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#dialogo con la coscienza
blogitalianissimo · 2 years
Note
... Unpopular opinion: non me la prendo tanto con chi ha votato Meloni
L'intera campagna della sinistra era un "votate noi che di là è peggio, fidateve", mentre M5S non ha lo stesso appeal degli altri due partiti nonostante il faccione simpatico di Conte (e non considero neanche Noi Moderati)...
Il risultato era prevedibile anche perché avere una donna al Governo per una volta sembra una buona idea
Speriamo solo si vada a migliorare
In più l'affluenza alle urne è stata imbarazzante...
(Questa non è un'opinione da studiata e non voglio imporla, sono aperta al dialogo e spero questo ask non sembri troppo aggressivo) (Mi manca l'anon asking)
Ok sarà un po' lunga rispondere a questo ask
Assumo la tua provenienza, dico che vivi più a nord di Catanzaro, me lo suggeriscono molte cose che hai scritto in questo ask, ma va bene ti racconto io come funziona nell'Italia che non conosci
Condivido sicuramente la critica alla """"sinistra""", anche perché 3/4 post fa ho scritto la stessa cosa e vabbè.
Sui 5 stelle sbagli e alla grande, forse appeal non ce l'hanno nella parte ricca d'Italia (ed è qui che ho iniziato ad assumere la tua provenienza), ma ti assicuro che nella parte povera d'Italia ce l'hanno e come l'appeal, perché voglio ricordarti che i 5 stelle, per quanto merde, voltagabbana, incoerenti e senza mezza idea politica: sono l'unico partito d'Italia che si rivolge AI POVERI. Cosa che dovrebbe fare la sinistra, cosa che dovrebbe fare il PD, ma lo fanno i 5 stelle. Lo fanno male? Sbagliano tutto? Tattica per prendere voti facili? Quello che ti pare, ma il meridionale, quello che a fine mese non ci arriva, se deve scegliere tra votare IL NULLA, ovvero la sinistra, e IL NULLA MA CHE TI AIUTA AD ARRIVARE A FINE MESE, mi dispiace si butta sulla seconda scelta. E possiamo menzionare anche i diritti che vuole garantire la sinistra quanto ci pare, ma nel 2022 di questi diritti nemmeno l'ombra, e non tutti i gays vivono negli attici a Milano e non hanno problemi economici, ci sono gays che vivono nell'entroterra lucano e non sanno come pagare le bollette, e questi ultimi tra "promesse non mantenute" e "promesse non mantenute ma con un assegno in tasca a fine mese" si buttano sulla seconda scelta. Perciò in questo mare di merda ben venga la dipartita del Partito Democratico. Si facessero un esamino di coscienza, meno chiacchiere e più fatti sui diritti (che è vergognoso arrivati al 2022 discuterne ancora), e meno classismo, perché voglio ricordare che a togliere la maggioranza assoluta a Fr4telli d'Italia è stato il voto dei meridionali, quelli che hanno fatto arrivare i 5 stelle come primo partito in quasi ogni provincia, ed è a questa categorie di persone che la sinistra, quella vera, si deve rivolgere.
Guarda Gi0rgia M3loni sarà pure una donna, madre, come le pare, ma parliamo di una persona che se potesse prenderebbe a manganellate coppie lesbiche o boh, donne che non desiderano portare avanti una gravidanza. Quindi questa cazzatona del femminismo che ha vinto scrivetela altrove, allora appendiamoci in cameretta i poster di M4rgaret Th4tcher e chiamiamola girlboss.
L'affluenza alle urne è stata imbarazzante perché 1. l'italiano medio si è stufato di votare per la stessa merda, perché così è andata, Gi0rgia M3loni non è stata scelta solo dai f4scistoni (non tutti quelli che votano fr4telli d'italia sono f4scisti, ma tutti i f4scisti votano fr4telli d'italia), ma anche da gente che anni fa aveva votato la l3ga e prima ancora il pd, stavolta era il turno di Gi0rgia 2. si è abbattuto un nubifragio che ha trasformato 3/4 del mezzogiorno in Atlantide e ha reso alquanto arduo andare a votare, e la gente essendo sfiduciata non aveva voglia di farsi pure una nuotata per votare
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chez-mimich · 7 months
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MANODOPERA
Intitolare un film “Manodopera”, quando il titolo in lingua originale è “Interdit aux chiens et aux Italiens” è una scelta molto discutibile, ma si sa che a decidere è la distribuzione, secondo le regole del mercato e non certo il regista. Passiamo allora a parlare del film di Alain Ughetto, francese di origine italiane, che ha debuttato con questo gioiellino al Festival internazionale del film d’animazione di Annecy del 2022. Si tratta di un film scarno che non concede quasi nulla allo spettacolo (anzi alla spettacolarizzazione), un film poetico come capita, sempre più spesso, per i film di animazione che per capacità narrativa non sono certo meno efficaci del cinema tradizionale. Il film, se non strettamente autobiografico, è comunque un film sugli antenati del regista originari di Ughettera, una frazione di Giaveno, paese ai piedi del Monviso. Ed è proprio tra questa montagne che conduce la propria misera esistenza la famiglia Ughetto, i cui componenti sono costretti a migrare oltre confine nella vicina Francia per lavorare come muratori, manovali, spazzacamini. Una Patria, quella italiana, che si è sempre o molto spesso, dimenticata dei proprio figli, quando erano economicamente bisognosi, ma poi se ne è sempre ricordata al momento di inviarli in guerra. Non è una storia nuova, si sa, ma è una storia di chi non vuol vedere un certo “patriottismo” di maniera, vivo e vegeto, anche ai nostri giorni. Alain Ughetto escogita un dolcissimo, ma altrettanto geniale dialogo a distanza con la nonna che sembra essere il tramite tra gli avi e la contemporaneità. Non era certo impresa facile rendere con la plastilina e le tecnica dello stop-motion, una gamma di emozioni così intense e sentimenti così amari come quelli dei protagonisti di questa storia, ma Ughetto è riuscito a ricostruire questa saga famigliare fatta di sofferenza e umiliazione, una saga di quel “mondo dei vinti” come lo chiamò il grande scrittore piemontese Nuto Revelli, a cui il film è idealmente dedicato. “Interdit aux chiens et aux italiens” è come voler dire “sono troppi” o magari “ci vuole il blocco navale” oppure “portateli a casa vostra” e tutto l’armamentario di espressioni para-razziste che riempie tutti i giorni le pagine dei social, le pagine di alcuni giornali e che purtroppo, viene sbraitato da troppi italiani. Fortunatamente il mondo del cinema sembra aver “preso coscienza” (uso del tutto volontariamente un’espressione da anni Settanta) del problema che non è quello dei migranti, ma quello del razzismo e della incapacità di gestire un esodo causato dall’ingiustizia sociale. Prossima puntata “Io capitano” di Matteo Garrone…
