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#l’inverno del nostro scontento
lamiaprigione · 2 years
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John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento (1961)
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edi-po · 2 years
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L'ottusa banalità dei rampolli della borghesia italiana: Feltri Jr, dall’alto del suo nulla strapagato, ha scritto un pensierino per farci sapere che nell’ovattato mondo dei parassiti benestanti nessuno ha scioperato. Resta la speranza che i rider abbiano visto Fight Club e conoscano la differenza tra cibo trattato e cibo non trattato.
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comefiorineldeserto · 3 years
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Mi vendicherò nel modo più crudele che tu immagini:
Dimenticherò ogni cosa.
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sciatu · 5 years
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L’INVERNO DEL NOSTRO SCONTENTO
E’ difficile che tu possa capire cos’è la Sasizza se non sai cosa simboleggiava. Pensa molti anni fa quando l’estate finiva e le nuvole basse ed il cielo grigio cancellavano tutti i colori dell’estate. l’arancione delle albicocche, il giallo ed i rossi dei peperoni, il verde più o meno intenso delle zucchine. Finivano le feste, i paesi si svuotavano, il freddo scivolava lungo i muri delle case fatte con le pietre della fiumara che perdevano calore e diventavano fredde ed umide. Allora nel silenzio dei colori, nel diminuire dei profumi, nella luce che scompariva prima del solito, ecco che dovevamo nutrirci di cose sempre più povere e semplici: le sarde, le acciughe portate dal mare, le verdure come i finocchietto selvatico, le fave con cui si faceva il “macco” ed i ceci. Era il momento in cui il maiale passava a miglior vita e ci nutriva con tutto se stesso, fonte infinita di proteina per le classi più povere. Allora si incominciava a mangiare la Sasizza. La bottega da macellaio di mio nonno perdeva l’odore della carne e del sangue e si riempiva di profumi: l’odore speziato intenso e dominante del pepe nero appena macinato, quello sottile ed aromatico dei semi di finocchietto selvatico, l’odore del provolone tagliato si mischiava con quello del pomodoro tagliato per e si ripeteva continuamente chilometri di intestino di maiale. Quando la bottega era chiusa si sentiva solo il Ritmico il rumore del pollice della nonna che spingeva nel budello la carne tramite un imbuto: “Splug, splug, splug” si sentiva continuamente mentre io con un ago pungevo il budello per far uscire l’aria e far aderire il budello alla carne. Di notte si appendevano metri e metri di salsiccia nella bottega per farla asciugare prima della vendita ed il soffitto della bottega sembrava il cielo di un paese della cuccagna, roseo, profumato ed invitante. La domenica mattina i paesani entravano ed uscivano dalla bottega, portandosi via il loro tesoro; se passavi per le strade grigie ed umide sentivi nell’aria il profumo della salsiccia che usciva dalle cucine mentre il fumo della salsiccia arrosto saliva denso e grasso verso il cielo a dare allegria alle nubi fredde che sovrastavano e coprivano i monti. A pranzo finalmente arrivava la salsiccia magari accompagnata dalle patate arrosto o dalla minestra di finocchio selvatico saltata in padella con aglio e peperoncino dentro cui la nonna aveva messo delle fette di pane a friggere con la minestra e a impregnarsi del suo gusto acidulo e profumato. Quando la mordevi, era una scarica di sapori: quello grasso della carne a cui era mischiato una dose limitata ma scelta di grasso, il sapore intenso dei semi di finocchio, quello infuocato del pepe o quello morbido e colloso del provolone. Era un esplosione di gusti che si accendevano in bocca vincendo ogni altro sapore. A loro si aggiungeva il profumo e il gusto della verdura saltata in padella, l’intensità dell’aglio, il gusto pieno del pane fritto con essa che per un momento distraevano la tua bocca prima di ritornare a mordere un altro pezzo di sasizza. La tristezza dell’autunno ed il freddo dell’inverno si perdevano, restava la gioia di quel gusto intenso e totale. La Sasizza allora si mangiava solo nel periodo freddo, ma ora la trovi tutto l’anno e non c’è riunione familiare che non la veda presente, quasi a scacciare il ricordo di un tempo in cui era, tra tante privazione, una piccola ricchezza, un piccolo tesoro di gusto e forza.
