Da perfetta colonia Usraeliana, succube della lobby ebraica, la tv di Stato italiana, nella persona dell'amministratore delegato della RAI Roberto Sergio, prende le distanze dalle parole pronunciate dal cantante Ghali durante Sanremo.
"Stop al genocidio!", aveva detto l'artista, senza concedersi il lusso di pronunciare le parole "Palestina" o "Israele".
Lo scorso anno, tra lustrini gialli e blu, si era arrivati al punto di invitare il presidente ucraino ed esprimergli esplicito sostegno. Ma la Palestina è innominabile.
Sergio dichiara: "Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano e continueranno a farlo, la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta."
Il comunicato è letto dalla serva Venier, che conclude: "Sono le parole che ovviamente condividiamo tutti".
Si noti: tra gli applausi, consistenti sono i fischi del pubblico.
ha iniziato da poco ad albeggiare ed io sento il bisogno di scriverLe.
Ho difficoltà a trovare parole caste che possano essere elegantemente scritte da una signora, ma se così facessi non potrebbe capire mai il desiderio che ho di Lei.
Non riesco a non pensare a cosa provo quando la tocco o quando l'assaggio, io che la guardo concedersi mentre lentamente compiaccio ogni Suo minimo respiro.
Signore, sappia che per me il tempo che ci vede distanti ha comunque l'odore della sua pelle rendendo l'attesa piacere, quel piacere che tornero' a donarLe.
Una donna può concedersi quanto vuole, portarsi un uomo nel letto e farlo impazzire. Può dargli mille notti di passione, ore di perversione e orgasmi a non finire, pensando che possederlo basti ad averlo solo per sè. Può credere di tenerlo in pugno solo tenendolo tra le gambe, ma non è così… Un uomo appartiene ad una donna, quando pur essendo lontano da lei, ella riesce a passare nei suoi pensieri con una semplicità inaudita. Ad esempio, quando una canzone passa in radio, quando un accento, un termine o un dialetto ti arriva alle orecchie ed ecco che puntualmente lei sta là nella sua testa. Una donna possiede un uomo quando è nella sua anima che vive , anche poco, anche a momenti, ma se è li che nasce il pensiero vuol dire che quella donna di quell'uomo ha posseduto molto più di tutte quelle che in un letto lo hanno sentito gemere di piacere. Una donna, una vera donna non si accontenta di un corpo, di un momento o di fisicità… Una vera donna preferisce andarsene e sapere che chiunque potrà sfiorare la pelle di quell'uomo, ma nessun'altra saprà accendergli la mente, arrivare così tanto in profondità da sfiorargli il cuore e penetrargli l anima come ha fatto lei. L'amore non è possessione od ossessione… Un vero sentimento è dato da ciò che resta immutato nel tempo…
Non so per quale motivo me lo chieda di continuo, non credo neanche mi interessi davvero, però so che vorrei saperlo. Vorrei soltanto saperlo. Chissà se adesso stai bene. Ora che non ci parliamo più, al massimo ci spiamo, convinti che qualche foto possa bastare per intrometterci nelle nostre vite. Vorrei vederti un’altra volta. Vorrei che ci incontrassimo per la strada in uno di quei giorni in cui non c’è il sole ma non piove nemmeno, uno di quei giorni neutri, grigi, anonimi, che se ne stanno a metà, quando non sai bene come vestirti, come sentirti, dove andare. Vorrei che mi passassi di fianco e che abbassassi lo sguardo vedendomi, cercando di aggirarmi come se fossi un imprevisto, una buca sull’asfalto, per poi trovarti pochi minuti dopo esattamente sul mio stesso autobus vuoto, a due sedili di distanza, come se incontrarti fosse scritto, dovuto, necessario.
