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#città di carta
koufax73 · 2 years
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Marco Parente: "Una città di carta" è la nuova colonna sonora
"Una città di carta" (Blackcandy Produzioni) è la colonna sonora originale di Marco Parente tratta dall'omonimo film di Guido Laino
https://open.spotify.com/album/0Wwf2W4by0VvMIWTB6p35q?si=h3pVx2KRQlSqBM6x9vEsrA Una città di carta (Blackcandy Produzioni) è la colonna sonora originale di Marco Parente tratta dall’omonimo film di Guido Laino, presentato al Trento Film Festival il 3 e il 4 maggio. 55 minuti di puro flusso interamente strumentale in una forma acustica, eppure contemporanea. In perfetta simbiosi con le immagini e…
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falcemartello · 7 months
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Cos’è veramente la UE?
“L’Unione Europea è oggi strutturalmente uno stato imperiale autoritario” Philippe Fabry
La pandemia e la crisi Ucraina hanno consentito alla Commissione Europea di arrogarsi il diritto di dare la direzione politica ai paesi membri, come quella di decidere campagne vaccinali obbligatorie e fornire da subito armamenti all’Ucraina.
La Commissione è una sorta di potere autocratico che risponde poco o niente al Parlamento, che è l’unica istituzione con una parvenza democratica. La Commissione, inoltre, non è limitata nel potere da nessuna carta costituzionale, che non esiste in Europa.
Essa è l’emanazione del Consiglio Europeo che è un super organo, un esecutivo al quadrato. Il Parlamento avrebbe la possibilità di intervenire con censure nei confronti della Commissione, ma servirebbe una maggioranza di 2/3, un risultato praticamente impossibile.
La Commissione approfitta di questo predominio e agisce indipendentemente con il monopolio dell’iniziativa legislativa. Cioè è esclusivamente l’esecutivo che fa le leggi. Una burocrazia che governa senza controllo.
La UE è diretta dalle élite di Bruxelles con una cultura globale basata sull’ecologismo, il multiculturalismo, un certo femminismo radicale e l’LGBTismo. Una cultura tutta metropolitana, perché solo nelle aree urbane si può pensare di sostituire l’automobile con il pullman o con la bicicletta. Inoltre in città c’è la maggiore concentrazione di LGBT, dato che in campagna sarebbero più isolati e a disagio.
Siamo in una arretratezza democratica impressionante. Questo autoritarismo di Bruxelles sta crescendo anno dopo anno. Non a caso Junker dichiarò al Figaro nel 2015: “Non ci possono essere scelte democratiche di fronte ai trattati europei” Ursula Von der Leyen a settembre 2022 ha spiegato chiaramente gli intenti della Commissione nel caso qualcuno volesse metterla in discussione. Lo ha fatto in occasione delle ultime elezioni nazionali in Italia: ”Ci sono gli strumenti a disposizione di Bruxelles per sanzionare eventuali attentati ai principi democratici dell’UE in caso di vittoria della coalizione di destra nelle elezione di Domenica prossima in Italia”
C’è da aggiungere altro?
Fortunato Nardelli
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libero-de-mente · 5 months
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Questa è una storia vera.
Credo che fosse una notte estiva di circa diciassette, o forse diciotto, anni fa.
Avevo finito di lavorare abbastanza presto per gli standard a cui ero abituato in quel periodo. A mezzanotte chiusi il ristorante e a bordo della mia auto feci la strada per tornare a casa.
Non avevo cenato e i morsi della fame si facevano sentire, così decisi di fare sosta da Majd, un bravissimo e onesto kebabbaro che sapevo essere l'unico, in una città che chiude i propri locali sempre presto, che potesse darmi da mangiare. E poi il suo panino kebab "sensa salsa picante", come diceva lui, era buonissimo.
Una volta consegnatomi il "malloppo" caldo racchiuso con cura nella carta stagnola ci salutammo, uscii dal suo locale. Preferivo mangiarmelo a casa, non abitavo molto lontano da lui, con comodità e in relax. Mentre il resto della famiglia dormiva.
Appena uscito dal "Kebab di Aladino" sul marciapiede noto una ragazza, uno sguardo di sfuggita per non essere invadente ma che mi era bastato per notare il suo nei miei confronti.
La mia auto era a sette od otto metri da lei, appena oltre le linee gialle che delimitavano la fermala dell'autobus. Un autobus che lei stava aspettando.
Passandole vicino sento la sua voce chiedermi: - Disculpe, el autobús a Borgo Palazzo pasa por aquí?
- No - le risposi con il mio italspagnol - "Por aquí passa l'autobus por la Valle de Seriana Tu tienes la dirección al contrarios" (al contrarios, le dissi proprio così, vi rendete conto?)
Incredibile ma vero mi capì e mi guardò come se fosse terrorizzata per il suo errore.
- ¿Dónde está Via Borgo Palazzo? - mi chiese supplichevole.
Io con il dito le indicai la direzione. Puntando l'indice un po' in alto, visto che davanti a noi a un centinaio di metri passava un cavalcavia.
La ragazza rimase in silenzio e cominciò a guardarsi intorno stringendosi con le braccia incrociate davanti al petto. Avevo compreso che si era smarrita.
- Si quieres te porto io - le dissi.
Mi guardò con uno sguardo che sinceramente non saprei come definire ancora oggi, davanti a lei questo uomo buffo con un kebab fumante nella stagnola le stava proponendo un passaggio. Ed era quasi l'una di notte.
Le chiesi di getto - Come ti chiami? - al diavolo l'italspagnolo
- Maria - mi rispose
- Como mi madre - così d'istinto mi usci di dirle "come mia madre".
Credo che fu quella frase detta senza tanto pensarci, uscita con sincerità che la convinse ad accettare un passaggio da uno sconosciuto, vestito con un completo da uomo nero e una camicia grigia cangiante, con un kebab avvolto nella stagnola in mano.
In auto, mentre la portavo a destinazione, lei seduta al mio fianco stava con il suo corpo pigiata contro la portiera. Come per aumentare la distanza tra di noi.
Era bellissima, davvero. Mi raccontò che veniva dalla Bolivia e che era giunta in Italia da pochi giorni.
Non mi ricordo bene quali parole usai in auto per rassicurarla, per accennare una conversazione con lei. Il lavoro che faceva e perché aveva fatto tardi quella sera.
Mi ricordo bene invece quello che successe quando lei vide che l'avevo portata proprio sotto il palazzo dove abitava. I suoi occhi si illuminarono, si sentì sicura a quel punto. A quel punto, già proprio a quel punto, quello dove mi fermai lei evidentemente capì che l'uomo con la camicia cangiante non era cattivo.
Così prima di scendere e dopo avermi detto "Gracias", fece un gesto che mai mi sarei aspettato. Mai. Mi baciò sulla guancia destra. Un bacio rapido, come rapido fu il suo dileguarsi verso il portone. Però io nel momento del contatto con le sue labbra, allora non avevo la barba, sentii tanto calore e la sua paura che svaniva.
Ogni volta che sento di un femminicidio mi ricordo di questo mio aneddoto, perché mi diventa sempre più chiaro il rischio che Maria corse, la paura che Maria aveva e che io trovavo esagerata.
Perché Maria ha avuto buona sorte quella volta con uno sconosciuto, mentre Giulia ha avuto sfortuna con uno che conosceva molto bene. O pensava di conoscere bene. Ma che, come spesso è accaduto a tante altre sventurate come lei, non si conosce mai bene fino a quando non esce la bestia che vive in quella persona.
Per via di un "no" o di un "è finita".
