al collo e lapidarle la testa finché non diventa poltiglia. Non importa se succede in Arabia Saudita o in Afghanistan. Dunque al fondamentalismo religioso è stato permesso di radicarsi. Sarebbe potuto essere fermato, rimesso al suo posto. La religione è un affare privato. Volete organizzarvi, pregare insieme? La costituzione lo prevede. Se si vuole adottare una cultura dettata dalla religione, che non viola i diritti degli altri, non penso che qualcuno possa interferire. Volete coprirvi con il velo dalla testa ai piedi? Potrei considerarlo disgustoso da guardare, però non vi toglierei l’hijab. Ma non si può sfidare la costituzione imponendosi sugli altri aspetti della comunità, non si può obbligare gli altri a rispettare tassativamente le norme della religione. […]

Gates: In un tempo di sconvolgimento sociale e ingiustizia spesso gli scrittori hanno fatto ricorso ad allegorie per fare l’appello più potente all’immaginazione della libertà. Ora, da maestro del tono mitico, come vede oggi il ruolo dello scrittore/attivista nel mondo che ha appena descritto?

Soyinka: Una delle cose che mi piace sottolineare quando affronto questo tipo di domande è che bisogna sempre considerare questa questione separatamente dall’epoca contemporanea, così da comprendere che in ogni società ci sono sempre stati artisti coscienti, spesso impostati in modo ritualistico. Esistono nella cultura nera e so che ci sono anche in quella etiope. Ci sono tracce nelle società che segnano la celebrazione del pesce d’aprile – chiamato con nomi diversi a seconda dei paesi – durante il quale si esprime una voce alternativa, o direttamente o tramite gli strataggemi artistici come spettacoli, messinscene, burlesques. Perciò quando parliamo del ruolo degli attivisti e degli scrittori oggi, non è una novità. In Africa e nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, viene falsamente considerato un concetto occidentale. Lo trovo irrispettoso in modo criminale. Quindi secondo me non è cambiato nulla. Si stanno solo usando nuovi mezzi: vignette, che sono una caratteristica di spicco in molte società, spettacoli, sketch, commedie satiriche, teatro e ovviamente musica. È un continuum. Cerco sempre di sottolinearlo; non sta accadendo nulla di davvero innovativo. Semplicemente adesso abbiamo dei mezzi di comunicazione che evidenziano le difficoltà degli scrittori coinvolti in questo genere di attività. È intrinseco nella natura sociale, che non è mai unitaria. In caso contrario l’umanità morirebbe, e questo non ci piace. Continua solo a rivitalizzarsi, rimodellandosi in vari modi e adattandosi alle condizioni particolari. Qual è la differenza tra un giovane uomo completamente sconosciuto che si dà fuoco in Tunisia – dando così inizio alla primavera araba nel paese, dove già da prima erano cominciati dei dissidi – e, a parte le conseguenze individuali, la donna che in Egitto si è scoperta il seno in segno di protesta? È stato per dire “Okay, state dicendo che c’è emancipazione ma noi donne non la percepiamo. Siamo ancora soggette a queste condizioni discriminatorie e umilianti come esseri umani”. E allora si è spogliata completamente fino alla vita e ha postato deliberatamente la foto su internet. Questa è stata la sua forma di protesta. Durante il movimento delle suffragette, le donne si incatenavano alle ringhiere davanti a Westminster. La società, persino quella più rozza e chiusa, trova sempre un modo per mostrare che esiste un’alternativa. Perciò non vedo alcuna differenza nel modo in cui oggi gli scrittori affrontano gli aspetti inaccettabili della loro società.

Gates: Qual è la sua spiegazione per l’improvvisa esplosione di creatività da parte delle scrittrici africane? Stiamo assistendo ad una rivoluzione?

