Tumgik
#in un sogno è la mia patria
mucillo · 8 months
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Miniera (Gianmaria Testa)
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Allora che in ogni bettola messicana
Ballano tutti al suono dell'avaiana
Vien di lontano un canto così accorato
È il minatore bruno laggiù emigrato
La sua canzone è il canto di un esiliato
Cielo di stelle cielo color del mare
Tu sei lo stesso cielo del mio casolare
Portami in sogno verso la patria mia
Portale un cuor che muore di nostalgia
Nella miniera è tutto un baglior di fiamme
Piangono bimbi spose sorelle e mamme
Ma a un tratto il minatore dal volto bruno
Dice agli accorsi se titubante è ognuno
Io solo andrò laggiù che non ho nessuno
E nella notte un grido solleva i cuori
Mamme son salvi tornano i minatori
Manca soltanto quello dal volto bruno
Ma per salvare lui non c'è nessuno
Cielo di stelle cielo color del mare
Tu sei lo stesso cielo del mio casolare
Portami in sogno verso la patria mia
Portale un cuor che muore di nostalgia
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la-lettrice-testarda · 11 months
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La spiaggia, Cesare Pavese
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"La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s'illude di favorire in questo modo la meditazione, ma la verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt'al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt'altro".
Pavese , come per i grandi autori e le grandi autrici, è senza mezze misure: una volta letto, o lo si ama alla follia, o lo si evita. Nel mio caso, posso dire che sia stato un amore a prima vista della mia prima gioventù, nato attraverso la lettura, tra le lacrime, prima delle sue poesie, poi, in età adulta, della prosa — di molte penne mi sono innamorata così, passando prima per la poesia che per la prosa. Non mi sono mai trovata d'accordo, infatti, con il buon Pasolini, che in una famosa intervista afferma come Pavese, per lui, non sia altro che uno scrittore mediocre. Mediocre ovviamente se si concepisce la scrittura come finalizzata all'impegno. Non che Pavese non lo faccia, al contrario: fine conoscitore dell'animo umano e delle sue passioni, tra le righe della sua scrittura, anche nei punti apparentemente più leggeri o frivoli, aleggia un costante senso di inadeguatezza; ai tempi, ma anche e soprattutto nei confronti delle persone. “L'esule in patria”, qualcuno l'ha definito: mai completamente parte di un tutto, troppo costretto nel tutto di quei rapporti umani deturpati da ipocrisia e perbenismo. Per questo è scappato, soprattutto dalla vita — e non solo dal Belpaese per inseguire, prima dei tempi, un istrionico sogno americano. Anche se, onestamente, nessuno possa dire cosa spinge una mente a lasciare la vita. Ce lo avrebbe dovuto dire lui. Quello che possiamo fare è provare a cercare risposte tra le pagine dei suoi libri, delle sue memorie, dei suoi schizzi poetici.
Per quanto sia a tutti gli effetti un bozzetto che sembra ricalcare le atmosfere de La bella estate , La spiaggia contiene, in piccolo, tutto questo. In piccolo perché si tratta di un racconto lungo che avrebbe potuto arricchire la raccolta, appunto, de La bella estate o di Feria d'agosto . Proprio per questo, la storia è semplice e assente di uno sviluppo o di qualche colpo di scena: un quadretto estivo che ritrae la villeggiatura del protagonista, professore di italiano in un liceo torinese, del quale non sappiamo il nome; Doro , suo amico d'infanzia, e Clelia, la moglie di quest'ultimo. Sullo sfondo, si alternano bagni al tramonto, quando la spiaggia è ormai quasi vuota e gli ombrelloni ormai quasi tutti chiusi, e cene con gli amici di una vita tra risate, ricordi delle stupidaggini commesse in giovinezza e pettegolezzi. Una fiera delle vanità versione riviera ligure. Lo sciabordio della risacca sembra nascondere le confidenze oggetto delle conversazioni tra i bagnanti che individuano il protagonista, un uomo pragmatico che sembra nascondere, dietro un certo distacco, un bisogno profondo di caloreumano. Per quanto sempre parte delle conversazioni o partecipe di ogni situazione mondana, se ne taglia sempre fuori con quell'occhio vigile “alla Pavese”, ovvero lo sguardo di chi coglie più i non detti e le parole sparse, che le parole retoriche e vuote. È quello che fa osservando Clelia e Doro. Coppia di novelli sposi, per lui non sembrano amarsi. Non ricorda, infatti, che tra loro ci sia mai stato l'amore vero. I due sembrano animati da una profonda individualità , dalla quale però sembrano non poter scappare. O non voler scappare. Con la schiettezza più semplice, il protagonista lo chiede, a Clelia, se siano innamorati, se abbiano litigato. Clelia lo guarda e sembra non capire. È la sorte degli animi sensibili, non essere compresi.