Quello che posso fare io da uomo, da padre, è educare i miei due figli maschi a essere come quell'uomo goffo e impacciato, con un kebab in mano, che voleva essere d'aiuto verso una ragazza. Non lasciandola sola nel buio in una notte d'estate di diciassette, o forse diciotto, anni fa.
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juergenklopp · 1 year
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Un ritorno alle origini, in quanto la Ferrari prima di diventare Rossa, era Gialla. Rispecchiava il colore della città modenese, città natale dell’amato Enzo Ferrari. “Date a un bambino un foglio di carta, dei colori e chiedetegli di disegnare un’automobile, sicuramente la farà rossa.”
La celebre frase del fondatore del marchio iconico, ma che, cela il colore Giallo nel DNA Ferrari. A 75 anni dalla nascita del Cavallino, era stato scelto proprio il colore giallo al centro del mondo Ferrari. Base dello stemma che tutto il mondo invidia all’Italia. Il giallo tingeva tutte le vetture sportive della casa automobilistica modenese ed è radicato nella storia della Ferrari.
ROSSO CORSA × GIALLO MODENA CHARLES LECLERC × Arctic Monkeys – Arabella
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thebutterfly0 · 4 months
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Oggi è la festa di Santa Lucia, nella città in cui sono nata è usanza che porta i regali. È sempre stata una notte magica anche da adulta, peccato che dove vivo adesso non esiste questa ricorrenza. Da bimba mi ricordo che i miei ci facevano trovare i regali la sera prima così al mattino non facevamo ritardo a scuola. Mia mamma li disponeva o sui nostri lettini oppure sul tavolo di legno in salotto. Erano tutti incartati con della carta super colorata, ma non natalizia perché a mia mamma non è mai piaciuta, e disposti tutti benissimo. I regali più ingombranti dietro e man mano sempre quelli più piccoli davanti. Mentre noi eravamo a scuola o dai nonni lei aveva tempo di fare anche questo tra la casa e il lavoro. Se ci ripenso adesso da grande capisco che faceva i salti mortali. Mio papà non ha mai fatto nulla in casa, ha sempre fatto e fa tutt’ora mia mamma. Mi è sempre rimasto impresso nella mente come li posizionava, veniva sempre una bellissima composizione di regali, non erano messi a caso ma con un criterio ben preciso. Il regalo di Santa Lucia solitamente arriva anche qua ed è sempre una cosa che mi regala un po’ di magia di quando ero piccola. Quest’anno non è ancora arrivato nulla e non so se arriverà. Ho scoperto la non esistenza di Santa Lucia quando per caso ho visto dove nascondeva i regali, però me lo sono tenuto per me perché mia sorella era ancora piccola e non volevo rovinarle una notte così magica come questa. Non sono amante del Natale, ma la notte di Santa Lucia è un po’ come se respirassi quella magia che molti respirano in quella notte mentre io la trovo molto triste.
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Grazie @hope-now-and-live per il tag dei giochini di Tumblr ☺️
Reationship status: single... libera e orgogliosa canto! E sono pazza di me sì perché mi sono odiata abbastanza 💗
Colore preferito: giallo sabbia (per capirci quella sfumatura di giallo tendente all'arancione) 🌻
Canzone fissa in testa (oggi, letteralmente TUTTO il giorno): Capolavoro di Il Volo ragazzi vi adoroo Cade dal cielo come un capolavoro prima di te non c'era niente di buono come se tu fossi l’unica luce a dare un senso e questa vita con te é un capolavoro 🪽 (ma ammetto di avere anche un mix di canzoni sanremesi in testa)
Cibo preferito: questa è sempre difficile mi rendo conto che ogni volta che mi trovo sta domanda cambio la risposta 😅 che c'è sono buongustaia di buona forchetta cooomunque direi frittata della nonna, timballo della mamma con le salsicce sbriciolate mammamia che buono che è e poi ovviamente la menzione del cibo abruzzese per eccellenza gli arrosticini! 😋
Ultima canzone sentita: un pezzetto di Aeroplani Origami di Andrea Cerrato 📃✈️ E troveremo il modo di accorciare la distanza la vita ha fatto forbice, ma noi mettiamo carta. Se perderemo il gioco almeno avremo fogli bianchi ne faremo ali aeroplani origami. Su cui scriviamo tutto quello che di noi ci manca per ingannare il tempo ed anche un po' la lontananza...
Viaggio dei sogni: qualsiasi posto nordico dove si possa ammirare nel suo massimo splendore l'aurora boreale 🌄
Ultima ricerca su Google: un'associazione della mia città (di cui tra l'altro non ho trovato il sito ufficiale) 👩🏻‍💻
Taggo ovviamente la mia sorellona di cuore @laragazza-dalcuore-infranto-blog
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conte-olaf · 3 months
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La rievocazione fascista delle scorse ora a Acca Larentia  è un qualcosa che si ripete ormai da anni, lo stesso giorno, con le solite modalità, saluti romani e i soliti appelli ‘presente’, alla lettura dei nomi. E il giorno dopo la solita indignazione e le prese di distanza, come si trattasse di qualcosa di non prevedibile, di inaspettato e nessuno ne riconosce la matrice. Acca Larentia non è l’unico episodio del genere: negli ultimi anni i simboli fascisti sono ovunque, imbrattano le lapidi dei partigiani che ci hanno dato la libertà, sono nelle piazze, nelle discriminazioni, nell’occupazione dei ruoli di potere, sono nelle dichiarazioni strampalate, ma non casuale, delle maggiori cariche dello Stato che riscrivono la storia. 
Siamo in un periodo in cui in una città, come Massa che ha offerto tanti giovani alla Resistenza e pagato con tante vittime civili l’occupazione nazifascita,  si discute se  intitolare una strada al repubblichino Almirante e in una vicina, Lucca, si nega intitolazione di una strada al partigiano e presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ma gli esempi sarebbero tanti. 
Siamo in uno Stato in cui l’Avvocatura fa apposizione nei confronti dei familiari delle vittime delle stragi nazifasciste che  chiedono di accedere al fondo istituito per i risarcimenti come vittime del nazismo e si oppone alle sentenze di risarcimento. 
Un atteggiamento incomprensibile e inaccettabile, che rischia di annichilire la memoria ed ogni sua forma, espressione, traccia, testimonianza che da 80 anni grida giustizia e verità, trasformando e vanificando ciò che per noi rappresenta il cuore del patrimonio identitario nazionale, un valore imprescindibile sul quale poggiano i fondamenti della Carta costituzionale. La linea oppositiva dell’organo che rappresenta lo Stato nelle controversie legali non solo desta forti preoccupazioni nei rappresentanti istituzionali che alcuni giorni fa hanno deciso di convocare un incontro presso la sede della Regione Toscana, fare il punto sulla questione e concertare i passi successivi, ma soprattutto ci fa chiedere se siamo ancora in un Stato democratico e antifascista, se si può considerare democratico uno Stato che chiede alle vittime delle stragi pacchi di certificazioni e di fare causa ad uno Stato, quello tedesco, per avere un risarcimento e permete ad una  sua istituzione di opporsi alla giustizia aspettando che i superstiti, i pochi che rimangono,  muoiano con la sensazione di uno Stato nemico, ostile, come se non fossero stati sufficienti decenni di oblio di Stato. 
Che Stato vogliamo ? Non questo, di certo 
Il Sindaco di Stazzema 
Maurizio Verona 
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generalevannacci · 6 months
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Paola Ronco
Ma la grande, enorme stanchezza di vivere in un paese in cui crollano ponti, si alluvionano città e si ammucchiano barelle nei corridoi esausti degli ospedali, mentre l'intera opinione pubblica si lascia distrarre dai giochi di prestigio, oppure si rassegna al fatto di non poter restare incazzata per ventiquattr'ore al giorno e quindi la prende sul ridere, oppure si dedica a fare la punta alle metafore e alle sue opinioni che non incidono su nulla di nulla, generando un rumore di fondo assordante che non arriva mai a una sintesi.
