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#coltre
crystal0-1rose · 5 months
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L’inverno resta;
sotto la coltre di neve crescono i fiori.
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thenwothm · 2 months
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REVIEW: COLTRE - "TO WATCH WITH HANDS...TO TOUCH WITH EYES"
DYING VICTIMS PRODUCTIONS is proud to present COLTRE’s highly anticipated debut album, To Watch With Hands… To Touch With Eyes, on CD and vinyl LP formats. COLTRE are a heavy metal band based in London, formed in the summer of 2019 when lead guitarist Daniel Sweed and guitarist/vocalist Marco Stamigna crossed paths at the same university. Bassist Max Graves, who also attended the same…
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alexsaal · 10 months
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"Sui marciapiedi freddi le graziose della notte
Sorridono in silenzio per promettermi una coltre
Di respiri, ma il dolore è indissolubile
Stanotte l'unico mio bacio andrà alla solitudine"
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anangelseyes · 1 year
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i think angels surround u
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amespeciale · 6 months
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“Voglio godermi quest'attimo
scompigliato e disordinato,
di odori e sensazioni,
lieve ed immenso.
Tutto è armonia
ed il mondo non esiste più.
Solo la tua pelle e il tuo respiro
che si aggrappano a me.
Tu addormentato e lontano
addosso come coltre tiepida,
sei l'unica cosa che voglio davvero.”
Tiziana Miceli
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swingtoscano · 1 month
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Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici.
Alda Merini
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stregamorganablog · 4 months
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.. Il suo sperma bevuto dalle mie labbra era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica esultanza
guardando i suoi occhi neri che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri per molti anni ancora..
i baci e le speranze..
e non credevamo più in Dio perché eravamo felici
Alda Merini
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kon-igi · 10 months
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QUEL POST CON CUI EMPATIZZERANNO IN TRE (ME COMPRESO) Parte 1
Non è una storia triste, non ci sono plot twist né morali strazianti per cui togliete pure il secchio da sotto la sedia ché i testicoli rimarranno al loro posto (figura retorica gender-inclusiva).
L’altro giorno @der-papero ha rebloggato un mio post in cui c’era l’immagine di una mazza ferrata per ‘resettare’ un pc dicendo ‘Non fare male ai computer che sono stati i miei unici amici per tanti anni! (o qualcosa del genere) ed è a quel punto che io ho pensato la stessa cosa, anche se in modo più specifico e meno informatico del suo.
Dal 1979 a oggi ci sono stati degli ‘amici’ che sono diventati una sorta di pietra miliare temporale a cui posso tornare con la memoria in modo microscopico e con una precisione quasi eidetica, al punto che li posso usare come una personalissima radiodatazione al carbonio per conoscere gli eventi contestuali occorsi in un dato periodo.
Quando ero piccolo ho sempre creduto che tutti giocassero ai videogames, sia con la propria console a casa che nei bar o nelle sale giochi e invece ho lentamente scoperto che non solo quasi nessuno aveva un console per videogames a casa ma che anche i cabinati che erano nelle sale giochi o nei bar per molti non erano affatto un’attrattiva.
Beh... per il sottoscritto le cose andavano in modo molto differente.
Alle console che ho posseduto dedicherò la seconda parte di questo post ma ora vi dico che sul viale pedonale principale di Viareggio (quello del carnevale, per intenderci) c’erano due sale giochi ENORMI (posso confermarlo a distanza di anni che non era solo lo sguardo di bimbo) e mio nonno paterno lavorava li vicino, ragion per cui mi bastava mendicargli mille o duemila lire, cambiare tutto in monete da 200 lire (i gettoni dovevano ancora arrivare) e giocare come se non ci fosse un domani.
Io non so se la seguente descrizione possa avere un senso per la maggior parte di voi ma dovete considerare quanto fosse ENORME il trip sinestesico nell’entrare in uno di quei luoghi: prima di tutto passavi dalla luce del sole a una penombra che assomigliava molto a un buio luminoso, poi le tue orecchie venivano sopraffatte da parecchi decibel di musichette a 8 bit che si mescolavano a formare un meraviglioso cachinno eustordente e infine l’odore di sigaretta che permeava ogni centimetro cubo dell’ambiente con una coltre di fumo in cui lampeggiavano gli schermi dei cabinati come finestre su altri mondi.