Quello tra i due, il protagonista e Clelia, è un rapporto che, nella sua semplicità , sembra essere autentico e non intaccato dall'ipocrisia sociale che tiene in piedi tutti gli altri rapporti di contorno di questa vacanza. A dirla tutta, il tempo sembra quasi cristallizzarsi , nei loro discorsi. È ciò che Pavese fa in ogni sua scrittura: cristallizza l'affetto per preservarlo ed evitare che si assottigli a mera cordialità. Sotto ogni loro dialogo si nasconde — e nenche troppo — un'arguta, e al contempo aspra, critica sociale: il matrimonio visto come la tomba di ogni passione, le donne come frivole e prive di spirito critico, i corteggiamenti come ragazzate.
Lo sa Berti , uno studente del protagonista, anche lui in villeggiatura in riviera ligure e invaghito di Clelia. Questo interesse rimarrà tale, non avrà un seguito, anche se sembra non spengersi, neanche a seguito di un evento che cambierà per sempre la vita dei due coniugi. È un romanzo piano , e ciò che colpisce non sono i dialoghi o la storia, ma ciò che rende, a mio modesto parere, Pavese un grande, ovvero la sua capacità di ritirare in ballo una sorta di romanticismo decadente , vale a dire una natura , quella del mare, in grado di farsi espressione del pensiero intimo dei suoi attori. Qui il mare è cosa ben diversa dalla spiaggia, perché la spiaggia non è altro che il palcoscenico della mondanità, dove si mettono in scena i giochi della socialità dei prossimi anni '50, il mare è, come si suol dire, la cosa giusta al momento giusto, l'unica entità , quasi dotata di pensiero anch'esso, dove i protagonisti si spogliano delle loro maschere e riescono ad essere liberi dalle convenzioni.
Lo dice anche Clelia: il mare è l'unico posto suo, dove si sente libera, dove vuole essere libera.
Dove può esserlo.
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klimt7 · 2 years
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A Nord di tutto
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Davanti a questa citazione di Pessoa, mi sento "nudo". Qualcuno sta parlando di me - penso in un lampo.
"Colpito e affondato" insomma!
Qualcuno prima di me, deve aver provato esattamente ciò che sento da settimane, da mesi, se non da anni.
Un desiderio di "Altrove", che continuo ad avvertire a tratti, anche se in modo sotterraneo e confuso.
È la spinta ad andare verso "il lontano", verso "il partire" - che non è un fuggire - ma mettersi in viaggio in cerca di qualcosa che ci manca.
Avverto, cioè, l'esigenza di uscire dai paesaggi e dai territori abituali, quelli che mi vedono immerso nel mio quotidiano "essere indaffarato".
Perchè non ammetterlo?
C'è in me, una curiosità esistenziale che mi spinge verso l'oltre, verso l'ignoto, verso l'altrove.
E questa sete e fame di ciò che lontano e insolito, credo faccia parte di me, fin da piccolo, quando alle elementari ero preso dalla geografia.
Ricordo che mi piaceva fermarmi sulle carte geografiche finchè trovavo i nomi di citta sconosciute, Murmansk, Krasnogorsk, Uppsala, Tallin e tante altre, e fantasticavo di abitare nelle loro periferie, dove il centro abitato lascia poi spazio ai boschi, ai prati e alla campagna
Come se la mia immaginazione mi facesse già allora, partire per viaggi che appagavano la mia curiosità e anche una "fame" di luoghi fuori dal mio orizzonte ordinario.
Come se appartenessi a molto di più che a una sola patria, regione o città, in cui poi, sono cresciuto in concreto.
E oggi? Oggi che ho una possibilità pratica di viaggiare, la sento con ancora maggiore forza questa spinta.
Qualcosa, va colmato. Quasi un'attrazione ancestrale .
Ma nel mio caso, più che da " le grandi isole a Sud di Tutto", sento di appartenere al Nord, al grande Nord: Norvegia, Svezia, Russia, Finlandia, Canada...
È come, se tutto ciò che sa di "nordico" venisse a placare il mio bisogno di Assoluto, di purezza, di selvaggio, di incontaminato.
Da grande, scopro che mi attira "una luce" che è molto più del bianco e del ghiaccio dei paesi nordici
C'è altro: quei paesaggi credo siano come metafore della mia attrazione personale per esplorare i bordi ed i confini del "conosciuto".
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Salvo da mesi, foto, immagini, perfino quadri, di paesaggi, che mi parlano, in modo pacato, di un altro mondo. Qualcosa mi chiama dal futuro.
Altri paesaggi, altri territori, altri silenzi, laghi, boschi da costeggiare.
E allora penso a Edward Munch, alle sue opere, alla allucinata luciditá di certe sue tele. Così come vengo risucchiato dalle atmosfere di Dostoievski, dalle sue "Notti bianche", così come sono catturato dalla natura selvaggia dell'Islanda.
Sogno, in futuro, grandi viaggi, il Baltico, Oslo, i fiordi, le foreste di abeti a perdita d'occhio.
Quel mondo intatto e quasi disabitato, fino al circolo polare e oltre. È come se dovessi placare una sete che ho negli occhi da sempre.
Per ora raccolgo immagini. E scopro una parte di me, ogni volta che mi fermo a fissare certi paesaggi. Forse perchè in fin dei conti, in ognuno di noi, c'è un "luogo dell'anima" che ci chiama ad andare, ad uscire dalle abitudini e dal "consueto".
A metterci in viaggio per conoscere questo "centro di gravità" che agisce con la forza di una vera attrazione magnetica.