Un paese in cui è possibile guardare i fuori onda di un giornalista messo lì grazie all'influenza della sua relazione senza vedere davvero il substrato di molestia sul posto di lavoro, familismo, delirio di onnipotenza - per non parlare del consumo di stupefacenti, che sulla carta sarebbero illegali ma vengono utilizzati e soprattutto acquistati da gente che sempre sulla carta e per ovvi motivi non dovrebbe avere legami con chi produce e smercia illegalmente sostanze illegali - gente che poi toh, la trovi sempre a sbraitare contro la legalizzazione.
Un paese in cui a decidere quali siano i fuori onda che puoi guardare e quelli che no è una televisione privata posseduta dalla famiglia di un uomo politico che ha governato per vent'anni, il cui partito politico sta attualmente governando, autorizzandoti a pensare che forse, tra dossieraggi e ricatti più o meno evidenti, forse c'è un grosso problema di opportunità, di equilibri e gestione del potere, di senso delle istituzioni totalmente scomparso e soprattutto di decenza.
Un paese che non solo è devastato dalle mafie, dalla corruzione e dal disprezzo per la cosa pubblica, ma che inoltre non riesce a levarsi di dosso questo estenuante e infinito modo becero e laido di vedere e trattare le donne e il femminile: la molestia sul luogo di lavoro da deplorare sempre, certo, ma insieme la domanda allusiva sul perché chi ne è vittima non reagisca, e che ci vorrà mai, in fondo se non lo fai forse sei d'accordo, forse in realtà ti piace, di certo ti lusinga; e poi, sempre, la maniera squallida e deprimente con la quale si parla di sesso in questo paese, tra risate e gomitate, quello castiga le femmine, quella viene invitata perché è una sua 'amica' con le virgolette, e le corna che ridere, e mo vedi dove gliela mette la pesca; e un preciso sistema di potere che esiste da decenni, nel quale gli affari migliori e le spartizioni si fanno a cena, oliando i meccanismi con favori che includono regali costosi, cocaina - sempre quella roba illegale che dicevamo sopra, prodotta e venduta dalle mafie più potenti del mondo - e donne da cedere come fossero dei rolex quando non degli swatch, oggetti di bell'aspetto che poi si possono sempre disprezzare, lamentandosi che 'certe donne' si prestino a tanto senza vedere il marcio sovrastante, facendone una questione moralistica stucchevole, inutile e perfettamente innocua.
Un paese in cui parecchie persone in perfetta buona fede credono sinceramente che il capo di un paese occidentale stamattina si sia svegliato e abbia deciso di troncare la sua relazione con un tweet così, esattamente come farebbero loro. Un paese che si avvita sul gossip, sul battutismo a ogni costo, sull'opinionismo d'accatto di chi si indigna a targhe alterne, chi si scoccia per l'indignazione altrui, chi preme sul moralismo e chi lo disprezza platealmente, in un tripudio di bandierine, cori da stadio, altre battute, allusioni e filippiche inutili come questa qui, mentre sullo sfondo di questo posto devastato dalle mafie in cui le infrastrutture crollano e la gente lavora dodici ore - e a volte ci muore - per quattro spicci vivendo disperata e rabbiosa sull'orlo perenne della resa, sullo sfondo di questo posto qui, dicevo, un vecchio sistema di potere va avanti per inerzia, calpestando le vite e l'ambiente, cieco e sordo a tutto quello che non sia il suo interesse personale.
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crazy-so-na-sega · 5 months
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Nella "Vita quotidiana a Roma all'apogeo dell'Impero" Jérôme Carcopino si domanda quanti fossero gli abitanti della capitale nel primo secolo. Dopo aver riempito tre lunghe pagine per riportare, discutere e infine demolire le ipotesi avanzate dai colleghi, Carcopino propone, scusandosi per l'imprecisione, un numero "che oscilla fra 1.165.050 e 1.677.672 abitanti". Una forbice stupefacente, ma quale che fosse l'estremo più realistico, Roma era comunque la città più popolosa della terra: una metropoli moderna, una vera torre di babele, e torre va qui inteso in senso letterale, poiché, sotto la costante pressione di quegli immigrati che Giovenale non sopportava più di vedersi sempre intorno con le loro strane usanze, Roma era stata l'unica città del mondo antico a crescere in altezza.
Tito Livio racconta che un giorno un toro, scappato dal mercato del bestiame, è salito per le scale di un edificio fino al terzo piano e poi si è lanciato nel vuoto seminando il panico fra i vicini: questo terzo piano, Tito Livio lo menziona en passant, come una cosa normale, mentre in qualsiasi altra città dell'epoca sarebbe stato fantascienza. Nell'ultimo secolo i palazzi si erano talmente sviluppati in altezza che erano diventati così poco sicuri che l'imperatore Augusto aveva vietato di superare il limite di otto piani - decreto che gli imprenditori edili cercavano di aggirare in ogni modo.
Ho chiarito questo punto perché quando leggiamo negli Atti che a Roma Paolo ha avuto il permesso di affittare un piccolo alloggio non dobbiamo pensare a una di quelle case a un piano in cui aveva sempre abitato nelle medine del Mediterraneo, ma a un mono o bilocale in uno di quei casermoni di periferia che oggi conosciamo a memoria, dove si ammassano poveri e clandestini: speculazioni di profittatori che hanno risparmiato su tutto, già degradate prima di essere terminate, insalubri, con pareti sottili come carta per non sprecare spazio e scale dove la gente piscia e caca senza che nessuno pulisca. Solo nelle belle dimore orizzontali dei ricchi c'erano dei veri cessi, sorta di salotti con decorazioni lussuose e sedie disposte a cerchio in modo da liberarsi discorrendo amabilmente. Gli indigenti che abitavano nei condomini dovevano accontentarsi delle latrine pubbliche, che erano lontane - e le strade diventavano pericolose appena si faceva buio: prima di andare a cena fuori, dice ancora Giovenale, era meglio fare testamento.
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-Emmanuel Carrère (Il Regno)
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solovedreidue · 10 months
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La quiete della bibliotecaria
In paese s'è ricavata un angolo di parole. Lei, piccola maestra reietta dalle scuole affollate della città, s'è accoccolata in quel luogo dimenticato.
Ha adattato la sua cultura al ritmo dell'intelligenza contadina, l'ha riportata all'origine delle cose, ai tempi molli della natura, con le sferzate allegre dei temporali estivi.
Un po' attimo fuggente e un po' albero degli zoccoli.
Ha i suoi bimbi, che fioriscono nei banchi stinti, coltura di cultura.
E poi ha il suo angolo, come gli amanti del bosco.
Ha quello scaffale della nonna, noce, scuro, zeppo di tutti i libri che è riuscita a raccogliere, generosa e avida allo stesso modo.
Ha creato la sua biblioteca, sua e di tutti. Presta i libri, che però hanno marchiato il suo nome in bella calligrafia sulla prima di copertina. "Mio", dice sempre, come i suoi bimbi con le figurine. Gelosa.
E poi c'è nello scaffale alto, una seconda fila. Lì sono celati i tesori sporchi, quelli inopportuni, non adatti, quelli che usano le suore e i frati per masturbarsi e per peccare.
Conservano nella carta porosa i suoi ex-libris odorosi, unti, il profumo intimo delle dita intrise.
Quelli li ha sempre tenuti per sé.
Quello spazio è suo.
Quei movimenti sono suoi.
Quell'amarsi e godere è suo.