(in effetti a posteriori posso capire perché la mia passione non fosse così condivisa)
Ho parlato del 1979 perché quello fu l’anno in cui da flipper, biliardini e altri giochi analogici (che io schifavo) si passò al primo videogame completamente elettronico a grafica vettoriale: ASTEROIDS.
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Ora, siccome sono ben consapevole che la maggior parte di voi non ha la minima idea di cosa io stia parlando, sappiate che quando parlavo di finestre su altri mondi era proprio quella la sensazione che allora si provava: dalla visione passiva di un programma televisivo su tubo catodico passavi a poter FARE COSE SULLO SCHERMO, un qualcosa che pochi fra voi possono capire quanto fosse pazzesco.
E quello per me segnò un altro modo di considerare lo scorrere del tempo.
Per esempio, nell’Agosto del 1983 giocai per quindici giorni a Moon Patrol nel piccolo bar dell’Isola del Giglio dove andai in vacanza coi miei genitori 
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mentre al Bar Sombrero del mio quartiere nell’inverno del 1984 a Mag Max e Kung Fu Master, quest’ultimo a scrocco perché avevo imparato come accedere al sensore che veniva toccato dalla monetina e dava 1 credito
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la stessa estate, nella sala giochi in pineta, scoprii e finii Bubble Bobble (l’intro musicale mi dà ancora i brividi) mentre il Juke Box mandava in loop una canzone che dopo ho scoperto essere Sweet Dreams degli Eurythmics. 
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Trojan nel bar Moreno sotto a una tenda minuscola, R Type al chiosco sul viale dei tigli, Tiger Road al bagno Aretusa, Circus Charlie nel bar della stazione vecchia vicino al biliardo dal panno verde consumato e segnato dalle sigarette, Knuckle Joe in un hotel in Val d’Aosta per la gita di terza media, Wiz nel bar vicino casa di mia nonna materna, Bomb Jack al maneggio dove Diego con 200 lire giocava tutto il giorno e regalava crediti, Bank Panic al bar del cinema all’aperto e New Zeland Story in quello del palazzetto dello sport mentre mangiavo un Paciugo all’amarena, prima Green Beret e poi Iron Horse nella pasticceria sotto casa di mia nonna paterna con l’odore di sfoglie alla crema, Robocop e Xain’d Sleena al bar del liceo, finiti entrambi a memoria prima che suonasse la campanella, i tornei di Dark Stalker con i miei amici al bar della stazione nuova e poi ancora X-Men e Avengers.
Centinaia di giochi che meriterebbero decine di post perché con mille lire potevo andare in un mondo dove non ero più il ciccione sfigato che non sapeva giocare a pallone... ero quello che poteva sconfiggere i nemici e alla fine vincere, sempre.
L’ultimo arcade cabinato a cui giocai - e poi dopo quella data praticamente scomparvero per essere sostituiti dalle Slot Machine - fu Metal Slug, in data 1997, dopo aver lasciato Figlia Grande all’asilo nido nel piccolo ritaglio di tempo prima di andare nello studio medico dove avevo appena cominciato a lavorare.
Naturalmente lo finii ma finì anche col chiudersi quella parentesi durata appena vent’anni ma lunga una vita intera.
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Chi di voi è abbastanza vecchio da capirmi?
@axeman72​? @renatoram​? @ilnonnodiinternet​​? 
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poesiablog60 · 2 months
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Sappiamo che uno per uno fa uno
ma un unicorno per una pera
non sappiamo quanto fa.
Sappiamo che cinque meno quattro fa uno
ma una nube meno un vascello
non sappiamo quanto fa.
Sappiamo, noi sappiamo, che otto
diviso otto fa uno
ma un monte diviso una capra
non sappiamo quanto fa.
Sappiamo che uno più uno fanno due
ma io e te non sappiamo,
ahimé, non sappiamo quanto facciamo.
Ah, ma una coltre
per una lepre
fa una rossa, certo,
una verza divisa una bandiera
fa un maiale,
un cavallo meno un tranvai
fa un angelo,
un cavolo più un uovo
fa un astragalo…
Solo tu ed io
moltiplicati, divisi
sommati e sottratti
restiamo uguali.
