Tumgik
#ferraris
389 · 7 months
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The Hidden (1987) Jack Sholder
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demoralised · 10 months
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F40
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en-wheelz-me · 7 months
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libriaco · 1 year
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Pericolo
[...] l’interesse per l’imbecillità costituisce un indizio di collusione con la stessa [...]
M. Ferraris, L'imbecillità è una cosa seria, Bologna, il Mulino, 2016
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daimonclub · 1 year
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Il mistero della bellezza
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La pietà di Michelangelo Il mistero della bellezza, un articolo che cerca di indagare il fenomeno della bellezza attraverso alcuni brevi testi e diverse riflessioni di vari autori. Fair is foul, and foul is fair: Hover through the fog and filthy air. William Shakespeare È vero, è vero senza errore, è certo è verissimo: ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che è in basso è come ciò che è in alto, per fare il miracolo della cosa unica. Ermete Trismegisto Beauty is truth, truth beauty, that is all Ye know on earth, and all ye need to know to be a perfect stupid. Carl William Brown Se tutte le nostre donne dovessero diventare belle come la Venere dei Medici, per un certo periodo noi ne saremmo incantati; ma presto cominceremmo a desiderare qualcosa di diverso e, ottenuto questo, vorremmo vedere accentuarsi certe caratteristiche che modifichino i criteri vigenti. Charles Darwin Chiedete a un rospo cos’è la bellezza, il bello assoluto, il kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. Interrogate un negro della Guinea: il bello è per lui una pelle nera, oleosa, gli occhi infossati, il naso schiacciato. Interrogate il diavolo: vi dirà che la bellezza è un paio di corna, quattro artigli e una coda. Consultate infine i filosofi: vi risponderanno con argomenti senza capo né coda; han bisogno di qualcosa conforme all’archetipo del bello in sé, al kalòn. Assistevo un giorno a una tragedia, seduto accanto a un filosofo. "Quant’è bella!", diceva. "Cosa ci trovate di bello?" domandai. "Il fatto," rispose, "che l’autore ha raggiunto il suo scopo." L’indomani egli prese una medicina che gli fece bene. "Essa ha raggiunto il suo scopo," gli dissi, "ecco una bella medicina!" Capì che non si può dire che una medicina è bella e che per attribuire a qualcosa il carattere della bellezza bisogna che susciti in noi ammirazione e piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato questi due sentimenti e che in ciò stava il kalòn, il bello. Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si rappresentava la stessa tragedia, perfettamente tradotta, ma qua faceva sbadigliare gli spettatori. "Oh, oh," disse, "il kalòn non è lo stesso per gli inglesi e per i francesi." Concluse, dopo molte riflessioni, che il bello è assai relativo, così come quel che è decente in Giappone è indecente a Roma e quel che è di moda a Parigi non lo è a Pechino; e così si risparmiò la pena di comporre un lungo trattato sul bello. Voltaire, Dizionario Filosofico
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Volto di donna La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla, e ogni mente percepisce una diversa bellezza. È persino possibile che una persona percepisca una bruttezza là dove un'altra prova un senso di bellezza: ogni individuo dovrebbe accontentarsi del suo sentimento personale, senza pretendere di regolare quello degli altri. La ricerca della bellezza reale o della bruttezza reale è altrettanto feconda quanto la pretesa di determinare ciò che è realmente dolce o ciò che è realmente amaro. Secondo la disposizione degli organi lo stesso oggetto può essere tanto dolce che amaro; e la sentenza ha giustamente stabilito che è inutile disputare sui gusti. È naturalissimo, e persino necessario, l'estendere questo assioma al gusto dello spirito, oltre che al gusto corporeo. Così il senso comune, il quale così spesso è in disaccordo con la filosofia, e specialmente con la filosofia scettica, si è ritrovato, una volta tanto, in accordo con essa nel pronunciare la stessa sentenza. David Hume, Della regola del gusto. Quando dico che la bellezza sconvolge, lo dico letteralmente, cioè mi riferisco anche ad aspetti psicopatologici. Conoscerete senz’altro la sindrome di Stendhal, che consiste nel fatto che alcune persone, di fronte a opere d’arte, sono a tal punto sconvolte da avere attacchi di panico, cioè da essere in una condizione di non padronanza di sé. La bellezza quindi non è una cosa tranquilla, la bellezza è qualcosa che ti sorprende. Ma come definire la bellezza? Tommaso d’Aquino dice in latino «pulchrum est quod visum placet», cioè "bello è ciò che quando lo guardi ti piace": tutto qua. Kant, invece, scrive che la bellezza è qualcosa che è senza concetto e senza scopo: vale a dire che, secondo Kant, la bellezza non può essere soggetta ad alcuna forma di teorizzazione – si coglie solo "intuitivamente" – e che essa è (anche questo è molto importante) “senza scopo” – perché la bellezza si inserisce nella categoria della inutilità. Thomas Mann per parlare di bellezza utilizza il verbo tedesco durchstechen, la bellezza "trafigge": qui si riconosce qualcosa di affine all’amore, infatti anche l’amore "trafigge". Bellezza e amore sono accomunati dall’avere la caratteristica di colpire.