Privato, dentro lo spazio delle pagine, nelle pieghe del libro come nelle pieghe della sua fessa.
Ancora non sa che dietro quei libri, o forse proprio dentro quei libri, qualcuno l'aspetta.
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aitan · 8 months
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FRATTAMAGGIORE, la cittadina dei record.
"Nella classifica dei comuni finiti nel mirino dell’indagine di Tuttoscuola Frattamaggiore si colloca al primo posto: nei quattro istituti paritari della città gli iscritti all’ultimo anno sono aumentati di 1.411 unità."
www.tg24.sky.it/cronaca/2023/08/25/napoli-diplomi-facili
”In 14 comuni su 35 (il 40%), da San Giuseppe Vesuviano a Frattamaggiore, da Ottaviano ad Acerra, il sorpasso è già avvenuto e la scuola statale è già minoranza."
www.tuttoscuola.com/dossier-diplomifici-scuola-statale-in-minoranza/
Prima di partire per le vacanze avevo scritto questo testo sul fenomeno dei diplomifici e sulle migrazioni di massa di giovani e di adulti che, dal profondo Nord, scendono a Sud per venire a comprarsi un pezzo di carta con valore legale.
Oggi leggo che proprio la città in cui vivo è uno dei centri di più fervente attività di queste fabbriche di diplomi.
'O scuorno 'nfaccia!
Anche se, come ho cercato di spiegare nell'articolo del 30 luglio, in realtà, si tratta di una vergogna nazionale che da queste parti ha solo la sua principale piazza di spaccio.
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sorella-di-icaro · 2 years
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Ciao sono Elena, ma sul web ho un sacco di soprannomi presi da tutti i miei fandom preferiti 🐇
Sono una piccola nerd, io adoro i videogiochi, l'abbigliamento comodo è diventato il mio migliore amico durante i periodi caldi e freddi, i film, gli anime, le serie tv, parlare della tecnologia.
Il caffè è la mia droga preferita da sempre, ovvero da quando lo scoperto e da lì non me ne sono distaccata, ci son giorni in cui ne bevo almeno due al giorno e la stessa cosa vale per le tisane in quei freddi e tardi pomeriggi di ottobre.
A volte leggo... I romance sono la mia passione più grande! Non solo per quanto riguardano i libri, ma anche i fumetti o i film.
Sono una nerd timida che cerca sempre di nascondere i propri sentimenti, ma che se riesci a tirarla fuori dal guscio forse ti parlerà dei suoi sogni e delle proprie passioni.
Sono gran appassionata di animali, mi piacciono tutti da quelli marini a quelli terrestri ma i cani di piccola taglia sono di gran lunga i miei preferiti.
Adoro la fotografia e spero che un giorno potrò approfondire questa mia passione, ma per ora mi limito a tenerla come hobby e condividere i miei scatti più belli su tutti i miei social e/o blog.
I videogiochi son diventati i miei migliori amici durante il periodo dell'infanzia che mi hanno accompagnata per tutta l'adolescenza fino ai miei attuali 26 perché nessuno come loro non mi capivano, potevi fare ciò che volevi senza essere criticata da nessuno... un mondo in cui a gente come me piace celarsi in un mondo dove tutto è possibile senza che tu venga giudicato.
Batman è uno dei miei supereroi preferiti che spero di approfondire un po' di più con i fumetti e non solo con i videogiochi o i film, praticamente adoro questo supereroe e tutte le sue gesta che compie con l'aiuto di Alfred il suo maggiordono di fiducia ed il suo braccio destro Robin che aiutano questo fantastico supereroe a tenere la loro città del cuore pulita da criminali come Joker, Harley Quinn o Poison Ivy che sono alcuni dei supercattivi di Gotham.
Sono un'amante delle schifezze, non ne mangio spesso ma quando le mangio mi metto sempre a guardare un buon film o una buona serie sul mio (g)old pc.
La mia bevanda preferita è l'Estathé al limone 🍋 in bottiglia di vetro e la birra fredda nei caldi periodi estivi.
Sono un'amante dei Dramma Asiatici, me ne sono vista un paio e, se anche sono tutti uguali o quasi, non riesco a farne a meno 🙈
Mi piace scrivere, non che mi consideri una scrittrice ai livelli dell Rowling, ma mi è sempre piaciuto mettere i miei pensieri e i miei piccoli sfoghi su carta per poi scoprire, all'età di 13 anni che si possono scrivere anche online grazie ai blog.
Ho iniziato a creare spazi web all'età di 13 anni e da lì non mi sono più fermata.
Dopo aver creato il mio primo blog con Blogger sono passata a Tumblr piatta forma molto più interessante di quella di Google perché puoi anche interagire con gli altri blogger.
Sono una fissata con i taccuini 🙈 ne ho così tanti che ne vorrei degli altri ma non so che farmene visto che non sono mai stata in grado di scrivere su quelle pagine per la paura di rovinarle o addirittura bucarle con la punta della penna 🤡 (I KNOW THIS IS TOTALLY INSANE)
Sono un'amante dei social media, mi piace creare profili e postare le mie passioni praticamente ovunque sul ma non per essere apprezzata per ciò che posto dagli altri ma bensì per aumentare le mie conoscenze informatiche 💻
Come altre passioni ho quello del viaggio... Un giorno mi piacerebbe viaggiare verso l'Oriente e scattare un sacco di belle fotografie da postare ovunque sui miei social
Sono una sognatrice, e rimarrò tale affinché uno dei miei tanti sogni che ho custodito nel mio preziosissimo scrigno non si avvererà.
Questo è il mio piccolo mondo, un mondo fatto di piccole cose come scatti fotografici fatti alla rinfusa, vestiti comodi, sogni, pizza, paranoie h24 e una gran dose di voglia di vivere che non vi immaginate.
Se tutto questo non vi garba... Non è un mio problema 🤍
Source image: @cassandracalin
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susieporta · 2 months
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All’improvviso, come se un destino chirurgo mi avesse operato per una cecità antica ottenendo un grande successo immediato, alzo la testa dalla mia vita anonima verso la chiara conoscenza del come esisto. E vedo che tutto quanto ho fatto, tutto quanto ho pensato, tutto quanto sono stato, è una specie di inganno e di follia. Mi stupisco di quello che non sono riuscito a vedere. Mi sorprendo di quanto sono stato accorgendomi che in fin dei conti non sono.
Guardo, come in una distesa al sole che rompe le nuvole, la mia vita passata; e mi accorgo, con uno stupore metafisico, di come tutti i miei gesti più sicuri, le mie idee più chiare e i miei propositi più logici non siano stati altro che un’ebbrezza congenita, una pazzia naturale, una grande ignoranza. Non ho neppure recitato. Sono stato recitato. Non sono stato l’attore, ma i suoi gesti.
Tutto quanto ho fatto, ho pensato e sono stato, è una somma di subordinazioni, sia a un ente falso che ho creduto mio perché ho agito partendo da lui, sia di un peso di circostanze che ho scambiato per l’aria che respiravo. In questo momento del vedere, sono un solitario immediato che si riconosce esiliato nel luogo in cui si è sempre creduto cittadino. Nel più intimo di ciò che ho pensato non sono stato io.
Mi sopravviene allora un terrore sarcastico della vita, uno sconforto che va oltre i limiti della mia individualità cosciente. So che sono stato errore e traviamento, che non ho mai vissuto, che sono esistito soltanto perché ho riempito tempo con coscienza e pensiero. E la mia sensazione di me è quella di chi si sveglia dopo un sonno pieno di sogni reali, o quella di chi è liberato, grazie a un terremoto, dalla poca luce del carcere a cui si era abituato.