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beppebort · 8 months
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VOGLIAMO UN MONDO IN PACE
da Bruno Scuccato
È mai possibile che le guerre esistano in continuazione nel mondo, come tanti incendi che divampano?
Ad oggi se ne contano una trentina, più o meno conosciute, tutte devastanti. Sono enormi le sofferenze e le morti che provocano, gli odi che si trascinano nel tempo, eppure esplodono a macchia di leopardo con tutta la loro carica dirompente.
Come mai questa triste realtà?
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Il male oscuro
Gli studiosi si sono chiesti se sia possibile eliminare l’aggressività umana, che spesso diventa violenza distruttiva. Einstein lo ha chiesto a Freud, profondo conoscitore della psiche umana, e si è sentito rispondere: «Non c’è speranza di poter sopprimere le inclinazioni aggressive degli uomini», perché sono insite nella natura dell’uomo. Alcune servono per far fronte alle difficoltà della vita, quindi sono positive, ma molte sono utilizzare per aggredire, sovente con violenza fine a se stessa o finalizzata a interessi di supremazia. Da qui le prepotenze e le guerre.
Un sogno infranto
Davamo per scontato che il periodo di pace vissuto in Europa, dopo la seconda guerra mondiale, potesse continuare. C’era stato, è vero, il conflitto dei Balcani (1991-2001), ma percepito limitato e lontano dal cuore dell’Europa. La realtà dell’Europa Unita sembrava una garanzia di fattiva pace caratterizzata da collaborazione, benessere, progresso. Il suo allargamento a Est portava a pensare che si potesse estendere agli Urali, un’Europa che respirava a due polmoni, sognata e così definita da Papa s. Giovanni Paolo II.
La guerra provocata dall’aggressione della Russia all’Ucraina ha infranto un sogno e ha causato una serie di problematiche da cui non sarà facile riprendersi. Prepotenza richiama reazione difensiva e anche ritorsione punitiva. Si sono, così, innescati meccanismi che hanno portato a sovvertire l’impianto in atto. All’azione distruttiva della Russia, si è risposto con le sanzioni economiche degli Stati Uniti e della UE che hanno agito da deterrente ma hanno causato notevoli difficoltà anche alle nazioni che le hanno comminate. Sono emerse le fragilità in vari settori dovute all’interconnessione propria della globalizzazione ritenuta un fattore positivo e consolidato. Si è amaramente vista la precarietà dell’intreccio economico-politico e quanto sia facile compromettere un tessuto costruito con pazienza e reciproca intesa. Si è compreso quanto stia in agguato il pericolo di mandare allo sfascio decenni di lavoro costruttivo.
Riscoperta della solidarietà
Nel bisogno si sono sprigionate energie positive insperate. La popolazione ucraina, aggredita, ha serrato le fila e si è trovata più unita nel difendere la patria. I molti profughi hanno trovato generosa accoglienza negli stati europei. È emersa un’umanità, prossima e lontana, capace di una solidarietà oltre ogni aspettativa.
Il momento del vero bisogno altrui risveglia i sentimenti e le energie positive che compensano quelle dirompenti. Abbiamo ancora negli occhi le grandi manifestazioni contro la guerra in molte città europee, che hanno fatto emergere l’urgenza e il bisogno di pace. Nel contempo governi, famiglie e associazioni si sono rese disponibili nel mettere a disposizione i propri ambienti e risorse.
Amare la pace e coltivarla
Risuona sempre attuale l’esortazione di Gesù all’amore vicendevole: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,17). È un invito che riguarda innanzitutto i suoi discepoli, i cristiani, ma che ha valenza per tutti. Gesù ha sempre esortato alla pace, l’ha lasciata come suo dono: «Vi do la mia pace», e ha aggiunto: «Non come la dà il mondo» (Gv 14,27). Quella del mondo è una “pace armata”, quella evangelica viene dalla reciproca accoglienza, dal perdono, dal dono di sé. Fa parte delle beatitudini che Gesù ha proposto come legge nuova: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Siamo chiamati in causa per poterci dire “figli di Dio” ed esserlo realmente. È vero che la pace è innanzitutto dono dall’alto, che va accolto, ma nel contempo è anche conquista. Non va mai data per scontata o vissuta passivamente. Anche quando sembra consolidata, mantiene una costitutiva fragilità derivante dall’innata aggressività umana, per cui va coltivata, custodita e amata.
Ricordiamo che la pace è stata l’ultima consegna del Risorto. Si è presentato ai discepoli, ancora traumatizzati dagli eventi della passione, con il saluto della pace: «Pace a voi» (Gv 20,19) e li ha inviati nel mondo per essere ambasciatori della sua pace, realtà costitutiva della sua opera di salvezza (Gv 20,21).
Monito alla saggezza
Papa Francesco è stata, e continua a essere, una voce significativa nel ricordare che siamo tutti fratelli. Insiste sull’urgenza di deporre le armi e di perseguire la via del dialogo. Ricorda che sempre e tutti siamo chiamati ad assumerci la responsabilità per evitare di compromettere il bene comune.