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Bellezza della natura L’uomo si trova in una condizione di dipendenza dalla bellezza, in cui tu non sei soggetto ma sei colui che patisce. E anche l’amore, al pari della bellezza, si inserisce nella dimensione della inutilità. Perché quando ogni scopo funziona come anello per raggiungere un altro scopo forma una "cattiva infinità, ossia l’infinità negativa, non essendo che la negazione del finito il quale però torna a nascere di nuovo e quindi non è superato". E allora ci vuole qualcosa di inutile per dare un senso alla nostra vita – e cosa c’è di inutile nella nostra vita, che non ha bisogno di rimandare ad altro, che è significativo e pieno di senso? Io conosco solo l’amore e la bellezza, che sono due dimensioni inutili, ma proprio perché inutili sfuggono alla catena dell’utilità, entro cui ogni cosa rimanda ad altro per il suo significato. Umberto Galimberti, il Mistero della Bellezza Sintetizzando, secondo il filosofo Nicola Abbagnano si possono distinguere cinque concetti fondamentali del Bello, e precisamente: 1) il Bello come manifestazione del bene; 2) il Bello come manifestazione del vero; 3) il Bello come simmetria; 4) il Bello come perfezione sensibile; 5) il Bello come perfezione espressiva. La prima concezione è propria di Platone e poi di Plotino dove assume carattere teologico e mistico; la seconda è sviluppata nell'età romantica, per esempio in Hegel per il quale bellezza e verità sono la stessa cosa. Il concetto del Bello come simmetria è presente in Aristotele, che lo tramanda anche alla filosofia medioevale e al Rinascimento; la quarta concezione invece è quella con cui nasce e si afferma l'Estetica, per esempio in Baumgarten (Aesthetica, 1750), e l'ultima accezione rappresenta un completamento di questa in quanto si considera il Bello come espressione riuscita e quindi arte. Il bello richiama talvolta anche il concetto di bene. Se in generale Bene indica tutto ciò che ha valore, pregio e dignità, in filosofia tale concetto si presenta secondo due prospettive, una metafisico-oggettivistica, il Bene è la realtà perfetta e suprema, e una soggettivistica, secondo cui il Bene è ciò che si desidera e piace. La prima teoria è tipica del mondo antico e medioevale (Platone, Aristotele, Plotino e Tommaso), che parlano del Bene come fonte della verità, del bello, del conoscibile, Bene come Dio, etc.; la seconda del pensiero moderno e contemporaneo che definisce il bene solo in relazione al soggetto che lo vuole, e ciò sia in senso relativistico, sia come in Kant che parla del bene voluto da una volontà buona, cioè guidata da una legge universale. Alcune filosofie contemporanee infatti preferiscono parlare del valore anzichè del Bello, considerando il valore come una realtà assoluta ed ultima, e si inscrivono nella stessa concezione tradizionale del bene. Carl William Brown
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Bellezza del corpo Leggendo un libretto del filosofo Maurizio Ferraris sulla bellezza, scopriamo ancora varie cose interessanti. A Boston esiste, dal 1993, it MOBA (Museum of Bad Arts), un museo di "brutte arti" che organizza mostre, conferenze, sviluppando un'idea semplice ma efficace: prendi un po' di croste e le chiami con it loro nome. L'operazione non riesce sino in fondo, alcune opere non sono poi cosi male, e nel complesso si ha l'impressione che la percentuale di arte brutta non sia significativamente superiore a quella presente in molti musei di belle arti, antiche e moderne. Ma quello che importa e che il MOBA ironizza su un dogma verso cui il senso comune contemporaneo in materia d'arte tocca il massimo consenso. Cioe sulla tesi secondo cui la bellezza non e piu l'obiettivo fondamentale di quelle che una volta si chiamavano "belle arti", per distinguerle dalle arti utili. È un fenomeno che viene da lontano, e risale almeno al Romanticismo, caratterizzato da Hegel (al quale i romantici non piacevano affatto) come un predominio del contenuto sulla forma, come una disarmonia prestabilita e fortemente voluta. E non a caso nel 1853 un hegeliano, Rosenkranz, scrisse Estetica del brutto, cogliendo lo spirito dell'epoca (senza dimenticare poi che, in una tradizione che dai greci porta a Hume e a Voltaire, e viene contraddetta solo da teorie fortemente normative come il classicismo di Winckelmann, appare chiaro che la bellezza, in quanto qualità antropologica, reca in sé sempre un tratto ineliminabile di