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#diplomandi
joeartid · 2 years
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#auguri domani a tutti i nostri #diplomandi 💕🍀🍀🍀🔝🔝🔝 (presso NASCO Danza) https://www.instagram.com/p/CfFA5IpopEN/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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aitan · 11 months
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Negli scorsi due giorni, una cena e un pranzo in pizzeria con le mie due quinte di quest’anno, due gruppi di ragazzi che ci lasciano per affrontare la vita fuori dalle mura familiari, angoscianti e protettive della scuola.
Ho notato in entrambi i momenti conviviali una nostalgia preventiva e un attaccamento alla scuola vissuto con molta più intensità che nelle classi dei diplomandi di tre, quattro o cinque anni fa. In alcuni casi, sembra che si siano trovati così bene da non volersene andare (come quelle case materne – o paterne – che si fa difficoltà a lasciare per vivere una vita autonoma, responsabile e indipendente).
Sia in quinta F che in quinta BT, c’è stata qualcuna o qualcuno che ha letto lunghe lettere ai prof, ma soprattutto ai compagni, per ricordare gli anni trascorsi insieme. E i contenuti qualche volta erano ironici e divertenti, ma più spesso assumevano toni malinconici, riflessivi, commoventi e sentimentali.
https://aitanblog.wordpress.com/2023/06/09/passione-e-convivialita-prima-degli-esami/Queste nuove generazioni mi sembrano più fragili, ma anche più sensibili di quelle degli anni passati. (Forse sono anche più forti di quanto fossimo noi, che i sentimenti tendevamo a nasconderli, qualche volta anche a noi stessi.)
È come se i due anni di covid abbiano rafforzato i legami e la voglia di stare insieme di questi ragazzi che sono cresciuti negli anni della grande chiusura.
E nel corso delle letture sono scappate anche tante lacrime (ma di covid, indicativamente, si è parlato poco o niente).
_____________
Continua su ( (( aitanblog ))
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dilelovesarts · 4 years
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Il Neorealismo
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chiamatemefla · 4 years
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«Ancora non ci credo che sei del Novantadue.» Antonio si rigira tra le mani la sua carta d’identità, stranamente poco interessato alla foto da quindicenne con i capelli flosci, incredibilmente preso dalla sua data di nascita scritta storta sulla carta marroncina.
È marzo, sono le quattro del mattino, Giacomo dorme scomposto su una delle poltroncine della sala d’aspetto dell’aeroporto di Ciampino e Gabriele sta giocando, con poca fortuna e ancor meno coordinazione, a qualcosa sulla sua PSP.     
«Non capisco perché ti fa così strano.»
Antonio gli restituisce il documento, affonda il naso nella sciarpa che tiene stretta intorno al collo e fissa le insegne per il bagno di fronte a lui.
«È che avrei dovuto saperlo prima, se non altro chiedere, no che lo scopro quando mi inviti ai tuoi diciott’anni.»
«Se ti consola dovevo nascere l’anno prima ma ho deciso di farmi quindici giorni di vacanza in più. Poi, giustamente, mi madre s’è rotta er cazzo e s’è fatta fa il cesareo.»
«No, per carità, a dicembre no che poi nascevi sagittario.»
«Mo te ne intendi di oroscopo?»
«Vivici te con mia madre, poi vedi come te ne intendi di oroscopi.»
«E cos’hanno i sagittario che non va?»   
«Ma che ne so, so solo che non si reggono.»
«La Fra è nata a dicembre.»
«E che me lo dovevi di’...»
Gabriele impreca a bassa voce, schiaffeggiandosi la coscia con frustazione e svegliando un alquanto confuso Giacomo seduto nel sediletto accanto.
«Hanno aperto i banchi per il check-in?»
«Seh, lallero, dormi Giacomì che qua ne abbiamo ancora per un’ora e mezzo.»
Giacomo, neanche a dirlo, si è riaddormentato prima che finissero di parlare.
Il padre di Gabriele li ha scaricati nel parcheggio deserto dell’aeroporto nel freddo pungente delle mattine di fine febbraio, ha tirato fuori dal bagagliaio della sua gip le loro quattro valigie, e se n’è andato dicendo in tutto tre parole assonnate e uno “State attenti” bisbigliato da sotto alla sua barba scura.
Il padre di Gabriele sembra un po’ Hagrid se Hagrid fosse stato un carabiniere abruzzese con i capelli tirati indietro per nascondere i primi cenni di calvizie. Come Hagrid, però, era probabilmente l’uomo più buono e disponibile che conoscesse, talmente paziente da offrirsi per fargli lezioni di guida oltre che aiutarlo con la teoria.
Sua nonna continua a dire che, oltre al cesto, dovrebbero fargli un monumento. Suo nonno continua a chiederle quando lo farà anche a lui, che ha insegnato a guidare non solo a lei ma anche a quel gran pericolo della strada di zio Giulio, ma ogni volta viene zittito con un’occhiataccia.
