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#da vedere
da-vedere · 1 year
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Hackers (1995) ☰
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dilebe06 · 1 year
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Aspetto tua recensione di lighter and princess
Ciao e auguri di buon anno! 😂🎉
Devo essere onesta, non avevo nemmeno in lista questo drama. Avevo visto qualche video su YouTube e Facebook ma non mi aveva mai intrigato tantissimo.
Mo' però tu mi dici così e io lo devo vedere perché sono troppo curiosa.
Lo metto in lista e spero di vederlo il prima possibile e scriverci la mia opinione sopra.
Grazie per avermelo segnalato.😉
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anemonaee · 1 year
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thegretchenimages · 1 year
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Sto recuperando Supernatural e mi chiedo come io non abbia scoperto questa serie quando è uscita nel 2005 ! Come è possibile che sia andata virale solo negli ultimi anni ?!??!! FOLLIA.
Guardatela.
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pgfone · 11 days
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La mia domanda per stasera è:
Ma la trasmissione affari tuoi, finirà prima o poi?
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maledettadaunangelo · 7 months
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Tu mi hai salvato da me e mi hai portato più su di quel che riesco a vedere.
Ultimo, Tu
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sofysta · 4 months
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Bergen
Norvegia
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janniksnr · 7 months
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whyamiawakes · 3 months
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Psicologo: Orietta Crowe non ti può fare del male
Orietta crowe:
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da-vedere · 1 year
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Crimes of the Future (2022) ☰
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fiumedivita · 2 months
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Questa ennesima perculata a John Travolta la dimostrazione che non siamo affatto un popolo di rancorosi
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klimt7 · 2 months
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PAST LIVES
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CINEMA
Film: "Past Lives" \\ 18 febbraio 2024
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Recensioni ufficiali / personali
Recensione liberamente tratta e adattata dal sito MyMovies.
" Che dici? Lo vado a vedere Past Lives?” mi scrive un amico su Whatsapp.
“Sì, vallo a vedere”.
“Dici? Perché?”.
E così mi passa davanti agli occhi, il film che ho appena visto anch’io. E gli rispondo:
- " Perché ti fa percepire quante storie si possano nascondere dietro le facce delle persone qualunque. Come quei tre che vedi, proprio all’inizio del film, da lontano, come spiandoli un po’, guardandoli appena.
Una donna orientale, un uomo probabilmente dello stesso paese. E un bianco. Un ragazzo americano.
Dietro ogni faccia qualunque, c’è una storia. Ma che storia, quella che racconta questo film qui.
Una grande storia d’amore, una grande storia di rimpianti, una grande storia di destino.
E una piccola storia di silenzi, di occasioni mancate, di vite che scorrono, "sliding doors" che passano, che se ne vanno. E alla fine tu dai a quel percorso, a ciò che è stato e a ciò che non è stato, il nome di destino.
È un film su tre destini, Past Lives.
Ed è un film sull’identità.
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Lei, per esempio. Guarda lei.
Quella ragazza coreana, con le sopracciglia grandi e il sorriso come una sciabolata. Lei rappresenta una persona diversa, per il ragazzo coreano alla sua destra, e per l’uomo americano alla sua sinistra. Per uno, è una donna che se ne va: che se ne va dalla Corea, da un paese piccolo per le sue ambizioni. Per l’altro, è una donna che è arrivata, è approdata. Che ha posato le ali a New York. Forse per rimanere, chissà. Ma quello che è straordinario, è che il film disegna la stessa donna. Eppure sono due. Siamo tutti, forse, così. Diversi, secondo chi ci guarda. Immensamente diversi. Non per caso lei ha due nomi: Na Young in Corea, ma Nora Moon appena l’aereo atterrerà sul continente americano.
Non gli ho detto tutto questo, al mio amico su WhatsApp. Il resto, l’ho pensato soltanto. E ho continuato a pensare. Mentre il film continuava a scorrermi in testa. Perché in questi giorni tante persone stanno andando a guardarlo? Non ci sono attori famosi, non ci sono effetti speciali, anche la pubblicità non è stata martellante. Non è Barbie, non è Oppenheimer.
Ma è un film illuminato da una grazia speciale.
È bello, Past Lives, per come costruisce l’amore, il sentimento dell’amore, la sensazione di un legame forte che stringe i due protagonisti coreani. Da quando erano bambini, in quelle strade minuscole di una Corea che sembra tanto l’Italia del dopoguerra, o il mondo di Parasite (guarda la video recensione). I parchi pubblici, strane sculture di pietra. Due bambini che giocano. L’immagine semplice, wendersiana, della felicità.