storicità e di relatività). Ovvio, per qualche decennio, tra Otto e Novecento, ci fu ancora qualche visitatore impreparato che di fronte a croste o a capolavori gridava "Brutto! Brutto!", ma oggi la verità è radicalmente diversa, e di fronte a quelle stesse croste o a capolavori si mormora "Bello! Bello!", non perché li si consideri belli, ma per far capire - in una maniera un po' contorta - che non si è di quelli che ritengono che un'opera d'arte debba essere bella. All'origine di tutto questo, sul piano dei costumi di massa, è ovviamente Duchamp: prendi un orinatoio, o uno scolabottiglie (curioso strumento, d'altra parte) o una ruota di bicicletta, lo esponi in un ambiente adatto (galleria, museo), gli dai un titolo e lo firmi, e lì realizzi la meravigliosa transustanziazione concettuale per cui un oggetto comune diventa un'opera d'arte. Da questo punto di vista, schivare la bellezza è centrale per evitare che qualche incompetente possa pensare che il miracolo dipenda dall'azione di proprietà estetiche, e non dall'invenzione concettuale. Già, le "proprietà estetiche", ossia, sempre nel parlar comune, le proprietà legate alla bellezza, nelle espressioni "chirurgia estetica", "istituto di estetica", "migliorare l'estetica" di un boiler (o magari di un orinatoio adibito a usi ordinari).
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Articolo sul bello e la bellezza Che fine fanno le proprietà estetiche, nel momento in cui l'arte sembra essere tutta concettuale, e infischiarsene della bellezza? E, questione subordinata e minore, che fine fa l'estetica, intesa come dottrina filosofica che si occupa del bello e dell'arte, nella convinzione, ormai non più garantita, che i due termini abbiano molto in comune? Il bello, se così possiamo dire, è però che l'estetica non è affatto morta, anzi, è in condizioni di salute molto migliori rispetto a qualche anno fa. Da una parte, trova nuovi campi di applicazione (per esempio l'universo dei consumi di massa e del web) e nuovi strumenti di indagine (come / nelle ricerche della neuroestetica). Dall'altra, ritrova significati che con il tempo si erano persi, per esempio l'idea che l'estetica non si occupi solo di arte ma anche di percezione (aísthesis, da cui il nome "estetica"). Come è possibile? Probabilmente, la diagnosi secondo cui la bellezza non conta sottovaluta due circostanze. La prima è che i discorsi sulla sparizione della bellezza vengono regolarmente costruiti su un tipo di arte, quella visiva, che è estremamente anomala. Perché proprio l'arte visiva ha subito più direttamente l'impatto della riproducibilità tecnica dell'arte, che ha sollevato gli artisti da obblighi rappresentativi che favorivano la maestria tecnica, anche se non necessariamente la bellezza. Poi, in modo crescente, c'è stata la producibilità tecnica delle opere, ossia il fatto che tra creare un'applicazione per un telefonino e produrre un'opera non c'è alcuna differenza di fondo. Il risultato è che la manualità non conta più niente in arti in cui, in precedenza, costituiva un elemento decisivo. E chiaro che qui abbiamo a che fare con un radicale cambio di registro, che viceversa non si è prodotto in altre arti, in cui la manualità non aveva sin dall'inizio alcuna importanza (per esempio, nella letteratura) o che sin dal loro sorgere sono state caratterizzate da una fortissima componente di riproducibilità e producibilità tecnica, come il cinema e le sue evoluzioni digitali. Questa trasformazione, però, non ha affatto comportato la scomparsa dell'estetica nel suo senso tradizionale di filosofia dell'arte, sia perché si tratta di spiegare la grandissima dose di concettualità delle arti visive, sia perché si tratta di fare i conti con gli sviluppi dell'opera d'arte nell'epoca della sua diffusione di massa e della sua producibilità tecnica. Ma accanto a questo c'è un secondo elemento forse anche più interessante, e cioè il fatto che non è per niente vero che la bellezza sia scomparsa. Se dal MOBA passiamo alla moda, nessuno si sentirebbe imbarazzato a dire che un abito è brutto, o bello, e d'altra parte non ci vuol molto per vedere quanto i giudizi estetici abbiano a che fare con una delle caratteristiche fondamentali dell'essere umano, il piacere e il dispiacere che viene provocato in noi dal semplice presentarsi sensibile di cose o di persone. Questo lo aveva visto bene Kant, e il ritorno a una estetica come aísthesis, come teoria della sensibilità, ha il merito di ricordarcelo.