Sotto ai giacconi, buttati addosso alla rinfusa con la scusa di non volerli dimenticare in giro, Antonio gli tiene la mano, gioca un po’ con le sua dita, a volte gliela stringe appena un po’ seguendo il flusso di pensieri che gli fa aggrottare le sopracciglia.
Gabriele li guarda, perplesso, prima di tornare al suo videogioco, Antonio ne approfitta per inspirare a fondo.
Secondo lui avrebbero dovuto dirglielo prima di partire, mettere le carte in tavola fin da subito e poi che arrivasse quel che doveva, avrebbero tranquillamente potuto passare la vacanza separati se l’idea fosse loro sembrata intollerabile.
Flavio aveva fatto il codardo.
«Jà, Fla’, ma ti conosce da quando siete bambini ma ti pare che ti smette di parlare?» aveva concluso Antonio, esasperato, appena poche ore prima, mentre tornavano a casa dopo essersi casualmente incontrati durante la passeggiata serale di quella bestia immonda del cane di Antonio che lo odia visceralmente e vuole la sua pelle.
«E se lo fa Giacomo?»
«E allora è un coglione e se se ne va lontano c’abbiamo guadagnato.»
La conversazione era andata così per i successivi cinquecento metri per finire quasi in lite proprio davanti al portone di casa sua dove Antonio aveva semplicemente sospirato, scosso la testa, e guardato negli occhi con la stessa espressione che ha ad ogni compito di latino riconsegnato con un bel quattro sopra.
«E mo cinque giorni come facciamo?» era stata la sua domanda, fatta con le mani in tasca e un po’ di imbarazzo nella voce, e Flavio aveva realizzato che non aveva pensato a quel dettaglio, che nel grande piano escogitato per non farsi scoprire non aveva messo in conto il modo in cui era diventato spaventosamente normale scambiarsi piccole attenzioni quando gli altri non guardavano.
«E mo cinque giorni so cazzi e solo metaforici, me sa.»
Sente la spalla di Antonio urtare la sua, si guarda intorno spaesato e lo vede solo ammiccare verso Gabriele che ha finalmente ceduto al sonno e si è addormentato, praticamente piegato a metà, abbracciato al suo zaino.
«Me lo dai l’ultimo bacio per il resto della settimana?» Antonio si è appoggiato sulla sua spalla e glielo sta praticamente soffiando nell’orecchio, lo stronzo, è sicuro che se potesse vederlo lo troverebbe a ghignare con una certa soddisfazione.
«Ma te facevi l’infame così pure co’ quello che t’ha mollato male?» 
«No, quello l’ho trattato fin troppo bene.»
«E allora il contrappasso ‘o devo pagà io? Famme capì.» 
«No, tu devi solo dare un bacio al tuo ragazzo.»
«E se ci vedono?» 
«Ma come se ci vedono? Mi baci dietro alla chiesa ad orario di messa e ti preoccupi se ci vede la signora delle pulizie di Ciampino? Abiti a un’ora buona da qua, ma chi ti conosce? E poi gli amici tuoi in coma stanno, mica possono svegliarsi mo mo. Che sono, i belli addormentati pe’ corrispondenza? Qualcuno si bacia e loro si alzano? E dai!»  
*
Ha spedito tre cartoline: una ai suoi nonni, una a Chiara, una a zio Giulio. Sono belle cartoline, foto nitide nella luce aranciata del tramonto, tutte simili, con la stessa vista del centro storico preso da Ponte Carlo.
Poi ha comprato una cartolina anche per sé, per scriverci su l’itinerario ed infilarla in quello che, in principio, doveva essere un album fotografico ma stava diventando, pian piano, il suo atlante personale. Aveva iniziato a farlo da bambino, quando visitava un posto nuovo ogni domenica e non aveva una macchinetta per immortalare le colline toscane o il mare azzurro azzurro di Gaeta, aveva continuato dopo il suo viaggio in Francia con la scuola al terzo anno di liceo, dopo la gita in Inghilterra in quarto e per la trasferta in Sicilia dell’estate scorsa.
La cartolina che compra in uno dei tanti negozietti di souvenir di Praga ha stampato sopra un disegno stilizzato della piazza centrale, poche linee nere su fondo bianco, ché non ha voglia di una foto che gli ricordi di quel viaggio — ne ha già tante, più o meno belle, e l’unica che vorrebbe stampare la può, purtroppo, solo tenere impressa nella mente.
Un quadretto di un bianco asettico che ha come protagonisti una moquette polverosa, Antonio, due trolley azzurri, la chiave magnetica per una camera doppia e il ghigno che si apre sul viso del suo ragazzo alla vista di quel letto matrimoniale senza spalliera e con le lenzuola ancora da mettere.
