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#galleria lia rumma
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Marina Abramović, Portraits, 1975-2002
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garadinervi · 2 years
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Carlo Alfano, Dalla stanza di soggiorno alla stanza da notte, (oil on canvas), 1976 [Galleria Lia Rumma, Milano and Napoli. © Carlo Alfano]
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pikasus-artenews · 1 year
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Voglio vedere le mie montagne – für Giovanni Segantini Una nuova mostra personale di Anselm Kiefer, che segna il ritorno dell’affermato artista tedesco a Napoli
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mentaltimetraveller · 2 years
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Gilberto Zorio, Luci, 1968
Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli
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bananartista · 6 months
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Il Contorsionista - Entity N° 16001
Tecnica mista su comunicato stampa della mostra di Wolfgang Laib “…e vidi cose che ridire né sa né puo …” presso la galleria Lia Rumma a Milano (29,7 x 21 cm)
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already-14 · 2 years
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William Kentridge, Sibyl, 2020, vidéo HD monocanal, 10 ′, édition de 9. Courtesy Galleria Lia Rumma, Milan Naples
artribune.com
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federicodeleonardis · 3 months
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Anselmo vive
Poco meno di un mese fa moriva Giovanni Anselmo e il fatto mi ha colto di sorpresa: la mostra a Milano di qualche mese prima (nella galleria di Lia Rumma, da me commentata su questo foglio in un articolo precedente) mi era sembrata l’espressione poetica di una persona nel pieno delle proprie energie, più che una summa del suo lavoro. Dopo averla visitata, pur sapendolo molto anziano (aveva 89 anni) ho constatato che non aveva perso la verve giovanile che ha sempre dimostrato.
Come ho detto a suo tempo, attraverso gli interventi su questo foglio e sul mio blog, considero le sue opere, per rigore esecutivo, inventiva e coerenza, tra le poche oggi in circolazione veramente uniche.
Non si è riflettuto abbastanza su quanto importante è stato ed è tuttora il messaggio particolare che lui ha lasciato a noi con quella che si può ancora definire autentica scultura. Le categorie nelle quali si è portati a dividere il visivo sono da tempo superate, ma la confusione dei generi e gli sconfinamenti che hanno introdotto nell’arte visiva nuovi modi d’espressione, pur fecondi, a un certo punto hanno dato la stura al dilagare di una superficialità di cui soffriamo ogni giorno le conseguenze.
Anselmo da più di mezzo secolo ha affermato e tenuto in evidenza, con tenacia e coerenza poetica, una verità importantissima, che purtroppo è passata inosservata ai più, anche alle persone che si sono dimostrate vicine ad altri aspetti del suo lavoro e del lavoro di suoi sodali più stretti. In parole molto semplici: da quando l’uomo ha lasciato gli alberi e percorre il pianeta in lungo e in largo ha instaurato un rapporto particolare con l’energia e prima di tutto con la massa, nella sua espressione più elementare e diretta che è il peso. Lo sa bene qualsiasi vecchio ma anche, per fare un paio di esempi, la casalinga con i sacchi della spesa o un comune manovale costretto a scaricare quotidianamente sacchi di cemento in betoniere.
L’energia è alla base della vita. E’ una banalità, ma spesso sono le evidenze più comuni a costituire l’importanza di un lavoro. Infatti è proprio la presenza costante dell’energia fisica illustrata in tutte le sue forme nelle sue opere a far tramontare i cosiddetti “valori plastici”. Ed era tempo.
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L’aver tenuto fermo il dato di cui ho parlato sopra fa del lavoro di Anselmo un punto di riferimento imprescindibile che va sottolineato e sostenuto. Penso che questo sia il suo legato principale e più duraturo. La fisicità elementare sempre presente nei suoi lavori li rende particolarmente chiari e pregnanti. La Mano che lo indica, anche trasversalmente, come era cinquant’anni fa alla galleria di Salvatore Ala a Milano, è il raffinatissimo segno della leggerezza poetica con la quale quest’artista ci ha liberato del grigio e pesantissimo paesaggio che incombe oltremare su tutti noi.
P.s.  A giorni nel celebre Museo di Bilbao si terrà un retrospettiva dell’artista.
