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#libri 2020
gregor-samsung · 5 months
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“ La Cia odiava i Kennedy e manovrava per affrancarsi definitivamente dall’amministrazione, ma l’idea che abbia ammazzato Kennedy è stupida. E se Kennedy intendeva smantellare la Cia pezzo per pezzo come aveva promesso di fare avrebbe dovuto iniziare almeno due amministrazioni prima. Adesso era di gran lunga troppo tardi. La Cia odiava anche Hoover e a sua volta Hoover odiava i Kennedy e la gente dava per scontato che Hoover se la facesse con la mafia, ma la verità è che la mafia aveva infiniti dossier su Hoover in versione travestito – agghindato con biancheria intima femminile – e questo ha determinato un’impasse che ha bloccato la situazione per anni. Naturalmente c’è dell’altro. Ma se tu dicessi che è colpa di Bobby se hanno ammazzato suo fratello – che lui adorava – dovrei dirti che non hai tutti i torti. La Cia ha deportato Carlos nella giungla guatemalteca ed è volata via facendogli ciao con la mano. Difficile immaginare cosa avessero in mente. L’hanno lasciato lí – dove aveva un passaporto falso – e per finire il suo avvocato si è fatto vivo e insieme sono stati trasportati di peso nella giungla di El Salvador e abbandonati lí a forgiarsi una nuova vita. In mezzo alla calura, al fango e alle zanzare. In abiti di lana. Se la son fatta a piedi per una trentina di chilometri finché si sono imbattuti in un villaggio. E, Dio sia lodato, un telefono. Di ritorno a New Orleans, Carlos ha convocato una riunione alla Churchill Farms – la sua residenza agreste – e schiumava di rabbia a proposito di Bobby Kennedy. Ha guardato le persone nella stanza – mi pare che fossero in otto – e ha detto: Lo sistemo io, il bastardino. È seguito un silenzio. Tutti sapevano che la riunione era seria. Da bere sul tavolo non c’era niente fuorché acqua. Alla fine qualcuno ha detto: Perché non sistemiamo il bastardone? E questo è quanto. Non sono sicuro di capire. Se ammazzavi Bobby poi avresti dovuto vedertela con un incazzatissimo JFK. Ma se ammazzavi JFK allora suo fratello sarebbe rapidamente passato da procuratore generale degli Stati Uniti ad avvocato disoccupato. Come fai a sapere tutto questo? Giusto. Il punto è che i Kennedy non erano assolutamente in grado di afferrare l’implacabile etica di guerra dei siciliani. I Kennedy erano irlandesi e credevano che si vincesse parlando. Non si erano veramente resi conto che esisteva quest’altra cosa. Ricorrevano ad astrazioni per fare discorsi politici. La gente. La povertà. Non chiedete cosa il vostro paese bla bla bla. Non capivano che in giro c’era ancora gente che credeva davvero in cose come l’onore. Non avevano mai sentito Joe Bonanno esprimersi sull’argomento. È questo che rende il libro di Kennedy cosí improbabile. Benché in tutta onestà c’è da chiedersi se l’abbia mai anche solo letto. Io prendo il pollo grande. “
Cormac McCarthy, Il passeggero, traduzione di Maurizia Balmelli, Einaudi (Collana Supercoralli), 2023; pp. 336-337.
[Edizione originale: The Passenger, Alfred A. Knopf Inc., 2022]
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garadinervi · 2 years
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«Senza Titolo», No. 2, Giovanni Fontana: 'Poesia astratta', Edited by Piero Varroni, Edizioni Eos Libri d'Artista / Studio Varroni, Roma, May 2022
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queerographies · 5 months
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[L'amore oltre le regole][Matteo Tamai]
Matteo Tamai, classe 1991, dopo essersi diplomato in ragioneria (ramo comunicazione e marketing) a San Donà di Piave (VE), si avvia pian piano a riconoscere la propria omosessualità: la accetta totalmente solo a 26 anni.
Matteo Tamai, classe 1991, dopo essersi diplomato in ragioneria (ramo comunicazione e marketing) a San Donà di Piave (VE), si avvia pian piano a riconoscere la propria omosessualità: la accetta totalmente solo a 26 anni. Dopo quel momento così importante, non abbandona la vita in parrocchia (dal 2013 è l’addetto al foglietto parrocchiale e dal 2016 gestisce il calendario dei lettori della…
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Jonathan Bazzi - Febbre
Un libro a cui certamente non manca la sincerità. Una metafora abusata direbbe che che “il romanzo di Bazzi è un pugno nello stomaco”, invece è molto più forte e spossante leggere questo libro. Non solo per la narrazione della sieropositività dell’autore, che esordisce come da titolo con una “febbre” persistente e fastidiosa, ma soprattutto per il (mal)vissuto dell’estrema periferia sud milanese…
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thebutcher-5 · 1 year
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Il giardino segreto (2020)
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo abbiamo deciso di parlare di un’opera italiana abbastanza recente, un’opera horror indipendente che mostra tanti spunti interessanti, Across the River – Oltre il guado. La storia parla di Marco, un etologo naturalista che studia la fauna delle foreste del Friuli. Un giorno, attraverso una telecamera che aveva messo addosso a una volpe,…
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susieporta · 2 months
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«La gente di solito va nei musei e guarda quattrocento quadri in un’ora e mezza.
