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#hans volger
lettieriletti · 2 months
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Dawn of the Arcana - Serie completa 1/13
Senan e Belquat sono due regni confinanti, che si dividono, a nord l’uno e a sud l’altro, una piccola isola. I rapporti fra i due paesi sono apertamente ostili, e sanguinose battaglie han continuato a tingere di rosso il suolo dell’isola in una carneficina che si trascina ormai da due secoli. Ma, forse, questa barbarie sta per volgere al termine: onde provare a instaurare finalmente un rapporto…
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pleaseanotherbook · 1 year
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Atti umani di Han Kang
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Looking at that boy's life, Jin-su said, what is this thing we call a soul? Just some nonexistent idea? Or something that might as well not exist?
Or no, is it like a kind of glass?
Glass is transparent, right? And fragile. That's the fundamental nature of glass. And that's why objects that are made of glass have to be handled with care. After all, if they end up smashed or cracked or chipped, then they're good for nothing, right, you just have to chuck them away.
Before, we used to have a kind of glass that couldn't be broken. A truth so hard and clear it might as well have been made of glass. So when you think about it, it was only when we were shattered that we proved we had souls. That what we really were was humans made of glass.
“Human acts” di Han Kang, tradotto in italiano in “Atti umani” edito da Adelphi è la fotografia di alcune vicende accadute in Corea del Sud nel maggio del 1980 e ho deciso di leggerlo poco dopo aver finito “La Vegetariana” perché ero curiosa di leggere altro di questa autrice coreana e devo dire che ne è valsa la pena, nonostante leggere il libro della Kang mi abbia sconvolto moltissimo.
Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un «orribile tanfo putrido». Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie. Atti umani è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente. Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il «rullo inchiostratore» della censura e i «sette schiaffi» di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese. Dopo il massacro, ancora anni di carcere, sevizie, delazioni, dinieghi; al volgere del millennio stentate aperture, parziali ammissioni, tardive commemorazioni. Han Kang, con il terso, spietato lirismo della sua scrittura, scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato.
Il coreano è una lingua particolare, senza fronzoli, asciutta, che va dritto al punto. È difficile che faccia giri di parole. Nonostante l’educazione e il formalismo con cui ci si rivolge gli uni con gli altri, si è sempre molto diretti. E la Kang non fa eccezione. Ho letto vari commenti alla traduzione dalla versione originale e ho scelto di leggere la versione inglese. Delle vicende raccontate conoscevo già a grandi linee i fatti principali, la crudeltà delle vicende e l’aggressione senza sconti. Han Kang si immerge nelle vicende accadute nella sua città natale con la delicatezza di chi sa quanto è profonda la ferita inferta ed è consapevole di come non si sia ancora rimarginata. Solo recentemente infatti ci si è potuti accostare all'argomento senza paura di incappare nelle grinfie della censura e ancora oggi tutti gli eventi sono circondati dal mistero. Capirne le responsabilità e ricostruire la linea temporale è qualcosa che richiederà tempo e forse non si riuscirà mai a venirne a capo. Centinaia e centinaia di vittime innocenti, studenti, giovani e meno giovani, donne e uomini, ragazzi e ragazze, imprigionati per sempre nell'orrore delle fosse comuni e dell'oblio. La Kang parte da alcuni dei suoi ricordi di bambina, brandelli di memorie rimaste troppo a lungo a sedimentare, per ricostruire la storia che ruota intorno ad un giovane, che compare fin dalle prime pagine e sarà il fil rouge che raggruppa le esistenze di tutti i personaggi introdotti in "atti umani". Il titolo è già perentorio e ambivalente, le azioni degli uomini di per sé non sono né giuste né sbagliate, lo diventano nella misura in cui si intersecano con la morale e il contesto. Ma non definirei questo libro un libro di denuncia, non nella connotazione più classica in cui ci immaginiamo raccontare vicende reali estrapolate dalla storia, perché se è vero che parla indiscutibilmente dei fatti avvenuti a Gwangju pure diventa una storia universale di sofferenza e dolore. La Kang non si limita a ricostruire, anzi interseca presente e passato con prospettive uniche che riconducono inevitabilmente a quel maggio disastroso. Ci sono speranze, casualità e incidenti, e tanta sofferenza. Spingersi nelle pagine disegna i colori di una storia complessa, in cui ogni dettaglio diventa sempre più necessario per avere il quadro completo. Abbiamo un ospedale, una scuola, una casa, una redazione, posti di lavoro, colleghi indifferenti e madri disperate che cercano di raccogliere la speranza che non tutto sia perduto. Nascosti tra le pagine i dettagli che una volta arrivati alla fine sembrano le molliche di Pollicino. É difficile raccontare questo libro perché ha diversi strati di lettura e la Kang non si nasconde dietro facili pensieri, ogni pagina è densa di una storia che ha spezzato un’intera nazione e niente di quello che traspare è facile da digerire.
Il particolare da non dimenticare? Un libro…
Il racconto delle terribili vicende accadute a Gwangju in Corea del Sud nel maggio 1980 attraverso l’immaginazione e il potere delle descrizioni della Kang in un viaggio tra presente e passato che rappresenta appieno il terrore di quei terribili giorni.
Buona lettura guys!