A distanza di tempo, di fronte ai danni provocati, ci si rende conto delle difficoltà che si dovranno affrontare per la ripresa. Ma quanto accaduto è divenuto monito per agire con più saggezza, per non dare il primato agli interessi politici di dominio che chiudono l’orizzonte entro il proprio tornaconto. Siamo tutti interconnessi e ogni ragionamento particolarista diventa causa di spaccature dalle conseguenze incalcolabili, che portano «sangue e lacrime», come ha denunciato Papa Francesco.
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happilycleartastemaker · 10 months
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𝐂𝐡𝐞 𝐥’𝐀𝐦𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚 𝐬𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐀𝐦𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚 (𝟏𝟗𝟑𝟔)
Che l’America sia di nuovo America. Che torni a essere il sogno che era. Che sia il pioniere nella prateria Che cerca una casa dove essere libero.
(L’America non è mai stata America per me.)
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Che l’America sia il sogno che i sognatori hanno sognato – Che sia quella grande forte terra d’amore Dove mai re o tiranni complottino E nessun uomo sia schiacciato da chi lo sovrasta.
(Non è mai stata America per me.)
Che la mia terra sia una terra dove la Libertà Non è incoronata da una ghirlanda di falso patriottismo Ma dove l’opportunità è reale, e la vita è libera, E l’eguaglianza è nell’aria che si respira.
(Non c’è mai stata eguaglianza per me, Né libertà in questa “patria dei liberi”)
Dimmi, chi sei tu che si lamenta nel buio? E chi sei tu, che stendi un velo sulle stelle?
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klayzt · 1 year
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Non a tutti è dato cantare, non a tutti è dato cadere come una mela ai piedi degli altri.
È questa la confessione più grande che possa mai farvi un teppista. Io vado a bella posta spettinato col capo sulle spalle come un lume a petrolio. Mi piace rischiarare nelle tenebre l’autunno senza foglie delle vostre anime. Mi piace quando i sassi dell’ingiuria mi volano addosso come la grandine d’una ruttante bufera. Stringo allora più forte con le mani la bolla tremula dei miei capelli.
È così dolce allora ricordare lo stagno erboso e il rauco suono dell’alno e mio padre e mia madre viventi in qualche luogo, che s’infischiano di tutti i miei versi e mi amano come il campo e la carne, come la pioggerella che a primavera rende soffice il verde. Verrebbero a infilzarvi con le forche per ogni vostro grido contro di me scagliato.
Poveri genitori contadini! Siete di certo diventati brutti, temete sempre Dio e le viscere palustri. Potreste almeno capire che vostro figlio in Russia è il migliore poeta! Il cuore non vi si copriva di brina per la sua vita, quand’egli si bagnava i piedi nudi nelle pozze autunnali? Ora invece cammina in cilindro e con le scarpe lucide.
Ma sopravvive in lui l’antica foga del monello di campagna. Ad ogni mucca delle insegne di macelleria di lontano egli manda un saluto. Ed incontrando i vetturini in piazza, ricordando l’odore di letame dei campi nativi, egli è pronto a reggere la coda d’ogni cavallo come lo strascico d’una veste nuziale.
Io amo la patria. Amo molto la patria! Anche se una mestizia rugginosa avvolge i suoi salici. Mi sono gradevoli i grugni imbrattati dei maiali e la voce dei rospi sonante nella quiete notturna. Io sono teneramente malato di ricordi d’infanzia, sogno la bruma delle umide sere d’aprile. Come per riscaldarsi il nostro acero s’è accoccolato al rogo del tramonto. Oh, quante volte mi sono arrampicato sui rami a rubare le uova dai nidi dei corvi! È ora sempre lo stesso, con la cima verde? La sua corteccia è dura come prima?
E tu, mio diletto, fedele cane pezzato?! La vecchiezza ti ha reso stridulo e cieco e vaghi per il cortile, trascinando la coda penzolante, senza più ricordare dove sia la porta e dove la stalla. Come mi sono care quelle birichinate quando, sottratto a mia madre un cantuccio di pane, lo mordevamo insieme uno alla volta, senza avere ribrezzo l’uno dell’altro.
Io non sono cambiato. Non è cambiato il mio cuore. Come fiordalisi nella segala fioriscono gli occhi nel viso. Stendendo stuoie dorate di versi, vorrei dirvi qualcosa di tenero. Buona notte! A voi tutti buona notte! Più non tintinna nell’erba del crepuscolo la falce del tramonto. Stasera ho tanta voglia di pisciare dalla finestra mia contro la luna.
Azzurra luce, luce così azzurra! In quest’azzurro anche il morir non duole. Che importa se ho l’aria d’un cinico dal cui sedere penzola un fanale! Vecchio e bravo Pegaso straccato, mi occorre forse il tuo morbido trotto? Sono venuto come un maestro austero a decantare e a celebrare i sorci. Simile a un agosto, la mia zucca si effonde in vino di capelli tumultuosi.
Io voglio essere una gialla vela per quel paese verso cui navighiamo.
Confessione d’un teppista
Sergej Aleksandrovič Esenin
1920
***
Не каждый умеет петь, Не каждому дано яблоком Падать к чужим ногам.
Сие есть самая великая ишонедь, Которой исповедуется хулиган.