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Sant'Agostino e il diavolo La bellezza ha lasciato alcune opere, ed è migrata altrove, trasferendosi, per così dire all'ambiente naturale (il paesaggio e la sua tutela) e culturale, incominciando dagli immediati dintorni dell'arte, come i musei, per venire ai vini, ai cibi, alla cura del corpo. E l'estetizzazione del mondo di cui tanto si è parlato ai tempi del postmoderno, ma è anche qualcosa di più, e cioè la consapevolezza del fatto che la sensibilità ci mette in contatto con una sfera reale e inemendabile (se il vino sa di tappo, sa di tappo, e non c'è sortilegio concettuale che tenga), insegnandoci che il mondo non è semplicemente come ce lo dipingiamo, o ce lo dipingono. Senza dimenticare poi che la bellezza può decidere della felicità delle persone come tutta una letteratura sull'amore e i sentimenti, che abbiamo cercato di antologizzare, dimostra con larghezza. Il nocciolo di questo aspetto lo ha colto bene Stendhal: "la bellezza è una promessa di felicità". Questa frase sposta il dibattito dalle sfere somme, e dai paragoni fuori luogo, al nocciolo della faccenda, dicendoci che la bellezza non è una entità magniloquente, bensì una proprietà terziaria (cioè espressiva) connessa a oggetti, opere, eventi e soprattutto persone: c'è qualcosa nel mondo che si stacca dalla nebulosa delle cose circostanti perché esprime qualcosa, e in particolare una promessa, quella di renderci felici. La promessa potrà non essere mantenuta per intero (ed è ciò che accade il più delle volte, il che spiega perché la bellezza ha una qualche parentela con l'inganno e addirittura con il pericolo, come in Rilke e in Fitzgerald), oppure potrà durare troppo poco (ed è per questo che la bellezza è legata alla malinconia e alla caducità, come nei versi di Baudelaire), ma intanto importa che in quel preciso punto del mondo ci sia una promessa di quel genere, che si rivolge proprio a noi. La bellezza, dunque, importa. Ma bisogna evitare l'eccesso inverso rispetto alla squalificazione novecentesca. L'idea di Dostoevskij secondo cui la bellezza salverà il mondo è in ultima analisi tutt'altro che benigna: non date né scienza né pane al mondo, dategli lustrini e veline, e che si accontenti. Insomma, si sente il vento, non tanto della follia, quanto piuttosto dello stupore a poco prezzo e del raggiro che pagheremo caro. Un rischio collaterale di questa frase così immodesta (perché veniva da uno scrittore, dunque da un professionista della bellezza) è inoltre di fare odiare la bellezza, e di farle preferire il brutto per il brutto. Il che, fra l'altro, è storicamente avvenuto. Non appena un artista, un critico, un filosofo, si sono infuriati con l'idea che la bellezza avesse la meglio sulla giustizia e sull'umanità, il primo gesto è stato per l'appunto teorizzare, o purtroppo anche realizzare, opere brutte, che non fornicassero con l'estetismo, che ci mettessero sotto gli occhi i dolori del mondo, senza redimerli, ossia lasciandoli brutti, anzi, aggiungendo bruttezza a bruttezza. E poi, già che ci siamo, si è provveduto a riempire il mondo di case brutte, di calzoni a zampa, di panini alla piastra, e ovviamente di opere che meriterebbero di finire al MOBA. Maurizio Ferraris, Bellezza Comunque possiamo aggiungere che sulle categorie estetiche del bello si è proprio detto tutto e il contrario di tutto, come sulle altre questioni del resto. Ad esempio, Edmund Burke, filosofo e politico irlandese del XVIII secolo, ha elaborato una particolare teoria del bello e del sublime nel suo saggio del 1757 intitolato: A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful ( Un'indagine filosofica sull'origine delle nostre idee del sublime e del bello). Secondo Burke, il bello e il sublime sono due concetti estetici distinti. Il bello si riferisce a ciò che è piacevole alla vista e all'udito, e che suscita una sensazione di armonia e proporzione. Burke ha descritto il bello come "ciò che è formato in modo tale da suscitare la semplice approvazione dello spirito". Egli ha sostenuto che il bello è un concetto universale, che può essere apprezzato da tutti gli esseri umani indipendentemente dalla loro cultura o dalla loro esperienza. Read the full article
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A chance meeting at a Los Angeles recording studio helped Sammy Hagar and members of Pink Floyd forge a friendship built around fast cars and fine wine.