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canesenzafissadimora · 8 months
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Matilda, mia cara, ti scrivo questa lunga lettera a pochi giorni dal mio novantaduesimo compleanno, mentre tu hai quasi quattro anni e ancora non sai cosa sia l'alfabeto. Spero che tu possa leggerla nel pieno della tua giovinezza. Ti scrivo alla cieca, sia in senso letterale sia in senso figurato. In senso letterale perché negli ultimi anni la vista mi ha letteralmente abbandonato. Ora non posso più né leggere né scrivere, posso solo dettare. In senso figurato perché non riesco a immaginarmi quale sarà il mondo fra vent'anni. [...] Ma perché sento il bisogno di scriverti? Rispondo alla mia stessa domanda con una certa amarezza: perché ho piena coscienza, per raggiunti limiti di età, che mi sarà negato il piacere di vederti maturare di giorno in giorno, di ascoltare i tuoi primi ragionamenti, di seguire la crescita del tuo cervello. Insomma, mi sarà impossibile parlare e dialogare con te. Allora queste mie righe vogliono essere una povera sostituzione di quel dialogo che mai avverrà tra di noi. [Andrea Camilleri, Ora dimmi di te. Lettera a Matilda, 2018]
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arreton · 6 months
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Credo che sia stato ingenuo da parte dello psicologo voler intraprendere la carriera da psicologo perché la psicoterapia che aveva iniziato da ragazzo si era rivelata inefficace. In questo modo ha reso i pazienti una proiezione di sé stesso, una estensione del suo dolore: curando loro cura se stesso, ma credo fallendo più spesso di quanto lui stesso si voglia rendere conto. Ed infatti a me aveva dato il suo istinto paterno – nel senso di complesso di edipo, imitare il padre fino ad ucciderlo, essere come lui fino ad essere migliore di lui – destabilizzandomi ulteriormente. Io comunque faccio autoanalisi e per natura sono parecchio introspettiva, ad un certo punto ho saputo grossomodo staccare (con tutti i suoi limiti, visto quanto è presente in me l'assenza del padre) le due figure: lui era il padre immaginario che ho sempre desiderato (benestante, rassicurante, tenero con sua figlia, aperto al dialogo e che dà consigli grossomodo inutili ma che indicano comunque che ha ascoltato) e di cui in quel momento avevo bisogno per delle questioni familiari che si erano riaperte, ed infatti inizialmente lo psicologo era la mia "cotta borghese" che schifavo ma che desider(av)o. Solo dopo qualche tempo (con delle forti crisi) ho iniziato a staccare le figure: dottore e persona. E solo adesso, a terapia ormai conclusa da tempo con lui e re-iniziata con una donna, mi rendo conto di quanto avessi proiettato in lui una mancanza infantile. Il legame almeno mentalmente tendo a conservarlo lo stesso poiché tendo ad attaccarmi agli altri, ma razionalmente so che non ha più motivo di esistere quel legame ed infatti vado contro la mia inclinazione. Un altro paziente, come me nel senso dei miei stessi bisogni o peggio di me, non so se alla fine riuscirebbe a fare lo stesso percorso di distacco, e se ne sarebbe incapace credo che i rischi sarebbero: una incapacità di concludere la psicoterapia (e di renderla quindi utile); una incapacità di individualizzarsi, di irrobustirsi come individuo; un continuo ri-mettere in scena il trauma originario senza riuscire a superarlo.
Ecco perché storcervo il naso quando mi diceva: quando io vado a toccare i traumi dei pazienti e li vado a risvegliare, io cosa ci faccio con quei traumi? Chi mi assicura che toccandoli non vado a fare ancora più del male al paziente? Domande legittime ma anche qui ingenue, dal mio punto di vista. Sono legittime se pensi che quel che è stato non si ripresenta sotto mentite spoglie, se escludi cioè un inconscio. Io non glielo avevo detto che avevo bisogno di un padre, né lo avevo detto a me stessa anzi: quando la psichiatra – che ci aveva visto giusto – me lo aveva chiesto, io mi ero pure arrabbiata. Ma intanto il bisogno infantile, la mancanza infantile, il trauma originario si era comunque ripresentato in una maniera sottile, che nemmeno io riuscivo al tempo a riconoscere e a parlare né a parlarmi. Ed infatti credo che eravamo l'una la cotta dell'altro, dato che ho il sospetto che io sia incarnavo il suo ideale di ragazza, sia stimolavo in lui (come grossomodo quasi tutti i suoi pazienti) la necessità di prendersi cura degli altri per curare se stesso. Le nostre sedute non erano insomma delle sedute tra terapeuta e paziente, ma tra paziente e paziente. A lui non so se hanno portato qualcosa di positivo, anche se mi disse che era stato un piacere avere una paziente come me, che i nostri scambi erano stati molto stimolanti (ed infatti era capitato più volte che volesse il mio parere per capire alcune cose, credo che un terapeuta non dovrebbe dirlo così esplicitamente ad un paziente); a me hanno fatto prendere coscienza di quanto io ho sofferto e soffro tutt'ora l'assenza di una figura paterna. Cosa che sapevo già ma non in questi termini e fino a questo punto. Per questo motivo, anche, storco il naso nei confronti di una psicoterapia cognitivo-comportamentale, in certi casi: siamo anche stimolo-risposta come gli animali, ma non siamo solo quello, indipendentemente da come lo si chiami (inconscio, sé ecc). Insomma la trovo efficace ma solo per determinati problemi. Per dire: la mia ansia non ha ricevuto alcun beneficio dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale là era e là è rimasta, nonostante dicano che la terapia cognitivo-comportamentale sia utile per il disturbo d'ansia. Credo che dipende molto dal paziente, a me non fai fessa dicendomi pensa questo piuttosto che questo, fai questo, cambia questi pensieri con questi altri pensieri: tendo a razionalizzare moltissimo (il rischio dell'introspezione e di una autoanalisi fatta male) e cioè: grossomodo so in anticipo quello che mi dirai. E qui concludo con una bella domanda che mi ha fatto a primo incontro la nuova psicologa: con quale parte del corpo hai razionalizzato?
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laragazzafortesworld2 · 4 months
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Raga, vi dico una cosa che forse non sapete e che vi potrebbe sconvolgere..., questo non è tinder, non è un sito porno è Tumblr.