Nichita Stănescu
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Whatever tumbles out (hope the spark survives)
Ed Sheeran, Wildflowers // via Pinterest // Ed Sheeran, Eyes Closed // via Pinterest // Ed Sheeran, Curtains // Tumblr user @ryebreadgf // Bob Ross // Ed Sheeran, End Of Youth // via Pinterest // Tumblr user @coltre // Ed Sheeran, Vega // Little Miss Sunshine (2006) // Blythe Baird, If My Body Could Speak // Ed Sheeran, No Strings // via Pinterest // Ed Sheeran, Borderline // Mikko Harvey // via Pinterest
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perpassareiltempo · 4 months
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“Davvero ti va di fare l'amore? ” “Certo.”
C’era qualcosa di erotico in quel cupo cielo invernale, con quella fitta coltre di nuvole, il grigio, il vento freddo. Tutto sembrava fatto apposta per spingere a cercare la pelle dell’altro.  In quel colore grigio sconfinato, veniva voglia di chiudersi a lungo in una stanza. E in quella stanza, abbandonarsi a un piacere senza limiti, come se fosse l’unico posto al mondo dove poterlo fare.
Banana Yoshimoto - Ricordi di un vicolo cieco
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thenwothm · 4 months
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COLTRE PREMIERE NEW SONG "FEAST OF THE OUTCAST"
On February 16th, 2024 internationally, Dying Victims Productions will release Coltre’s highly anticipated debut album, To Watch With Hands To Touch With Eyes, on CD and vinyl LP formats. Check out their new single "Feast of the Outcast"
On February 16th, 2024 internationally, Dying Victims Productions will release Coltre’s highly anticipated debut album, To Watch With Hands To Touch With Eyes, on CD and vinyl LP formats. Check out their new single “Feast of the Outcast” below! Coltre are a heavy metal band based in London, formed in the summer of 2019 when lead guitarist Daniel Sweed and guitarist/vocalist Marco Stamigna…
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petalididonna · 6 days
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Ho nuvole negli occhi
una fitta coltre di nubi
Dispettose e volubili
pregne di vortici
e passione...
Restie a farsi toccare
umili e repentine
giocose in ugual modo
apatiche, tumultuose,
alle volte traditrici
sonnecchianti e indifese
Vagano,vedono, aspettano.
Donatella Pardini ©
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safeikik · 1 year
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look up, looking up up up
user @coltre / greta van fleet / phoebe bridgers / user @iicaru / user @daddyjackfrost
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amespeciale · 5 months
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“Voglio godermi quest'attimo
scompigliato e disordinato,
di odori e sensazioni,
lieve ed immenso.
Tutto è armonia
ed il mondo non esiste più.
Solo la tua pelle e il tuo respiro
che si aggrappano a me.
Tu addormentato e lontano
addosso come coltre tiepida,
sei l'unica cosa che voglio davvero.”
Tiziana Miceli
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autolesionistra · 8 months
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Breve cronistoria dei viaggi nel tempo
[Ho scritto questo raccontino agostano vagamente sci-fi per la (bella) newsletter dello scartafaccio, facendo un giretto fuori dalla mia comfort zone. Lo incollo pure qui.]
A differenza dei princìpi che li regolano, per scalfire superficialmente i quali è stato - letteralmente - necessario un Einstein, la meccanica empirica dei viaggi nel tempo è incredibilmente rozza; realizzare strumenti per sfruttarla è di relativa semplicità ed è un traguardo raggiunto cinque volte nella storia dell’umanità (se dopo la stesura di questo testo se ne aggiungessero altre il lettore tenga conto che questo numero potrebbe sia aumentare che diminuire).