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germanpostwarmodern · 3 years
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Gesamtschule Kaiserplatz (1955-56, 1959-60) in Krefeld, Germany, by Hans Volger
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Invecchiare è il capolavoro della vita
Un vecchio proverbio diceva che saper invecchiare è il capolavoro della vita. I progressi della medicina preventiva, estendendo l’aspettativa di vita delle persone e aiutandole ad alleviare alcune sofferenze e disabilità tipiche della vecchiaia, han fatto in modo che questo proverbio fosse preso in considerazione più seriamente e concretamente. Oggigiorno ci troviamo infatti a far i conti con degli esseri umani che patiscono, come non mai, la propria vecchiaia a fronte, anzitutto, di una vita professionale e affettiva più che soddisfacente ma anche per "colpa" di una cultura (quella occidentale) volta all'esteriorità e all'esorcizzazione della morte, di quelle dimensioni dell'esistenza quali la riflessione, l'emozione, il silenzio e l'attesa per relegarle a valori secondari. Diversi esperti (A. Maderna, D. Ianni, e P. Membrino) dicono che nel breve volgere di pochi anni l'adulto si trova ad affrontare una fase di trasformazione molto rapida a cui spesso arriva del tutto impreparato. Tra i fattori più significativi vi è certamente (a) il pensionamento che taglia drasticamente quella rete di rapporti interpersonali  coi colleghi in cui il soggetto aveva sviluppato la parte centrale della sua vita; (b) la perdita dei congiunti e degli amici; (c) le modificazioni fisiche/organiche/cognitive oggettive che costituiscono drammaticamente una prima anticipazione della morte. A quest'ultime modificazioni s'aggiungono poi anche quelle fantasmatiche, o meglio, quelle interiori caratterizzate dalla necessità di far fronte al cambiamento temporale che non si orienta più verso il futuro ma verso il passato e verso tutti quei conflitti solo apparentemente assopiti. A. Maderna dice che il dischiudersi di un tempo libero senza più una rete di riferimento <apre lo spazio della solitudine, una solitudine che in realtà è sempre esistita ma che era stata mascherata da un'ampia gamma di modalità centrare nell'ordine del "fare", a scapito di altre nell'ordine del "sentire". E per il soggetto "promosso" anziano, al quale vengono a mancare in rapida sequenza i luoghi e i modi del "fare", la disabitudine a "sentire", a svolgere cioè una gamma di operazioni centrate con la propria interiorità, comporta uno sbandamento al quale molti non riescono ad adattarsi>(1987, p.536). La crisi che coinvolge l'anziano potrebbe far pensare - per drammaticità e dolore - alle crisi che coinvolgono e scuotono gli adolescenti. Tuttavia esiste una profonda differenza dal momento che la crisi adolescenziale rappresenta un'apertura verso il mondo mentre quella senile un ridimensionamento verso il mondo.Nel "Re Lear" di Shakespeare sembra succedere proprio questo. Il Re Lear, orami anziano, si trova tormentato interiormente dalla perdita di potere, status e forza. A questi sentimenti l'autore passa magistralmente in rassegna quelli di impotenza e disperazione che portano l'anziano re ad assumere un atteggiamento - dittatoriale e rabbioso, controllante e tirannico, sfiduciato e lamentoso - che tutti noi abbiamo probabilmente osservato e vissuto nei nostri padri e madri, nei nostri nonni e nonne. Alla base di questo comportamento vi è un accentramento marcato su sé stessi, che per mezzo di difese narcisistiche,permette all'individuo di conservare una buona immagine di sé così di "risolvere sbrigativamente" il conflitto dell'io con se stessi e per arrivare alla temuta morte senza essere invecchiati, senza serenità, senza alcuna possibilità elaborativa (si pensi all'artificiosa pseudo-giovanilità).
Sorge quindi la domanda: che cosa rende possibile accettare la transitorietà della vita, tollerare le perdite crescenti, la solitudine? L'ultracentenaria e premio Nobel Rita Levi Montalcini diceva che per la persona anziana fosse importante soprattutto riuscire ad aggiungere vita ai propri giorni piuttosto che altri giorni alla propria vita. Sottolineava così la necessità dell'anziano a partecipare a esperienze vivificanti e arricchenti, preservandolo dal grigiore dei giorni sempre uguali e monotoni, anche se "tanti". La psicologa Danielle Quidonoz traccia così una differenza tra gli <anziani ancora giovani> e gli <anziani vecchi> considerando non tanto l'età anagrafica quanto la capacità di questi di utilizzare ancora le proprie risorse: aggiornarsi su quello che era il proprio campi di lavoro prima del pensionamento, oppure coltivando qualche specifico interesse riguardante l'area sportiva, l'impegno sociale, il campo culturale ecc. Nei casi più gravi, quando cioè la vecchiaia assume i connotati più patologici - quanto tutte le ore della giornata divengono spente e vuote - si rende necessario un trattamento professionale. Il terapeuta una volta accertata la situazione cognitiva della persona, con appositi test, dovrà poi capire cosa occorre a questi. Dovrà cioè proporre una psicoterapia o una serie di incontri, che se non registrano una particolare gravità, implicano soprattutto una funzione di sostegno e una valorizzazione delle capacità presenti tenendo sempre a mente che per questi l'incontro col clinico, nonostante le perplessità iniziali, rappresenta un'occasione unica per parlare profondamente di sé con qualcuno con cui non c'è un vistoso coinvolgimento affettivo, come coi propri familiari. In altri casi invece si rende necessario e  più utile proporre alla famiglia un inserimento in contesti gruppali e ricreativi i cui interventi sono volti a ri-abilitare o potenziare le abilità residuali ma anche le capacità affettive e quelle sociali.
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lanimadellamosca · 4 years
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In viaggio con le olive
Un amico, nonostante i tempi che corrono, è partito per Bruxelles: non so quanto fosse indispensabile che lo facesse, va a trovare sua figlia e i suoi nipotini che è cosa tipicamente non indispensabile, come ha dimostrato mio padre che in diciotto anni di America venne a trovarci solo due volte, una volta ogni otto anni; la terza volta che venne erano passati solo due anni dalla volta precedente, è vero, ma la cosa era scusabile, perché era diventato vecchio, era stanco ed aveva deciso di tornarsene a casa e restarvi. 
A dirla tutta, dopo un altro paio d’anni si stufò di stare in quel gretto paese dove era uno dei pochi che ogni mattina andava a comprare il giornale, e dove era difficile scambiare due parole sulle cose che succedevano nel mondo, e così decise senza dirlo a nessuno di tornarsene in America, a morirvi, praticamente; ma mia madre ebbe un inspiegabile presentimento, andò nell’unica agenzia di viaggio del paese che prosperava solo sull’emigrazione, e domandò se era arrivato il biglietto per suo marito; e Belfiore, l’agente di viaggio, le rispose non ancora. E così venne a sapere, tornò a casa e non so come, ma credo a forza di urla e pianti, tarpò le ali a mio padre, che da quel giorno si rassegnò a morire al suo paese e non in America, cosa che gli riuscì nel breve volgere di qualche anno, sarà stato il caso sarà stato il rimpianto.
Erano altri tempi, è vero: i viaggi di piacere erano un ossimoro, si viaggiava in nave, ci volevano venti giorni per andare e altrettanti per tornare, ci volevano soldi che non si avevano, e con gli affetti familiari i più cari si faceva quello che le circostanze davano la possibilità di fare e il distacco e la lontananza erano parte della vita, un destino... 
Epperò il fatto che mio padre sia rimasto otto anni senza vedere moglie e figli e sia sopravvissuto, e il fatto che io stesso, mia sorella e mia mamma siamo ugualmente sopravvissuti, dimostra, per tornare al mio amico,  che andare a trovare la figlia a Bruxelles, e per estensione i nipotini, non è cosa indispensabile. E quindi, dati i tempi che corrono, se fossi un epidemiologo penserei “ma guarda questo che va a rompere le scatole in giro”; ma non sono un epidemiologo, e quindi va bene così, finché non va male va bene.