È un sito dove la gente principalmente scrive, posta foto artistiche, ecc...
Che poi le altre persone mettono altro non vuol dire che allora tutto è dovuto.
Tumblr non è tinder, perché bisognerebbe nascondere ad un fidanzato un social del genere? Principalmente se non si fa nulla di male o se si ha un profilo come il mio?
Se poi voi lo scaricate per farvi i porci comodi vostri, non vuol dire che lo facciano tutti.
Se al tuo partner dà fastidio che qualche persona vi scriva in chat o se postate foto (normali) o che ne so anche in costume e vi vieta di accedervi, non è normale raga, non è normale, è altamente un comportamento tossico.
Per fortuna io, ho un ragazzo intelligente, quindi non gli ho mai nascosto nulla, perché in una relazione bisogna esserci dialogo e soprattutto fiducia, senza di esse non si va da nessuna parte.
Il mio ragazzo è abbastanza sveglio, da capire che se mi scrive uno e ci prova, sa che io lo rifiuto o lo blocco e come può provarci qui, ci può provare su Instagram o dal vivo, non è che mi vieta di rispondere o altro, cioè cosa dovrebbe fare? Andare a picchiare la gente? No
Ovviamente se vede cose che non sono normali, si incazza come è giusto che sia, ma non con me, attenzione, perché se lo dovesse mai fare, sarebbe tossico, ma con le altre persone.
Idem dal vivo, va e gliene dice quattro.
Perché un conto è provarci, un altro conto è insistere ed essere irrispettosi.
Cioè che uno priva alla propria ragazza, di mette foto in costume, è altamente tossico, perché come la vedono su Instagram, la vedono anche dal vivo voglio dire eh, non è che se vai al mare, le persone non ci siano e di conseguenza non ti guardino, cioè cosa dovrebbe fare? Mettervi un burqa (?)
Fatevi tutti un'esame di coscienza, maschi e femmine.
Detto questo , vi saluto.
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raffaeleitlodeo · 9 months
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L’ultima volta che ho incontrato Michela, prima che diventasse famosa, è stato nel 2001, eravamo al termine di un triennio in Azione Cattolica, che ci aveva visto lavorare insieme: lei come responsabile dei giovani della Sardegna, io come responsabile nazionale. "Che farai ora?", le chiesi. "Farò l'allevatrice di lumache", mi rispose. La salutai frastornato da un misto di nostalgia anticipata (pensavo infatti che difficilmente ci saremmo rivisti) e di rabbia (ma come è possibile - riflettevo - che una pesona di così grande talento non trovi altro spazio nel nostro paese che quello di allevare gasteropodi?).
Fortunatamente mi sbagliavo su entrambi i fronti: il talento di Michela è esploso rapidamente e io ho avuto la fortuna di continuare a frequentarla. Non credo che Michela abbia mai allevato lumache, di mestieri però ne ha fatti tanti: i più noti sono quelli di portiere di notte in un albergo e di venditrice attraverso un call center. C'è una costante però nelle diverse vite (la definizione è sua) che ha vissuto: quella di brillare e illuminare. Così quando lavorava in albergo ha incontrato Vinicio Capossela e insieme hanno registrato un brano a due voci, che spero un giorno avremo modo di ascoltare; il racconto dell'esperienza nel call center invece è diventato il suo primo grande successo letterario, quello che le ha aperto nuove e inaspettate vite: scrittrice, sceneggiatrice, saggista, attivista, candidata alla presidenza della regione Sardegna e tante altre ancora.
Quando le ricordavo quello che pensavo sarebbe stato il nostro ultimo dialogo, lei spiegava tutto con una metafora da campagna sarda: ho fatto la mossa del topo, quello che costretto in un angolo da una scopa, non avendo più vie di fuga, per evitare il colpo ferale, aggredisce. Ecco allora un'altra costante che ho trovato in Michela dagli anni giovanili ad oggi: la ribellione. Parola quest'ultima che però non va fraintesa. Michela sulla scena pubblica è stata troppo spesso interpretata come una barricadera, un'icona di posizioni ideologiche di un'area ben precisa. Un ritratto falso e semplicista questo, che non dice nulla di chi è stata Michela Murgia. Torno alla metafora del topo: Michela ha lottato per quelli che via via ha ritenuto fossero i più deboli, lo ha fatto con la forza delle sue parole, della sua prorompente personalità, a volte in maniera urticante, nella società come nella Chiesa, ma non è mai stata un'intellettuale da salotto. Le battaglie che ha sostenuto (al di là della valutazione di merito che ciascuno di noi può dare) le ha fatte sulla base di una ricerca, di uno studio, mai attraverso scorciatoie ideologiche. Michela si è esposta e ha pagato di persona. Michela ha detto parole dure non per odio verso qualcuno, né per compiacere circoletti intellettuali, Michela ha parlato in coscienza e consapevolezza, attirandosi per questo, oltre ad ammirazione, anche l'odio di molti. Circostanza per cui ha sofferto. Il sogno di traferirsi in Corea, coltivato negli ultimi anni, veniva proprio da questo: dalla sofferenza di essere insultata, magari mentre era in fila al supermercato, in ragione delle sue idee.
C'è poi un'altra dimensione meno conosciuta di lei che, per questo, vale la pena di raccontare: quella della fede. Michela ha studiato teologia, animata da quella che Ignazio chiamava la santa inquietudine. Michela ha polemizzato e fatto a botte con la religione, non con la fede che mai ha rinnegato. Michela è stata un'intellettuale credente che ha provato sempre, nella sua coscienza come nelle pagine scritte, a far dialogare la cultura e le istanze del nostro tempo con il Vangelo, con tutta la fatica e le incongruenze che questo comporta. Non spetta a nessuno giudicare il suo percorso, per quanto mi riguarda sento di ringraziarla anche per la testimonianza, profondamente evangelica, di come ha vissuto la malattia, per averci dimostrato, come ha scritto Chiara Valerio, che "i legami tra le persone sono più persistenti delle persone stesse" e per averci lasciato una delle più belle definizioni di Paradiso che mi sia toccato di ascoltare: "una comunione continua senza intervalli".
Gennaro Ferrara, Quella sete d'assoluto, "Avvenire", 12 agosto 2023
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ambrenoir · 2 months
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Se non si accetta il proprio destino, al suo posto subentra un’altra sofferenza: si sviluppa una nevrosi e ritengo che la vita che dobbiamo vivere sia meno peggio di una nevrosi. Se proprio devo soffrire, che sia almeno la mia realtà. Una nevrosi è molto dannata! In generale è una difficoltà pretestuosa, una speranza inconscia di ingannare la vita, di eludere qualcosa.