Mi pesa, mi pesa veramente, come una condanna a conoscere, questa nozione improvvisa della mia vera individualità, di quella che ha sempre viaggiato in modo sonnolento fra ciò che sente e ciò che vede.
È così difficile descrivere ciò che si sente quando si sente che si esiste veramente, e che l’anima è un’entità reale, che non so quali sono le parole umane con cui si possa definirlo. Non so se ho la febbre, come sento, se ho smesso di avere la febbre di essere dormitore della vita. Sì, lo ripeto, sono come un viaggiatore che all’improvviso si trovi in una città estranea senza sapere come vi è arrivato; e mi vengono in mente i casi di coloro che perdono la memoria, e sono altri per molto tempo. Sono stato un altro per molto tempo (dalla nascita e dalla coscienza), e mi sveglio ora in mezzo al ponte, affacciato sul fiume, sapendo che esisto più stabilmente di colui che sono stato finora. Ma la città mi è sconosciuta, le strade nuove, e la malattia senza rimedio. Aspetto dunque affacciato al ponte, che passi la verità, e che io mi ristabilisca nullo e fittizio, intelligente e naturale.
È stato un attimo, ed è già passato. Vedo ormai i mobili che mi circondano, il disegno della vecchia carta alle pareti, il sole attraverso i vetri polverosi. Ho visto la verità per un attimo. Sono stato per un attimo, coscientemente, ciò che i grandi uomini sono verso la vita. Ricordo i loro atti e le loro parole, e non so se non sono stati anche loro tentati vittoriosamente dal Demone della Realtà. Non sapere di sé vuol dire vivere. Sapere poco di sé vuol dire pensare. Sapere di sé, all’improvviso, come in questo momento lustrale, vuol dire avere subitamente la nozione della monade intima, della parola magica dell’anima. Ma una luce improvvisa brucia tutto, consuma tutto. Ci lascia nudi perfino di noi stessi.
È stato solo un attimo e mi sono visto. Poi, non so più dire ciò che sono stato. E, alla fine, ho sonno, perché, non so perché, penso che il senso è dormire.
Fernando Pessoa
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canesenzafissadimora · 7 months
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Quando alla fine dell'estate dovevo rimettere i piedi nelle scarpe, era finita la libertà. Non solo per metafora, perché le libertà procedono dal basso verso l'alto, ma per evidenza: il contatto con la libertà iniziava dalla pianta scalza sul selciato dell'isola d'Ischia, sull'aspro degli scogli. Era l'inspessimento dell'epidermide che diventava buccia. Poi toccava al resto del corpo arrossarsi, far bolle sulla schiena, da bucare con l'ago. Era la mutazione estiva, caduta la pelle di carta velina della città, spuntava l'altra, compatta, colore di carruba, coi peluzzi gialli.
Da adulto ho iniziato a portare sandali per gran parte dell'anno, anche in inverno. Poi ho smesso. Dopo la domanda premurosa e centesima: "Non hai freddo ai piedi?", ho dovuto arrendermi. Quando vado in città o sono in viaggio metto le scarpe chiuse, ma sento i piedi scontenti. Sono abituati a stare all'aria, hanno una loro temperatura indipendente.
Stare sotto al sole è abituale per i mediterranei, ma non resisto a mettermi sdraiato. Cammino lungo le rive, nuoto, scalo qualche scoglio, poi mi copro. Ho dei punti bruciati della pelle sui quali spalmo una protezione, non sul resto del corpo. Mi tengo il sole addosso, pure il sale, una seconda pelle.
Nelle pagine del libro sacro Kohèlet/Ecclesiaste si ripete a cadenza di affanno: "tàhat hashèmesh", sotto il sole. Non è quello delle vacanze, ma quello che pesa sulla schiena piegata dei braccianti. È la più potente, schiacciante forza della natura.
Ho conosciuto questo sole, che sovrasta chi non può mettersi all'ombra. Per questo amo quella degli alberi e continuo a piantarli. Vedo la loro crescita, il tronco che espande il diametro, la chioma che allarga a ombrello il suo riparo in terra.
I pescatori d'Ischia non scherzavano con la forza del sole. Nicola, quello che mi ha insegnato a pescare, portava il basco a bordo, i pantaloni blu rimboccati al ginocchio e una canottiera bianca che non toglieva mai. A lui e agli altri non importava niente l'uniformità dell'abbronzatura.
Borges ha scritto un eroico elogio dell'ombra, quella della sua cecità. Io posso lodare la circonferenza protettiva dei rami di un albero. Durante le mietiture in Africa vicino all'Equatore, in mezzo ai trent'anni, ricordo il sole che calava rapido a terra alle sei di sera e rispuntava alle sei del mattino. Abituato alle oscillazioni di orario del Mediterraneo, chiamavo con la marca di un orologio svizzero quel saliscendi puntuale.
Appena tramontato uscivano in volo fitte schiere di pipistrelli. Volavano basso, sfioravano. I loro scatti vicini di alta pressione mi ricordavano le sforbiciate leggere di un barbiere. A mezzogiorno il sole era così a piombo sulla terra che i corpi non facevano ombra. Buffo camminare in piena luce e non trascinarsela dietro. Non ho dimestichezza con la parola anima, ma con la sua controfigura, l'ombra, con lei sì. Mi gira intorno, mi tiene compagnia meglio di un cane, anche di sera a lume di lampadina, di camino acceso. Non si fa accarezzare.
Quando scalo una parete al sole sento il suo fiato sul collo, sul dorso delle mani. È contatto fisico, non solamente luce. Se mi batte dritto davanti, faccio schermo con il palmo sugli occhi, non uso occhiali di protezione. Come i piedi, anche gli occhi sono fatti per stare alla luce.
" 'O sole nun è ddoro": così inizia una poesia di Rocco Galdieri. Non è d'oro, invece è geografia, per chi è del Mediterraneo. La sua irradiazione feconda la terra, e noi di questo mare mangiamo e beviamo il sole e i suoi derivati.
Erri De Luca, Il sole
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yomersapiens · 2 years
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La strana avventura del signor Pippoloni
Orario di arrivo previsto 12:30. Però io so come vanno le cose quando viaggi in bus. Devi sempre mettere in conto almeno un'ora di ritardo. Damiano mi scrive che no, sicuro arriva per tempo, figurati, sono già alle porte di Vienna. Invece avevo ragione io. Ma siccome sono uno stronzo che vuole essere puntuale, io alla stazione dei bus ci sono arrivato preciso. Damiano conferma che ci vorrà un'ora ulteriore, così mi metto a girare a vuoto in questa zona di arrivo dei bus, chiamata Erdberg. Vienna è una città pulita, ordinata, ricca, privilegiata, dove tutto funziona e ti senti sempre sicuro. Tranne ad Erdberg. Qua sembra di stare da un'altra parte del pianeta. Da quando sono nato ho passato non so quanto tempo tra varie stazioni pessime e pensavo di avere abbastanza pelo sullo stomaco, ma ora sono sicuro che il benessere viennese mi abbia rammollito. Non avevo paura, sia chiaro (la mia unica paura è perdere i capelli e forse è per questo che mi sono fatto biondo) mi sentivo solo a disagio e dopo due anni di pandemia oramai vedo sporco e batteri ovunque.
Non vedo Damiano da anni. Da quando non si faceva chiamare Damiano ed era un'altra persona. Io gliel'ho sempre detto, tu per me puoi essere quello che vuoi anche un unicorno, non mi interessa, basta che me lo dici e farò di tutto per capire e rispettare. Però ecco, l'unica cosa che non cambierà mai di Damiano è la totale mancanza di puntualità.