E comunque, con quella che deve essere l’atmosfera all’imbarco negli aeroporti in questi giorni, col povero personale che deve amministrarsi tra terroristi, spacciatori, imbranati, poveracci spaesati e sperduti, turisti infoiati o incazzati, e adesso anche appestati, che a me solo il pensiero fa passare ogni voglia di vedere figli e nipoti e chicchessia..; con tutto questo bailamme il mio amico ha trovato lo spirito di scrivermi che all’imbarco gli hanno fatto questione su due barattoli di olive taggiasche sott’olio che aveva nel bagaglio da portare in cabina, dove è vietato introdurre liquidi per più di 100 cc come ben sa chi come noi appartiene al ceto del volo low-cost di massa. Lui ha eccepito il fatto che il residuo liquido nei due barattoli era di gran lunga inferiore ai 100 cc, ma quelli gli han risposto che quel che contava era la capienza dei barattoli, ben superiore. Il mio amico allora è andato alla toilette, ha tolto l’olio dai due barattoli che a quel punto non rientravano nella categoria dei contenitori di liquido, e tutto si è sistemato. A quest’ora starà mangiando taggiasche con figlia e nipotini, a Bruxelles.
Io gli ho significato la mia compassione verso il personale d’imbarco, che adesso oltre a tutte le categorie di viaggiatori di cui sopra, appestati asintomatici compresi, ha a vedersela coi tizi che vanno a Bruxelles senza che sia indispensabile portandosi appresso due barattoli di taggiasche sott’olio. E gli ho detto che mi ricordava mia madre, che quando mi veniva a trovare a Torino mi portava sempre un chilo di sale, che a quei tempi “in continente” era bene di monopolio di Stato e quindi tassato, mentre in Sicilia, grazie allo statuto speciale della Regione, era a vendita libera. E non c’era verso di farle capire che la cosa non aveva senso, perché un chilo di sale dal tabaccaio costava una ventina di lire, mettiamo pure che fosse gravato dal 100% di tasse, però era una cifra modestissima, insignificante in paragone a quello che andavamo regalando allo Stato in benzina e telefono, e in più un chilo di sale ti durava una vita; niente da fare, mia madre se ne arrivava a Torino sempre col suo chilo di sale.
In sostanza dicevo al mio amico: “ma che cavolo stai a portare due barattoli di taggiasche a Bruxelles, le trovi in ogni supermercato, mettiamo che costano il doppio, ma cosa stai a creare problemi a quel povero personale d’imbarco per risparmiare… quanto? Tre euro? Mettiamo anche cinque?” Non so se lui l’ha capito.
Ma la faccenda delle olive che il mio amico ha portato a sua figlia a Bruxelles, come anche del sale che mia mamma portava a me a Torino, non è faccenda che riguardi il cervello, diciamo la sfera del pensiero logico, ma è faccenda che riguarda il cuore, vale a dire la sfera dei sentimenti. E non solo per il piacere di portare un dono, per elementare e povero che sia, a una persona cara, ma anche per una certa simbologia associata al qui e all’altrove, alla casa e al paese straniero.
Nel portare il sale mia mamma pensava a quel suo povero figlio costretto a vivere in un paese scipito, come nel portare le taggiasche il mio amico pensa a quella sua povera figlia costretta a vivere in un paese senza gusto; sia il sale che le taggiasche portano un po’ di atmosfera di casa, di sole e di mare, di calore, di sapore e di colore, cose per definizione carenti nell’altrove.
Senza considerare che siamo anche in presenza di una sorta di prolungamento dello svezzamento, cosa che chi più chi meno tutti i genitori praticano, persino io. Anzi... Visto che dopo varie consultazioni ho ritenuto di rinviare il mio, di viaggio a Bruxelles, per andare a trovare il mio, di figlio, e il mio, di nipotino, sarà il caso che vada a preparare un pacco da spedirgli pieno di prolungamenti dello svezzamento. 
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dickvanas · 2 years
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Alle misverstanden rond Fit-fluencers
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Afgelopen dinsdag was er een negatieve uitzending van Nieuwsuur over afgetrainde bodybuilders en topatleten. Volgens de programmamakers maken miljoenen jongeren gebruik van de ‘Fit Fluencers’, zeg maar de stimulerende middelen en de invloeden daarvan op het menselijke lichaam en de geest. Ze gingen eraan voorbij dat er ook ‘all over the world’ miljoenen jongeren zijn die gewoon gezond sporten, dagelijks hun oefeningen doen en die ook normaal hun maaltijden gebruiken voor de nodige energie. Die jongeren beseffen zich dat je een ‘droog afgetraind lichaam’ vooral krijgt door een goed en regelmatig trainingsprogramma!
 Mijn geschiedenis
Het is nu zo’n 40 jaar geleden (inmiddels ben ik 62 jaar) dat ik dagelijks naar de sportschool van Koolmees in Leidschendam ging. En ik gebruikte echt geen stimulerende middelen! In die jaren was ik kok in verpleeghuis Prinsenhof en ik draaide vaak ‘vroege diensten’. Dan kon ik weer om 14.00 uur weg, inderdaad naar de sportschool. Dagelijks een kwartiertje fietsen op de hometrainer, dan zo’n tien minuten op de loopband en dan een serie buikoefeningen. Liggend op een sportbank en de benen zoveel mogelijk optrekken. In de hoop dat er toch eens een echte sixpack zou komen in plaats van de traditionele buikspieren. Ik was dan wel goed voorbereid op de rest van het lichaam.
Er was een serie borstoefeningen met halters en dumbells. Ik was best wel sterk; een setje bankdrukken van 8 keer 100 kilo was geen probleem! Rustig aan en geconcentreerd opbouwen. En zo maakte ik het borstprogramma af. Daarna kwamen de bicepsoefeningen, ook met halters (even getallen in gewicht en vanaf de 20 kilo) en andere apparatuur.
De tweede dag deed ik mijn rug en schouderoefeningen. Daar was speciale apparatuur voor waarmee je je handen naar beneden moest trekken. Ook dit moest natuurlijk in de juiste houding gebeuren. En de derde dag de benen. Inderdaad, kniebuigingen en nog een paar oefeningen. Gelukkig was er meestal wel een trainer/ coacher bij om te kijken of ik alles correct uitvoerde. Maar ik was in die jaren redelijk sterk. En ik weet dat er in die jaren ook meer jongeren waren die gewoon, zonder stimulerende middelen te gebruiken trainden. Net zoals de voetballers. En dit gebeurt nog steeds zo. Jammer dit soort onderwerpen zo gemakkelijk negatief overtrokken wordt!
 De invloed
Maar dit was dus Nieuwsuur van dinsdag. ‘Met hun miljoenen volgers zijn afgetrainde bodybuilders en topatleten populair onder jongeren. Zij delen op sociale media hun sportleven en willen hun volgers motiveren om massaal naar de sportschool te gaan. Maar deskundigen maken zich grote zorgen over de invloed van deze 'fitfluencers'.