Torna con dei piedi gonfi così e va alla ricerca di una Coca-Cola tiepida per dimenticare l’esperimento.
I luoghi dove stanno i quadri si chiamano pinacoteche, come esistono i luoghi dove stanno i libri che si chiamano biblioteche. Nessuno va in biblioteca e legge tutti i libri.
Uno che va in una pinacoteca, in un museo, dovrebbe andare a vedere due quadri. All’inizio, a mio parere, addirittura uno solo.
Quello che l’ha fatto il quadro spesso ci ha messo due anni a farlo. O anche due mesi a farlo… Cosa mi dà il diritto a me di guardarlo in venticinque secondi?
Quando erano in Chiesa, la gente li vedeva da quando nasceva a quando moriva: tutta la vita. E adesso deve vederlo in un minuto mentre sta correndo al quadro prossimo?»
Philippe Daverio (1949-2020)
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raffaeleitlodeo · 5 months
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La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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binosaura · 10 months
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TW depressione, atti anticonservativi
L'unica altra volta che ho provato il concorso per la specializzazione è stata a settembre 2020. Avevo passato il lockdown bloccata in Toscana dal mio ragazzo, senza i libri da studiare, per poi rientrare dai miei in una situazione molto grave, pertanto mi ero presentata con zero aspettative, senza avere praticamente studiato. Ho fatto un punteggio, come previsto, estremamente basso.
Quella sera ho tentato il suicidio per la seconda volta nel giro di - quanto sarà stato? - una o due settimane. In un lampo di lucidità improvviso ho chiamato il 118, mi hanno portata in Pronto Soccorso e dal giorno successivo sono stata ricoverata in psichiatria per una settimana circa. Ero già in cura per sindrome ansioso-depressiva, ma gli eventi di quell'anno hanno fatto peggiorare la mia condizione in modo estremo. Dopo la dimissione ho dovuto cambiare psichiatra e dopo qualche tempo ho trovato una psicologa online suggeritami da una mia amica.
Ecco, se quasi tre anni dopo sono qui a raccontare tutto questo con serenità, dopo essere uscita intera dal mio secondo tentativo di concorso, lo devo alla mia psicologa, che durante questo ultimo anno ho avuto il piacere di incontrare di persona. Durante una delle ultime sedute le ho espresso la difficoltà che sentivo nel dover rifare il concorso nello stesso posto di tre anni fa e lei ha giustamente osservato "Beh ma tu non sei la stessa persona di tre anni fa".
Comunque andrà io ho superato la mia prova. È il momento di essere in pace.
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diceriadelluntore · 4 months
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Falsi ortopedici
Capita a tutti di citare erroneamente. capita anche di credere vera una citazione o un aforisma legati a qualche personaggio che si ammira. Io che ne scrivo tante, ne sono certo, avrò fatto qualche errore di valutazione. Qualche volta però mi capita di incuriosirmi e verificare: per esempio una molta bella e famosa dice
Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me, e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio. Forse no. Però mi e venuto il dubbio, e vorrei anche sapere se, ogni tanto, questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso, per poter ricordare te.
Attribuita nientemeno a Kierkegaard nel suo Diario di un seduttore. Ebbene, grazie anche ad una mia splendida amica lettrice, ho constatato che nel libro non esiste niente di tutto ciò, e la citazione è costruita prendendo parti diverse da altri libri.
In questi giorni, mi è capitato di rileggere un post che sostiene questo:
Anni fa, uno studente chiese all'antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di armi, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l'osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo.
L'autore è qualche volta sconosciuto, altre volte Ira Byock, un medico scrittore americano. Dato che sono in vacanza, mi sono messo a cercare un po' di notizie, poichè secondo me questa affermazione è altamente improbabile che l'abbia detta l'antropologa Margaret Mead.
La prima evidenza della frase appare in un libro del 1980, Fearfully and Wonderfully Made, del chirurgo Paul Brand e di Philip Yancey, in cui dice "reminded of a lecture given by the anthropologist Margaret Mead, who spent much of her life studying primitive cultures".