It's hard for you to understand what Sasizza is if you don't know what it symbolized. Think of it many years ago when the summer ended and the low clouds and the gray sky erased all the colors of summer. the orange of the apricots, the yellow and the red of the peppers, the more or less intense green of the courgettes. The festivities ended, the villages emptied, the cold slid along the walls of the houses made with the torrent stones that lost heat and became cold and wet. Then in the silence of the colors, in the diminishing of perfumes, in the light that disappeared earlier than usual, here we had to feed ourselves with ever poorer and simpler things: sardines, anchovies brought from the sea, vegetables like wild fennel, broad beans with which was made the "macco" and the chickpeas. It was the moment when the pig passed away and fed us with all of itself, an infinite source of protein for the poorer classes. Then we began eating Sasizza. My grandfather's butcher shop lost the smell of flesh and blood and filled with scents: the intense and dominant spicy smell of freshly ground black pepper, the subtle and aromatic smell of wild fennel seeds, the smell of provolone cut it mixed with that of the tomato cut for and was continually repeated kilometers of pork intestine. When the shop was closed, only the rhythm was heard, the sound of the grandmother's thumb pushing the meat through the funnel into the gut: "Splug, splug, splug" was heard constantly while I pricked the gut with a needle and make the gut stick to the meat. At night we hung meters and meters of sausage in the shop to dry it before the sale and the ceiling of the shop looked like the sky of a land of greasy, fragrant and inviting. On Sunday morning the villagers entered and left the shop, taking away their treasure; if you passed through the gray and damp streets you could smell the sausage parfume coming from the kitchens in the air while the smoke of the roasted sausage rose thick and fat towards the sky to give joy to the cold clouds that overlooked and covered the mountains. At lunch the sausage finally arrived, perhaps accompanied by roast potatoes or fried boiled wild fennel with garlic and chilli in which grandmother had put slices of bread to fry with them and soaked in its sour and fragrant taste. When you bite sasizza, it was a burst of flavors: the fat of the meat mixed with a limited but chosen amount of fat, the intense flavor of fennel seeds, the fiery taste of pepper or the soft, sticky flavor of provolone. It was an explosion of tastes that ignited in the mouth, overcoming every other taste. To them was added the smell and taste of stir-fried vegetables, the intensity of garlic, the full taste of fried bread with it that for a moment distracted your mouth before returning to bite another piece of sasizza. The sadness of autumn and the cold of winter were lost, the joy of that intense and total taste remained. The Sasizza was then eaten only in the cold period, but now you find it all year round and there is no family reunion that does not see it present, almost as if to drive away the memory of a time when it was, among so many privations, a small wealth , a small treasure of taste and strength.
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t-annhauser · 5 years
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Ho sospeso il corso delle mie piccole paturnie causa paturnia massima, quella del lavoro, come dicevano i latini, ubi maior minor cessat, dove cessat è la parola che evoca: ormai l’inverno del nostro scontento s’è tramutato in fulgida estate sotto questo cielo di York (prego notare). Ho appena sfornato una ciambella calda per la mattina del primo, con la mela a tocchetti per inzupparci dentro le dita.
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fonteprato · 2 years
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Femminarium
Torna il 28 dicembre
Per l’ultima replica del 2021
Anno complesso
Non solo per gli artisti
Ma per tutti i rapporti umani
Messi alla prova dalla distanza
Dalle limitazioni
Dai ripetuti inviti a chiudersi in casa
In attesa che passi la nottata.
In questa versione a cappella
Seguita da un dibattito sempre partecipato
Che ci appaga quasi quanto la messa in scena
L’urgenza di apertura del testo
La volontà di mettersi a nudo delle interpreti
La gioia di entrare in sintonia della sala
Congelano l’inverno del nostro scontento
Riaccendendo una esigua speranza
Di un’imminente estate gloriosa.