Het tonen van zeer afgetrainde lichamen en reusachtige spierballen op sociale media zijn niet zonder gevaren. Sportonderzoeker Luuk Hilkens van het gezondheidscentrum Han Seneca en Catharine Evers, gezondheidspsycholoog aan de Universiteit Utrecht, deden onderzoek onder 15-jarige scholieren naar de gevolgen van 'fitspiration', een populaire term op sociale media. Maar mensen inspireren tot een fitte, sportieve levensstijl kan ook een tegenovergesteld effect hebben, zo blijkt. “Misschien moeten ze voorzichtiger zijn met de sociale media?’(red.)
 Walgde van mijzelf
"Naarmate men meer wordt blootgesteld aan fitspiration, loopt iemand een hoger risico op het vertonen van symptomen van een eetstoornis en een hoger risico op een negatief lichaamsbeeld", zegt Hilkens.
Pubers zitten gemiddeld vier uur per dag op sociale media, waarvan de helft van hen regelmatig kijkt naar fitfluencers, blijkt uit het onderzoek. De online spierbundels proberen jongeren enthousiast te maken voor een extreem afgetraind lijf. "Het is een standaard, een doel, maar vaak totaal niet haalbaar. Dat frustreert enorm", zegt Evers.
En het gaat ook wel eens mis! "Eigenlijk ergerde ik me aan iedereen en aan alles. Ik wilde geen contact meer met mensen en ik walgde van mezelf", zegt Sandor Verbeek. ‘Ik woog op mijn 17e 130 kilo en viel in zeer korte tijd bijna 50 kilo af. Daarbij ontwikkelde ik een obsessie voor sporten’. Sandor leerde de problematische keerzijde kennen van fitspiration. "Mijn hele hormoonhuishouding was naar de knoppen. Ik heb permanente schade aan mijn gezondheid."
Ziekelijke drang
Ricky Frissen deed mee aan wedstrijden bodybuilding en ontwikkelde een eetstoornis. Uithongeren en eetbuien wisselden elkaar af terwijl hij iedere dag in de sportschool was. "Het zorgde voor het verlies van mijn sociale omgeving en het verlies van mijn mentale gezondheid", vertelt hij. Inmiddels is Frissen diëtist en coacht hij mensen met een sportverslaving of een eetstoornis.
"Ik denk dat de lichamen van fitfluencers worden gelinkt aan status, geld en macht. En dat wanneer je zo'n lichaam bereikt, je ook het leven hebt wat je graag wilt", zegt Frissen. Zijn waarschuwing komt overeen met de zorgwekkende conclusies uit het onderzoek. "Jongeren kunnen de beelden op sociale media niet goed relativeren en ontwikkelen een ziekelijke drang om gespierd te worden." De stimulerende middelen worden in poedervorm of in tabletten verkocht. Maar ik vind het jammer dat Nieuwsuur geen sporters liet zien die geen stimulerende middelen gebruiken!
Jongeren kunnen de beelden op sociale media niet goed relativeren volgens het onderzoek. Maar geldt dat niet voor alle onderwerpen die op sociale media te zien zijn? Moeten we de dingen als Tiktok niet gewoon uitschakelen? Wat is daar de meerwaarde van? Weten we de invloed ervan op het menselijk brein? Nee!
Ik zag tientallen reacties op de uitzending van Nieuwsuur, zij presenteerden zeer kritische opmerkingen op de Fitfluencers en de gevolgen. Er was niet veel steun voor de harde en serieuze trainers/ sporters die er ook zijn, maar er werden vooral zorgen uitgesproken over het gebruik van de Fitfluencers (alle poeders en pillen waar ook tientallen stimulerende middelen in kunnen zitten). Kortom, was alle kritiek terecht? Nee, er werd ook veel overdreven!
Even voor de duidelijkheid: ik kan inmiddels zo’n 15 jaar niet meer sporten. Dit komt door alle Epileptische aanvallen van de afgelopen 40 jaar, hierdoor heb ik twee versleten heupen opgelopen en omdat ik dus artrose aan mijn linker bovenbeen heb opgelopen betekent dat ik nu aan een elektrische rolstoel gebonden ben. Maar ik kan je verzekeren: ik mis het echte fitnessen best nog wel hoor!
(Door Dick van As)
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welzenis · 6 years
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Nederlandse schilders zijn zo veel beter dan dit
Geweldig idee, de Nederlandse actuele schilderkunst laten zien. Maar de expositie in Dordrecht valt erg tegen.  Geen goede selectie en slecht opgehangen.
Ina van Zyl vat het mooi samen. In de catalogus bij De Meest Eigentijdse Schilderijen Tentoonstelling in het Dordrechts Museum vertelt Van Zyl, schilder, dat zij in 2012 naar de Documenta ging, de expositie die als hét ijkpunt van de hedendaagse kunst wordt gezien. Ze trof daar, tussen vele tientallen kunstenaars, precies drie schilders aan. „En dan ook nog eens meer oude en dode dan jonge en levende.  [...] Dat vond ik zo raar. Het gaat over de nieuwste kunst en dan zijn juist de schilders overwegend oud of dood.”
Daarmee beschrijft Van Zyl het kernprobleem van de hedendaagse schilderkunst: die is de afgelopen decennia langzaam uit de artistieke voorhoede verwijderd. Kunstenaars die de toon aangeven, zo vinden de meeste curatoren en critici, maken video’s, beelden, installaties, foto’s. Schilders zijn grotendeels aan de andere kant van het artistieke spectrum beland: van de kunst die de markt bedient, die bijzondere objecten maken waarmee je investeert, je huis opfleurt, je kantoor inricht.
De meeste schilders háten die positie (zie Van Zyl) maar weten niet wat ze eraan moeten doen: het lijkt soms wel of louter hun medium, de verf, het doek, ze diskwalificeert van deelname aan het actuele debat. En dat terwijl je natuurlijk evengoed kunt volhouden dat juist de schilderkunst met haar lange, rijke traditie een uitstekend middel is om commentaar te geven op de rijke en complexe hedendaagse beeldcultuur. Maar daar moet je dan wel oog voor hebben. Tonen wat de schilderkunst actueel maakt.
Dat dilemma maakt De Meest Eigentijdse Schilderijen Tentoonstelling (de titel is ontleend aan een werk van René Daniëls uit 1983) meteen prikkelend en belangrijk. Juist door de ambitie: samenstellers Han Schuil en Gerrit Willems brengen hier 28 schilders bij elkaar die volgens hen de stand van zaken in de Nederlandse schilderkunst weerspiegelen. De werken zijn maximaal zeven jaar oud en Schuil en Willems zeggen er met nadruk bij dat deze 28 niet per se de beste schilders zijn, maar dat ze laten „zien wat de hedendaagse schilderkunst in al haar verscheidenheid kan”.
En daar begint het gedonder.