Non si può fare nulla di più, che vivere quel che si è. E in noi sono presenti elementi opposti e contraddittori. Dopo molte riflessioni sono giunto a questa conclusione: è meglio vivere quel che si è e accettare le difficoltà che ci attendono… perché sfuggirvi è molto peggio.
Oggi posso dire: sono rimasto fedele a me stesso, ho fatto quel che potevo secondo scienza e coscienza. Se sia stato giusto o meno, questo non lo so.
Soffrire è stato, in un modo o nell’altro, inevitabile. Ma io voglio soffrire per cose che mi appartengono davvero. Un motivo decisivo per seguire questa via è stato sapere che se io non realizzo pianamente la mia vita, essa passerà in eredità ai miei figli e su di loro incomberà, oltre alle loro proprie difficoltà, anche il peso della vita non vissuta.
Sono consapevole di quale gravoso peso abbia dovuto prendermi dai miei genitori. Non si può semplicemente scrollarselo di dosso. Con esso ci si trova investiti di un’eredità che siamo obbligati ad accettare. Nella vita non ce la caviamo soltanto ad essere “assennati” e ragionevoli. Risparmiamo forse qualche cosa a noi stessi, ma ci siamo tagliati fuori dalla nostra propria vita. I destini che ho potuto vedere, dove non si era vissuta la propria vita, sono semplicemente orrendi. Chiunque viva la sua vocazione e la realizzi secondo il meglio che si può, non ho motivo di avere rimorsi. In un certo senso aveva ragione Voltaire quando diceva: ci si dovrebbe pentire “surtout de ce l’on n’a pas fait” ( Non ci si pente mai di ciò che si è fatto, ma sempre di quel che non si è fatto”
E’ di enorme importanza assumersi, in quanto esseri umani, le proprie colpe. In tarda età non rimpiangiamo tanto le cose meravigliose che forse non abbiamo visto o sperimentato, bensì ci pentiamo di aver lasciato che la vita ci scorresse accanto.
Jung C.G., 1957, in Jaffè Aniela, In dialogo con Carl Gustav Jung, 2023, Bollati Boringhieri, p.38.
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susieporta · 8 months
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DIALOGO TRA UNA DONNA E LA SUA GUIDA INTERIORE
D - Perché vedo tutto nero?
G - Perché hai ancora le paure di quando eri bambina.
D - Perché sono agitata?
G - Perché ti porti dietro le ansie della mamma.
D - Perché non riesco a vedere i miei pregi?
G - Perché la tua mente ha deciso di non vederli.
D - Perché vedo solo difetti?
G - Perché è il tuo modo per sentirti inferiore.
D - E perché dovrei fare una cosa del genere?
G - Perché se tu fossi “troppo”, non saresti accettata dagli altri, nemmeno dalla mamma.
D - E allora come posso fare?
G - Fai un salto.
D - Un salto?!?
G - Sì, fai un salto di qualità, fai un salto di dimensione, fai un salto di coscienza.
D - Non sono capace, parli difficile.
G - Allora fai un salto fisico e scrollati tutte le idee svalutanti che hai nella mente, lasciale cadere a terra.
D - Bastasse un salto…
G - Basta qualunque cosa a cui tu attribuisci questo potere di liberarti dalle false credenze e maschere.
D - La fai facile tu… Io ho ansie e paure, mi vergogno di me stessa, non riesco a relazionarmi bene con gli altri, non trovo un lavoro dignitoso, di fidanzati non ne parliamo, e tu mi parli di saltare?
Comprerò una corda, come quella dei bambini.
G - Ecco brava, così magari muovi un po’ l’energia. Perché tieni tutto stagnante, dentro di te non si muove niente, comprimi e reprimi le tue emozioni e le tue energie, fai resistenza al cambiamento.
D - Sarei quindi una repressa?
G – Eccome! Stai frenando la vita, stai frenando la tua espansione, espressione, manifestazione. Stai impendendo al tuo istinto naturale di essere, impedisci alle tue parti autentiche di vivere.
D - Io?
G - Già, tu proprio tu, con il negativo che alimenti.
D – È anche colpa mia, quindi. Sono io colpevole di tutto…
G - Meglio dire che sei la causa, che scegli così.
D – Non mi accorgo di scegliere. E contro di me, per giunta… Come si fa? Come potrei cambiare i pensieri? Come…
G – Come, come, come! La tua mente non sa chiedere altro. Non potresti semplicemente lasciarti andare? Sapere in anticipo il “come” è voler avere tutto sotto controllo, ma la vita non la puoi controllare.
D – Ma io non so vivere senza la mente e senza controllo!
G - Nessuno sa vivere, perché non è stato spiegato! Inventa!
D - Eh sì, adesso creo la vita… Divento magica…
G - È proprio questo il punto: finché ti sminuisci, non capirai mai la tua vera natura e le leggi di funzionamento del tutto... Sei molto più di quello che credi… Esci dai tuoi limiti, esci dalle tue credenze… Ascolta altre voci dentro di te…
D – Ho un po’ di paura…
G – Sì, di scoprire che sei stata nell’inganno finora, che ti sei tradita, che hai ascoltato voci che non dovevi ascoltare.
D – Mi aiuti?
G – Sono qui apposta, stai tranquilla, non ti lascio da sola… Però devi aprire un pochino di più il cuore alla gioia, alla leggerezza, all’amore… Devi giocare di più alla vita… Altrimenti io non riesco ad aiutarti, se resti solo nella mente ingannevole…
D – Ce la farò?
G – Ce l’hai già fatta! Sei già quello che cerchi, devi solo comprenderlo, sentirlo, vederlo e accettarlo.
Sei già Luce, datti il permesso di esserlo anche nella materia. È questo il salto di coscienza…
Forza, coraggio… Saltiamo insieme!
Canale Telegram: Metodo Studiamo. Link: https://t.me/metodostudiamo
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Profilo personale FB: Lucia Goldoni
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autolesionistra · 2 years
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Pensieri sparsi usciti parlando di questo articolo con un paio di amici che ringrazio di esistere. (i pensieri sparsi li ho in parte scippati a loro - perché come cantava bonovòxxe every poet is a thief, all kill their inspiration and sing about the grief)
Partirei da un grande adagio:
John Steinbeck once said that socialism never took root in America because the poor see themselves not as an exploited proletariat but as temporarily embarrassed millionaires. (Ronald Wright)
Ecco, ci hanno contagiato cvltvralmente anche con questo complicando un pochino il concetto di coscienza di classe. Che forse andrebbe ribattezzato come coscienza di ISEE che lascerebbe un po' meno ambiguità.