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E poi il tempo, stacchi di tempo di dodici anni, aerei che portano via. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”, dice la madre della ragazzina coreana, che sta per andare via, nel continente americano. Lasciare, trovare. L’impossibilità di tenere tutto insieme. Il tema del film. I destini. Come quella parola che il film accarezza, dissemina, lascia colare lungo le scene del film: quella parola coreana che vuol dire “provvidenza”, ma anche destino: “In-yun”. Destino d’amore. Un destino che ci porta a incontrarci, dopo innumerevoli vite precedenti. E senza bisogno di credere alla reincarnazione, è semplicemente una possibilità infinitesimale che, dopo un numero enorme di incroci del Dna, due persone si trovino nello stesso luogo, nello stesso momento, e si accorgano l’una dell’altra.
Destini che si consumano, dolorosi, ferite interiori brucianti, impercettibili agli altri. Mentre guardi il film, hai la netta sensazione che se incrociassi uno qualunque dei tre protagonisti, per strada o in metropolitana, non ti accorgeresti di niente.
È bello, il film, perché mette in scena una New York inedita, non alleniana e non scorsesiana, non struggente e malinconica, niente foglie su Central Park, e neanche notti buie, luride e feroci. È una New York piovosa, bigia, malinconica come la Bretagna d’inverno, o come Stoccolma nei film tratti da Stieg Larsson.
È bello perché parla della caduta delle illusioni. Lei vuole vincere il Nobel, poi – dodici anni dopo – vuole vincere il Pulitzer. Poi il Tony Award. Capisce che, probabilmente, non lo vincerà. Ma non è quello che conta. Vincere un proprio posto nel mondo è già qualcosa di importante, e lei lo ha capito.
bello, Past Lives, per come costruisce l’amore, il sentimento dell’amore, la sensazione di un legame forte che stringe i due protagonisti coreani. Da quando erano bambini, in quelle strade minuscole di una Corea che sembra tanto l’Italia del dopoguerra, o il mondo di Parasite (guarda la video recensione). I parchi pubblici, strane sculture di pietra. Due bambini che giocano. L’immagine semplice, wendersiana, della felicità.
E poi il tempo, stacchi di tempo di dodici anni, aerei che portano via. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”, dice la madre della ragazzina coreana, che sta per andare via, nel continente americano. Lasciare, trovare. L’impossibilità di tenere tutto insieme. Il tema del film. I destini. Come quella parola che il film accarezza, dissemina, lascia colare lungo le scene del film: quella parola coreana che vuol dire “provvidenza”, ma anche destino: “In-yun”. Destino d’amore. Un destino che ci porta a incontrarci, dopo innumerevoli vite precedenti. E senza bisogno di credere alla reincarnazione, è semplicemente una possibilità infinitesimale che, dopo un numero enorme di incroci del Dna, due persone si trovino nello stesso luogo, nello stesso momento, e si accorgano l’una dell’altra.
Destini che si consumano, dolorosi, ferite interiori brucianti, impercettibili agli altri. Mentre guardi il film, hai la netta sensazione che se incrociassi uno qualunque dei tre protagonisti, per strada o in metropolitana, non ti accorgeresti di niente.
È bello, il film, perché mette in scena una New York inedita, non alleniana e non scorsesiana, non struggente e malinconica, niente foglie su Central Park, e neanche notti buie, luride e feroci. È una New York piovosa, bigia, malinconica come la Bretagna d’inverno, o come Stoccolma nei film tratti da Stieg Larsson.
È bello perché parla della caduta delle illusioni. Lei vuole vincere il Nobel, poi – dodici anni dopo – vuole vincere il Pulitzer. Poi il Tony Award. Capisce che, probabilmente, non lo vincerà. Ma non è quello che conta. Vincere un proprio posto nel mondo è già qualcosa di importante, e lei lo ha capito.
È bello perché riesce a raccontare così bene, nel segmento ambientato negli anni dieci del nostro secolo, la difficoltà e l’emozione delle relazioni a distanza, via Skype. L’improvvisa vicinanza fra continenti che le videochiamate hanno regalato. E, insieme, la concreta, tangibile distanza che ancora rimane. La nevrosi, la schizofrenia che domina anche i nostri anni: essere vicini, così facilissimamente vicini, ed essere ancora lontani, così impenetrabilmente lontani.