In Dordrecht gleed er al na anderhalve zaal een zwaar en muf gevoel over me heen
De luiken dicht
Laat ik het maar eerlijk toegeven: ik had me verheugd op deze expositie, omdat zo’n ambitieuze schilderkunststaalkaart een zeldzaamheid is – ook musea zijn graag hip, en positioneren zich niet graag als volgers van markt en massa. Maar in Dordrecht gleed er al na anderhalve zaal een zwaar en muf gevoel over me heen – en dat werd alleen maar erger. De eerste reden daarvoor is simpel: op De Meest Eigentijdse… hangen veel te veel werken, waardoor de afzonderlijke schilderijen niet kunnen ademen, fluisteren, schreeuwen – er hangt altijd meteen een doek naast dat ook om aandacht vraagt.
Daar ontstaat meteen het tweede probleem, want dat eerste doek heeft vaak heel weinig met dat tweede te maken: de samenstellers hebben de meest wonderlijke combinaties uit hun hoge hoed getoverd. Bij binnenkomst dacht ik even dat de werken alfabetisch waren opgehangen (Philip Akkerman en Frank Ammerlaan zijn de eersten) maar dat was vermoedelijk een beter oplossing geweest dan deze grabbelton waarin Klaas Kloosterboer, RaQuel van Haver, Robert Zandvliet en Tjebbe Beekman bijvoorbeeld samen in een zaal zijn gehangen – als iemand me kan vertellen wat die gemeen hebben hoor ik het graag. Bovendien, weer een graadje erger, is bijna geen enkele schilder met zijn of haar beste recente werk vertegenwoordigd. Daarbij speelt vast het ruimteprobleem een rol, maar het verraadt ook een gebrek aan daadkracht en betrokkenheid en nog erger: een zeer beperkte visie.
Want dat is het ware manco van De Meest Eigentijdse: in Dordrecht worden de luiken van de schilderkunst naar de wereld niet opengezet, maar dichtgegooid.
In de eerste plaats doemt onvermijdelijk de vraag op of het verstandig is om zo’n tentoonstelling mede te laten samenstellen door een schilder (Han Schuil) die ongegeneerd zijn eigen werk ertussen hangt. Schuil is ook een representant van de Nederlandse modernistische school, die de schilderkunst hier jarenlang heeft gedomineerd: in zijn werk heeft Schuil een voorkeur voor kale, abstracte schilderijen waarin subtiel-ironisch wordt gespeeld met onderwerpen als de kunstgeschiedenis en representatie – en verdomd, dat is ook de hoofdteneur van deze expositie. Dat werkt rampzalig: het is alsof bijna al het werk (hoe oprecht goed vaak ook) naar een onzichtbaar middelpunt wordt gezogen, alsof de Nederlandse schilderkunst nog steeds in de ban is van één en dezelfde traditie.
Waar zijn ze?
Tegelijk ontbreken er opvallend veel belangrijke schilders. Waar is in vredesnaam Maaike Schoorel? Rob Birza? Marc Mulders? Rob van Koningsbruggen? Vrouwelijke superschilders-in-de-sociale-marge Rezi van Lankveld en Hannah van Bart? Derk Thijs? Charlotte Schleiffert? Waarom wel de talentvolle verfstapelaar RaQuel van Haver (nu in dit gezelschap een volkomen odd one out) en niet Michael Tedja of Sam Samiee?
Voor alle duidelijkheid: het gaat me niet om het spel met namen, maar om het feit dat de voornoemde ontbrekende schilders vrijwel allemaal een breuk vertegenwoordigen met het Hollandse poldermodernisme – datzelfde poldermodernisme dat je in Dordrecht de indruk geeft dat de Nederlandse schildergemeenschap een besloten, in zichzelf gekeerd clubje is wier grootste ambitie het is om hun werk boven de bank van een gemiddelde Almeerse doorzonwoning op te hangen. Terwijl er de laatste jaren nu juist zoveel frisse lucht door de Nederlandse schilderkunst stroomt, nadrukkelijk óók van schilders die hier hangen, en deze expositie bij uitstek de kans bood om die nieuwe geest te markeren. Maar niks daarvan. De Meest Eigentijdse Schilderijen Tentoonstelling zet geen stap vooruit maar maakt een sprong terug – een tentoonstelling waar helemaal niemand iets mee opschiet.
Hans den Hartog Jager
NRC 18 juli 2018
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bosummers · 4 years
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È la vigilia di Natale e Clara festeggia l'evento assieme alla sua famiglia. Durante la festa, il padre invita anche lo zio Drosselmeier che dà a Clara uno schiaccianoci di legno. La giovane chiede spiegazione al giocattolaio, il quale le racconta una meravigliosa e triste storia sulla vera natura di quel "principe da bambola": lo schiaccianoci in realtà non è altro che suo nipote Hans, trasformato per vendetta dalla Topo-Regina. Sebbene quest'ultima sia ormai morta, l'incantesimo continuerà ad imprigionare Hans nelle sembianze di uno schiaccianoci sinché il giovane non distruggerà il Topo-Re, figlio superstite della crudele Topo-Regina, e non verrà incoronato sovrano del Paese delle Bambole insieme ad una gentile fanciulla che lo saprà amare a dispetto del suo aspetto. Quella stessa notte, quando ormai tutti dormono, Clara scende nel salone di casa per vedere lo schiaccianoci. In quel momento però zio Drosselmeyer, nelle vesti di mago-fantasma, dà vita a tutte le bambole di Clara, schiaccianoci compreso, perché combattano contro Topo-Re e i topi suoi sudditi, giunti sin lì proprio per distruggere lo schiaccianoci. Sebbene la lotta sembri volgere a favore delle bambole, l'intervento di Clara sarà determinante per salvare la vita allo schiaccianoci, caduto in un tranello del re dei topi. Clara tuttavia perde conoscenza a causa di una caduta e il giorno successivo nessuno sembra credere alla sua storia, fuorché zio Drosselmeyer che tuttavia non ammette nulla esplicitamente. Quella stessa notte il Topo-Re, che ha svegliato Clara proprio nella sua stanza, sfida a duello lo schiaccianoci: ancora una volta quest'ultimo sarà messo alle strette dalle sleali astuzie del topo, ma stavolta a salvarlo sarà Pantalone, un coraggioso soldato-giocattolo. Purtroppo il nobile gesto costerà caro al veterano che verrà ferito dal Topo-Re. Alla fine del duello lo schiaccianoci avrà la meglio e il corpo del re dei topi sembra cadere morto. Non resta altro da fare che incoronare lo schiaccianoci "Principe delle Bambole" e per farlo bisogna andare nel regno di queste ultime, attraverso una porta magica all'interno di un castello-carillon. Clara, complice la magia di zio Drosselmeyer, diventa piccola quanto i suoi amici e può accompagnarli in questo viaggio. Dopo un volo a dorso di cigno, Clara e lo schiaccianoci giungono in un castello di dolci, dove lo schiaccianoci è acclamato principe dai suoi sudditi. Questi allora, dopo aver danzato con Clara, le dichiara il suo amore e le chiede di essere la sua principessa. Sebbene innamorata la giovane rifiuta: il suo posto non è tra le bambole, ma con la sua famiglia nel mondo degli esseri umani. A quelle parole tutte le bambole, lo schiaccianoci compreso, s'irrigidiscono e perdono vita. Clara, disperata, prova a motivare le sue ragioni e, sebbene lo schiaccianoci sembri comprenderla, nulla può ormai fermare la "magia della normalità" che riporta le bambole alla loro condizione di fantocci inanimati. Proprio allora compare il Topo-Re, ferito a morte, ma giunto sin lì deciso quanto meno ad uccidere Clara prima di morire a sua volta. Lo schiaccianoci, ormai senza vita, non può aiutare la sua amata. Clara e il Topo-Re alla fine precipitano da un balcone del palazzo, ma mentre la prima riesce ad aggrapparsi alla ringhiera e a salvarsi, il secondo invece precipita in mare e muore. Le bambole del palazzo e lo schiaccianoci spariscono e Clara, che continua ad invocare inutilmente il suo amato, viene a sua volta circondata dalla nebbia per poi svegliarsi all'improvviso nel suo letto quando il sole è ormai alto. Confusa perché non sa spiegarsi se l'avventura vissuta sia solo un sogno, la fanciulla corre alla bottega di zio Drosselmeyer, decisa ad ottenere finalmente delle spiegazioni. Qui però Clara incontra Hans, ormai tornato umano, che la saluta come se fossero vecchi amici e lei, ricambiando, lo saluta chiamandolo " principe schiaccianoci".