Non è la prima volta che dormono insieme. Lo hanno fatto in tempi non sospetti, quando Antonio aveva troppo da fare col suo telefono che non prendeva nella casa tra i monti abruzzesi in cui Gabriele li aveva trascinati per pasquetta. Lo hanno fatto a capodanno, tra mille imbarazzi per un bacio dato due settimane prima e di cui nessuno dei due aveva fatto parola, una notte che, per quanto breve, era stata passata a prendere le misure.
Era arrivato febbraio, erano diventati “una cosa”, ed ora che è fine marzo si chiede se abbia senso imbarazzarsi così al solo pensiero di condividere il letto con qualcuno che ha dormito con te più di quanto tu non abbia fatto con te stesso.
Antonio sembra genuinamente brillare all’idea.
«Sul sito facevano vedere due letti separati.» dice, senza smettere di sorridere, abbandonando il trolley accanto all'entrata per piazzarsi al centro della stanza tutto spettinato e col cappello di lana in mano. 
Flavio si sente estremamente fortunato e, fosse anche meno emotivamente costipato, lo direbbe.
Praga era stata un'idea di Gabriele, una scusa per partire tutti insieme ed un portare avanti la tradizione che vuole i futuri diplomandi in viaggio per l'Europa in quell'unica settimana di fine marzo che i professori, un po' contrariati, fingono di concedere visto il veto della preside a qualsiasi uscita didattica durante l’ultimo anno.
Il biglietto era stato prenotato a ottobre, le stanze a novembre, e mentirebbe se dicesse che non ci sta pensando da allora — ma a novembre era diverso, a novembre dopo infiniti tira e molla Antonio aveva rotto definitivamente con chiunque fosse la persona che lo faceva essere perennemente imbronciato e lui non riusciva ad essere altro che arrabbiato.
Pensava di essere protettivo nei confronti del suo amico e a quanto pare, invece, era solo geloso.
La loro camera, in ogni caso, doveva essere una semplice doppia, due lettini separati da un comodino che già stavano pensando a come spostare, e invece si erano ritrovati con una matrimoniale vista cortile. Il ragazzo al banco della reception si è scusato dieci volte, loro dieci volte con un inglese zoppicante hanno risposto che non importa.
In ascensore Antonio non aveva fatto altro che dargli spallate, Giacomo era riuscito ad addormentarsi in piedi, Gabriele aveva solo aggrottato le sopracciglia come se stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa nell’aria calda di quella stanzetta semovente.
Ma non ci vuole pensare.
Lo specchio alla sua destra gli restituisce un’immagine che, si accorge, non ha mai visto prima - ed anche quella sarebbe una bella cartolina, si dice, ma sa che ne sarebbe geloso, che non permetterebbe a nessun altro di guardarla.
Due ragazzi abbracciati, fronte contro fronte, le labbra che sanno ancora di baci e i capelli schiacciati dai berretti che hanno indossato fino a poco prima — sembra quasi la scena di un film, di quelli che non guarderebbe se passassero in tv ma che andrebbe a cercare quand’è solo per piangerci in silenzio.
Si sporge di nuovo per sfiorargli le labbra ancora una volta, lo sente sorridere, accarezzargli le guance come fa ogni volta che lo bacia e sanno di avere un quarto d’ora prima di uscire di nuovo, imbacuccati e col naso nelle sciarpe, a cercare di sfiorarsi casualmente e passarsi la birra con fare distratto.
Sente il naso di Antonio solleticargli il collo, un bacio che si posa lì dove comincia la spalla e la vibrazione leggera di una risata silenziosa contro la pelle.
«Che dici, è il momento sbagliato per dirti che ho portato il pigiama del Napoli?»
*
Non è successo a Praga, non è successo a pasquetta, non è successo neanche al compleanno di Giacomo quando tutti intrisi di alcol come neanche i vecchi stracci con cui pulivano le scale del suo palazzo né in uno dei qualsiasi momenti in cui poteva succedere e non è successo.
Di notte il belvedere è bellissimo, i paesi vicini sono laghetti di luce su un mare pieno di onde, ma ora è autunno e sono le cinque del pomeriggio. 
D’estate quel posto è sempre pieno, soprattutto di coppiette e famigliole con bambini che si godono il panorama mentre i pargoli scendono cento volte dallo stesso scivolo.
Ma è fine settembre, ha da poco smesso di piovere, e sul colle non si avventurano neanche le coppiette in cerca di intimità, ci sono solo lui, che è salito a piedi dal paese e inizia ad aver caldo nella sua felpa, e Antonio che fuma nervoso appoggiato al cofano della macchina.
Quella sigaretta è solo un apostrofo tra la conversazione che hanno avuto appena qualche ora prima sulla strada di casa e quella che avranno tra poco, aspettando che i lampioni si accendano e il parapetto di metallo nero si affacci direttamente sulla vallata sottostante pinticchiata di stelle.