È bello perché mostra uomini che soffrono. L’amico coreano che piange, nel gruppo di ragazzi a Seoul, perché è stato lasciato dalla sua ragazza: piange senza ritegno, come un bambino. E non è che un primo segnale della sofferenza vera dei personaggi maschili: quella dei due protagonisti, che si trovano ad amare la stessa donna. E per rispetto, per senso dell’onore, per gentlemen’s attitude, o forse per la vergogna di fare qualcosa di meschino di fronte alla donna che amano, non impediscono all’altro di fare le sue mosse. Il ragazzo coreano frenato da un senso del pudore quasi sacro, e l’ebreo americano liberal, che non può andare contro ai suoi princìpi. Entrambi possono solo attendere che sia lei a scegliere.
È un film bello perché non ha fretta, non ha fretta di fare accadere le cose. Perché si prende il tempo necessario, il tempo necessario a camminare sotto Manhattan Bridge, il tempo necessario a scivolare dal volto di lui al volto di lei, senza tagliare, senza ricorrere al campo/controcampo. Il tempo necessario a percorrere quei metri, quelli che vanno da una casa a un angolo di strada, dove un Uber sta per arrivare. È un film fatto di piani sequenza, un film che respira il respiro dei suoi attori.
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Perché questo film sommesso, di una regista al suo esordio, staavendo un successo inatteso, di passaparola? Perché piace sentir parlare della nostra vita, delle nostre paure, del nostro modo di sentire e di amare, anche se nessuno parla in romanesco.
È bello, infine, perché l’amore lo racconta mostrando due persone che stanno nel letto insieme, rannicchiati, con le gambe intrecciate, e non mostrando una scena di sesso, corpi che si avvinghiano, sudore, bagliori e buio.
L’amore può essere anche rifugio, nido, tepore, parole.
“Non ho il diritto di essere arrabbiato”, dice lui, il ragazzo americano, anche se sa che quel ragazzo venuto da un altro mondo, venuto da un altro tempo, ha aperto una voragine enorme nell’anima della sua compagna.
“Tu rendi la mia vita tanto più grande, e mi chiedo se io faccio lo stesso con te”, le dice, mentre sono insieme nel letto. Non c’è forse miglior modo per dire ti amo.
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Il film di Celine Song è sottile, sofisticato, e allo stesso tempo semplice, diretto.
Scorre fluido e denso di trasalimenti, di rimpianti, di sguardi al passato e di afflati di futuro come Before Sunset di Richard Linklater – anche lì due mondi, due persone che si ritrovano, e una grande città da attraversare, nella quale perdersi fino a un taxi da prendere – e ricorda, in qualche modo, lo smarrimento e l’oceano di non detti di Lost in Translation di Sofia Coppola: anche quel film perduto nella invalicabile distanza che separa due anime che si riconoscono, e si desiderano.
È anche un film sugli amori adolescenti, sulle vite non vissute, sul sapore amaro del rimpianto.
È un film sull’esperienza, di sconvolgimento e di rinascita, del migrare da un paese all’altro, da una lingua all’altra, da una sé da abbandonare, come una crisalide e una sé adulta, nella quale abitare.
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Ed è un film che senti estremamente sincero
Splendide le performance dei tre attori, Greta Lee – non dimenticheremo il suo volto – Teo Yoo e John Magaro.
Lei, che ci fa correre fra i suoi doppi, quando passa dal parlare coreano al parlare inglese, dall’identità coreana a quella “americana”. Lui, Teo Yoo, che da una parte è l’impacciato
Poi leggi che Celine Song è al suo esordio. E ti si rovescia addosso, come una pioggia, la speranza.
Nel cinema, e forse anche nelle sorprese che la vita ti può riservare.