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‧ about her ☇ ❛ when & where? – ᴄʜᴀʀᴀᴄᴛᴇʀ ʙɪᴏɢʀᴀᴩʜy. ❜ / ITALIAN.
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┊Stockholm, Sweden year 1958: ‹ Ti sei mai chiesto cosa significhi essere felice, o è una domanda di dubbio gusto per te – mio caro? › ( ... ) La neve cade dal cielo in fiocchi delicati e silenziosi, e sebbene si sciolga ancor prima di toccare terra lo spettacolo che ne deriva è a dir poco delizioso. Sagitta l'osserva con il viso da diciottenne incollato al vetro freddo ed appannato, e le vite che porta in grembo sembrano meravigliarsi tanto quanto la loro genitrice: scalciano, volteggiano, si fan sentire probabilmente anche più del solito e, la giovane donna ne è proprio sicura!, è addirittura possibile scorgere la forma di una manina o quella di un piedino qui e lì. Sposata per costrizione con un uomo che sembra non poter amare né farsi amare, in questo istante se qualcuno si premurasse di chiederglielo probabilmente risponderebbe che sì, dopotutto è felice. Ma la felicità s'incrina come una crepa nell'esatto momento in cui le acque si rompono e le doglie hanno inizio. Da nobili purosangue quali sono, i coniugi Carrow (sposati da appena un anno) hanno rifiutato l'idea di recarsi in ospedale per facilitare la messa al mondo di quelli che poi avrebbero scoperto essere gemelli, a favore di una stanza appositamente adibita ad ospitare il lieto evento – con tanto di ostetrica presente ventiquattr'ore al giorno e medici sempre reperibili: nonostante ciò che si possa pensare il capo famiglia ha a cuore il destino e la nascita dei bambini, soprattutto poiché saranno gli unici eredi diretti ad una delle casate magiche più antiche, ricche & potenti. Così, nella bella ma incredibilmente fredda Stoccolma, a meno di tre giorni da Natale, Alecto ed Amycus son venuti al mondo.
┊Stockholm, Sweden year 1963+: Son trascorsi ben cinque anni dal loro primo respiro e, sebbene i due bambini non dimostrino neanche un giorno in più della loro età effettiva, sembra ne sian passati molti di più. Educati in casa sin dalla più tenera delle età (e soprattutto lontano da Londra e dagli occhi indiscreti) sono già ben istruiti sulla politica magica inglese, sul loro stato di sangue e su ciò che esso significa e comporta – almeno secondo la concezione di quel tempo e, cosa più importante, secondo la concezione di Aloysious Carrow. Già da piccolissima l'eterea fanciulla dimostra di possedere una spiccata intelligenza ed un notevole interesse per ciò che la circonda, fisicamente & non, e per ciò significa essere una strega purosangue. Mai stata affettuosa, neanche durante il primo mese di nascita, tra la servitù corre la voce che la colpa sia dei genitori distanti ed anche poco presenti, ma la verità è ben altra: nonostante le positive qualità che compongono la sua persona, Alecto non sembra avere la capacità di dimostrare le proprie emozioni e l'affetto che eventualmente riesce a provare per le persone – a meno che non si tratti di suo fratello. Legati sin dall'infanzia, infatti, i due sembrano essere davvero inseparabili! Se con gli altri bambini la piccoletta si diverte a rimarcare la propria altolocata superiorità con parole cattive e pizzicotti, con Amycus ella riesce a giocare in tacita tranquillità. Come trapela da codeste parole, in ogni caso, risulta palese la spiccata crudeltà che ha da sempre caratterizzato la sua persona: i tratti somatici delicati e le angeliche espressioni facciali sono in grado di celare la sua vera natura, la quale sembra avere molto più a che fare con gli Inferi piuttosto che con le dolci creature dei Cieli. Testarda, egoista, brillante ( ... ): tutte qualità che con gli anni non han fatto altro che aumentare e volgere a favore dell'astuta bambina, che in silenzio ha imparato a celare la sua identità dietro una maschera di rigida eleganza ed impenetrabile freddezza. Gli anni trascorrono e gli ereditieri crescono, passo dopo passo, divenendo quelli che possono esser considerati i “perfetti purosangue” e rendendo più che fiero il loro padre – che ai gala ed agli incontri tra casati sembra esibirli come se fossero animali obbedienti di cui potersi vantare tra un alcolico e l'altro. Questo, però, sembra non aver mai infastidito, almeno apparentemente, i due. A dirla tutta, il motivo per cui la giovane ha sempre provato ad esser in tutto la migliore è proprio suo padre: con quest'ultimo non ha mai avuto un alcunché tipo di rapporto affettuoso, nonostante nella segretezza della propria camera l'abbia anche desiderato, e spera con tutta se stessa che dimostrando d'esser brava & capace riuscirà ad ottenere un po' del suo amore e della sua attenzione; questo, però, non accadrà mai.