Я нарочно иду нечесаным, С годовой, как керосиновая лампа, ни плечах. Ваших душ безлиственную осень Мне нравится в потемках освещать. Мне нравится, когда каменья брани Летят в меня, как град рыгающей грозы, Я только крепче жму тогда руками Моих волос качнувшийся пузырь.
Гак хорошо тогда мне вспоминать Заросший пруд и хриплый звон ольхи, Что где-то у меня жинут отец и мать, Которым наплевать на нее мои стихи, Которым дорог я, как поле и как плоть, Как дождик, что лесной взрыхляет зеленя. Они бы пилами пришли вас заколоть За каждый крик наш, брошенный н меня.
Бедные, бедные крестьяне! Ны, наверно, стали некрасивыми, Так же боитесь бога и болотных недр. О, если б вы понимали. Что сын ваш в России Самый лучший поэт! Вы ль за жизнь его сердцем не индевели, Когда босые ноги он в лужах осенних макал? А теперь он ходит в цилиндре И лакированных башмаках.
Но живет в нем задор прежней вправки Деревенского озорника. Каждой корове с вывески мясной лавки Ои кланяется издалека. И, встречаясь с извозчиками на площади, Вспоминая запах навоза с родных полей, Он готов нести хвост каждой лошади, Как венчального платья шлейф.
Я люблю родину. Я очень люблю родину! Хоть есть в ней грусти ивовая ржавь. Приятны мне свиней испачканные морды И в тишине ночной звенящий голос жаб. Я нежно болен вспоминаньем детства, Апрельских вечеров мне снится хмарь и сырь. Как будто бы на корточки погреться Присел наш клен перед костром зари. О, сколько я на нем яиц из гнезд вороньих, Карабкаясь по суч��ям, воровал! Все тот же ль он теперь, с верхушкою зеленой? По-прежнему ль крепка его кора?
А ты, любимый, Верный пегий пес?! От старости ты стал визглив и слеп И бродишь по двору, влача обвисший хвост, Забыв чутьем, где двери и где хлев. О, как мне дороги все те проказы, Когда, у матери стянув краюху хлеба, Кусали мы с тобой ее по разу, Ни капельки друг другом не погребав.
Я все такой же. Сердцем я все такой же. Как васильки во ржи, цветут в лице глаза. Стеля стихов злаченые рогожи, Мне хочется вам нежное сказать.
Спокойной ночи! Всем вам спокойной ночи! Отзвенела но траве сумерек зари коса… Мне сегодня хочется очень Из окошка луну обоссать.
Синий свет, свет такой синий! В эту синь даже умереть не жаль. НУ так что ж, что кажусь я циником, Прицепившим к заднице фонарь! Старый, добрый, заезженный Пегас, Мне ль нужна твоя .мягкая рысь? Я пришел, как суровый мастер, Воспеть и прославить крыс. Башка моя, словно август, Льется бурливых волос вином.
Я хочу быть желтым парусом В ту страну, куда мы плывем.
Исповедь хулигана
Сергей Александрович Есенин
1920
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jamrisin · 3 years
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Ho visto
La gente della mia età andare via
Lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
Nella ricerca di qualcosa che non trovano
Nel mondo che hanno già dentro alle notti che dal vino son bagnate
Dentro alle stanze da pastiglie trasformate
Lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città
Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
E un dio che è morto
Ai bordi delle strade dio è morto
Nelle auto prese a rate dio è morto
Nei miti dell' estate dio è morto
Mi han detto
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell' eroe
Perché è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato la dignità fatta di vuoto
L' ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio
Dio è morto
Coi miti della razza
Dio è morto
Con gli odi di partito
Dio è morto
Dio è morto
Ma penso
Che questa mia generazione è preparata
A un mondo nuovo e a una speranza appena nata
Ad un futuro che ha già in mano
A una rivolta senza armi
Perché noi tutti ormai sappiamo
Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge
In ciò che noi crediamo dio è risorto
In ciò che noi vogliamo dio è risorto
Nel mondo che faremo dio è risorto
Dio è risorto
Dio è risorto
Quante generazioni ci vogliono....?
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benttulips · 3 years
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lo senti come passano le ore?
sul nostro disperato seguitare
ma questo scoglio mio non frana mai
in un tiepido letto di sabbia
ho perso molto tempo ad aspettare
felicità già nate come vane
ma questa nostalgia non muore mai
ha la pazienza dell'onda del mare
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iltrombadore · 3 years
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“Microcosmo Sicilia”: l’isola dei contrasti irrisolti con cui bisogna imparare a convivere
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Primo, non dimenticare la “Sicilia come metafora”, immagine coniata da Leonardo Sciascia per l’ isola tanto amata e però messa lucidamente a nudo nelle sue miserie e ambiguità, gli inganni ed autoinganni che ne tracciano la storia. Di questa lezione fa tesoro a modo suo Salvo Guglielmino che nel recente “Microcosmo Sicilia”  (Rubbettino editore, 2021) fonde in un amalgama originale memorie personali e familiari, cose viste ed esperienze vissute, episodi e personaggi salienti: ne emerge un persuasivo profilo del mondo siciliano fatto di accesi ed irrisolti contrasti, in bilico tra modernità e tradizione, impegno per il progresso ed attrazione fatale per il  gattopardesco abbandono alla “forza del destino”.