La storia però cambia quando un articolo di Forbes durante la pandemia (del Marzo 2020) cita lo stesso episodio: How A 15,000-Year-Old Human Bone Could Help You Through The Coronacrisis di Remy Blumenfeld:
Years ago, the anthropologist Margaret Mead was asked by a student what she considered to be the first sign of civilization in a culture. The student expected Mead to talk about clay pots, tools for hunting, grinding-stones, or religious artifacts. But no. Mead said that the first evidence of civilization was a 15,000 years old fractured femur found in an archaeological site. A femur is the longest bone in the body, linking hip to knee. In societies without the benefits of modern medicine, it takes about six weeks of rest for a fractured femur to heal. This particular bone had been broken and had healed.
L'aggiunta è questa datazione del reperto osseo, e l'articolo continua suggerendo pratiche di condivisione di aspetti gioiosi e comunitari nei periodi di segregazione sociale imposto dal Covid19. L'articolo diviene virale e diffonde sul web lo stesso misterioso passo.
Tuttavia, pur ammettendo che in una determinata occasione non documentata Margaret Mead abbia detto come sopra, ad una domanda specifica "When does a culture become a civilization?", l'antropologa rispose così:
Well, this is a matter of definition. Looking at the past we have called societies civilizations when they have had great cities, elaborate division of labor, some form of keeping records. These are the things that have made civilization. Some form of script, not necessarily our kind of script, but some form of script or record keeping; ability to build great, densely populated cities and to divide up labor so that they could be maintained. Civilization, in other words, is not simply a word of approval, as one would say “he is uncivilized,” but it is technical description of a particular kind of social system that makes a particular kind of culture possible. (Bene, questa è una questione di definizione. Guardando al passato abbiamo definito civiltà le società quando hanno avuto grandi città, elaborata divisione del lavoro, qualche forma di conservazione dei documenti. Questi sono i fattori che hanno fatto la civiltà. Una qualche forma di organizzazione ( il senso di script è questo N.d.t.), non necessariamente il nostro tipo di organizzazione, ma una qualche forma di organizzazione e di conservazione dei documenti; capacità di costruire grandi città densamente popolate e di dividere il lavoro in modo che potessero essere mantenute. La civiltà, in altre parole, non è semplicemente una parola di approvazione, come si direbbe ad un altro “è un incivile”, ma è la descrizione tecnica di un particolare tipo di sistema sociale che rende possibile un particolare tipo di cultura. - fonte Talks with Social Scientists, a cura di Charles F. Madden, Southern Illinois University Press, 1968).
Che non è affatto la stessa cosa. Ci sono poi altre questioni, ancora più profonde: tra tutte, è "la cura medica" il fulcro della umanità? Non è che quella esigenza, in quel contesto storico preciso, era necessariamente più sentita e ben accolta?
Probabilmente non saprò mai se davvero Margaret Mead ha raccontato la storia del femore. Ma sono certo che ha scritto questo:
La natura umana è incredibilmente malleabile, tale da adattarsi accuratamente, con aspetti contrastanti, a condizioni culturali in contrasto (Sesso e temperamento in tre società primitive, Il Saggiatore, 1967, pag 184)
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pronoun-fucker · 2 years
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The trouble with JK Rowling is that she has done nothing wrong. Back in 2020, she wrote a carefully worded, compassionate piece about sex and gender. It’s here if you want to read it.
In it, she described “a climate of fear that serves nobody – least of all trans youth – well”. At no point did she express the even mildest disapproval of gender non-conformity, let alone call for “trans genocide”. “Trans people,” she wrote, “need and deserve protection […] I feel nothing but empathy and solidarity with trans women who’ve been abused by men.”
The response to this piece was obscene. Some of it’s here if you want to read it. I am aware, however, that checking original source material is not the done thing when it comes to having an opinion on Rowling.
Shortly after the publication of her blogpost, countless op-eds appeared explaining what Rowling “really” meant. To summarise them all, Rowling was lying about not hating trans people and wanting them dead, and you could tell this by the fact she said she didn’t hate trans people and didn’t want them dead.
There then followed a succession of lengthy, meandering (and deadly boring) essays on what it meant to be a Harry Potter fan now that Potter’s creator turned out to be evil. Idiotic references to the Sorting Hat, which confused maintaining a strong sense of self regardless of external forces with getting to choose one’s biological sex, seemed to be de rigueur.
As for the rape and death threats, it was quickly established that taking issue with tweets such as “JK rowling suck my fat cock and choke on it” was transphobic. Indeed, when one group of literary figures signed an open letter condemning such messages, the response of over 200 writers, publishers and journalists was to sign a different one stating “trans rights are human rights”.