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Installation view of "Grigi che si Alleggeriscono verso Oltremare" (Grays Lightening toward 'Oltremare') (1984) by Giovanni Anselmo in the exhibition "The Knot: Arte Povera at P.S. 1" (October 6–December 15, 1985). Ph moma.org. Sopra : Mano che indica (Hand indicating), 1981. Drawing on paper. Courtesy Archivio Giovanni Anselmo, Turin. Photo Paolo Mussat Sartor
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sixteensaltines · 2 years
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Text ― Ettore Spalletti
Elogio della normalità. Ettore Spalletti di Giancarlo Politi
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Ettore Spalletti è (stato) uno dei più rigorosi e importanti artisti italiani dagli anni ’70 ad oggi. L’ho conosciuto negli anni ’60, a Pescara, in una mostra collettiva (Ceroli, Alviani, Spalletti, ecc.) nella Galleria L.D. di Lucrezia De Domizio allora ai suoi esordi nell’arte. Ettore era un ragazzo gentile e sottile, apparentemente timidissimo. Nel parlare, quasi balbettava. Poi credo sia diventato un vezzo che lo ha accompagnato per la vita e gli ha procurato molte simpatie. Il suo tono di voce era bassissimo, quasi un sussurro e spesso si faceva fatica a capirlo. Io dovevo avvicinare il mio orecchio alla sua bocca. Allora era uno dei tanti artisti di provincia che tentavano di affacciarsi sulla scena nazionale: divenne amico di Mario Ceroli e Getulio Alviani che credo gli abbiano creato qualche contatto in Italia. Ma il suo supporter principale, direi l’artefice principale del suo affacciarsi sul palcoscenico nazionale, è stato Mario Pieroni, che all’epoca gestiva un importante negozio di tappeti, dove teneva anche alcuni multipli di Ceroli, di Alviani e Pistoletto. Poi aprì una vera e propria galleria ai Bagni Borbonici della città. Un nome un po’ inquietante ma la galleria era bella, spaziosa e luminosa e Mario realizzò splendide mostre, miracolo per la provincia di allora: Mario Merz, Kounellis, Spalletti, ecc. Ma poco dopo, ritenendo un po’ stretta Pescara, e anche perché incontrò Dora Stiefelmeier, che diventerà la donna della sua vita e che tanta importanza ebbe negli sviluppi dei suoi progetti, Mario si trasferì a Roma, aprendo la galleria Mario Pieroni, in pieno centro, in via Panisperna. Ma sempre con un occhio molto attento e amorevole nei confronti di Ettore Spalletti, che portò più volte ad Art Basel, nel suo stand molto minimale e spirituale. E credo che i primi contatti internazionali di Ettore con le gallerie e Istituzioni di altri paesi, avvennero proprio ad Art Basel, nello stand di Mario Pieroni e Dora. Altro grande contributo alla diffusione del lavoro di Ettore lo hanno dato, ognuna nei propri ambiti e senza mai rivaleggiare ben sapendo che lavorare in due è meglio di uno, sua nipote, Benedetta Spalletti proprietaria della galleria Vistamare e la grande Lia Rumma. Di cui un giorno bisognerà raccontare la storia leggendaria, la sua grande intelligenza e determinazione, che da Salerno ha conquistato il mondo. E in silenzio come Ettore Spalletti.
Il grande miracolo di Ettore, credo quasi unico al mondo, è che lui è diventato un artista internazionale senza mai lasciare l’Abruzzo e conducendo una vita normale. Una vita semplice di provincia ma di grande impegno morale. Tra Spoltore e Cappelle sul Tavo, due paesetti ad un tiro di schioppo. La sua formalmente fu una vita normale che mi ricorda l’Uomo senza qualità di Robert Musil, per il suo estranearsi dalla società ed immergersi totalmente nel suo lavoro dentro la società.
Ma Ettore, soprattutto agli inizi, quando era solo un artista che cercava di affacciarsi nel mondo dell’arte, mantenne alcuni contatti fedeli: Kounellis, Ceroli, Alviani, soprattutto. Convinse Kounellis a prendersi uno studio accanto al suo, a Spoltore,
A proposito di Alviani, su cui so tutto, sia Getulio che Ettore mi raccontarono un episodio comico e drammatico (di cui ho già scritto quando entrambi erano in vita e anche Giacinto Di Pietrantonio è a conoscenza: dunque non sto romanzando la vita di nessuno, come qualcuno pensa). Nei tardi anni ’60 o i primissimo ’70 Ettore andò a visitare Getulio nel suo studio a Udine, adiacente alla abitazione di Alviani, dove viveva con la prima moglie. Donna bellissima e straordinaria, ma gelosissima. Angioletta (così si chiama la prima moglie) vide Getulio entrare in studio con una persona, senza capire bene chi fosse. Ma conoscendo suo marito e le sue abitudini, poco dopo si avvicinò alla porta dello studio per capire chi fosse entrato. Non udendo parlare immaginò che Getulio fosse in compagnia di una donna. Tornò di corsa in casa, prese la pistola (probabilmente dell’ex marito militare deceduto) e corse in studio. Inferocita e accecata dalla gelosia aprì la porta e controluce vide una figura sottile che si stagliava nella finestra. Sparò due colpi di pistola contro la famigerata figura, per fortuna senza colpirla. Si trattava di Ettore Spalletti, che parlando come sempre a bassa voce, fece credere ad un appuntamento d’amore all’infuocata moglie di Alviani.