👉Info e prenotazioni ai numeri 06.55340226/371.1793181
https://bit.ly/3E7RXJk
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giuliocavalli · 6 years
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L’inverno del nostro scontento è un presepe di congelati
Erano cinque. Quasi sei, con una donna incinta. Li hanno ritrovati sul colle della Scala, il passaggio che congiunge la Val di Susa in Piemonte con la Val della Clarée. Per loro cinque (e per molti altri) è semplicemente l’unica via per passare dal Piemonte alla Francia e poi sperare di poter proseguire sempre più a nord. Quando li hanno individuati nel buio e nel freddo delle cinque e venti del…
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tmnotizie · 5 years
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MACERATA – Inizia la nuova stagione targata Macerata Racconta con la quarta edizione del piccolo festival d’inverno “ I giorni della merla”, patrocinato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Macerata, con tre originali e suggestivi appuntamenti, dal 25 al 27 gennaio, curati e ideati da Loredana Lipperini e Lucia Tancredi, che hanno scelto come titolo che lega i tre incontri  “L’inverno dello scontento”, citando il noto romanzo di Steinbeck, che a sua volta rimanda al primo verso del dramma shakespeariano Riccardo III:  L’inverno del nostro scontento.
La rassegna è stata presentata alla stampa dall’assessore alla Cultura Stefania Monteverde, dal direttore artistico di Macerata Racconta Giorgio Pietrani e dalla curatrice della rassegna Lucia Tancredi.
“Lo Sferisterio d’inverno, i libri, i racconti, la musica: sono questi gli ingredienti di incontri tanto partecipati e suggestivi. Un appuntamento atteso – ha affermato l’assessore alla Cultura Stefania Monteverde –  che ci riporta dentro l’amato Sferisterio grazie a Lucia Tancredi e Loredana Lipperini, bravissime nel mescolare suggestioni, e a Macerata Racconta infrastruttura culturale del territorio. La collaborazione con la Società dei Cento Consorti rafforza il progetto con una continua opera di valorizzazione a ricordo dei cittadini che investirono in un bene pubblico di così grande valore. Macerata riconosciuta dal Ministero con il titolo Città che Legge, si ritrova ancora una volta a leggere insieme. Una bella comunità!”
E’ partito  da un rapporto del Censis il direttore artistico di Macerata Racconta Giorgio Pietrani, che descrive il periodo che viviamo attualmente, come di un periodo di rabbia e di rancore “ e questo –  ha detto il membro dell’associazione conTESTO – è un aspetto che vogliono approfondire e che ci ha  ispirato il tema della prossima edizione di Macerata Racconta ovvero “La deriva”. Vogliamo capire se c’è una via possibile per un approdo felice e per farlo ci affidiamo, come nel caso della rassegna ‘I giorni della merla’   alla letteratura per superare il buio dell’inverno”.
Quest’anno alla realizzazione del festival contribuisce anche la Società Civile dello Sferisterio Eredi dei Cento Consorti ricordando come il prestigioso monumento sia nato con la funzione di essere un forte aggregante sociale in nome della bellezza e della condivisione della cultura. Presente alla conferenza stampa il presidente della Società, Walfrido Cicconi che ha ricordato le origini della celebre arena maceratese.
“Se i tempi sono stretti, incombono pressioni politiche, ristrettezze economiche e si reagisce condividendo sentimenti di frustrazione, rabbia ed uno scontento generale – ha detto Lucia Tancredi presentando il programma del festival – ne fa le spese l’inverno che, invece, è la stagione del fuoco, della comunità che si raccoglie attorno alle storie le quali, da sempre, sono l’antidoto migliore contro tutti i rigori.”
Tre scrittrici di grande profilo, ha detto, evocheranno mondi reali e possibili: venerdì 25 gennaio ci sarà Evelina Santangelo, autrice del romanzo dell’anno per la trasmissione Fahreneit “Da un altro mondo”, aiuterà a trovare le parole per comprendere l’ombra che cammina a fianco con la realtà, quella dei fantasmi e delle memorie.