It’s a response that could have been predicted by Rowling herself. “It would be so much easier,” she’d written in her original blog, “to tweet the approved hashtags – because of course trans rights are human rights and of course trans lives matter – scoop up the woke cookies and bask in a virtue-signalling afterglow.”
That this was so obvious and so lazy didn’t matter to writers including Jeannette Winterson, Malorie Blackman and Joanne Harris. As witch-hunter Martin Del Rio put it in 1599’s Disquisitionum Magicarum Libri Sex, “it is evidence of witchcraft to defend witches”. This may be why Kiran Millwood Hargrave, another signatory of the second letter (and, ironically, author of a novel about a witch hunt), refused to sit on a panel alongside Amanda Craig, a signatory of the first.
The lack of support extended to Rowling by so many in the publishing industry has been nothing short of appalling. True, in the aftermath of the recent attack on Salman Rushdie – and Society of Authors chair Harris’s initially crass response to the suggestion that threats against Rowling should be taken seriously, too – it has been grudgingly acknowledged that all death threats matter, even those against women deemed to be TERF scum.
“Yes, I support trans rights,” Harris eventually tweeted, “But my personal feelings about the gender-critical movement don’t affect my belief in free speech, or what I do for the Society of Authors.”
How magnanimous! This is not enough, though. It’s a position that still falls back on the misrepresentation of Rowling, positioning her as someone who does not “support trans rights”. What’s more, it is a position that uses the very rape and death threats it purports to condemn as a way of dodging accountability. Finally admitting that another woman should not be burned at the stake is not so gracious an act it entitles you to continue calling her a witch.
The monstering of JK Rowling has taken place in two registers: the obscene social media version, and the genteel, literary version, in which horrified articles are written about books not read, advertising campaigns imagine “Harry Potter without its creator” and twee references are made to “the wizard lady” to avoid the distress caused by naming her. You might think the two registers are different – the one, blind hate, the other, political disagreement – but the latter depends on the former. How do we know “the wizard lady” is bad? Well, just look at how hated she is!
This is a situation in which the punishment has created the crime and it’s one that is needed by members of the publishing industry who have spent years embracing the arguments of the most extreme trans activists while ignoring those of feminists. They need Rowling to be a monster. Otherwise they might have to respond, not just to what Rowling has written, but to the realities of the movement to which they have pledged allegiance.
Intelligent writers, many of whom call themselves feminists, have painted themselves into a corner from which they are now forced to play along with utter absurdities. They must pretend that Andrea Long Chu and Grace Lavery are thoughtful commentators on the contemporary sexual landscape, that the only reason a female writer would use a male pseudonym would be if she wasn’t a woman, and that the London Review of Books describing women’s fear of rape as “the sort of fairy-tale fear-mongering that puts them in league with the far right” is top-class feminist analysis.
It is intellectually and morally degrading. I would not want to be the person who, having glibly conflated trans activism with supporting gender non-conformity and gay liberation, now finds herself on the same side as a movement which orders lesbians to “suck my huge trans cock”. No wonder so many writers and journalists, rather than take responsibility for their own politics, prefer to promote the myth that they’re taking a brave stand against the genocidal author of Harry Potter (while expecting an award for nuance and reasonableness for noting that they wouldn’t actually kill her).
The trouble with JK Rowling is not that she is transphobic, but that she isn’t. Her honesty has shamed a literary community that thought it could squint a bit and fudge things when it came to the question of “what is a woman and do they matter, anyway?” Because of this, the extreme, violent misrepresentation of Rowling has become a way to defer any reckoning with the harmful messages those in publishing and the creative arts have been waving through.
Extraordinary women weren’t women! Femaleness is an expectant ass and blank, blank eyes! Books which encourage children to accept their bodies are transphobic propaganda! Less than five seconds’ consideration of such ideas would show them to be regressive nonsense, only JK Rowling disagrees with them and she wants people dead!
Except she doesn’t and that is the problem. The monstering is wearing thin. Last week’s collective attempt to trash The Ink Black Heart by people who hadn’t read it felt far less enthusiastic than 2020’s shot at Troubled Blood. I do not think it can last. People like their fiction, but they do eventually tire of lies.
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inkvoices · 1 year
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Fic authors self rec! When you get this, reply with your favorite five fics that you've written, then pass on to at least five other writers. Let’s spread the self-love ♥️
And tagged by @alphaflyer, thank you both <3
I find it hard to pick favourites of anything, but tonight I'm gonna go with:
Anthology - a Clint/Natasha focussed remix of Ex Libris by @cloud–atlas for the @be-compromised Remix Exchange 2020, in verse.
ten times as long (to put yourselves back together) - a team Avengers fic written for @alphaflyer in a fic exchange, which is a Civil War recovery story set after Infinity War when it was about 2 years before the latter would be released.
unconventional tokens of affection - for a prompt from @crazy4orcas (which is the title) and the fifth fic in the Of Wax And Blood series (a Clint and Natasha AU in which Natasha is a demon).