Parallelamente c'è stato un severo caso di autoavvelenamento, con vari movimenti europei di (ex) sinistra parlamentare che hanno accettato in maniera più o meno esplicita certi canoni di neoliberismo e conseguente individualismo. Questa cosa da un lato ha casualmente coinciso con un doloroso decadimento, dall'altro ha portato a declinare in maniera tristemente personalistica (e elitaria) istanze collettive. Invitare la gente a prendere la roba a km zero è più semplice rispetto a raccogliere le istanze di Aboubakar Soumahoro e della Lega Braccianti sulla riforma della filiera agricola. O anche il "non comprare plastica" come se il numero di persone che possono permettersi di comprare robe al negozietto bio Pratitya-Samutpada con incarti in foglie di hosta possa scalfire l'esercito di di quelli che optano per qualche prodotto discount con imballi a base di diossina e plutonio. Non è una nota di merito su comportamenti individuali più o meno virtuosi ma dal punto di vista politico sarebbe auspicabile un approccio sistemico che non scarichi in maniera classista la responsabilità di un problema produttivo sull'ultimo anello della catena e ma che si impegni a fare certi selezionati cvli ad certe selezionate aziende produttive (tipo quelle che si son messe a mettere sulla plastica "riciclami" che è come mettere un adesivo su un hummer "puoi usare la CO₂ che produco per farci le bibite frizze").
Per citare uno degli amici di cui sopra:
Il mondo delle identity politics ha una componente elitaria perché trascura il fatto che ci sia una classe ampia di persone che non ha né l'energia né gli strumenti di porsi in dialogo su argomenti che non ha mai avuto modo di capire. Ben venga una sinistra che rappresenti il proletariato e che da un lato faccia cultura verso il proletariato, e dall'altro porti i suoi temi in un discorso intersezionale, cercando di coordinare la direzione di certe arcrimonie verso l'alto invece che verso il basso, e chiedendo magari aiuto a portare consapevolezza dove manca.
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mccek · 2 years
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I miei sfoghi sono scarabocchi sopra quadri e fogli
Non sentirsi il cranio, mente staccata dal corpo
Guardarsi la mano e vederla lontano dal volto
Ma non è pazzia, la diagnosticazione
È apatia e cristallizzata dissociazione
Domande su sé stessi, esistenza confusa
La mente fusa che dilata i suoi pensieri agli universi
Mi scordo il ruolo di persona per una cattiva stona
Che risuona rintrona
Rendendomi in uno stato di coma vivendo da automa
L'effetto è di sottofondo
E mi accompagna a letto come quando si fa giorno
Se guardo il vuoto me lo sento dentro il corpo
Come il moto che aumento se dentro corro più distorto
Più penso, più cade la coscienza in vetro
A conoscenza del dialogo col mio alter ego, monologo tetro
Vivo dietro a un vetro che distacca
Vorrei partecipare alla mia vita, ma se mi avvicino, scappa
Da questo lato vita non magnanima
Se cammino trascinando il corpo appeso alla mia anima
Ho un'identità che oscilla come pendoli
Passo la vita guardandomi allo specchio e non riconoscendomi
Un'arma contro l'ansia che adopera la mente
E sciopera, spesso opera perso nel niente
La mia testa è un alveare, lontano un metro siedo
Attraverso un vetro vedo e retrocedo dal reale
Come un ginepro d'arredo in zona balneare
Prego e 'sto segreto tetro credo si voglia alleare
Vorrei dal margine sfociare, piangere ed amare
Ma in 'sto carcere mentale non è facile il sociale
Il male è da associare a mancanze di dame
Non ho nessuna con cui stare perché non so conquistare
Vuoto interiore, dopo ore, nuoto nella percezione
Una foto esteriore, è ignoto ogni emozione
Non ho salute in mente
Alle sedute ne si discute sempre, ma non si conclude niente
Mentre spesso perso trovo le difficoltà
Quando stento ad essere connesso verso la realtà
Scrivo il testo con l'acidità
Vivo questo e sento l'estro il mio maestro in me stesso solo se immerso nel rap (…)
L’abc del rap italiano pt.13
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finnianson · 5 days
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La colonizzazione occidentale alla base del genocidio Palestinese
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Ovunque gli occidentali abbiano colonizzato hanno sterminato gli indigeni
Gli Indiani d'America, gli Indios, gli Aborigeni australiani..
E' soltanto l'ennesimo episodio di colonizzazione occidentale.
E sono gli stessi israeliani a dirlo..
Riporto una parte del famoso dialogo tra Goldman e Ben-Gurion molto esplicativo..
"Non comprendo il vostro ottimismo” affermò Ben-Gurion “Perché gli arabi dovrebbero volere la pace? Se fossi un leader arabo non scenderei mai a patti con Israele. E’ naturale: ci siamo presi la loro terra. Certo, Dio ce l’ha promessa, ma cosa volete che gliene importi? E’ il nostro Dio, mica il loro. Noi proveniamo da Israele, vero, ma duemila anni fa, e quindi? C’è stato anti-semitismo, i Nazisti, Hitler, Auschwitz, ma che colpa ne hanno loro? Loro comprendono soltanto una cosa: noi siamo arrivati e ci siamo presi la loro terra. Perché dovrebbero accettarlo? Forse fra una o due generazioni se ne saranno dimenticati, ma per ora non c’è possibilità. E’ così semplice: dobbiamo essere forti e mantenere un esercito potente. Questa deve essere la nostra unica politica. Altrimenti gli arabi ci stermineranno”.
“Ma come puoi dormire quando la pensi così” sono intervenuto io “ed essere allo stesso tempo il Primo Ministro di Israele?”
"Chi dice che dormo?" è stata la sua risposta.
( "Il Paradosso ebreo" , Nahum Goldman p. 99)
Molto illuminante è anche il discorso funebre del 1956 che Moshe Dayan , allora Capo di Stato, tenne al funerale di Roy Rottemberg, giovane responsabile della sicurezza di un kibbutz ucciso da una incursione armata proveniente da Gaza.
Dayan lasciò esterrefatti i suoi ascoltatori con la sua visione brutalmente sincera degli assassini di Rotenberg, della loro connessione con la terra contesa e i loro moventi.