Il primo essere umano a costruire una rudimentale macchina del tempo fu l’assiro Adad-Nirari, nell’810 a.C. a Tarso. Tuttavia, non ne capì il vero funzionamento e ritenne di aver creato un sistema magico per fare sparire le cose. Non avendo gli Assiri all’epoca grossi problemi di smaltimento rifiuti, fu per lo più ignorato o preso per pazzo. Nel tentativo di convincere i suoi concittadini dell’importanza della sua scoperta fece sparire un ingente quantitativo di oggetti e animali, fra cui spiccano:
- una coppetta in terracotta che si materializzò nel 1912 sotto la coltre di permafrost svedese, creando una serie di grattacapi all’archeologo Erik Sjöqvist e costandogli quasi la carriera - una pecora che fu spedita nel giurassico superiore, prontamente divorata da un allosauro che passò il resto della sua infruttuosa esistenza a cercare altre prede così gustose. La sparizione della pecora fu mal digerita (tranne che dall’allosauro): il proprietario pretese un risarcimento da Adad-Nirari che distrusse poi la sua creazione per stizza.
Per la seconda macchina del tempo toccò attendere il 1652 quando il gesuita Giuseppe Adami, di stanza al Collegio di Messina, riuscì a costrurine una nei sotterranei dell’edificio. Fu il primo a capire l’importanza del legame fra coordinate spaziali  e temporali ma per un misto di impazienza e di ostinata devozione al sistema tolemaico il suo primo esperimento finì in tragedia: tentò di mandare Agostino, il gatto del collegio, di una frazione di secondo nel futuro e se lo ritrovò materializzato nel basso ventre. I suoi confratelli attratti dalle urla lo trovarono riverso con il muso di Agostino che gli spuntava dalla schiena. Per non correre rischi lo arsero al rogo ancora agonizzante.
Quasi contemporaneamente, nel 1653, una nobile di Guangzhou di raro intelletto, Mei Zhaozhong, arrivò a scoperte analoghe. Passò dodici anni mandando di pochi istanti nel futuro sassetti del suo giardino e misurandone le apparizioni fino ad arrivare a capire con buona approssimazione la corretta correlazione fra coordinate temporali e spaziali. I suoi studi furono bruscamente interrotti da una malattia debilitante. Allo stremo delle forze decise di visitare il futuro nel poco tempo rimastole e si materializzò nel mercato del pesce di Huanan nel dicembre 2019, dove riuscì appena a guardarsi intorno prima di spirare circondata da una folla di curiosi che iniziarono ad avere sintomi febbrili qualche giorno dopo.
La quarta macchina del tempo fu costruita nel 1997 da Roberto Saluzzi, un dottorando del dipartimento di fisica e astronomia dell’università di Padova. Scoprì mentre ne stava ultimando la messa a punto che non gli sarebbe stata rinnovata la borsa di studio per l’anno successivo e considerazioni di carattere personale sopravanzarono quelle di ricerca accademica: usò la sua creazione per andare nel 1969 e gambizzare quello che sarebbe poi diventato il coordinatore dei corsi di dottorato di ricerca (evento che fu erroneamente attribuito a moventi politici); utilizzò poi la sua istruzione avvantaggiata per fare a sua volta carriera accademica. Evitò accuratamente ogni rischio di incontrare sé stesso nel timore di creare un paradosso temporale fino ad un preciso giorno del 1997, arrivato il quale tornò al suo vecchio appartamento immaginandoselo deserto con la macchina del tempo appena utilizzata. Lo trovò invece occupato da tre albanesi e si interrogò se questo andasse a conferma dell’esistenza del multiverso o del fatto che si fosse in qualche modo rintanato in un mondo di sua invenzione (dubbio per la verità che attanaglia chiunque prima o poi) e abbandonò ogni studio nel campo per darsi ai tornei di burraco.
La quinta e ultima vicenda vide come protagonista Aidana Komi, un’anziana professoressa dell’università di Tirana che dopo aver realizzato il suo dispositivo nel 2023 venne assalita da sensati timori di alterazione del continuum. Decise quindi di alimentare un’intelligenza artificiale dandole in pasto un quantitativo ingente di libri di storia e quotidiani interrogandola su quale sarebbe stato il viaggio temporale più utile per il benessere dell’umanità e imponendosi di seguire alla lettera la risposta, qualunque sarebbe stata. Il verdetto fu di recarsi a Padova nel 1996 e convincere il dottorando Roberto Saluzzi a cambiare appartamento. Aidana con qualche perplessità portò a termine il compito, approfittandone per collocare nell’appartamento rimasto sfitto un paio di cugini desiderosi di trasferirsi in Italia.
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