Mi aggiro per la stazione ascoltando un po' di musica, cercando di ignorare gli abitanti momentanei di questo non-luogo. Le cuffiette sono le mie cinta murarie. Mi difendono da chi vuole attaccare bottone. Noto questo signore anziano, spaesato, pantaloncini troppo corti e una pelle in avanzato stato di decomposizione. I vestiti sono quelli che vedi sulle testimonianze delle grandi migrazioni prima della guerra. Gli mancava solo una valigia in cartone e aveva tutto. Persino la coppola. Camminava a piccoli passi, trascinando i piedi, tenendo tra le mani un foglio di carta malconcio. Mi si avvicina e cerca di parlarmi ma io avevo le cuffie e non volevo essere disturbato. I suoi occhi brillavano di una sincerità che ho visto poche volte, solo da chi aveva realmente bisogno di aiuto, o solo di parlare. No. Solo di essere notato. Perché lì attorno nessuno sembrava vederlo. Io anche avevo fatto fatica, sembrava un viaggiatore del tempo più che un uomo reale.
Prova a esprimersi in un francese impiastricciato, arrancando parole e concetti e lanciandoli alla bella e meglio. Mi porge il foglio di carta che ha in mano: è il suo biglietto del bus. Una cosa ho imparato in anni di vita all'estero. Se qualcuno parla una lingua che non conosci e non sai come esprimerti, non provare a parlare la sua lingua, parla la tua. La confidenza e il tono, aggiungendo il gesticolare, risolveranno molto spesso la situazione. Poi noi italiani abbiamo la fortuna che 50% delle volte ci riesce di farci capire. Così mi butto, lo guardo e gli dico "Guardi io non parlo francese, parlo italiano, tedesco e inglese, lei mi capisce?" e lui si gela. Così guardo meglio il biglietto. Dice che la partenza è avvenuta la sera prima da un paesino a caso in Francia, arrivo previsto ore 6 a Monaco, cambio di bus, coincidenza che riparte alle 7 e viaggio che si conclude nel pomeriggio inoltrato a Perugia. Io guardo il signore, poi riguardo il biglietto. Qua non siamo a Monaco. Siamo a 400 chilometri da Monaco. Qua siamo a Vienna. Lo guardo ancora "Ma qua non siamo a Monaco. Lo sa che non siamo a Monaco? Siamo a Vienna". Da lui ancora nessuna risposta. Analizzo ogni millimetro del biglietto e scopro il nome: Luigi Pippoloni. Scoppio a sorridere, non ci credo. "Scusi, ma lei si chiama davvero Pippoloni?" e qui ricevo la prima risposta in un italiano che riemerge da un sarcofago "Sì, mi chiamo Luigi". Non riuscivo a trattenere il mio entusiasmo. - Signor Pippoloni! Ma lei parla italiano? - Sì, mi sono trasferito in Francia quando avevo 11 anni, con i miei genitori. - Pippoloni! Anche io parlo italiano! - Oh che bello - Siamo tutti e due italiani all'estero. Ma cosa mi ha combinato Pippoloni! Lei doveva scendere a Monaco e cambiare, e invece ora è a Vienna! Si è addormentato? - Nessuno mi ha detto niente - Legga qua, c'è scritto che doveva cambiare - E dove sono adesso - A Vienna, in Austria - E come faccio - Non lo so Pippoloni, ora dobbiamo capire come fare - Nessuno mi ha avvisato che dovevo scendere - Però è scritto qua sul biglietto - Ah, e come faccio - Quanti anni ha signor Pippoloni? - 76, a 11 anni mi sono trasferito in Francia con la mia famiglia - Sì questo me l'ha detto. Ha dei figli, un telefono, qualcuno che dobbiamo avvisare o che la sta aspettando? - Ho il telefono ma non si accende, è scarico - Ma cosa mi combina Pippoloni! Mi si mette in viaggio con un telefono scarico? E se non trovava me come faceva? E qui l'ho visto sorridere per la prima volta. Gli occhi erano ancora spaesati ma la bocca iniziava a essere meno serrata in una smorfia di smarrimento. - Facciamo così, prima andiamo dentro a capire se c'è un modo per mandarla in Italia, poi avvisiamo chi la sta aspettando. Tanto ho tempo, il mio amico è in ritardo di un'ora. Vedrà quanto è bello Damiano, voglio farglielo conoscere, è altissimo, splendente, veste sempre in maniera assurda, sembra un astronauta.
Lo porto alla biglietteria e spiego l'accaduto. Il bigliettaio si mette le mani in faccia. Errori così, o sviste, persone che si addormentano e si risvegliano nel luogo sbagliato ne ha viste spesso, ma non aveva mai visto il signor Pippoloni. Non ci sono soluzioni, non per questa giornata. Domani c'è un bus che va verso l'Italia, oppure stanotte. Io non potevo lasciare Pippoloni da solo in quella zona tutta una notte. Spiego nuovamente la situazione, chiedo se ha senso provare a cercare un treno. Mi dice che sicuramente in stazione qualcosa di alternativo si troverà più facilmente. - Signor Pippoloni, è un casino qua. Non ci sono bus, almeno fino a domani e io non ho posto in casa, sta arrivando Damiano, però possiamo andare in stazione e lì ci dovrà essere un treno per lei - In stazione? E come ci arrivo in stazione - La porto io signor Pippoloni, non si preoccupi! Aspettiamo insieme il mio amico e poi andiamo! - La ringrazio - Si sieda qui, ci vuole ancora un po' Noto che non riesce ad allontanare le mani dalle sue due borse. Le accarezza quasi, come fossero due animali da compagnia. Una è una valigia a rotelle mentre l'altro è un sacchetto ricolmo di cibo e altrettanti sacchetti minori.
Damiano arriva, scende dal bus stanco, lurido e stupendo come solo lui sa essere. Specialmente ora che il suo corpo e la sua mente coincidono. È una vecchia conoscenza ma al tempo stesso, un completo nuovo amico. Lo abbraccio e gli dico "Lo so che tu vorresti solo andare a casa a fare una doccia, manco sei sceso dal bus ed è già iniziata la nostra prima avventura. Dobbiamo aiutare il signor Pippoloni a tornare a casa. Vieni che te lo presento." Damiano non dice nulla, sommessamente accetta il suo triste destino, consapevole che con me le cose non vanno mai come pianifichi.
Il signor Pippoloni guarda Damiano e sgrana gli occhi. Non capisce cosa sia. "Le ho detto che è un astronauta. Forse è pure un alieno. Sicuro non è di questo pianeta". I due si piacciono subito, nonostante uno venga dal futuro anteriore e l'altro da inizi 900. Ci incamminiamo, uno dopo l'altro, in una stranissima carovana di bipedi, fatiscenti, claudicanti, appariscenti e splendenti, decadenti e lenti. Soprattutto molto molto lenti. Pippoloni cerca di starci dietro ma le valigie pesano troppo. Damiano anche è carico come un mulo. Dobbiamo aiutarci a vicenda per raggiungere la metropolitana. Mentre compro il biglietto a Pippoloni, vedo che Damiano gli regala una delle sue mascherine. Quelle queer, rosa, con resti di glitter provenienti da chissà quale party. Pippoloni la indossa e sorride, poi barcolla verso di me mentre mi avvio con i suoi bagagli verso l'ascensore. Durante il viaggio in metro cerco di spiegargli dove siamo, dove stiamo andando, quali sono le distanze. Non voglio abbia paura, voglio tenerlo aggiornato, così che sappia quello sta succedendo. Ogni cambio di linea della metro è una fatica. Ma come si fa a viaggiare con tutto questo peso a 76 anni, da solo? Sarà anche carino e neorealista, ma Pippoloni non è molto pratico.