“Ieri all’alba, Roy è stato assassinato. La quiete della mattina primaverile lo aveva accecato, e lui non ha visto coloro che nascosti dietro i fossati miravano alla sua vita. Non dedichiamoci oggi a incolpare i suoi assassini. Che cosa possiamo dire del loro odio terribile verso di noi? Da otto anni essi si trovano nei campi profughi di Gaza e hanno visto come, davanti ai loro occhi, noi abbiamo trasformato la loro terra e i loro villaggi, dove loro e i loro antenati abitavano in precedenza, facendoli diventare casa nostra”.
Ma il riconoscimento di Dayan della rabbia dei palestinesi non lo portava ancora a quel tipo di posizioni “pacifiste” che egli avrebbe adottato dopo la guerra del 1973, al crepuscolo della sua carriera.
Come osserva lo storico Benny Morris nel suo libro Israel’s Border Wars, Dayan si era domandato:
“Non è tra gli arabi di Gaza, ma proprio in mezzo a noi, che chiudiamo gli occhi e ci rifiutiamo di guardare dritto il nostro destino e vedere, in tutta la sua brutalità, il destino della nostra generazione?”.
“Dietro il fossato del confine sale una marea di odio e vendetta, di determinazione a guardare al giorno in cui la calma ottunderà la nostra coscienza, e sentiremo gli ambasciatori dell’ipocrisia maligna che ci chiederanno di abbassare le armi. A noi e noi soli fa appello il sangue di Roy che sgorga dal suo corpo straziato. Dato che abbiamo giurato mille volte che il nostro sangue non sarà versato facilmente – e tuttavia ancora ieri eravamo tentati, abbiamo ascoltato e abbiamo creduto”.
“Facciamo il punto della situazione. Siamo una generazione di insediamento e senza l’elmetto d’acciaio e il fucile puntato non saremo capaci di piantare un albero o costruire una casa. Non abbiamo paura di guardare onestamente all’odio che consuma e riempie la vita di centinaia di arabi che vivono intorno a noi. Non abbassiamo lo sguardo a meno che non si indeboliscano le armi. Questo è il destino della nostra generazione. Questa è la nostra scelta – di essere pronti e armati, bravi e duri – o altrimenti la spada cadrà dalle nostre mani e le nostre vite saranno spezzate tutt’a un tratto”.
“Il giovane Roy, che era venuto via da Tel Aviv per costruire la propria casa ai confini con Gaza perché fosse un baluardo del nostro popolo - la luce che gli illuminava il cuore l’ha accecato e lui non ha sentito la voce dell’assassino che gli tendeva l’imboscata. Le porte di Gaza si sono dimostrate troppo pesanti per le sue spalle e si sono chiuse sopra di lui”..
Da parte dei leader israeliani era dunque chiara la consapevolezza di essere dei colonizzatori.
E se era chiaro per loro, a maggior ragione dovrebbe essere chiaro per noi quando parliamo di questo conflitto.
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yescarlatommasone · 19 days
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La voce da soffocare è quella della mente, è la voce della coscienza che guida le scelte di un giovane pubblicitario alle prese con un ardente, sconosciuto amore, la cui evoluzione è minacciata da un’impulsiva, quanto irrazionale gelosia di cui l’uomo non ha coscienza, né esperienza.
Ma lui ha uno strano dialogo con la sua mente e non può impedirsi di ascoltarne la voce che instilla dubbi e diffidenza.
Imparare a gestire e controllare il diavolo e l’angelo che albergano in lui, sarà un grosso impegno che Alex si assumerà per garantirsi una vita ricca di amore e di passione.
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lamilanomagazine · 3 months
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Torino: la Sala Rossa omaggia la scomparsa di Bruno Segre
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Torino: la Sala Rossa omaggia la scomparsa di Bruno Segre. Scomparso a 105 anni lo scorso 27 gennaio, nel Giorno della Memoria, l'avvocato Bruno Segre è stato ricordato dal Consiglio Comunale di Torino, in apertura della seduta del 29 gennaio 2024. Avvocato, partigiano, giornalista, consigliere comunale emerito e monumento dell'antifascismo – ha detto in Sala Rossa la presidente Maria Grazia Grippo – si è spento serenamente nella sua casa nel giorno che era per lui coscienza, ricordo e gratitudine. Fu uno degli ultimi allievi di Luigi Einaudi, si laureò in giurisprudenza nel 1940, ma non poté esercitare la professione a causa delle leggi razziali. Arrestato nel 1942 e nel 1944, una volta rilasciato si unì alla Resistenza con il nome di "Elio". Dopo la guerra, riabbracciò la sua passione per l'avvocatura e il giornalismo, battendosi sempre a difesa dei diritti, come divorzio, obiezione di coscienza e cremazione. Fu segretario dell'Associazione torinese contro l'intolleranza e il razzismo e nel 1949 fondò il giornale "L'incontro". Fu consigliere comunale di Torino, capogruppo per il Partito Socialista dal 1975 al 1980; nel 2015 ricevette il sigillo civico e nel 2018 celebrò in Sala Rossa il suo centesimo compleanno. Generoso nel dialogo e nella partecipazione, indomito nello spirito – ha affermato la presidente – fino all'ultimo fu sempre vicino alle Istituzioni. Nelle sue azioni, nella sua coerenza e nelle sue scelte – ha concluso Maria Grazia Grippo – cercheremo ancora ispirazione e guida. La camera ardente di Bruno Segre si terrà martedì 30 gennaio 2024, dalle ore 11 alle 14.30 all'Auditorium del Polo del '900, in piazzetta Antonicelli a Torino; a seguire, alle ore 15.30, la cerimonia di commiato al Tempio crematorio del Cimitero Monumentale di Torino. A entrambi gli eventi parteciperà la presidente del Consiglio Comunale, Maria Grazia Grippo.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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archivio-disattivato · 3 months
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“Non solo gli ebrei, c’è un secondo sterminio razziale che va riconosciuto nella Giornata della memoria”, a TPI parla attivista rom
Riconoscere lo status di minoranza per rom e sinti e introdurre il riferimento al Porrajmos all’interno della legge che istituisce il 27 gennaio la Giornata della Memoria. A chiederlo è il movimento Kethane, rom e sinti per l’Italia, attraverso le parole di Dijana Pavlović, attrice e attivista rom, intervistata telefonicamente da TPI a pochi giorni dalla giornata in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto. “I nazisti hanno compiuto barbarie verso tante categorie di persone – inclusi omosessuali, oppositori politici – ma gli stermini razziali sono stati solo due: la Shoah contro gli ebrei e il Porrajmos contro rom e sinti”, sottolinea Pavlović. “In nessun’altra categoria sterminata c’erano dei bambini”.