«Sono venuto con te alla cresima di Chiaretta.» ecco il primo colpo, una parola e un tiro di sigaretta mentre lo fissa dritto negli occhi con aria affranta, arrabbiata, chissà cos’altro.
«C’ero al matrimonio di tua madre, ai settant’anni di tuo nonno, alla festa di pensionamento di tua nonna.» si passa una mano sul viso, tra i capelli la tuffa nella tasca del giacchetto di jeans e guarda altrove.
«E ogni volta mi sono vestito bene, sono venuto in un posto in cui non c’entravo un cazzo, ho stretto mani e firmato bigliettini d’auguri e sorriso a tutta una serie di parenti che mi guardavano giustamente perplessi e sono stato il tuo amico.»
«Antonio…»
«No, adesso ti stai zitto.» stende un braccio in avanti, come se non volesse farlo avvicinare, e Flavio si chiede se davvero lo conosce così poco da non sapere che, no, fare un passo avanti è l’ultima cosa che gli passa per la testa.
Antonio va fatto sfogare da solo, come un temporale.
«E non ti sto dicendo che devi dirlo a casa, fossero tutti come i miei a quest’ora non ci starebbero più guerre, ma capisci dove sbagli?»
«Lo sai che lo capisco.»
«E invece no, non lo so. Ma sai chi lo sa? Alessandro. E Francesca, cazzo. Lo sa Francesca ma non lo sanno i tuoi migliori amici. Lo sanno due stronzi che ci possono rovinare la vita ma non lo sa chi ci potrebbe parare il culo.»
Sposta il peso da un piede all’altro, lo sguardo a terra e Antonio che tossisce qualche passo più in là, colpetti secchi e stizzosi come ogni volta in cui è nervoso.
«Lo sa Nicandro, Fla’...ma quanto ti credi che siamo furbi? Quanto credi che sono stupidi gli altri?»  
È successo tre giorni prima a casa di Gabriele, tra le mille occhiate che il suo migliore amico e le mille espressioni perplesse di Giacomo. Nicandro aveva cenato con loro, aveva assaggiato un sorso di birra al limone avanzata dall’estate, e guardando lui e Antonio parlare vicini sul divano aveva chiesto ad alta voce «Ma voi due state insieme?».
Gabriele lo aveva praticamente trascinato fuori dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle, Giacomo non aveva parlato prima di aver tirato giù gli ultimi sorsi della bottiglia di vino che avevano aperto per l’occasione, piantando i gomiti sulle ginocchia con fare meditabondo, accarezzandosi sovrappensiero la cicatrice lasciata da una marmitta incandescente sul suo polso destro.
«Ah, ecco perché il gatto di Flavio odia Antonio…» aveva mormorato, con un sorriso vittorioso sulle labbra, parlando più con se stesso che con loro due e Gabriele era uscito dalla cucina trascinandosi dietro un imbarazzato Nicandro e una serie di domande che stanno per piovere loro addosso.
Quello sarebbe stato un momento perfetto per farlo, sospirare esasperato e chiedere “Ma possibile che Nicandro c’è arrivato prima di voi?”, scoprire le carte in tavole e farli sentire nauseati dall’idea di aver passato del tempo con una coppietta, proprio quello che evitano da sempre, proprio quello che evitano accuratamente di fare.
E invece non l’aveva fatto.
Non era successo neanche in una sera di inizio autunno dopo una bottiglia di rosso forte. 
Prima ancora che chiunque di loro potesse parlare, Antonio aveva riso di gusto, poi si era alzato lentamente e se n’era uscito senza neanche salutare. La serata era finita in un silenzio di tomba, lo stesso nel quale era tornato a casa e che l’aveva colpito, pesante come un macigno, durante la domenica che era passata e lo aveva trovato solo, sdraiato sul suo letto a chiedersi cosa c’è che non va in lui.
Non gli piace parlare di sé.
Anzi, no, Flavio adora parlare di sé finché il discorso va solo dove vuole lui, finché può scegliere, finché può tenere qualcosa per sé — e se da una parte sa che questo può solo far male a chi gli sta intorno, dall’altra non riesce a smettere.
«Non è quello, Anto’.» sospira, tirando la testa indietro. «E che poi penso: e se succede un casino? E se non trovo il modo di riaggiustarlo sto casino? E non dico casino che, boh, la gente dice “che schifo” e non ce parla più, de quello sticazzi, dico...altro. Vivemo in un buco de mondo, quanto ce mette a diffondese la storia? Tu non c’eri quando è venuto fuori di Alessandro.»
«E quindi la tua idea sarebbe?»
«Non ce l’ho un’idea. C’avessi un’idea staremmo a discute su un cazzo de belvedere co’ un’unimidità del trecento percento?»