┊London, United Kingdom year 1969+: Dopo la prima magia è arrivata anche la lettera per frequentare la Scuola di Magia & Stregoneria di Hogwarts, motivo per cui l'intera famiglia Carrow ha lasciato la villa svedese per trasferirsi definitivamente in Inghilterra, luogo in cui i gemelli sono stati introdotti ufficialmente nella vita dei nobili purosangue sino a diventarne parte e suscitando interesse nelle più importanti famiglie – come i Black (cui Bellatrix ha preso la piccola sotto la propria ala protettiva), i Rosier e persino i Dolohov. Inutil dire che Alecto è stata smistata senza giri di parole o secondi pensieri, dal Cappello Parlante, nella casata di Salazar Serpeverde: suo padre e sua madre hanno sempre saputo che quella sarebbe stata la sua casa, le cui caratteristiche ella sembra incarnare appieno. Cresce, qui, la bella fanciulla – cresce e sboccia sino a divenire donna, sebbene non cambi poi così tanto: sempre testarda, sempre impulsiva, sempre crudele e sempre con la lingua troppo lunga. Son numerose le punizioni in cui è finita durante gli anni scolastici, sebbene fosse un'ottima studentessa, ed altrettante le volte in cui ha scagliato maledizioni ed incantesimi contro gli indegni maghi mezzosangue o, ancor peggio!, nati babbani. Inoltre, nel corso degli anni, l'amore sconfinato che ha sempre provato per Amycus sembra sfociare, da parte di entrambi, in qualcos'altro: sebbene in pubblico ed in famiglia sia “normale” la facciata che porgono, per quanto vi riescano, in privato sembran esser tutt'altro che consanguinei. Questo la porta ad esser possessiva e gelosa, nonostante abbia una relazione per molto tempo (prevalentemente fisica) con Antonin Dolohov, nei confronti del suo... amato e segreto “fidanzato”. Alecto si diploma al settimo anno col massimo dei voti nei M.A.G.O. ma con nessuna intenzione di continuare gli studi, tant'è che ciò che fa una volta fuori dalle mura scolastiche è dedicarsi completamente al proprio ruolo di ricca ereditiera e facendo da segretaria, in caso di necessità, al signor Carrow – che attualmente si occupa di politica per conto del Signore Oscuro al Ministero della Magia. Così come suo padre, sua madre, suo fratello & la maggior parte dei rispettabili maghi purosangue, infatti, anch'ella condivide appieno gli ideali di Lord Voldemort e si può dire che sia una dei suoi più accaniti seguici, nonché una delle poche donne votate completamente al suo servizio.
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eargasmprophet · 7 years
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Domingo do leão
Questa domenica mi sveglio con l’idea di spendere la giornata girando attorno le strade del centro e quelle più importanti di Lisbona. Vivo qui in Portogallo da due giorni, trasferitomi a Lisbona per lavoro, e devo fare qualche premessa prima di cominciare a raccontare. Quando sono arrivato, ho notato alcune similarità con la mia città natale, ovvero Palermo. Certe espressioni dei portoghesi, certi modi di fare, alcune somiglianze architettoniche. Due delle cose che più mi rimangono impresse sono: - l’arte dell’ “abbanniare” (arte sicula consistente nel sopraelevamento dei decibel per esprimere qualsiasi concetto di qualsiasi natura, molto usata sopratutto per le attività commerciali) - l’accento e parte del lessico. Una volta, attraversando la strada, sento una signora anziana esclamare ad un’altra (spero di scriverlo giusto) “comprace na vouta!” che al mio orecchio, a prima botta, suonò come “comprasse na voitta!” Apparte questo, son contento del viaggio di oggi, in quanto ho avuto modo di esorcizzare l’impressione infelice avuta i primi due giorni, ma questo perchè la stanza dove mi han collocato sta in una zona industriale e la percezione mi è arrivata un po’ sballata. Fortuna che la mia curiosità mi guida.
19/02/2017 Nel mentre scrivo, quasi giunta mezzanotte, ho deciso di farmi accompagnare dagli instrumental di Clams Casino ed il suo downtempo onirico quanto surreale, servendomi delle sue liquide e fumose atmosfere, le voci (campionate) allucinate e quel pizzico di arroganza hip-hop che ben edulcora i suoi brani. Scelgo di scendere verso le 12 circa e, vista la mia posizione distante rispetto al centro di Lisbona, scelgo una strada propostami da Google Maps, incurante di quanto ci avrei messo (un’ora e mezza). Tralascio la parte percorsa per arrivare lì poichè, apparte qualche cosa bizzarra incontrata per strada (tipo un cavallo solitario vicino la strada.) non succede granchè. Il tutto davvero comincia quando raggiungo l’Alfama, uno dei quartieri più caratteristici e storici di Lisbona, lì dove dicono si incontri la vera gente del posto, lì dove il vero calore portoghese esce e si mette in mostra, a disposizione dei turisti e dei viandanti. Intuendo di essere arrivato lì dove volevo, nel volto più autentico di Lisbona, decido di spegnere il mio lettore mp3 e di dedicarmi totalmente ai suoni e alla quiete di quei posti, facendo come fecero i Red Hot Chili Peppers. Let’s go get lost, let’s go get lost - Road Trippin, Red Hot Chili Peppers, Californication (1999)  Vista l’ora di pranzo giunta a quel punto di percorso, scelgo il primo bar all’aperto, situato in una piazza con di fronte il “Museo do Fado”e mi siedo. Aspettando che mi portino da mangiare, colgo l’occasione e mi metto a scrivere, uscendo di zaino un bloc notes mezzo eroso dalla pioggia, una penna e un libro (Lettere d’amore del profeta, di Khalil Gibran a cura di Paulo Coelho). Scrivo testi, solitamente, oppure pensieri sparsi, o anche appunti per questo di testo. Nel mentre scrivo noto la piazza volgere l’attenzione ad un ragazzo con la chitarra ed una ragazza col tamburo. Si presentano e presentano le loro canzoni, musiche tradizionali portoghesi dall’anima malinconica. Lì per lì penso sia quello il famoso “Fado” e, alla prima buona occasione, con i complimenti spesi ai due ragazzi ne approfitto per chiedere se quello fosse il Fado di cui tutti parlano. La ragazza mi dice di no e mi spiega che quel che hanno suonato è una musica tradizionale del nord del Portogallo (probabilmente anche quella denotata come Fado per via delle note malinconica ma lei teneva a far bene la distinzione), mi dice che questa ha uno stampo più politico  impegnato e mi consiglia di cercarmi un’artista chiamato  José Manuel Cerqueira Afonso dos Santos, in arte Zeca Afonso.  Le chiedo poi di spiegarmi cosa fosse quella percussione quadrata che suonava. Si chiama adufe ed è uno strumento a percussione tipico portoghese. Li ringrazio e faccio loro di nuovo i complimenti e torno stavolta a leggere con un buon caffé davanti ed una pipa caricata. Leggendo il libro di Gibran, curato da Coelho, mi colpì un passo che diceva:
Le cose molto grandi possono essere viste solo a distanza
Successivamente si presentò un altro distinto signore di colore, con in mano una chitarra e una buona voce; cantava brani in portoghese ed in spagnolo, attraendo simpatie e applausi dai clienti seduti ai tavoli.