Con il termine Porrajmos (che significa “grande divoramento” o “devastazione”) le comunità rom e sinti indicano lo sterminio perpetrato da parte dei nazisti nei confronti del proprio popolo. Durante la Seconda guerra mondiale, ai milioni di ebrei assassinati dai nazisti, si aggiunse infatti la morte di 500mila persone rom e sinti.
Perché è necessario risvegliare l’attenzione sul Porrajmos?
Non siamo masochisti a voler ricordare tutte le cose terribili che sono accadute. La memoria serve a creare un senso comune e dare consapevolezza sulle conseguenze a cui può portare l’odio razziale, il pregiudizio e un certo modo di trattare le minoranze.
Come mai proprio adesso chiedete di riconoscere lo status di minoranza per rom e sinti in Italia?
La nostra richiesta in parte è simbolica, in quanto è profondamente giusto dare dignità a mezzo milione di persone – uomini, donne e bambini – morti solo perché sono nati zingari. In tutti questi anni, infatti, non abbiamo mai avuto un risarcimento, né materiale né morale.
Però è soprattutto una richiesta necessaria, perché ora rom e sinti sono il popolo più discriminato in assoluto in tutta Europa e anche in Italia.
L’80 per cento degli italiani ha pregiudizi nei confronti di rom e sinti. I dati di Oscad (Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori) presentati ieri mostrano che la maggior parte dei crimini d’odio nel 2019 riguardano razzismo e xenofobia, inclusa quella contro rom e sinti. L’odio verso il diverso è una questione quotidiana, la pressione politica e mediatica soprattutto verso la minoranza è forte, quindi il riconoscimento dello sterminio di rom e sinti è fondamentale per ristabilire un dialogo con le istituzioni, che possa portare a una convivenza migliore.
Non siamo stati internati solo in Germania dai nazisti, ma anche in Italia dai fascisti. C’erano dei campi di concentramento italiani per rom e sinti durante il fascismo, da cui alcuni degli internati sono stati poi deportati nei campi di sterminio tedeschi. Questo deve iniziare a far parte della coscienza collettiva del nostro paese.
Oggi è difficile che un politico chieda maggiori tutele per rom e sinti, perché sembra che questo possa far perdere voti.
La questione rom è oggetto di una strumentalizzazione fortissima, non è un segreto. Lega e Fratelli d’Italia fanno le campagne elettorali locali e nazionali sfruttando il tema. Dall’altra parte c’è quasi un imbarazzo a esprimersi come da Costituzione italiana, che impone di proteggere le minoranze. A volte si preferisce inseguire la Lega, assecondando le sue politiche, come gli sgomberi dei campi, o tacendo. Ma questo è il miglior modo di perdere voti.
La comunità ebraica sostiene la vostra richiesta di riconoscere il Porrajmos?
Alcuni esponenti della comunità ebraiche di varie città si sono espressi a sostegno della nostra richiesta. Ma la comunità ebraica ufficialmente, come associazione, non si è mai espressa. Colgo l’occasione per rivolgere loro un appello: la richiesta di aprire le porte e riconoscere che c’è stato un secondo sterminio razziale.
Anche Liliana Segre, quando ha proposto la sua Commissione anti-odio, ha voluto che si occupasse di tutte le discriminazioni, non solo dell’antisemitismo. È vero che questo fenomeno sta aumentando, ma sulla Shoah c’è una consapevolezza collettiva fortissima, che li protegge. Noi non godiamo di questa protezione.
C’è qualche associazione o esponente politico che vi appoggia?
A parte le associazioni rom e sinte, ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ndr) ha firmato il nostro appello per il riconoscimento del Porrajmos. Alcuni politici, come Emanuele Fiano e Graziano Delrio, si sono espressi pubblicamente sul tema. Ma tra il prendere pubblicamente posizione e portare una proposta di legge in parlamento c’è ancora tanto spazio.
Il Movimento Kethane ha aderito all’appello delle Sardine. Come mai?
Anche noi combattiamo affinché la politica usi un linguaggio che non sua violento, che non istighi all’odio e che sia responsabile nei confronti dei cittadini. Inoltre noi siamo anti-sovranisti, anti-nazionalisti e pro-europei. Noi Rom siamo 12 milioni in Europa, l’Europa è la nostra terra. I nazionalismi ci hanno portati allo sterminio. Concordiamo con le Sardine anche per quanto riguarda la richiesta di abolire i decreti sicurezza e attuare una riforma dell’immigrazione. Siamo anti-Salviniani, anche al di là della strumentalizzazione della questione dei rom e dei sinti. Non condividiamo i concetti e i valori che lui esprime.
C’è secondo te il rischio di un ritorno di discriminazioni verso rom e sinti?
Non sarebbe un ritorno, semmai un aumento. Proprio per il fatto che il Porrajmos non è stato riconosciuto, non c’è mai stata una presa di coscienza in proposito, e dopo la seconda guerra mondiale la discriminazione nei confronti di rom e sinti è continuata. Il problema è che ci sono dei picchi. Per noi la situazione è iniziata a cambiare dal 2009, quando c’è stata la cosidetta “emergenza nomadi” del governo Berlusconi, con il ministro Maroni. Dopodiché c’è stata un’escalation, e negli ultimi anni abbiamo assistito ad assessori comunali o regionali che invocavano i forni crematori, che dicevano bisognasse tagliare le mani agli zingari, togliere loro i bambini o che chiedevano la sterilizzazione. Parlo soprattutto di esponenti di Fratelli d’Italia o della Lega.
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carmenvicinanza · 3 months
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Virginia Woolf
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Non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone che potete regolare sulla libertà della mia mente.
Virginia Woolf è stata una delle scrittrici più importanti del XX secolo. I suoi lavori sono stati tradotti in oltre cinquanta lingue.
Eliminando la forma comune di dialogo diretto e la struttura tradizionale della trama, ha portato l’attenzione del romanzo al monologo interiore. Il tempo non viene concepito con una cronologia precisa, ma attraverso pensieri e ricordi suscitati dall’ambiente circostante.
Ha rappresentato lo scorrere del tempo in dodici ore La signora Dalloway del 1925, in pochi giorni Tra un atto e l’altro (uscito postumo nel 1941), in diversi anni Gita al faro (1927) o addirittura in tre secoli con Orlando del 1928.
Pioniera della narrazione attraverso il flusso di coscienza, la forma letteraria e stilistica era alterata dall’identità della figura, in uno scambio continuo e un’attenta corrispondenza tra l’esigenza psicologica e quella linguistica.