Da qualche parte nella campagna sotto ai loro piedi due cani stanno litigando quanto loro, e si chiede se almeno uno di loro sia ragionevole e non stiano tentando, come lui e Antonio, di fare a gara e chi c’ha più voglia di rovinarsi la vita a suon di prese di posizione.
«Ti sta bene così?» chiede Antonio, buttando la sigaretta a terra e pestandola con un po’ troppa veemenza. 
«Non che non mi sta bene! Ma con chi cazzo sei stato gli ultimi sette mesi? A me me rodeva er culo quando parlavi con lo stronzo di giù, stavo male quando Salvatore faceva le battutine del cazzo sulle ragazze e te le presentava, mi viene voglia di spaccare le cose ogni volta che nonna caccia fuori la storia che, boh, ci sperava proprio che zio Giulio le avrebbe fatto almeno un nipotino.»
Si avvicina un paio di passi, Antonio gli fa spazio sul cofano perché possa appoggiarsi anche lui, ma Flavio rimane un po’ distante, aspetta di dire tutto quel che ha da dire prima di sentirsi l’altro addosso. 
«Io lo vorrei dire a tutti che sei il mio ragazzo. Soprattutto perché sei più figo di metà dei fidanzati di quelle che conosco.»
«Lo so.»
«Quale delle due cose?»
Antonio non risponde, si passa solo entrambe le mani sulla faccia con una risata bassa e stanca e rimane così, coi palmi sul viso, come quando cerchi di tirarti via il sonno dagli occhi o la tristezza dalla bocca.
«Tu l’hai capito che io non è che ce l’ho con te perché non sei pronto ma solo perché continui a dire il contrario quando non è vero e poi ci stiamo di merda tutti e due?»
«In realtà no.»   
«Marò, ma chi m'ha cecato a me?» chiede, senza smettere con quella risata che sembra più un sospiro, come se tutta quella situazione fosse una commedia pessima e non una tragedia annunciata, causata da promesse non mantenute, tempistiche storte e segreti grandi come case.
Ma Antonio non sembra più arrabbiato, ora, sembra solo stanco e Flavio sa che è sbagliato ma lo vede come un traguardo.
*
Semplicemente non succede. 
Non tutto insieme, almeno, non c’è alcun momento catartico o grande ammissione di intenti, non da parte sua perché Flavio è codardo ma anche estremamente testardo ed ha deciso di farlo, certo, ma a modo suo.
Cominciano con piccoli tocchi casuali, sguardi un po’ più lunghi, l’azzardo di tenersi per mano quando sono insieme a persone di cui si fidano.
Continuano con un bacio fugace mentre cucinano davanti a tutti, il dormirsi addosso sul sedile posteriore della macchina di Giacomo mentre tornano da qualche serata di bagordi, mangiare dallo stesso piattino al compleanno di Chiara.
Poi c’è sua nonna che per il suo compleanno, ancora un po’ tentennante, gli dice di invitare “il tuo ragazzo” a pranzo, suo nonno che gli chiede di spiegarsi meglio e gli chiede di avere pazienza perché, per un po’, cercherà di ignorare l’elefante nella stanza.
Quando Gabriele presenta loro la sua ragazza, stretta in un leggerissimo vestitino rosa nonostante i venti gradi e con le spalle coperte dai capelli più lunghi che abbia mai visto, Flavio fa altrettanto presentando il suo ragazzo. E se Rosa non capisce, e si tocca un orecchio per nascondere l’imbarazzo, Gabriele li abbraccia stretti stretti ed è, se possibile, ancora più felice — dallo schermo in cui Giacomo è in videochiamata arrivano parole che non capiscono nel chiasso generale, la connessione cade a metà cena, e alla fine il povero esule in terra marchigiana invia un messaggio che leggono solo a fine serata.
Ed è strano potersi baciare nell’androne del suo palazzo, vedere com’è la faccia di Antonio sotto alla luce aranciata che c’è sopra al portone e dura solo il tempo di farsi una rampa di scale — l’accendono sette volte prima di prendere strade diverse, e a Flavio piace anche l’idea di sapere ogni volta quanto durano i loro baci.
E gli piace poi salire le scale nella penombra che i lampioni gettano sulla via per evitare di accendere la luce altre due volte, entrare in casa felice, accarezzare un sempre più pingue ed aranciato Cicerone che, davvero, sembra essere l’unico a non aver preso bene la storia. (È davvero il compleanno di Anna se io non arrivo in scivolata, in tarda sera e con i capelli dritti, per postare cose? Eh? Lo è? No? Quindi: TANTI AUGURI ANNA DEL MIO CUORE QUEST’ANNO SEI FORTUNATA CHE POSTO DA PC E NON HO TUTTI I FASTIDIOSI CUORICINI CHE AVREI AVUTO NORMALMENTE <3) (come sempre taggo both account perché che ne so @putesseessereallero @blogitalianissimo)
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cosa pensi della maturità di quest’anno?