Un racconto velato di malinconica ironia è pregio di questo libretto concepito come mosaico di brevi capitoli a sbalzo, tasselli autosufficienti, che rivelano il “microcosmo” siciliano a tutto tondo per una illuminante messa a fuoco progressiva: con le fisionomie  di protagonisti dimenticati, come l’antropologo Antonino Uccello, fondatore del prezioso museo della cultura e civiltà contadina, a Palazzolo Acreide; con la vicenda letteraria del solitario e misconosciuto scrittore Giuseppe Rovella, tradizionalista cultore di una “sicilianità indoeuropea”; con il profilo del comunista  Renato Guttuso, “emigrato a Roma” , uomo famoso, artista e di potere, e pur sempre dominato da una siciliana indole malinconica; con lo stile, siracusano e romano, di Francesco Trombadori, pittore dai colori gentili della pietra bianca arenaria di Ortigia, Noto e Modica depositata sugli scenari capitolini; e così via enumerando uomini d’arte e spettacolo di successo, fino al ritratto vivido e allegro di Pippo Baudo, tanto legato al paese d’origine, ai  paesaggi del catanese, ai profumi e ai saporiti ingredienti della “caponata di Militello”.
Uomo della tradizione cattolica, democratica e popolare siciliana, attivo sindacalista cislino, Salvo Guglielmino non dimentica di enumerare quanto grande sia stato il sacrificio dei lavoratori e dei democratici per aprire vie di rinnovamento nella vita dell’ isola: dal suo mosaico si distilla il tragico 1968 dei braccianti di Avola uccisi dalla polizia durante una disperata lotta salariale contro gli agrari.
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Ci sono poi le figure ben delineate di vittime illustri della criminalità mafiosa, come Giuseppe Fava, Pio La Torre e Piersanti Mattarella, sullo sfondo del misterioso intreccio di poteri, mafiosi o meno, che portarono fin dal 1947 alla strage di Portella della Ginestra.
Speranza riformista, disinganno e disillusione si alternano nella memoria del profilo civile di alcuni personaggi chiave nei tumultuosi cambiamenti nella vita politica e sociale italiana degli anni ’90: dal battagliero Sergio D’Antoni, nativo di Caltanissetta, protagonista degli accordi di concertazione, che salvarono l’Italia dalla bancarotta e dall’inflazione, all’epoca ideatore  inascoltato di un sindacato unitario che “si fa governo”; e ancora emerge il ritratto sacrificale di Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla mafia, nativo di Canicattì, primo magistrato ad essere beatificato dalla Chiesa.  
Una Sicilia dal paesaggio affascinante, incrocio di antiche civiltà marinare e mondo arcaico dell’ entroterra (dalla necropoli Pantalica ai “santoni” di Akrai) fa da scenario all’imperversare di episodi di malgoverno locali e nazionali, con l’alternanza di progetti faraonici incompiuti,  dissesti stradali ed altre imprese lasciate cadere nel degrado; a questo stato di cose, si oppongono altrettante spinte vitali del genio produttivo siciliano quando affronta mille difficoltà per aprire occasioni di sviluppo.
E’ la “metafora” di una questione meridionale che coinvolge problemi sempre aperti: dal “sogno di Enrico Mattei” con la vicenda malgestita del polo petrolchimico di Siracusa, in preda all’inquinamento, e pure asse di collegamento tra Europa e Medio Oriente ancora tutto da sperimentare; alla “speranza di Vittoria”, paese del ragusano dove l’agricoltura fiorisce e la disoccupazione è parola sconosciuta, un tempo provincia senza mafia ed oggi infestata dai signori del “pizzo” e dai capi clan; e ancora vale notare la “guerra del vino” che dalla Valle del Belice fino a Pachino, ha visto mutare il volto dei vecchi latifondi agrari  in centri fiorenti di produzione e integrazione multinazionale e però anche con forme nuove di “colonizzazione” dell’industria vinicola del Nord che scalza e mette in difficoltà i piccoli coltivatori.
In una simile altalena di vecchio e nuovo, di aperture ricorrenti alla modernità mortificate da inattesi contrasti, ansie rinnovatrici e mutamenti imposti, il “microcosmo” dipinto da Salvo Guglielmino procede nell’ inquadratura di costumi, abitudini, eredità arcaiche, tradizioni pagane e di un cattolicesimo che abbraccia tanta parte del temperamento stesso dei siciliani, messo a fuoco come popolo di emigranti perfino in patria, “sempre inquieti, insoddisfatti, pessimisti”, un carattere che Tomasi di Lampedusa associava al paesaggio malinconico e selvaggio dell’isola. Morale? “Devi imparare a convivere con ciò che non puoi superare”, osserva Guglielmino, citando Bruce Springsteen. E aggiunge: “è stato sempre quello che, in fondo, mi hanno insegnato mio padre e mia madre”.
