“Quisquiglie, quisquiglie”:
gridava l’uomo dei gelati.
Ero già alla fine del mese,
ma l’influenza entrò nei miei polmoni
con il fiato in gola di colei
che ancora oggi ricorda
quando si è sentita donna,
madre e figlia in due colpi sparati in basso e in alto,
come la grappa che si snappa dalle mie parti
accompagnata allo strudel al dolce sapore di mela.
Scrivimi in francese di quelle volte,
perché…
Quella mattina lei si sveglia più malinconica del solito.
Un sussulto, il cellulare sul comodino si accende, una notifica.
Resta in attesa.
Per un attimo non sa se guardare o aspettare. Speranza mista ad incertezza.
Speranza di leggere un solo nome, quello di lui.
Incertezza perché da quell'invito, ha fatto seguito un lungo silenzio.
Silenzio, sì, ma carico di rumore e ricco di significati. Significati che lei sola ha saputo dare e mai nessuno ha potuto smentire. Un silenzio straziante, fatto di gioie e dolori, di prove ed errori, di ragioni e di colpe, di vittorie e sconfitte. Un silenzio e tutti i suoi opposti.
Allunga la mano, sul comodino. Prende il cellulare, legge le notifiche arrivate durante la notte. Nessuna degna di nota. Nessuna, nemmeno stavolta.
Avrei mille cose da dire e mille altre delle quali mi dimenticherei. Ma tra queste millemila cose, l'unica importante è che ti amo e ti amerò per il resto dei miei giorni, finché i miei occhi guarderanno i tuoi.