Mi dispiace, davvero molto.  L’ultima campanella della propria vita. L’ansia pre esame. Aspettare le prove scritte. L’ansia prima di essere chiamato per l’orale. Le ansie insieme ai compagni di una vita.  Mi dispiace per tutti i diplomandi di quest’anno, ma siate forti. 
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Nuovo manuale pratico di scrittura: Per laureandi, saggisti, giornalisti, diplomandi, partecipanti a concorsi pubblici, redattori di Tripodi e La Bottega Editoriale - Recensione
Buon pomeriggio tuf lettori, oggi vi presenterò un libro diverso dal solito, una collaborazione che abbiamo stretto con una nuova casa editrice che…. Beh, possiamo dire ci ha messe alla prova proponendoci un genere che ci ha fatto riflettere e che in qualche modo ci ha dato delle dritte. Di cosa sto parlando? Oggi tratteremo il libro Nuovo manuale pratico di scrittura: Per laureandi, saggisti,…
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tifatait · 2 years
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Unifortunato incontra i diplomandi della città di Benevento nel segno de ''I valori dello sport'' e di un dialogo sul futuro | www.realtasannita.it
Unifortunato incontra i diplomandi della città di Benevento nel segno de ”I valori dello sport” e di un dialogo sul futuro | www.realtasannita.it
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pietroguerravideo · 2 years
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Sentenza TAR Lazio 4814 del 13 aprile 2021 - Diritto dei diplomandi privatisti a inserirsi nelle GPS
Sentenza TAR Lazio 4814 del 13 aprile 2021 – Diritto dei diplomandi privatisti a inserirsi nelle GPS
Sentenza TAR Lazio 4814 del 13 aprile 2021 – Diritto dei diplomandi privatisti a inserirsi nelle GPS Sentenza TAR Lazio 4814 del 13 aprile 2021 – Diritto dei diplomandi privatisti a inserirsi nelle GPS Read More Comma per Comma
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cadutanellamore · 6 years
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Notte prima degli esami ..
Sarà che forse ieri sera ho mangiato pesante, sarà forse che la mia di notte prima degli esami è passata da un bel po, eppure la ricordo ancora bene.
Ricordo le ore a studiare fino all'esaurimento, ricordo quella professoressa che disprezzavo, ricordo ancora la tesina, ricordo la notte insonne a guardare le stelle, l ansia e l immensa soddisfazione quando tutto è finito.
Ricordo l ultima domanda dell' ultimo giorno di esami: e adesso? Adesso cosa farai?
Ero così convinta, determinata, come non lo ero mai stata nella mia vita, era l unica domanda a cui avevo deciso di rispondere: non lo so.
E invece lo sapevo, lo dissi ai miei professori, dissi che volevo conoscere gente, vedere il mondo, lavorare ed essere autonoma. Dissi che volevo sentirmi libera.
È passato così tanto tempo, quasi cinque anni, il mondo l ho visto, almeno un pezzetto, in compenso ho conosciuto persone che venivano da ogni angolo del mondo, persone a cui ho imparato a volere bene. E poi ho capito che alla fine sono sempre stata libera, non avevo bisogno di andare da nessuna parte per sentirmi così.
Eppure stanotte come tanti diplomandi sono sveglia a pensare a cosa mi riserva il futuro, come se entro domani dovessi avere per forza una risposta. Il mio è un esame un po' più difficile rispetto alla maturità, ora lo so.
Ho paura di quello che mi riserva il futuro, ho paura di non farcela, ho paura di perdere la obbiettivo principale, ho paura di perdere me stessa, ma spero anche di trovare la stessa forza che trovai quella notte di qualche anno fa, la mia notte prima degli esami.
Buongiorno diplomandi 2018 e in bocca a lupo, non per mettervi l ansia, ma tra qualche ora inizierà il momento più intenso, spaventoso ma anche bello della vostra vita. Capirete chi siete e me lo auguro 😉
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lucavantusso · 6 years
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Le prime foto del nuovo "RENT" al Teatro Nazionale di Milano, lo spettacolo degli Attori Diplomandi della STM di Novara diretti da Costanza Filaroni (📷 Luca Vantusso e Angela Bartolo per LKV Photo Agency) #musical #rent #lucavantusso #scuolateatromusicale #lkvphotoagency #teatro #teatronazionalemilano #fotodiscena #photo #stm #stagephoto #teamlkv (presso Teatro Nazionale)
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togiweb · 4 years
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“Non sempre chi è al comando sa cosa fa” Non potrei essere più orgoglioso di tutti voi della classe dei diplomandi del 2020 - così come degli insegnanti,  degli istruttori, e soprattutto dei genitori e delle famiglie che vi hanno guidato lungo il cammino.