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fashionbooksmilano · 4 years
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“Looking for Juliet”
The 2020 Pirelli Calendar
Photographed by Paolo Roversi
132 pagine, 58 foto a colori e in bianco e nero
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Looking for Juliet è il titolo dell’edizione 2020 di The Cal™, le cui prime informazioni erano state svelate a maggio quando erano stati resi noti i volti protagonisti della 47esima edizione.  A  firmare il progetto è stato per la prima volta il noto fotografo italiano Paolo Roversi, il cui racconto visivo va alla “ricerca della Giulietta che esiste in ogni donna” e che si svolge in due fasi: nella prima le muse sono ritratte al loro arrivo sul set, senza trucco né abiti di scena; vengono riprese mentre dialogano con Roversi del progetto per il quale sperano di essere selezionate, raccontando le proprie esperienze e la loro idea di Giulietta e aprendosi così a un racconto intimo e personale. Nella seconda, invece, vestono i costumi disegnati per trasformarle nelle interpreti del dramma shakespeariano. L’effetto è quello di una storia dove realtà e finzione si confondono. Protagoniste del calendario più famoso del mondo, scattato lo scorso maggio fra Verona, patria di Giulietta, e Parigi, città in cui vive Roversi da oltre 40anni, sono Claire Foy, Mia Goth, Chris Lee, Indya Moore, Rosalía, Stella Roversi, Yara Shahidi, Kristen Stewart ed Emma Watson: talenti che hanno prestato i propri volti alle varie anime di “Giulietta” e con il loro talento artistico ne hanno riprodotto momenti ed emozioni.  Da grande appassionato di lirica, Roversi ha voluto realizzare un oggetto con un’impronta grafica originale e fortemente ispirata a un libretto d’opera. Il Calendario 2020 è composto da 132 pagine, con il datario in copertina, brani tratti dal Romeo e Giulietta e 58 foto, a colori e in bianco e nero, che ritraggono le protagoniste e la città di Verona. La copertina si apre rivelando il disegno di un firmamento che rappresenta l’universo e che idealmente contiene e avvolge la storia di Giulietta, rendendola eterna.                             “Ho sognato per anni di fare questo calendario, perché il Calendario Pirelli è qualcosa di speciale per un fotografo e sono felice che il sogno si sia avverato”, ha concluso Roversi. “Volevo un concept legato alla bellezza e all’amore. Un concept molto semplice e molto forte. E amore e bellezza sono elementi della mia ricerca da molti anni. E volevo, come primo fotografo italiano di un progetto di un’azienda italiana, una storia legata all’Italia”.
12/01/10
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corallorosso · 4 years
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Ho visto La gente della mia età andare via Lungo le strade che non portano mai a niente Cercare il sogno che conduce alla pazzia Nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già Lungo le notti che dal vino son bagnate Dentro le stanze da pastiglie trasformate Lungo le nuvole di fumo, nel mondo fatto di città, Essere contro od ingoiare la nostra stanca civiltà E un Dio che è morto Ai bordi delle strade Dio è morto Nelle auto prese a rate Dio è morto Nei miti dell'estate Dio è morto. Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede In ciò che spesso han mascherato con la fede Nei miti eterni della patria o dell'eroe Perché è venuto il momento di negare tutto ciò che è falsità Le fedi fatte di abitudini e paura Una politica che è solo far carriera Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto E un Dio che è morto Nei campi di sterminio Dio è morto Coi miti della razza Dio è morto Con gli odi di partito Dio è morto. Ma penso Che questa mia generazione è preparata A un mondo nuovo e a una speranza appena nata Ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi Perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni E poi risorge In ciò che noi crediamo Dio è risorto In ciò che noi vogliamo Dio è risorto Nel mondo che faremo Dio è risorto, Dio è risorto Nomadi, "Dio è morto"
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baggianata · 4 years
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Ma questa nostalgia non muore mai
Ha la pazienza dell’onda del mare
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ilmondoindueocchi · 4 years
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Mercoledì 8 Aprile 2020
Giorno 34 di quarantena.
Quando tutto questo finirà come mi sentirò?
Sembrerà di aver fatto un brutto sogno?
Tornerò subito alla normalità?
Non mi renderò conto di tutti questi giorni passati chiusi in casa e di tutte questi morti?
Mi sembrerà di aver continuato la mia vita come sempre?
Sembrerà assurdo di aver passato mesi senza poter uscire di casa, dal mio paese, senza prendersi una multa o rischiare il contagio?
Mi renderò conto che la normalità di prendere la macchina e andare a farsi un giro al centro commerciale , o ancora di più, prendere un semplice treno e andare a visitare una città era illegale, nonché pericoloso?
Oppure qualcosa cambierà dentro di me?
Riuscirò a tornare alla normalità?
Ad abbracciare, parlare, baciare le persone?
Riuscirò a rimettere piede nel mio paese dopo mesi di “prigionia” in casa come se nulla fosse successo?
Avrò ancora paura delle persone?
Ma soprattutto, quando finalmente tutti usciremo da qua, ci comporteremo come se nulla fosse, come se fossimo stati in vacanza per un po’ e torneremo alle nostre vite di tutti i giorni?
Cosa faremo quando ci guarderemo negli occhi senza paura di uno starnuto?