Per le quattro e mezza circa decido di alzarmi e di continuare la mia camminata per le vie e comincio a notare come molte pareti degli edifici siano adornati da mattonelle con decorazioni geometriche e di stile musulmano, sia per colori che forme. Le adoro! Tutte quelle che trovo! Di fatti, se vedrete poi le foto fatte, noterete che una buona percentuale riguardano proprio queste mattonelle, la cui arte viene denominata azulejo.
Una coppia di signori, dandomi indicazioni per la Baixa, mi spiega che tale arte è stata tramandata sia dai musulmani (probabilmente nell’ottavo secolo) sia dalla tradizione Valenciana, che ha esportato la ceramica con questi colori di prevalenza azzurrina. Mi spiegano anche che c’è un museo di tali ceramiche a Lisbona.
Mi sono già segnato il posto: è chiaro che finirò lì dentro
a rubare le ceramiche.
(Queste ceramiche, specie i modelli a mattonella quadrata, mi han fatto venire in mente un progetto artistico, tra l’altro. Ne riparleremo, magari.)
Proseguo per la strada indicatami dai due gentili signori, non prima di fermarmi in una pasticceria e chiedere al tizio quale fosse un tipico dolce portoghese da mangiare. Mi indica il brigadeiro, dolce il cui nome è preso da una famosa università. Un orgasmo fatto di cioccolato. Arrivo in una piazza enorme e piena di negozi e ristoranti (Praça do comércio) per poi spostarmi verso le banchine e ammirare altri artisti di strada tra artigiani della sabbia ed altri musicisti.
Anche con questi attacco bottone e vengo a sapere che loro si chiamano i Nôs Raís, progetto musicale nato a Capo Verde e che vanta di un ensemble di otto elementi con strumenti vari ed una cantante, italiana a quanto ho capito. A spiegarmi tutto è stato Mauricio, il frontman, un buontempone dall’aria del sempre preso a bene, che abita in Olanda e che spesso viene qui a Lisbona, vivendo di sola musica. Chiedo anche informazioni riguardo uno strumento a corda simile ad una piccola chitarra. Mi spiega che è simile ad un ukulele e si chiama cavaquinho.
 Promettiamo di rivederci, non solo perchè parlare con lui mi ha messo una certa allegria ma anche perchè vorrei comprarlo davvero il loro cd (per ascoltarlo non so dove visto che il lettore cd del mio portatile è rotto ma fottesega). Più vado avanti nella Baixa, più vedo altra gente esibirsi, altri musicisti e altra gente presa a bene.
Se penso al lavoro che devo fare qui e allo stipendio che prima o poi mi tocca, penso che, una volta avuto, ogni mese una percentuale di esso finirebbe per:
- Comprare vinili e cd alle “feira do vinile”
- Campare gli artisti di strada
- Libri antichi
- Mattonelle azulejos
- Sono sicuro c’è dell’altro che ancora non ho visto e che vorrei comprare di sicuro.
Ad un certo punto mi imbatto nel Mercado de Ribeira e decido di fare un salto al Time Out Market che si presenta come un enorme spazio gestito da tante attività culinarie, ognuna con i suoi prodotti tipici. Questo mi ricorda un altro posto, il Copenaghen Street Food, un posto molto figo dove fare le stesse cose, forse un po’ più grande, ma che non mi suscita bellissimi ricordi: Ci ho lavorato. E’ giunto il momento di raggiunge il Bairro Alto, quartiere giovanile, pieno di locali e musica dal vivo e scopro sin da subito che il Bairro... ..è veramente alto! Ogni volta che chiedo indicazioni, la risposta è “en cima, en cima” ed è davvero così. E’ un continuo salire fino ad arrivare ad un punto panoramico davvero magnifico, affollato di ragazzi d’ogni genere che si intrattengono tra chiacchiere, musica improvvisata, balli euforici e foto con il tramonto alle spalle. Qui decido di fermarmi e godermi altre boccate di tabacco prima di proseguire per i dintorni del Bairro. Incontro i Misticu e la loro musica reggae, incontro un gruppo di ragazzi dell’accademia di belle arti, tutti vestiti in tutù e che suonavano per strada. Tra l’altro una di loro si avvicina a me e mi guarda sorridente, io le dico “Boa Tarde!” e lei arrossisce e scappa via. Nel migliore dei casi, lo ha fatto perchè ha inteso come fossi indecente col taglio di capelli che attualmente mi ritrovo. Nel migliore dei casi. Incontro anche altri due ragazzi musicisti, uno ucraino (Andrej) ed uno brasiliano (Diego) e anche con loro è chiacchiere e musica (appagante la loro esibizione di Feel Good Inc. dei Gorillaz assieme ad una cantante che si è aggiunta poco dopo.) Decido di tornare e ripercorro la strada a ritroso. Mi fermo all’Alfama in un piccolo locale dove mi han servito dell’ottima zuppa verde (e ho fatto la cazzata di bere acqua subito dopo. Pirla.) e decido di fare il ritorno costeggiando il rio, tirandomi sul cappuccio della felpa e somigliando ad un incrocio tra una mucca pezzata ed un dalmata abbandonato. Un’altra ora e mezza mi aspetta e stavolta ad accompagnarmi ci sono i Subsonica. Con grande gaudio aspetto i prossimi due loro progetti. Tutto questo, mi ha portato a dire una cosa, benefica come non mai. “Lisbona mi piace!”. Con i suoi colori, i suoi tram, la sua movida, la sua malinconia nascosta tra le nuvole e la sua quiete tra i viali. Con le sue piazze vaste e gremite e i suoi artisti che affollano le strade, con la sua lingua musicale e i suoi azulejos, con i suoi continui dislivelli (di certo ci vogliono buoni polpacci per scegliere di non prendere alcun mezzo di trasporto...) e la gentilezza dei suoi abitanti. E ora finisco di chiudere questo diario. Credo sia un diario. L’unica cosa certa che so e che domani mi aspetta il primo giorno del nuovo lavoro. E già la mia mente è persa alla prossima occasione per tornare all’Alfama, alla Baixa, al Bairro Alto, al Chiado, al Mercato de Ribeira, al centro di Lisbona. Ora posso cominciare a vivere Lisbona.
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schipholwatch · 6 years
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Hans van Holten woont er mooi, daar in het koetshuis bij de havezate Schoonheten. Bosrijke omgeving, rust. Maar het is gedaan met die rust als vliegtuigen naar Lelystad Airport op achttienhonderd meter boven zijn hoofd hangen. Meerdere keren per dag. https://ift.tt/2koMvdW
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