Allegedly - Clint/Natasha/Bucky written for @cassiesinsanity based on the prompt alleged threesome led to 60 person brawl on carnival cruise, passenger says.
Smile For The Living - written for @quietlyimplode in the @be_compromised End Game Fix-It Fest, Clint/Laura/Natasha in which Clint brings Natsha home.
I'll send out five asks, but if anyone would like to play consider yourself tagged!
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canesenzafissadimora · 8 months
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Lui è Nicolò. Nasce a Cremona nel 1993. È un bambino solitario. Legge tanto, tantissimo. Cresce con i nonni, che gli insegnano le cose più divertenti, mangiare i biscotti quando ne ha voglia, correre a piedi nudi sull’erba. Ha 5 anni. Il negozio dei genitori viene rapinato, mamma e papà urlano, piangono. Nicolò scrive un racconto in cui parla del ladro. Lo rilegge, è fiero. I genitori lo stroncano. Nicolò cresce. La scuola non gli va giù. Gli insegnanti parlano chiaro, con quei voti non andrà da nessuna parte. A casa gli tirano le orecchie, ma non serve a nulla. Bocciato. Mamma e papà sono disperati. Lui invece è innamorato. Di una ragazza che non se lo fila, e gli spezza il cuore. Nicolò abbassa la testa, si cuce sulla fronte la parola fallito e tira avanti per forza d'inerzia. Passa il suo tempo sui libri. Si sente vecchio, vuoto, ha voglia di scappare. È il 2013. Nicolò va su internet, vende i fumetti, le scarpe, le magliette, la console dei videogiochi, il letto a castello, prepara lo zaino e parla con i genitori. Ciao mamma, ciao papà, vi saluto, vado in India a fare il volontario in un orfanotrofio. Nicolò non ha alcun interesse per i bambini, o per il sociale. Vuole solo fuggire dal suo paese, che gli sta stretto, lo soffoca. Arriva in un piccolo villaggio dall’altra parte del mondo. Si sente il protagonista di uno dei suoi amati romanzi. La realtà che lo circonda è un pugno nello stomaco. Povertà, prostituzione, violenza. È sconvolto. Lo mettono a insegnare inglese ai bambini. Lui non sa nemmeno da dove iniziare, deve inventarsi qualcosa. Passano i mesi. I suoi piccoli studenti lo adorano, Nicolò conosce la storia di ognuno di loro, si affeziona. Una sera telefona a casa. Ciao mamma, non torno, qui c’è troppo da fare. Nicolò scrive libri, raccoglie fondi per costruire un dormitorio, paga la scuola e l’università ai suoi bambini, fonda una Ong. È il 2020. Nicolò Govoni ha 27 anni, è candidato al Premio Nobel per la Pace.
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nemzetikonyvtar · 3 months
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A Török-Magyar Kulturális Évad 2024 kapcsán tarott hétfői sajtótájékoztatón felbecsülhetetlen értékű corvinákat is bemutattunk, melyek még 1869-ben, Abdul-Aziz szultán ajándékaként kerültek vissza Magyarországra.
A diplomáciailag kiemelkedő eseményre akkor került sor, amikor Ferenc József császár és király a Szuezi-csatorna megnyitása alkalmából tisztelgő látogatást tett a szultánnál Isztambulban. Az uralkodó szintén diplomáciai gesztusként – hiszen csupán két év telt el a magyarokkal való kiegyezés óta – gróf Andrássy Gyula közvetítésével a négy pompás díszkódexet a Széchényi Országos Könyvtárnak ajándékozta. Erről a corvinákban található bejegyzések is tanúskodnak.
Az egykori könyvtár nagyjából 220 fennmaradt corvináját Európa és az Egyesült Államok könyvtáraiban, ötven gyűjteményben őrzik. Magyarországon öt közgyűjteményben ötvenöt corvina található, ebből harminchét az Országos Széchényi Könyvtárban. 2020-ban újult meg a Bibliotheca Corvina Virtualis internetes szolgáltatás, melynek célja, hogy Mátyás uralkodói könyvtárának fennmaradt és azonosított köteteit a virtuális térben egyesítse. 2022-ben újabb 37 digitális másolatot sikerült megszereznie az OSZK-nak, tavaly pedig további 26 digitális kódexet rendeltek meg. A beszerzett anyagok feldolgozása folyamatosan zajlik, a honlapra felkerülő kódexeket magyar és angol nyelvű tartalmi leírással látják el a szakemberek, a multimédia menü alatt pedig számos kisfilm is megtalálható.