L’Azzurro Spalletti come il Blue Klein
Ma il grande merito di Ettore, che nessuno ha mai sottolineato, è stata la sua testarda volontà imporre il proprio lavoro, restando sempre in Abruzzo, a Spoltore, un villaggio su un cocuzzolo vicino Pescara. Non ho mai conosciuto nessun artista arrivare ad un successo internazionale di tale misura restando nel proprio paesello. Un insegnamento per tutti. Ettore però viaggiava ed aveva amici ed estimatori di alto o altissimo profilo. Viaggi veloci, blitz di lavoro, con attenzione per tutto ciò che lo riguardava ma anche per tutto ciò che era distante da lui. Ma la curiosità per tutto il panorama dell’arte era innata in lui. Ettore riusciva ad esprimere una opinione pacata e acuta su ogni aspetto della creatività. Anche le più nuove e sperimentali. E per quanto riguardava il suo lavoro era di una dedizione e professionalità monacale e maniacale. Non ho mai incontrato artista così legato al proprio lavoro e al suo universo. Minimale e sempre tenuamente azzurro (con qualche breve p’arentesi rosa). L’azzurro Spalletti come il Blue Klein.
Ma non si può giudicare il lavoro di Ettore Spalletti senza averne mai visitato lo studio. Una sua opera. La pià grande opera di scultura e architettura di Ettore. Una perfetta sintonia tra spiritualità azzurra e silenzio monacale. Entrare nel suo studio significava entrare nella Cattedrale della sua arte, fatta di colori tenui e di silenzio. Mi ricordava in grande la Cappella di Matisse a Vance.
Ettore programmava ogni sua mostra significativa in studio: un bozzetto perfetto dello spazio espositivo, museo o galleria, con la miniatura di sue piccole opere. Opere piccolissime che però subito diventavano enormi, perché lo spazio ti risucchiava e tu eri uno sperduto navigante immerso nell’azzurro.
Spero che gli eredi di Ettore vogliano conservare lo studio come una cattedrale, con tutti i progetti di mostre e lo spirito mistico che lo studio sprigionava.
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francescapasquali · 6 years
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The Milky Way Foto, Setole 2018, a cura di @damianaleoni 57 fotografi a sostegno delle donne in gravidanza, neo-mamme e bimbi in contesti di marginalità e disagio #PianoTerraOnlus #charity #napoli #photo #liarumma (presso Galleria Lia Rumma)
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garadinervi · 2 years
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Ugo Mulas (photograph), Bruno Munari, 1967 [© Archivio Ugo Mulas, Milano. Galleria Lia Rumma, Milano and Napoli. MunArt]
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pikasus-artenews · 2 years
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PAOLO ICARO. Dribbling Paolo Icaro fu tra i primi artisti che parteciparono alle mostre dell’Arte Povera organizzate dal teorico del Movimento Germano Celant.
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mentaltimetraveller · 3 years
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Ettore Spalletti, Parole di colore, 2015 Galleria Lia Rumma, Milano – Napoli
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fabiopariante · 6 years
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Your love/Amore tuo . Progetto The Milky Way Foto . 57 fotografi per a sostegno delle donne . Galleria Lia Rumma . #Napoli . #fotografia #foto_napoli #follow4follow #igersitaly #vesuviocoast #campania #visitcampania #igersitaly #igersnapoli #instagram #instafollow #instamood #instamuseum #art #igersitalia #naples #followme #love #discovermag #woman #itweetmuseums #contemporaryart #like4like #staycurious (presso Galleria Lia Rumma)
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angyinwonderland · 6 years
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"Damasa" di Gian Maria Tosatti...#Mollichina#SabatoItaliano#StorieItaliane#anasolider#Anoressia#AnoressiaRecovery #Angyrecovery #Prorecovery #Dca #DcaRecovery #Dcaweb #Dcablog #DcaNapoli #inspiremyinstagram #Inspiration #Motivator #Motivation #Motivated #Niceday #Blogger #WebInfluencee #BloggerInfluencer #NapoletanBlogger #ItalianBlogger #Angygram #Instagood #Instadaily #Instaweb #Instablog #Instagram (presso Galleria Lia Rumma)
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Tabula Rasa 2: Giovanni Anselmo
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The audacity but at the same time the measure of the one who has occupied the space that has been offered to him without cluttering (Gallery Lia Rumma in Milan) speak immediately. A work of impeccable coherence and clarity: those who do not see are simply blind.
Giovanni Anselmo, class of ’34, still has a lot to teach: the opus in the center of the room on the second floor, from 1968, is of the same nature as his famous “Salad”, but Cotton tastes of Covid 2019/22: Time plays in the present by forcing the guest to feed the vase daily; and also plays on a sort of eternity: in the photographic images on the ground floor, in which the sun slowly sets over the sad Po plain itself.