Hagar was on a short break from his Van Halen duties, working on songs at A&M Studios for what would become his next solo album, 1987's I Never Said Goodbye. Pink Floyd was in a separate room at A&M, engrossed in sessions for their first post-Roger Waters effort, A Momentary Lapse of Reason.
Even though both camps were busy individually, they made time to socialize. "Nick Mason was there. Every day I'd drive one of my different Ferraris [and] they are Ferrari collectors themselves," Hagar tells UCR. "So they'd be waiting for me and we'd have long chats about my various cars."
Next, "David Gilmour and I discussed fine wines," Hagar adds. "We both had collections." (He teases a "great Bordeaux story" from their time together.) Rumors circulated that Gilmour subsequently guested on I Never Said Goodbye, but Hagar says that didn't happen: "He was never asked to play on the record."
Still, there was some overlap between the two sessions. Pink Floyd was having difficulties capturing the right drum performance for "The Dogs of War," Hagar shares. "It was a shuffle, and I guess Nick wasn't playing it right," he says. "I tried to get [Montrose and Hagar drummer] Denny Carmassi on it." Vanilla Fudge and Rod Stewart drummer Carmine Appice was ultimately tapped to play the part instead.
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Decades later, Hagar remains a diehard fan of Pink Floyd — and he can see how their music impacted his career. "If you listen to my Red album, the song 'Red,' it's got all of these changes. It goes through all of these [moments]. I'm a prog guy. I have a hard time simplifying things," Hagar explains. "I like to keep going. They say, 'Well, you don't need all of those parts,' and I'm going, 'Yeah, I do!'”
"I'm a Pink Floyd nut," he concludes. "To me, my favorite band in the world ever has got to be Pink Floyd, and maybe Tool. Two dark, weird-ass bands."
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opera-ghosts · 4 months
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Humperdinck - Hänsel und Gretel - Suse, liebe Suse - Supervia, Ferraris (1928)
Engelbert Humperdinck Hänsel und Gretel Suse, liebe Suse ... Brüderchen, komm, tanz' mit mir (in Italian; Mamma, questo fiasco ... Vien fratello, vien con me)
Hänsel - Conchita Supervia
Gretel - Ines Maria Ferraris
Unknown orchestra Angelo Albergoni, conductor
Fonotipia, 1928
Creepy Christmas: Humperdinck’s Hänsel und Gretel was premiered in Weimar – under the baton of Richard Strauss – 130 years ago today!
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scoutingthetrooper · 11 months
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mark ferrari
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xtremeservers · 7 months
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Sitting on the grid in my 2017 Holden V8... https://www.xtremeservers.com/blog/forza-motorsport-review/?feed_id=95207&_unique_id=651d1cba88c07&Forza%20Motorsport%20Review
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bellisarioo · 7 months
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Rolls Royce and Two Ferraris
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l8tof1 · 2 months
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why does it look like ferrari has tumblr up on a big screen in their garage
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justc2world · 1 month
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This was the most precious moment of a father being extremely proud of his son
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en-wheelz-me · 7 months
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lina-corsa · 3 months
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we did it
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letsrevince · 2 months
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rb9 · 2 months
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18 yo kid in a ferrari discovers haas f1 team
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