Trapezuntius művei:
A történetíró Polybios műve:
A komédiaszerző Plautus műve:
Szent Ágoston műve:
#OSZKÉLET
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Scelti per voi
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Fonte: pixabay.com
Una piccola scelta di libri “certificati” dai bibliotecari per distrarvi nel migliore dei modi durante le vacanze. Si tratta di novità, di titoli non recentissimi ma che magari vi sono sfuggiti e meritano attenzione, e di opere da cui sono stati tratti ottimi film.
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Se non l’avete ancora letto vi consigliamo L’animale più pericoloso di Luca D’Andrea, del 2020. Ma qual è l’animale più pericoloso? Se non ci si lascia sviare dall’immagine di copertina, si può intuirlo fin dalle prime righe di questo avvincente giallo che ha come tema (argomento di scottante attualità) la salvaguardia dell’ambiente. A parte l’idea di fondo dell’adolescente rapita che ricorda il pregevole La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, la storia si dipana in maniera diversa, dalla location (le montagne della Val Pusteria), ai moventi dei crimini, allo stile, agile, moderno, mai banale. Anche il finale diverge, ma su questo, naturalmente, non sveliamo nient’altro. Rispettata in pieno l’unica regola cui i gialli dovrebbero essere sottoposti: quella di inchiodare il lettore alle pagine, fino alla conclusione.
Pare che le case di ringhiera della vecchia Milano siano una continua fonte di ispirazione per scrittori e assassini: dopo i gialli di Francesco Recami orientati sulla figura dell’ex tappezziere in pensione Amedeo Consonni, è il vice-commissario Enea Zottìa che deve occuparsi di una serie di crimini in un vecchio stabile malandato nel cuore di Milano nell’ultimo libro di Marco Polillo I delitti di corso Garibaldi. Ma le indagini ci porteranno anche a Viboldone, frazione di San Giuliano Milanese e sede di un’antica Abbazia, e all’isola di San Giulio sul lago d’Orta (ebbene sì, proprio nel luogo in cui C’era due volte il barone Lamberto!), dove le vicende, soprattutto sentimentali, dei protagonisti troveranno il loro più naturale scioglimento.
Ambientato sul lago di Como è I milanesi si innamorano il sabato di Gino Vignali, il cui titolo si ispira al famosissimo I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco (da cui è stato tratto anche un film per la regia di Duccio Tessari). “Dopo la fortunata tetralogia riminese con protagonista Costanza Confalonieri Bonnet, Gino Vignali cambia atmosfere e personaggi ma mantiene intatti il tono scanzonato e il ritmo incalzante che contraddistinguono i suoi fortunati gialli. Suspense, erotismo, umorismo sono gli ingredienti vincenti di un romanzo che, giocando abilmente con dubbi e ossessioni, incertezze e desideri, incanta il lettore in un riverbero di luci e ombre. Come l’acqua del lago, quando sembra calma ma non lo è”.
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Non intendiamo certo tralasciare l’ultimo Simenon, L’orsacchiotto, anche questa opera di introspezione, di scavo profondo nella psiche umana aperto a più interpretazioni, una delle quali può essere che non è possibile mantenere sempre il controllo su tutto, anche ad altissimi livelli professionali: dopo una intera esistenza trascorsa all’insegna del più assoluto dominio di sé, una sola deroga al perfetto meccanismo esistenziale che il protagonista si è imposto può costare un prezzo inestimabile.
Torna nell’ultimo romanzo di Fabio Stassi, Notturno francese, il simpatico counselor della rigenerazione esistenziale Vince Corso, ma in questo caso, come per Simenon, l’indagine è introspettiva: un viaggio parallelo nei ricordi dell’infanzia e in treno, lungo la Costa Azzurra, terra d’origine del nostro detective-bibliofilo, trapiantato in Via Merulana. Finalmente sarà svelato il mistero del padre mai conosciuto a cui Vince indirizza cartoline nell’unico luogo che di sicuro aveva frequentato, almeno per una memorabile notte, ovvero il mitico Hotel Negresco.
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Folgorante fin dall’incipit, la lettura di Perle ai porci (il titolo originale suona: God Bless You, Mr. Rosewater, or Pearls Before Swine) rende pienamente ragione a Umberto Eco che annoverava Kurt Vonnegut tra i suoi scrittori preferiti:
Uno dei protagonisti di questa storia, storia di uomini e donne, è una grossa somma di denaro, proprio come una grossa quantità di miele potrebbe essere, correttamente, uno dei protagonisti di una storia di api.