Come ci comporteremo quando torneranno i concerti, i parchi affollati, le spiagge e le piscine caotiche?
Ci renderemo conto di ciò che abbiamo passato e apprezzeremo questi piccoli, insignificanti momenti?
O torneremo ad ignorarci e a dare per scontato tutto ciò che circonda?
Una cosa l’ho imparata, ma non so se sarò in grado di metterla in pratica.
Ogni momento è prezioso, ogni piccola cosa diventa importante quando viene a mancare.
Chi l’avrebbe mai detto che, una come me, abituata a viaggiare e a scoprire nuovi posti, una come me che odiava la propria patria e il suo paese nativo, avrebbe dato tanta importanza a un semplice caffè al bar di paese. A una passeggiata in campagna, a una corsa al supermercato.
Come avrei potuto immaginare che sarei arrivata al punto di sognare di poter toccare la spesa senza avere l’obbligo di lavarsi le mani un secondo dopo, senza avere paura che ogni cosa possa contenere il virus?
Ora mi sembra normale, ma non mi rendo conto che prima la vita era diversa, che era consentito viaggiare, andare a ballare, bere dallo stesso bicchiere.
Come può essere normale il non poter uscire dalla propria casa per mesi o non poter incontrare persone che vivono dall’altra parte della città?
Eppure mi ci sono abituata.
Lo so che non sarà più lo stesso, non è una guerra, ma quello che porterà dietro sarà devastante quanto un conflitto durato anni.
Chissà quando potremo tornare ad abbracciarci e ricorderemo i giorni passati a casa a cucinare dolci, imparare a suonare la chitarra e a studiare mentre guardavamo il tg nella speranza di qualche buona notizia.
Chissà quando tutto il mondo potrà dire di aver sconfitto questo nemico.
Chissà cosa succederà quando riprenderemo la libertà,
la libertà di poter viaggiare,
la libertà di potersi baciare,
la libertà di poter vivere.
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songfromsaturn · 5 years
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Semplicemente magico. Non avrei mai immaginato che a 19 anni potessi abbandonare tutto per due settimane e attraversare un intero oceano sconfinato per immergermi completamente in nuove sensazioni. Ho capito che l'America non è poi tanto il sogno di tutti, quanto invece è il concetto dell'America a essere enfatizzato fin troppo. Ogni Paese, alla fin fine, ha i suoi pro e i suoi contro e senza ombra di dubbio anche gli USA fanno parte di questa categoria. Ho amato i colori che offriva New York, le luci, la maestosità della Grande Mela, la sua diversità e la libertà che si respirava nell'aria. Nonostante sia stata dall'altra parte del mondo, la mia patria alla fine chiama sempre, e ho capito che non importa dove io mi trovi, la mia grande Italia l'ho iniettata direttamente nel sangue e posso anche essere nelle metropoli più importanti del mondo, ma che nessuno mi tolga il mio stivale.
A parte le quasi 24 ore di viaggio, le persone che puzzavano nelle metro, le sparatorie nel Bronx e le macchine che sfrecciavano spericolate con la paura che potessero metterti sotto anche nelle strisce pedonali, viaggiate, viaggiate sempre anche per queste cose, perché è solo da chi è diverso da noi che si può imparare qualcosa di indelebile.
Grazie New York.
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tonyght · 5 years
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Ho visto 
La gente della mia età andare via 
Lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia 
Nella ricerca di qualcosa che non trovano 
Nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate 
Lungo le strade da pastiglie trasformate
Dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città
Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà 
-
E un dio che è morto
Ai bordi delle strade, dio è morto
Nelle auto prese a rate, dio è morto
Nei miti dell'estate, dio è morto
-
Mi han detto 
Che questa mia generazione ormai non crede 
In ciò che spesso han mascherato con la fede 
Nei miti eterni della patria o dell'eroe 
Perchè è venuto ormai il momento di negare 
Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto 
-
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto 
Con gli odi di partito, dio è morto
-
Ma penso 
Che questa mia generazione è preparata 
A un mondo nuovo e a una speranza appena nata
Ad un futuro che ha già in mano
A una rivolta senza armi
Perchè noi tutti ormai sappiamo 
Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge
In ciò che noi crediamo, dio è risorto
In ciò che noi vogliamo, dio è risorto
Nel mondo che faremo, dio è risorto
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jamrisin · 5 years
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Dio è morto
Ho visto
La gente della mia età andare via
Lungo le strade che non portano mai a niente
Cercare il sogno che conduce alla pazzia
Nella ricerca di qualcosa che non trovano
Nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate
Lungo le strade da pastiglie trasformate
Dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città
Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
E un dio che è morto
Ai bordi delle strade, dio è morto
Nelle auto prese a rate, dio è morto
Nei miti dell'estate, dio è morto
Mi han detto
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell'eroe
Perchè è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto
Con gli odi di partito, dio è morto
Ma penso
Che questa mia generazione è preparata
A un mondo nuovo e a una speranza appena nata
Ad un futuro che ha già in mano
A una rivolta senza armi
Perchè noi tutti ormai sappiamo
Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge
In ciò che noi crediamo, dio è risorto
In ciò che noi vogliamo, dio è risorto
Nel mondo che faremo, dio è risorto
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