Il suo saggio Una stanza tutta per sé, del 1929,  decostruisce il linguaggio patriarcale in ambito letterario e sociale e ha ispirato il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta.
Nacque col nome di Adeline Virginia Stephen a Londra il 25 gennaio 1882 in una famiglia benestante, era figlia di Sir Leslie Stephen e Julia Jackson, entrambi precedentemente vedovi e con prole.
Allevata in un’atmosfera colta che ospitava spesso personaggi del mondo della cultura, manifestò presto la sua inclinazione letteraria, era una ragazzina quando, col fratello Toby diede vita a un giornale domestico, Hyde Park Gate News, una sorta di diario familiare in cui scrivevano storie inventate.
Fino al 1895, anno in cui sua madre morì, la famiglia passava l’estate in Cornovaglia, il luogo dei suoi ricordi più felici che influenzarono, successivamente, alcuni dei suoi scritti di maggior successo come La Stanza di Jacob, Al faro e Le Onde. 
La sua fu una tipica infanzia vittoriana, fatta di lezioni casalinghe, rispetto delle convenzioni, benessere e la sensazione costante che tutta la vita della casa e della numerosa famiglia ruotasse intorno alla madre, bella e distante. La morte precoce della donna, quando la scrittrice aveva tredici anni, le procurò un lungo periodo di depressione che rivelò i primi segni del disagio mentale che ha caratterizzato tutta la sua esistenza.
Dal 1897 al 1901, ha studiato storia e lettere classiche al King’s College. L’anno in cui fu ammessa agli studi universitari, morì anche la sorellastra, Stella. Questi eventi portarono al suo primo serio crollo nervoso.
Nel racconto autobiografico Momenti di essere e altri racconti ha raccontato che lei e la sorella Vanessa Bell avevano subito abusi sessuali da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth. Questo ha sicuramente influito sui frequenti esaurimenti nervosi, il disturbo bipolare e la psicosi che la portarono a diversi tentativi di suicidio.
Dopo la morte del padre, nel 1904, con cui aveva un rapporto conflittuale di amore e odio, lasciò, insieme al fratello Toby e alla sorella Vanessa la residenza di Hyde Park. La loro casa diventò il centro del famoso Bloomsbury Group, destinato a dominare per oltre un trentennio la cultura e la letteratura inglesi. Ogni giovedì sera vi si incontravano importanti intellettuali per discutere di politica, lettere e arte. Si parlava di arte, letteratura, sesso e al centro dei dibattiti finivano le definizioni di concetti come la bellezza, la verità e il bene. Spesso si metteva in discussione la morale corrente, in quanto il gruppo non tollerava la monarchia e, soprattutto, combatteva ogni discriminazione sull’orientamento sessuale e ogni distinzione tra uomo e donna.
Alimentata da quel clima di fervore intellettuale, dava ripetizioni serali alle operaie in periferia, si era avvicinata al movimento delle donne e scriveva le prime critiche letterarie per diversi giornali.
Nel 1912 sposò Leonard Woolf, teorico della politica. Tre anni dopo, ha pubblicato il suo primo romanzo La Crociera. Intanto il suo mal de vivre non la abbandonava, così come il desiderio di togliersi la vita.
Nel 1917 fondò, assieme al marito, la Hogarth Press piccola casa editrice che ha pubblicato gli scritti di Katherine Mansfield, Italo Svevo, Thomas Stearns Eliot e James Joyce.
Nel 1925 ha pubblicato Mrs Dalloway, in cui abbandona la struttura del romanzo tradizionale in favore della tecnica del flusso di coscienza e del monologo interiore.
Attiva nei movimenti femminili per il suffragio universale, si è sempre occupata del ruolo della donna nella società. Tema che si trova nel libro che ha tratteggiato la storia del femminismo moderno Una stanza tutta per sé, del 1929 e Le tre ghinee che approfondisce la figura dominante dell’uomo nella storia contemporanea.
All’amata scrittrice Vita Sackville-West ha dedicato il romanzo Orlando, del 1928, ambientato nell’epoca elisabettiana, che seguendo la vita del protagonista, che reca sia tratti femminili che maschili, si dipana in un arco temporale che va dal XVI al XX secolo. Nelle recensioni dell’epoca l’opera brillava soprattutto per l’uso innovativo dell’elemento temporale, oggi brilla nel suo essere il primo manifesto della fluidità di genere. Una critica alle etichette e alle limitazioni stabilite dai pregiudizi che promuove l’idea che l’identità di genere non debba essere determinata dal sesso biologico, eleggendo la realtà androgina allo stato più naturale delle cose. Attraverso questa opera ha sottolineato come ciò che rende un uomo tale agli occhi della società sia il potere che possiede dalla nascita, mentre una donna è caratterizzata solo dalla mancanza di quel potere, economico, culturale e fisico.
Nell’estate del 1940 ha pubblicato l’ultima opera Tra un atto e l’altro.
Mentre i disturbi mentali continuavano a tormentarla, era sempre più sopraffatta da crisi di ansia e insicurezza.
La Seconda Guerra Mondiale peggiorò le sue paure, vedeva la disintegrazione del mondo che la circondava e cominciava a sentire voci nella sua testa. Temendo di impazzire, decise di togliersi la vita. Si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse, il 28 marzo 1941, aveva 59 anni.
Virginia Woolf, come James Joyce e altri suoi contemporanei, ha adottato le nuove tecniche narrative dei primi decenni del XX secolo.
Rifiutando le tecniche narrative convenzionali, era più interessata al tempo psicologico, alla vita della mente dei personaggi, dove passato, presente e futuro si sovrappongono in un flusso continuo reso attraverso flashback, associazioni di idee, impressioni ed emozioni temporanee.
Ha esplorato temi tipici del romanzo modernista come l’ansia, la crisi, le difficoltà di comunicazione e temi che la toccavano profondamente come la solitudine, la distinzione tra sogno e realtà, la malattia mentale e i pregiudizi nei confronti delle donne che impedivano loro di esprimere la propria identità.
È stata la scrittrice che ha inaugurato una nuova epoca, cambiato la narrazione e trattato, per prima e così a fondo, temi inerenti alla condizione femminile. Ha ispirato un modo differente di scrivere. Conosciuto e vissuto profondamente lo slancio e la caduta che ha riportato con intelligenza e verità, mettendosi completamente a nudo. Il suo fascino e personalità travalicano lo spazio temporale, incantando ancora chi la incontra nella lettura.
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