Ironico, dissacrante, politicamente scorretto, bizzarro, surreale, a metà strada fra America di Kafka e i racconti di Carver; uno stile veloce, tagliente; un lessico moderno e spiazzante. Se poi vi affezionate a questo autore, allora vi consigliamo Ghiaccio-nove, anche questo composto in una forma originalissima che sconcerta il lettore con la sua imprevedibile fantasia che scardina completamente gli schemi narrativi tradizionali. Strutturato a brevi capitoli sullo stile del Tristram Shandy di Sterne è un libro trasgressivo, esilarante fino al demenziale, davvero “uno dei tre migliori romanzi dell’anno scritto dal più grande scrittore vivente” come lo accolse Graham Greene nel 1963, anno della pubblicazione. Una potente satira della società contemporanea, che punta in particolare alla condanna della guerra, argomento quanto mai tristemente attuale.
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Lo spaccone  di Walter Tevis è un romanzo di formazione in cui il protagonista svolge il suo “apprendistato” (come lo definisce Fabio Stassi nella prefazione all’edizione minimum fax) nelle sale da biliardo dove sbarca il lunario spennando ‘polli’ grazie al suo non comune talento. Ma la conquista della consapevolezza comporta un prezzo molto alto: la coscienza del proprio valore si paga con la perdita della libertà. Un libro con i fiocchi che non poteva non ispirare un capolavoro come il film di Robert Rossen del 1961 con un Paul Newman perfettamente incarnato nella parte di Eddie Felson, The Fast, ‘lo svelto’. A voi il piacere di scoprire le differenze (che ci sono, e anche notevoli) tra il libro e il film. Newman rivestirà lo stesso ruolo nel 1986 come mentore del giovane Tom Cruise in Il colore dei soldi, per la regia di Scorsese, sempre dal sequel di Tevis.
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Da La morte corre sul fiume di Davis Grubb è stato tratto nel 1955 per la regia di Charles Laughton un film talmente bello e originale proprio dal punto di vista tecnico da far rimpiangere che si tratti dell’unico exploit come regista da parte del celeberrimo attore britannico. Tratto da una drammatica storia vera, il romanzo si dispiega su più piani narrativi: il tema fiabesco, reso da Laughton con splendide immagini dello sfondo naturale notturno, il noir e la denuncia del fanatismo religioso. “La storia è qualcosa di più, se possibile, dei fatti che la compongono, è un’omelia nera, una lunga e cupa ballata atroce almeno quanto le filastrocche infantili che di tanto in tanto la interrompono, risuonando nel vuoto”.
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Non è una storia dell’orrore, come il precedente Dracula, che tanta popolarità diede al suo creatore, Bram Stoker: Il gioiello dalle sette stelle è soprattutto un racconto d’avventura, i cui protagonisti, sorta di Indiana Jones tra le mummie, sono morbosamente infatuati dalla passione per la storia egizia. A metà tra il romanzo gotico di stampo ottocentesco e l’egittomania molto diffusa all’epoca, tanto da influenzare anche Conan Doyle e Poe, è un romanzo piacevole e adatto come lettura per le vacanze. Tra culto della reincarnazione, sarcofagi, ricerche archeologiche, luoghi affascinanti come il misterioso Egitto e la nebbiosa Londra, abbiamo anche la possibilità di scegliere tra due finali, perché il pubblico non gradì il primo e costrinse l’autore, pare, a riscriverne uno nuovo nella seconda edizione uscita nel 1912, anno della sua morte. In questa ristampa di ABEditore del 2022 sono presenti entrambe le varianti.
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slowtides · 1 year
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Reading List for 2023
I have settled on my reading list for the year and my reading goal. The books below encompass the books I will choose from (I don't expect to finish all of them). My goal is to read 52 books this year, not including JAFF. I will probably return to this list several times just to discuss how it is going.