Giungiamo in una stazione dei treni sovraffollata. "C'è tanta gente qua" dice Pippoloni abbassando la mascherina. Il suo volto anziano ora sbrilluccica di glitter. Io rido "Eh sì Pippoloni, siamo due milioni qua a Vienna!".
(Ora dirò una cosa molto estemporanea e che farà capire facilmente come ragiona la mia testa. Tutto questo bisogno di aiutare, questa voglia che è emersa in me, un po' nasce da come sono stato cresciuto in famiglia, certo, i miei genitori e soprattutto mia madre mi hanno sempre insegnato che bisogna aiutare il prossimo a qualunque costo. Anche mio nonno, uguale, sempre aiutare chi ha bisogno in ogni circostanza, anche se si finisce a rimetterci qualcosa. Ma io ora lo posso ammettere, tutto questo, l'ho fatto solamente per poter ripetere a voce alta ogni due secondi il suo cognome. Pippoloni ha un suono celestiale. Buffo. Dirompente. Dovete provare anche voi a dirlo a voce alta. Provate anche delle varianti come "a Pippolò!" in stile Corrado Guzzanti. Non si fosse chiamato così, forse non lo avrei aiutato con tanto entusiasmo)
Guardo Damiano e noto che quasi non ce la fa più a reggersi in piedi. Ha fame e le 18 ore di bus si fanno sentire tutte. Così lo metto di guardia alle valigie mentre prendo il signor Pippoloni sotto braccio e lo porto verso la biglietteria. Prendiamo il numero e aspettiamo il nostro turno. Il caso vuole che il bigliettaio che ci capita sia un giovane sbarbatello, forse alla sua prima settimana di lavoro. Lo guardo e parlandogli in tedesco gli dico "Preparati, perché ora ti racconto una bella storia e tu stai per entrare a farne parte e diventerai un protagonista essenziale". Il ragazzino non capisce ma i suoi brufoletti adolescenziali mi fanno l'occhiolino. Gli spiego tutto e la sua faccia diventa seria. Ora è entrato nella parte. Ora anche lui vuole aiutare Pippoloni. Si mette subito alla ricerca di soluzioni possibili ma tutto o parte troppo tardi o è completamente prenotato. "Il signor Pippoloni mi deve partire il prima possibile, guarda se trovi una cuccetta!". Molto candidamente ammette di non capire un cacchio di geografia italiana. Mi chiede se Trieste va bene come punto di arrivo. Io guardo Pippoloni e no, non me lo vedo a Trieste a chiedere aiuto per riuscire ad arrivare poi a Perugia. Le soluzioni devono essere Bologna, Firenze o Roma. Il ragazzino sta sudando copiosamente quando ecco che gli si illumina il volto. "Trovato! Parte alle 19 e arriva domani a Milano, poi cambia e scende verso Firenze." - E poi? - E poi non lo so. - Pippoloni, ma se lei arriva a Firenze, poi riesce a trovare un modo per arrivare a casa? - Chiamo mio cugino e gli dico di venirmi a prendere - Giusto, mi ero dimenticato che dovevamo chiamare i familiari! Vabbè quello lo facciamo tra poco. Va bene, senta, prendiamo subito il biglietto, quant'è? - Sono 145€ - Signor Pippoloni, sono 145€. Ce li ha? Il signor Pippoloni inizia a rovistare nel sacchetto che ora capisco essere il sacchetto ufficiale contenente i documenti di maggiore importanza. Estrae una rubrichina del telefono mangiata dal tempo e un blocchetto chiaro, di assegni. - Ecco, va bene questo? Io non so come rispondere. Guardo il ragazzino. Lui guarda me. - Non accettiamo assegni, mi spiace. - Signor Pippoloni, non ha banconote o altro? - Non accettano gli assegni? - Facciamo così, facciamo un po' una colletta tra di noi e ne parliamo dopo, ecco, prenoti subito, la ringrazio. Riceviamo il biglietto e corriamo verso Damiano che oramai sta dormendo in piedi con la testa poggiata su una valigia di enorme dimensioni.
Abbiamo fatto tutto. Possiamo finalmente mangiare e rilassarci per qualche minuti. "Signor Pippoloni, prima ho visto che aveva una piccola rubrichina, magari là dentro c'è il numero di telefono di un qualche familiare che posso chiamare?" - Ci dovrebbe essere il numero di mio cugino - Se me lo cerca per favore Damiano torna con un vassoio pieno di patatine fritte, panini vegetariani con pollo che pollo non è e una vasca di coca cola. Ha un sorriso enorme e contagioso. Non siamo più tre uomini seduti ad un tavolino lercio di una stazione, siamo tre signori nel locale più lussuoso di tutta Vienna. Ricevo il numero di telefono e chiamo in Italia. - Sì salve, sono Matteo, noi non ci conosciamo ma girando per la stazione dei bus di Vienna ho trovato suo cugino Luigi, aveva sbagliato coincidenza e insomma, si è perso ma non si preoccupi! L'ho portato in stazione dei treni e abbiamo trovato una soluzione alternativa. Arriverà domani con un treno verso Firenze. Sarebbe carino lo andasse a prendere. - Ah, accidenti, mi si è perso il Luigino! Va bene. Senta, allora se me lo può mettere su un treno, la ringrazio. - Sì certo, glielo metto su un treno. - Che magari arriva vicino a Perugia - Faccio il possibile - La ringrazio, povero Luigino - Eh già. Povero. Si figuri! Mi giro un po' confuso e vedo che ora sul tavolo il signor Pippoloni ha disposto quasi tutto il contenuto del suo sacchetto a mano. C'è una baguette, coltelli, burro, salame, uva in ogni contenitore possibile, formaggio, un altro sacchetto pieno di uva, bottiglie di acqua e succo di frutta, un barattolo di nutella vuoto contenente altrettanta uva. Damiano ha cambiato colore del volto. Mi siedo e mangio il mio finto pollo, Luigino prova ad offrirmi da mangiare "Signor Pippoloni, meglio se conserva qualcosa, il viaggio per lei è ancora lungo, ci deve campare per un altro giorno almeno con questa roba".
Arriva il momento dei saluti. Mancano alcune ore alla partenza del treno ma non posso costringere Damiano a stare ulteriormente qui. Però nascono i dubbi. E se Pippoloni si alza e si allontana e perde il treno? O se si addormenta e perde il treno? O se lo rapiscono e derubano e perde il treno? Pippoloni è il cucciolino abbondanato che trovi quando sei in vacanza al mare, che vorresti portare a casa ma i tuoi genitori ti dicono di no, non possiamo, abbiamo altri cuccioli a casa che ci aspettano. Così vado dalla security della stazione a spiegare per l'ennesima volta la situazione. "Vedete, è lui, si chiama Pippoloni. Importante, categorico che lui alle 19:23 salga sul treno diretto per l'Italia. Ma me lo dovete proprio accompagnare voi di persona. Prendetelo in braccio se necessario ma fatelo salire su quel treno!" I tre omaccioni austriaci prendono appunti e promettono. Io mi sento tranquillo. - Pippoloni, noi ora andiamo, è stato un piacere conoscerla e mi raccomando non si allontani da qui che poi vengono a prenderla e la portano al treno! - Non mi devo muovere? - No vabbè, se deve andare in bagno ci vada pure Damiano mi sussurra nell'orecchio "Guarda bene cosa ha in borsa". In mezzo a tutto il cibo e ai documenti ufficiali, ci sono una dozzina di pannoloni da adulto. - Resti qui allora signor Pippoloni! Non vada neanche in bagno che è meglio. La prenderanno e la porteranno questi tre signori. Se li ricordi. Sono vestiti di blu e arancione. Vede? - Blu e arancione - Dove ha il biglietto? - Qua! - Non lo perda mi raccomando! Noi ci sentiamo domani, chiamo suo cugino per sapere se è arrivato! - La ringrazio Matteo, lei conosce molte persone, è stato molto gentile - A me piacciono le storie signor Pippoloni, lei ora è diventato una delle mie storie! Ci abbracciamo. Profuma di un passato italiano che ho vissuto solo in estate quando andavo a trovare i bisnonni e le ragnatele e la polvere arredavano le loro case e i loro centrotavola.