Io probabilmente mi avvicinerei lentamente, senza farmi vedere, in silenzio, come uno qualsiasi, come uno di quelli che viene a chiederti indicazioni, per andarltu a chiedere se stai bene. Soltanto quello. Ma la risposta non la so immaginare. E non so nemmeno quale risposta voglio immaginarmi. Forse nemmeno mi guarderesti negli occhi, nemmeno mi chiederesti di ripeterti la domanda, come si fa quando hai capito benissimo ma sei disorientato da quello che ti hanno chiesto. Forse. Forse lo capirei subito come stai, soltanto avvicinandomi. Proprio come succedeva prima, quando mi bastava un tono di voce, un gesto, un movimento, per conoscere, per sapere, per capirti. Ma adesso no, non ne sarei capace. Forse. Forse adesso dovrei sentirmelo dire, forse dovremmo dircelo come all’inizio, come le prime volte, quando ci vedevamo e ci guardavamo. Costruendo, ignari, quello che un giorno saremmo diventati. In fondo conoscersi è saper dedurre. Saper intuire. Saper leggere. Saper capire. Capire e capirsi dove gli altri non arrivano mai, perché non vogliono, perché non riescono, perché non possono. Stare insieme è concedersi quella libertà, prima di tutte le altre.
Noi eravamo completamente guidati dall’intuito. Ci capivamo e basta. Era già tutto chiaro. Bianco. Evidente. Non serve chiedere permesso per entrare reciprocamente l'uno nell'altro. Entravamo e basta. Ed era tutto lì. Dentro. Sotto. E intorno ai nostri occhi. Ai nostri gesti. Alle nostre bocche. Stare insieme significa scoprirsi ogni volta senza nessuno sforzo, senza rompere nessuna serratura. Significa trasformarsi e tramutarsi in chiave e in serratura a seconda del bisogno. A seconda delle necessità. A seconda fragilità.
Spiegarsi senza darsi spiegazioni.
Eravamo essenziali.
Sintetici a parole, espansi tutt’intorno.
Ora vorrei che il caso ci mettessedavanti per sapere se stai bene.
E se non proprio davanti, almeno sullo stesso autobus. Che poi sarebbe solo una scusa per capire come ci siamo ridotti. Per capire cos’è rimasto. Ma tanto capirei al volo. Capirei che non mi rispondersti. Ti alzeresti e se ne andresti, sfiorandomi per sussorrarmi di lasciarti andare.
Ti guarderei sfumare dietro alle porte mentre si chiudono.
Ti guardare sfumare davanti alle crepe del cuore mentre si aprono.
Non farei nulla, non cercherei di fermarti, non ti inseguirei. Tornerei al mio posto a guardare le macchine e la gente che passa fuori, con la fronte schiacciata contro il finestrino gelido.
Mi farei bastare il tuo andarsene come risposta.
Ci rifletterei su e dopo qualche canzone forse starei meglio. Sicuramente meglio di ora, che non ho niente su cui riflettere. Cazzo forse sto già riflettendo. Ora non ho veramente più nulla.
Nulla.
Nulla.
La malinconia mi ingoia.
Chissà se stai bene.
Chissà se veramente non riuscirei a fermarti mentre ti allontani. Di nuovo.
Nelle famiglie disfunzionali i bambini devono imparare a monitorare continuamente e senza tregua ogni minimo cambiamento nell'umore, comportamento o atteggiamento dei genitori, per poter scappare in tempo, evitare sfuriate o punizioni.
Ogni minima variazione crea allerta e preoccupazione, perché le conseguenze possono essere imprevedibili e dolorose.
Da adulti il controllo non scompare ma si manifesta come stato di allerta continuo, tensione muscolare, difficoltà a fidarsi degli altri, impossibilità a delegare, controllo esasperato, ricerca della perfezione, fissazione sul corpo, cibo, casa, sui vicini...
Alla base, in realtà si nascondono paure antiche, mancanza di protezione e accudimento da parte dei caregiver.
L'estenuante sensazione di non potersi mai rilassare perché nessuno ci potrà salvare e prendersi cura di noi.
Il controllo è una maschera che il bambino utilizza per entrare in relazione con i genitori disfunzionali, allo scopo di sopravvivere e continuare ad assicurarsi l'amore.
I bambini si adeguano ai genitori, rinunciando ai propri bisogni.
Solo se si può accedere alle paure antiche e sperimentare la protezione, il controllo esasperante potrà finalmente essere sostituito con la capacità di poter oscillare in modo sano dal controllo al rilassamento in base a ciò di cui si ha necessità nel qui ed ora.
Fare psicoterapia significa concedersi delle alternative alla rigidità e al percorso a senso unico dell'inconsapevolezza.