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ilquadernodelgiallo · 4 years
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Un artista lavora con le immagini, deve per forza usare quello che ha davanti, non può sottrarsi alla realtà... D'accordo, ma trovare estetico l'orrore è osceno. L'arte contemporanea ritaglia un pezzo da questo insieme, lo isola e lo estetizza: è lo stesso procedimento della pornografia. L'arte che rende estetico l'orrore è pornografia delle immagini, l'opera di un voyeur che mutila una parte di questo Corpo della Periferia, ne ricava un'installazione fighetta o un servizio su un femminile patinato e noi diciamo: bello! Ma l'artista cosa sta facendo, in realtà? Sta giustificando l'orrore nella fantasticheria e lo sta rivendendo a chi lo subisce nella realtà. Non sono d'accordo. La realtà è questa? E allora dobbiamo guardarla in faccia, starla a sentire: se un artista non prova a capire il presente, è morto... Lavorare da artisti sulle periferie: ma che vuol dire? Qui la pretesa del bello di fagocitare e digerire il brutto si dissolve rapidamente, la periferia attira verso il rovescio dell'estetica. Chi ha progettato questa insensata prigione? Era possibile immaginarla diversa? [...] Ma dove deportare gli ex abitanti del centro storico? Dove c'è spazio: nelle periferie. E cresce allora quella che si potrebbe chiamare la Periferia Totale e Integrata: un vasto sistema che lascia convivere la speculazione selvaggia e la pianificazione burocratica, l'illusione della casa-per-tutti e la realtà dei servizi-per-nessuno. Ma il Caos è in realtà un progetto, ed è sostenuto o accettato proprio da coloro che ne sono le prime vittime: a nord di Napoli la devastazione è benedetta dalla democrazia populista 'di sinistra', e si costruiscono orrori che generano atri orrori sotto la sirena dello slogan: Una casa per tutti! E chi può opporsi a una casa per tutti? Se uno provasse a spiegare la realtà, lo farebbero a pezzi loro per primi, i prigionieri dei condomini globali, i crocifissi delle Centosessantasette, i paria dei parchi di concentramento, gli illusi delle villette a schiena piegata. [...] Cosa può farne l'arte o la letteratura di questo, è molto dubbio: è il suo materiale, ma è un materiale che sarebbe ingiusto e vile trasformare in arte, in poesia, in bellezza. Vorrebbe dire redimerlo, e questo atto renderebbe impossibile per sempre il solo gesto forse sensato: dire e far vedere fino a che punto è arrivato qui il disumano. Ma come fare? L'oppio mediatico è sceso nelle coscienze dei periferici di tutto il mondo, disuniti e infelici nelle catene che non vogliono perdere, e li tiene in sua balia. Il tempo di vita dei periferici è occupato da un lavorare frammentato, insensato, parcellizzato, che li ottunde e lo tiene in un'ansia perpetua che gli impedisce di pensare e persino di vedere; e il benessere illusorio, che sempre rimanda a domani la felicità incerta in cambio della tristezza sicura di oggi, li tiene a cuccia quando avrebbero tempo per pensare e svegliarsi: e li spedisce nell'inganno turistico, lo spostarsi in luoghi che sono pianificati per fingere la diversità ma sono solo altre facce del periferico integrato e totale... [Napoli. Periferia totale di Giuseppe Montesano] _______________________ Gli inquilini della Barca forse non avevano una lira, ma possedevano una sapienza nel sistemare le cose, anche le più inutili, da fare invidia a un magazziniere. Era un ordine però, il loro, che stringeva il cuore: serviva a salvare il decoro, ma emanava un penoso senso di resa. [Bologna. In Barca di Emidio Clementi] _______________________ Ci sono non luoghi in cui migliaia di persone abitano, sognano, si svegliano, spesso non lavorano e non vanno a scuola, ovvero cercano con più disperazione di altri qualche ragione per vivere e alzarsi dal letto. Sono aree dominate da immensi parallelepipedi con finestre - e la fotografia di un paesaggio notturno in una banlieue parigina, con alcune finestre accese, è lugubre anche senza auto incendiate. Sono città artificiali in cui la rabbia di chi le abita, soprattutto i più giovani, non ha redenzione. Tor Fiscale è il contrario delle banlieues parigine. Qui i pochi rimasti vorrebbero continuare ad abitare, non fuggire per trovare di meglio. Qui hanno costruito, nei modi poveri in cui hanno potuto, non distrutto. Qui non si sogna una vita borghese fatta di comfort e status symbol. Forse anche l'uso di droghe ha una tonalità diversa. Qui non c'è volontà di potenza, fosse anche quella che ha origine dalla rivolta, ma possibilità di vita nonostante tutto. Se nelle banlieues ci si rivolta con rabbia contro la propria differenza, e si dirige la violenza contro le proprie case, cose e automobili, contro il proprio McDonald's, qui, dove non c'è