Decido di non pensarci più. Damiano mi dice "Stai tranquillo, hai fatto abbastanza, ora rilassati" e io ci provo, voglio dargli ascolto. Ma ovviamente di notte non chiudo occhio pensando che forse qualcosa è andato storto e che Pippoloni ora è di nuovo smarrito. Magari si aggira per la stazione di Vienna chiedendo di me. Il mio cucciolo di 76 anni abbandonato. Mi addormento e la mattina dopo riesco quasi a non pensarci.
Un numero italiano mi chiama nel pomeriggio, riconosco la voce, è il cugino del signor Pippoloni. Rispondo carico di gioia pensando di poter mettere la parola fine a questa avventura. - Salve, sono il cugino di Luigi - Salve! È arrivato? È con lei? - Veramente no. - Ah. - Ma lei me l'ha portato a Milano? - No io l'ho messo su un treno, non avevo modo di portarlo fino a Milano. - Ah - Eh - E allora aspettiamo - Però mi faccia sapere qualcosa che sono in pensiero!
Che io abbia realmente fallito? Che il signor Pippoloni abbia sbagliato qualcosa nuovamente? Che sia finito altrove, in un luogo senza italiani all'estero pronti ad aiutarlo? Le domande mi bombardano la testa e a questo punto penso siano le domande che abbiamo tutti. Perché un signore di 76 anni si mette in viaggio da solo sul bus? Perché non un aereo così da non dover stare 24 ore in giro? Perché senza un telefono? Dove sta la sua famiglia? Ha dei figli che lo cercano? Che sia odiato da tutti? Che sia solo al mondo? È colpa mia adesso se non arriverà mai dal cugino? Potevo fare di più? Dovevo portarlo a Milano? Tutte domande lecite a cui ho deciso di non dare risposta. Perché rispondere vorrebbe dire entrare in zone che non mi riguardano. Generare colpe e colpevoli. Analizzare contesti a me lontani. Devo solo perdonarmi e trovare un po' di pace.
Damiano è con me. È radioso grazie alle ore di sonno finalmente portate a termine. Mi aiuta a non restare infangato. Verso sera gli chiedo: - Ma secondo te, lo chiamo il cugino per sapere se è arrivato Luigi? - Basta Matteo! Lascia perdere. Datti pace. Hai fatto quello che potevi non puoi stare a struggerti! Mentre lo dice chiude la canna, la accende, fa due tiri e me la passa.
Due giorni passano veloci, ci divertiamo, sfondiamo di canne, alcol, cibo austriaco e mercatini dell'usato. Damiano riparte carico come non mai, di vestiti appariscenti e promesse di rivederci prima o poi. Chissà come sarà la prossima volta. Chi sarà. Tra un anno. Due anni. Dieci. Damiano cambia sempre, è questa la sua natura. Mutevole, dannato fenomeno. Senza la sua presenza divento nuovamente nervoso e paranoico. Io devo sapere che fine ha fatto il signor Pippoloni. Passo la domenica cercando la forza per chiamare quel numero italiano. Cosa può succede di male? Se non è arrivato ho scattato delle foto, le mandiamo a "Chi l'ha visto" e rilascio un'intervista. Se è arrivato tiro un sospiro di sollievo e mi calmo. - Salve, sono Matteo, l'italiano che sta a Vienna. Si ricorda? Ho trovato suo cugino Luigi in stazione - Ah signor Matteo, certo! - Volevo sapere, è poi arrivato Luigi? - Luigi? Ma certo! La sera stessa! Ha fatto tutto da solo. È arrivato direttamente qua a casa mia! - Ah. E non poteva chiamarmi? - Volevamo farlo ma poi ci siamo dimenticati. Adesso è in pista che si sta facendo un giro, un attimo che lo chiamo! - In pista??? - Sì, sul go-kart - Ma come sul go-kart - Signor Matteo, salve! - Signor Pippoloni!!! Sta bene? - Tutto bene grazie, sono qua con mio cugino Mario - Che bello sentirla! - La ringrazio ancora, ci vediamo presto - Spero di no signor Pippoloni, altrimenti vuol dire che si è perso un'altra volta! - Le passo mio cugino che vuole ringraziarla, arrivederci - Arrivederci signor Pippoloni! - Pronto signor Matteo, sono Mario, il cugino di Luigi, volevo dirle che è stato davvero molto gentile e quando vuole, lei è invitato qua da me, ho una pista di go-kart, si chiama Pista Arcobaleno. Quando vuole lei viene ed è ospite mio. - Scusi un attimo. Lei si chiama Mario? - Sì - E ha una pista di go-kart, chiamata Pista Arcobaleno? - Sì - E suo cugino, che le ho spedito, si chiama Luigi - Sì - Non ci posso credere. Mario e Luigi, i go-kart, la pista. Questa se la scrivo sembra completamente inventata. - Tutto bene signor Matteo? - Tutto benissimo! Verrò a trovarvi presto. Devo fare una gara contro Mario e Luigi! - A presto allora! - Mi raccomando, non mi tiri nessuna buccia di banana! Capito? - A presto!
Io non credo in molte cose. Credo che se scavi, molto, in profondità, ogni essere umano possa fare meno schifo di quello che si vede in superficie. Lo penso anche di me. Sotto sotto non faccio così schifo. La psicanalisi mi ha aiutato. Anche compiere atti di gentilezza spontanea, come questo, aiuta a farmi sentire meno in colpa per lo schifo che ho fatto in vita. Lo faccio come redenzione. Lo scrivo non per essere da esempio a nessuno, solo per non dimenticare. Mi piacerebbe vivere in un mondo dove gli umani, a casaccio proprio, si mettano a compiere atti di gentilezza spontanea, come terapia. Non ti puoi permettere la psicanalisi? Aiuta qualcuno allora. Senza volere nulla in cambio. Non credo soprattutto nel karma, è un concetto che mi fa schifo. Essere buoni per ricevere bontà. Aspettare che i cattivi vengano puniti passivamente da una forza superiore. Col cazzo. I cattivi vanno puniti a sprangate senza dover aspettare. Ok ora sto diventando estremo. Voglio solo concludere con questo. Sono disoccupato da marzo. Il mio conto in banca sta diventando sempre più ridicolo. Mando curriculum su base quotidiana e sempre, non ricevo risposta. Sapete cosa è successo il giorno dopo aver incontrato il signor Pippoloni? Che hanno risposto a una mail. Che ho iniziato subito a lavorare, carico di una voglia di fare che manco a vent'anni avevo e adesso, lunedì, mi arriva il contratto, dove tutte le mie richieste sono state accettate. Forse. Vedremo. Il karma non esiste, io voglio essere gentile solo perché così mi incasino di meno e le persone pensano io sia innocuo. Ma se per caso fosse anche lontanamente vero che qualcosa ti torna indietro, quando ti comporti bene, ecco allora adesso sono io che ringrazio ancora il signor Pippoloni per avermi messo di buon umore. Magari era questo quello che mancava in tutte le mie mail, il sorriso.
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patepatu · 2 years
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Nella foto: della serie Icarus props, Gabriel wing, 2013, carboncino su carta di Robert Longo
Vorrei volare via .. con ali forti che mi facciano visitare città che non conosco e persone nuove .
Vorrei
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