Sabato 26 gennaio sarà la volta di Romana Petri, autrice con l’editore Rrose Sélavy del racconto “ Devo scegliere chi sognerà per me” , che parlerà della narrativa di Jack London, dei lunghi freddissimi inverni come vigilia della vita da adulti. Infine, domenica 27 gennaio  a  chiudere il festival sarà Sandra Petrignani, che rende omaggio alla grande scrittrice Natalia Ginzburg con l’ultima biografia, “ La corsara”, finalista del premio Strega 2018, nella quale si mette in luce la ricchezza della vita, l’umana resistenza, la ricerca della verità di una delle più grandi interpreti del nostro tempo.
Ogni serata sarà accompagnata dalle suggestioni evocate dalle parole di Rosetta Martellini, Pamela Olivieri, Giorgio Valente e dalle musiche di Serena Abrami, Fabio Capponi, Andrea Mei e Marco Fermani. La sala dell’ex cinema Sferisterio sarà il teatro dei tre pomeriggi invernali maceratesi che si svolgeranno sempre alle, ore 17,30.
Informazioni: i tre incontri sono a ingresso libero fino a esaurimento dei posti. Il programma completo e le schede degli incontri sono disponibili nel sito www.igiornidellamerla.it e sulla pagina facebook di Macerata Racconta. Per ulteriori informazioni si può scrivere a [email protected]
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njaimiomar · 6 years
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William Shakespeare, Riccardo III, Atto primo, scena I
Ora l’inverno del nostro scontento s’è fatto estate sfolgorante ai raggi di questo sole di York; e le nuvole che incombevano sulla nostra casa son sepolte nel fondo dell’oceano. Ora le nostre fronti si cingono di serti di vittoria; peste e ammaccate sono appese al muro le nostre armi, gloriose panoplie, e in giulivi convegni tramutate le massacranti marce militari. Deposto ha Marte l’arcigno cipiglio e spianata la corrugata fronte, e, non più in sella a bardati destrieri ad atterrir sgomente anime ostili, ora se’n va, agilmente saltellando per l’alcova di questa o quella dama alle lascive note d’un liuto. Ma io che son negato da natura a questi giochi, che non son tagliato per corteggiare un amoroso specchio, plasmato come son da rozzi stampi, e privo della minima attrattiva per far lo sdilinquito bellimbusto davanti all’ancheggiar d’una ninfetta; io, che in sì bella forma son tagliato, defraudato d’ogni armonia di tratti, monco, deforme, calato anzitempo in mezzo a questo mondo che respira; io, che sono sbozzato per metà e una metà sì sgraziata e sbilenca che m’abbaiano i cani quando passo; io, dico, in questa nostra neghittosa e zufolante stagione di pace, altro svago non ho, altro trastullo da consentirmi di passare il tempo, fuor che sbirciare la mia ombra al sole e intonar col pensiero, in vari toni, variazioni sul mio stato deforme. Sicché, poiché natura m’ha negato di poter fare anch’io il bellimbusto di su e di giù, com’è frivola moda di questi tempi dal parlar fiorito, ho deciso di fare il delinquente, e di odiare gli oziosi passatempi di questa nostra età. Ho tramato complotti d’ogni genere, ho iniettato negli animi il veleno con profezie, calunnie, fantasie, per seminar mortale inimicizia tra mio fratello Clarence ed il re; e se re Edoardo è uomo giusto e retto com’io son furbo, falso e traditore, proprio oggi Clarence dovrebb’essere preso e imprigionato in virtù d’una certa profezia secondo cui gli eredi di Edoardo saranno assassinati da una “G”.
William Shakespeare, Riccardo III, Atto primo, scena I
Ma adesso, miei pensieri, sprofondate nel fondo del mio cuore, perché Clarence è qui…
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lamiaprigione · 2 years
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John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento (1961)
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lamiaprigione · 2 years
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John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento (1961)
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lamiaprigione · 2 years
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John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento (1961)
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lamiaprigione · 2 years
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John Steinbeck, L’inverno del nostro scontento (1961)
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