ombra di McDonald's, ci si rifiuta di cambiare, non di restare. Quello che resta è quello che resiste. Ma non si vuole morire su una barricata, come i rivoluzionari di un tempo, perché sulle barricate qui si è capaci di viverci. [Roma. Sulle barricate di Tor Fiscale di Beppe Sebaste] _______________________ Chiacchierando tra noi salta fuori che la periferia Sud di Torino e i comuni della prima cintura sembrano luoghi dove si vive come in altre zone della città. Ma forse è l'idea stessa della periferia che è, almeno in parte, almeno a Torino, sorpassata. La nuova marginalità si è da tempo spostata nei palazzi costruiti al posto delle fabbriche abbandonate ad appena un paio di chilometri dal centro, o nelle viuzze intorno al centralissimo mercato di Porta Palazzo, meta di continue ondate d'immigrati extracomunitari, Oppure nella maestosa piazza Vittorio, nel cuore storico di Torino, Dove bande di pusher magrebini e acquirenti di ogni nazionalità si danno da fare alla luce del sole. Indisturbati. [Torino. La nuova periferia è in centro di Silvio Bernelli] _______________________ Sì, sì, naturalmente, rispondeva mia sorella. Nella sua scuola rubavano i motorini. Ma quando le chiedevo di descrivermi gli autori di queste imprese e le modalità del loro lavoro, lei rimaneva senza parole. Il furto dei motorini, come sospettavo, avevo detto a Giorgia, alla quale, se avessi avuto il coraggio, avrei anche preso le mani nelle mie, si era trasferito, per i nati dopo il 1980, su un piano puramente statistico. I motorini scomparivano: tutto qui. Un'entità nemica e senza volto faceva incetta di Booster, Free e X-Fight lasciando ai derubati la sensazione di un'ineluttabilità che, se da una parte li mortificava, dall'altra rafforzava inverosimilmente il crisma della loro appartenenza alla borghesia medio alta del mondo occidentale in generale e di quello barese in particolare. Ai ragazzi, insomma, era chiaro che una forza completamente sconosciuta e vagamente sottoproletaria (quando non vagamente sprovvista di permesso di soggiorno) li avrebbe periodicamente danneggiati al solo scopo di sancire la loro superiorità di abbienti, navigatori, consumatori di pallette e diplomandi. Più non si facevano un'idea di quella grigia armata di straccioni più si sentivano tenuti a disprezzarla, ad auspicare segretamente roghi e deportazioni. [...] Japigia era stata quasi completamente ripulita, aveva commentato pianamente mia sorella il giorno prima. Era un quartiere normale adesso. Gli spacciatori si erano nascosti. Nessuno ne sapeva niente. Vivevano a trenta metri sottoterra o in superattici ugualmente irraggiungibili. La roba aveva preso a circolare nelle scuole, negli uffici e nelle discoteche come smistata da una forza impersonale. Nessuno andava più da nessuna parte. Ai ragazzi, era sufficiente allungare duecento euro nel buio per ritrovarsi con cinque grammi di cocaina nelle tasche, senza naturalmente sapere chi ce li avesse messi. Anche in questo caso, avevo detto a Giorgia, la contrapposizione tra i due mondi era stata ingoiata da una gigantesca e pacificante simulazione in cui la droga, elemento stabilizzante tra mille altri elementi stabilizzanti, andava perdendo i propri spigoli, la propria natura di grimaldello sociale, il proprio struggente meraviglioso scandalo. [Bari. Dieci anni di Nicola Lagioia]
AA.VV. (a cura di Stefania Scateni), Periferie
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fashionluxuryinfo · 5 years
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LA COMPAGNIA DELL’ACCADEMIA UCRAINA DI BALLETTO (AUB COMPAGNIA ITALIANA DI BALLETTO) NEL SEGNO DELLA ECOSOSTENIBILITA’
Con il sostegno di C.L.A.P.Spettacolodalvivo e del MiBACT Da maggio 2019 la compagnia ufficiale dell’Accademia Ucraina di Balletto ha cambiato la propria denominazione, diventando AUB COMPAGNIA ITALIANA DI BALLETTO, per sottolineare la componente italiana dei suoi ballerini che vengono selezionati attraverso audizioni, ma soprattutto scelti tra i diplomati dell’Accademia stessa mentre i diplomandi ed allievi dell’ultimo anno
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gdsradio7 · 5 years
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I corti di carta per raccontare il riciclo degli imballaggi Da carta a carta: un minuto per raccontare il concetto di rinascita nel processo di riciclo di carta e cartone: è questa la sfida lanciata da Comieco, il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica, ai giovani diplomati e diplomandi della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano.
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ArtEZ Fashion Design BA in VOGUE ITALIA
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pietroguerravideo · 2 years
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