And then he plays at the moment of catastrophe: in the apparent precariousness (but what is art if not appearance and precariousness?) of many of the works present, that of the 300 kg of granites metaphorically hung on painter’s canvases, in the tension present under the tip of the slab towards “Oltremare” or under the lopsided bas-reliefs over the observer, always on the ground floor. Not all of Anselmo’s works are at the Lia Rumma, however what is there demands maximum attention (as in the “Acrylics” superimposed on the squared blocks of granite on the wall of the intermediate floor).
Enough with the description, if you can, don’t miss it: such cleanliness is rare today. I only felt one absence: that of his “Hand that indicates” the variegated abstract and vaguely metaphorical landscape of the present. What is missing? Maybe the people, the people? But who cares, the people are oxen, art is elitist, dear Beuys, not out of pocket, but of antidotes against suffering; and then people don’t give a shit about cleanliness and rigor, they want to ignore death, they believe in the “casino”, in performances to the rhythm of rock.
Perhaps the sense of the weight of life? But here, without rhetoric, without indulging in romanticisms, there’s a lot of bullshit: it’s the physical effort of pulling up sacks and sacks of cement every day to put in the cement mixers. It is the real danger under the tip towards the sea of a small rectangle of blue applied with a spatula. It is the sense of solitude of a sad plain or of a firmament made of stars within easy reach, parallelepipeds brought to light. Dreamlike substitution, displacement, but with the language of sculpture. Euclid is alive and bursts with energy from every pore, it is what has always distinguished sculpture from simply plastic values.
Yes, to really want to be oneself, I’m missing something: the void filled by my imagination, indeed not only mine, collective, and emptiness not only mental, but physical, present. A fundamental step backwards: this is the maximum of cleanliness, time and energy.
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 L’audacia ma nello stesso tempo la misura di colui che ha occupato senza ingombrarlo lo spazio che gli è stato offerto ( Galleria Lia Rumma a Milano) parlano da subito. Un lavoro di una coerenza e di una chiarezza ineccepibili: chi non vede è semplicemente cieco.  Giovanni Anselmo, classe ’34, ha ancora da insegnare molto: l’opera al  centro della sala al secondo piano, del 1968, è della stessa natura della sua famosa “Insalata”, ma il Cotone sa di Covid 2019/22:  il Tempo gioca nel presente costringendo l’ospite ad alimentare il vaso quotidianamente; e gioca anche su una sorta di eternità: nelle immagini fotografiche del piano terra, in cui il sole cala lentamente sulla stessa tristissima pianura padana. E poi gioca all’attimo della catastrofe: nella precarietà apparente (ma cos’è l’arte se non apparenza e precarietà?) di molte delle opere presenti, quella dei 300 kg dei graniti appesi metaforicamente alle tele da pittore, alla tensione presente sotto la punta della lastra verso “Oltremare” o sotto i bassorilievi sbilenchi sull’osservatore, sempre al piano terra. Non c’è tutto Anselmo dalla Rumma, comunque quello che c’è pretende attenzione massima (come negli “Acrilici” sovrapposti ai blocchi  squadrati di granito sulla parete del piano intermedio).
Basta con la descrizione, se potete non perdetevela: tanta pulizia è rara oggi. Una sola assenza ho sentito: quella della sua “Mano che indica” il variegato paesaggio astratto e vagamente metaforico del presente.
Cosa manca? Forse la gente, il popolo? Ma chissenefrega, il popolo è bue, l’arte è elitaria, caro Beuys, non di tasca, ma di medicine contro la sofferenza; e poi la gente se ne fotte della pulizia e del rigore, vuole ignorare la morte, crede nel casino, nello spettacolo a ritmo di rock. Forse il senso del peso della vita? Ma qui, senza retorica, senza indulgere a romanticismi, ce n’è a strafottere: è la fatica fisica di tirar su tutti i giorni sacchi e sacchi di cemento da infilare nelle betoniere; è il pericolo reale sotto la punta verso il mare di un piccolo rettangolo di blu a spatola, è il senso di solitudine di una pianura triste o di un firmamento fatto di stelle a portata di mano, parallelepipedi citati in luce. Sostituzione onirica, spostamento, ma col linguaggio della scultura. Euclide è vivo e sprizza energia da tutti i pori, è ciò che da sempre distingue la scultura dai valori semplicemente plastici.
Sì, a voler esser veramente se stessi, qualcosa mi manca: il vuoto colmato dalla mia immaginazione, anzi non solo mia, collettiva, e vuoto non solo mentale, ma fisico, presente. Un passo indietro fondamentale: questo è il massimo di pulizia, di Tempo e di energia.
FDL
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yaelm · 5 years
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Reinhard Mucha. "Schneller werden ohne Zeitverlust", installation view at Galleria Lia Rumma, Milano, 2016.
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