Soyinka: È un fenomeno. Davvero commovente. Ma mi permetta di raccontarle una cosa successa in Nigeria. Alcuni anni dopo la guerra civile, qualcuno mi ha detto esserci stato un incontro dell’organizzazione del gruppo etnico Igbo (chiamata Ohanaeze) durante il quale fu presa una decisione riguardo il riposizionamento della stessa popolazione per permettergli di riprendersi dal trauma e dalla devastazione della guerra civile, sbalzandoli dalla posizione di rilievo che avevano avuto nel paese [Gli Igbo sono uno dei tre maggiori gruppi etnici in Nigeria, e l’organizzazione Ohanaeze Ndigbo, fondata nel 1976, li rappresenta dentro e fuori dal paese. La sua direzione è in parte eletta in modo democratico e le decisioni devono essere rispettate da tutta la Ndigbo. Spesso, il resto della popolazione nigeriana viene a conoscenza delle riunioni dell’organizzazione solo quando le decisioni vengono rese note. Non è insolito che queste decisioni vengano contestate, ndr]. E decisero che avrebbero cominciato a concentrarsi sull’istruzione delle donne, e che gli uomini per ottenere un cambiamento dovevano gestire le risorse economiche degli Igbo. Uscire, commerciare, fare affari per raccogliere fondi per questa rinascita economica, e le donne dovevano assolutamente andare a scuola; in altre parole, invertire la rotta tradizionale. Questo mi è stato detto in confidenza da un Igbo molto affidabile. Le donne che hanno sempre occupato le fasce più basse della società, ora si sentono galvanizzate intellettualmente e dal punto di vista creativo. Sospetto che ciò abbia provocato un fenomeno di emulazione tra questa generazione di donne in Nigeria, specialmente nella parte occidentale. È l’unica spiegazione che immagino. Per questo tendo a credere a questa storia, per la vivacità della creatività femminile, lo spirito imprenditoriale in ambito culturale: anche le arti visive, le riviste, i giornali sono stati inaugurati dalle donne Igbo. Sono stati prodotti degli ottimi romanzi.

Gates: Era sorpreso quando l’Accademia svedese ha insignito Bob Dylan del Premio Nobel?

Soyinka: Sì e all’inizio provavo sentimenti contrastanti a riguardo. In seguito ho nettamente propeso per quello negativo. Prima di tutto, confrontata con l’industria musicale, la letteratura è nettamente svantaggiata in termini di fondi e riconoscimento popolare. Diciamo le cose come stanno: gli scrittori devono lavorare il doppio rispetto a un musicista, specialmente del genere pop. Non parlo della musica classica, che è più impegnativa. La vedo come una di quelle provocazioni: “Rompiamo gli schemi per il solo gusto di farlo”. Non ne sono rimasto affatto colpito. Anche se si volesse fare una cosa del genere, si dovrebbe procedere come si fa solitamente per la letteratura. Vuoi separare il testo dal suono e affermare che anche quella è letteratura, nonostante sia in musica? Allora bisogna applicare gli stessi rigidi standard, e non credo che sia stato fatto. Guardo la lista di poeti nominati in passato. Paragono le loro opere ai testi di Bob Dylan ed è una cosa ridicola. […]

Gates: L’America nelle sue condizioni migliori ha eletto Obama, ma in qualche modo la reazione è stata eleggere il peggio?

Soyinka: Esatto. Non che mi aspettassi niente di diverso, anzi sono sorpreso che gli elettori americani non sembrassero preparati; e quindi ogni giorno c’è un nuovo shock, una nuova preoccupazione. E so che anche quelli che hanno eletto Trump si staranno chiedendo cosa credevano di fare. Mi dispiace ma non offrirò le mie soluzioni perché non ne ho.

Gates: Da cosa deriva questa attrazione di Trump verso Putin? Come la spiega?

Soyinka: Non ne ho idea.

Gates: Quindi adesso Putin è l’uomo più potente del mondo?

Soyinka: Quello che posso dire è che persino Putin è più credibile come leader rispetto a Donald Trump.

*Traduzione italiana di Giulia Di Blasio

L'articolo “Trump è un razzista, Obama non meritava il Nobel per la pace (né Bob Dylan quello per la letteratura), l’Islam è responsabile di un fondamentalismo distruttivo”: intervista fiume a Wole Soyinka proviene da Pangea.

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