Sì, vallo a vedere il film, amico mio! "
Aggiornamento del 21 febbraio :
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deathshallbenomore · 6 months
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giovedì io letteralmente in queste condizioni
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asllanismo · 2 days
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Se c'è una cosa che non mi aspettavo di vedere oggi è STEVEN ZHANG of all people dire a Calhanoglu "mi sono commosso vedendo te in particolare festeggiare, perché mi ricordo, mi ricordo cos'è successo, due anni fa...". Che cosa bellissima, dopo due anni posso anche dire grazie, perché le vostre cattiverie li hanno solo fomentati e ci hanno portato qui ❤️ a vincere nel più bello dei modi, lo scudetto PIÙ BELLO DI SEMPRE
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sofysta · 1 year
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Per chi volesse fare un giro a Palermo comincio col dirvi che il periodo migliore rimane quello di Aprile/ Maggio quando ancora la ns città non è un lager di turisti che arrivano da tutto il mondo e quando non vi strapperete ancora la pelle di dosso per i 50° all'ombra. La ns città nei secoli è stata greca, romana, araba e poi conquistata da normanni, spagnoli e francesi. Qui convivono beatamente cupole arabe e chiese barocche, palazzi in stile liberty e teatri neoclassici.(Teatro Massimo e Politeama). Proprio perchè non ci siam fatti mancare niente qui si sono incrociati popoli e tradizioni il che è impossibile non notarlo grazie ai vari stili che si susseguono molto vicini tra loro.
📌Un po di chicche da vedere se volete fare un weekend veloce come un bacio a stampo
La cattedrale. Nata come basilica cristiana è stata poi trasformata dai saraceni in moschea. La sua facciata è compresa tra due torrette e da un ampio portico quattrocentesco in stile gotico catalano
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A Piazza Bellini trovate la Chiesa Martorana e la Chiesa di San Cataldo con le sue famose cupole rosse che ho tempo addietro postato sulla sezione *my city* . Mentre alle spalle di Piazza Bellini cioè a Piazza Pretoria trovate la Fontana della vergogna. Piazza Bellini è dominata appunto da queste due chiese; S. Cataldo è il più rappresentativo esempio di edificio normanno, la Martorana( detta anche S. Maria dell'Ammiraglio ) invece è una chiesa greco-bizantina. Una delle più affascinanti di tutto il periodo medievale italiano.
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Monreale. Si trova sulle colline dietro Palermo da dove poter avere una vista panoramica favolosa sulla città di Palermo. Poi il Duomo, vi consiglio di entrarci per farvi stupire dai mosaici bizantini ed inoltre da un dettaglio strepitoso. Il Cristo al centro della navata vi guarderà da qualsiasi punto vi troverete. Poi fatevi anche una passeggiata al belvedere tra gli alberi secolari.
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Mercati popolari: Vucciria e Ballarò.. E qui preparatevi ad entrare in una bolgia di stradine affollate e rumorose. Mentre i venditori urlano le loro prelibatezze, potrete passeggiare tra banchi di frutta coloratissima, carne appesa e l’immancabile street food. A Palermo i mercati, principalmente in queste due zone, hanno conservato tutto il fascino del passato.
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Montepellegrino. Dove si trova il Santuario della Santuzza Patrona di Palermo (Santa Rosalia)
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Palazzo Chiaramonte detto anche Steri. È stato sede delle carceri dell’Inquisizione. Riempiono di tristezza e commozione i graffiti dei prigionieri: disegni, poesie, preghiere.
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Potete visitare ancora tanti altri luoghi ma non basterebbe un weekend: Orto Botanico, Palazzo dei Normanni, Cappella Palatina, Casa Professa, Oratorio Ss Cita (dove si possono ammirare le opere del Serpotta), San Giovanni degli Eremiti,Santa Maria dello Spasimo,San Domenico,la vasta spiaggia immensa del Golfo di Mondello, Villa Giulia e Villa D'Orleans e le 9 porte di Palermo tutt'ora rimaste perchè originariamente erano 19 ( Le più conosciute sono Porta Nuova, Porta Felice,Porta Carini, Porta dei Greci, Porta Mazzara, Porta Reale) e tanto tanto altro da conoscere.
Mangiare😋🤤.Ohhhh arriviamo alla note goduriose. Per le strade della ns città di Palermo si trova, e si mangia, praticamente di tutto. Dall’antipasto al dolce compreso lo street food. Alcune delle prelibatezze principali da non perdere sono le granite, le brioches con gelato, i cannoli, le cassate, le arancine di riso, le crocché, il pane e panelle, lo sfincione, la pasta con le sarde, u pane cunzato, pane ca’ meusa(ossia il panino con milza e polmoni condito e non(condito se ci si vuol aggiungere sopra del formaggio solitamente di capra, io lo preferisco) Infine ancora la pasta martorana che son dei dolci coloratissimi solitamente a forma di frutta e dolci alle mandorle.
Io un giretto me lo farei se fossi in voi 😉
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