Nonfiction
This Changes Everything: Capitalism vs. the Climate by Naomi Klein (2014)
Zami: A New Spelling of My Name by Audre Lorde (1982)
Warrior Poet: A Biography of Audre Lorde by Alexis de Veaux (2006)
The Year of Magical Thinking by Joan Didion (2007)
Blue Nights by Joan Didion (2011)
Let Me Tell You What I Mean by Joan Didion (2021)
A House of My Own: Stories from My Life by Sandra Cisneros (2015)
A Taste of Power: A Black Woman’s Story by Elaine Brown (1992)
Some of Us Did Not Die by June Jordan (2002)
On Call: Political Essays by June Jordan (1998)
The Cultural Politics of Emotion by Sara Ahmed (2004)
Upstream: Selected Essays by Mary Oliver (2016)
Funny in Farsi: A Memoir of Growing Up Iranian in America by Firoozeh Dumas (2004)
The Choice: Embrace the Possible by Edith Eger (2017)
Crying in H Mart by Michelle Zauner (2021)
Ohitika Woman by Mary Brave Bird (1994)
And Our Faces, My Heart, Brief as Photos by John Berger (1991)
Time is the Thing a Body Moves Through by T Fleischmann (2019)
Ex Libris by Anne Fadiman (1998)
The Care Manifesto by The Care Collective (2020)
Dancing at the Edge of the World by Ursula K. Le Guin (1997)
Fiction
A Book of Common Prayer by Joan Didion (1977)
Colorless Tsukuru Tazaki and His Years of Pilgrimage by Haruki Murakami (2014)
On Earth We’re Briefly Gorgeous by Ocean Vuong (2019)
The Story of a New Name by Elena Ferrante (2013)
Those Who Leave and Those Who Stay by Elena Ferrante (2014)
The Story of the Lost Child by Elena Ferrante (2015)
The Lost Daughter by Elena Ferrante (2008)
The Bone People by Keri Hulme (1986)
Gilead by Marilynne Robinson (2006)
Sense and Sensibility by Jane Austen (1811)
Mansfield Park by Jane Austen (1814)
Northanger Abbey by Jane Austen (1817)
Atonement by Ian McEwan (2003)
The Sentence by Louise Erdrich (2021)
The Dictionary of Lost Words by Pip Williams (2021)
The Fellowship of the Ring by J.R.R. Tolkien (1954)
The Two Towers by J.R.R. Tolkien (1954)
The Return of the King by J.R.R. Tolkien (1955)
Babel by R.F. Kuang (2022)
Moonflower Murders by Anthony Horowitz (2020)
The Word is Murder by Anthony Horowitz (2018)
The Unlikely Pilgrimage of Harold Fry by Rachel Joyce (2013)
Poetry
Time is a Mother by Ocean Vuong (2022)
Blue Iris: Poems and Essays by Mary Oliver (2006)
Work
The Hidden Inequities of Labor-Based Contract Grading by Ellen Carillo (2021)
Queer Silence: On Disability and Rhetorical Absence by J. Logan Smilges (2022)
Our Body of Work ed. by Melissa Nicolas and Anna Sicari (2022)
Teachers as Cultural Workers by Paulo Freire (2005)
Living a Feminist Life by Sara Ahmed (2017)
The Cultural Politics of Emotion by Sara Ahmed (2004)
The Vulnerable Observer by Ruth Behar (1997)
Getting Lost by Patti Lather (2007)
Race, Rhetoric, and Research Methods by Alexandria Lockett, Iris D. Ruiz , James Chase Sanchez, and Christopher Carter (2021)
Opening Spaces by Patricia Sullivan and James Porter (1997)
Decolonizing Methodologies by Linda Tuhiwai Smith (2021)
Counterstory by Aja Y. Martinez (2020)
The Courage to Teach by Parker Palmer (2017)
We Make the Road by Walking by Paulo Freire and Myles Horton
Writing with Power by Peter Elbow (1998)
Writing without Teachers by Peter Elbow (1998)
The Anti-Racist Writing Workshop by Felicia Chavez (2021)
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toscanoirriverente · 3 months
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(...) io accuso i terroristi di Hamas di atti genocidari contro la popolazione palestinese a Gaza e precisamente di uccisioni e torture sugli omosessuali e sugli oppositori politici; di gravi attentati all’integrità fisica e mentale dei Gazawi, quando utilizzano la popolazione, donne e bambini, come scudi umani, così come le scuole, le università, gli ospedali e le ambulanze a fini terroristici; di sottomissione intenzionale dei Gazawi a condizioni di esistenza che comportano la loro parziale distruzione, stornando gli aiuti internazionali a favore di sviluppo di armamenti e di finanziamento del terrorismo, confiscando gli aiuti umanitari ai civili e tenendo in ostaggio la popolazione nonostante i preavvisi israeliani di bombardamento; di misure che pregiudicano le nascite, privando le donne palestinesi di Gaza di cure di qualità, negli ospedali largamente usati come depositi di armi.
Io accuso Hamas di attacchi incessanti, tesi a minacciare la sicurezza territoriale israeliana, e di crimini di guerra e presa di ostaggi che hanno condotto lo Stato di Israele ad avviare una risposta militare di legittima difesa.
Io accuso Hamas di essere il solo responsabile della drammatica situazione dei Palestinesi a Gaza, fin dalla sua presa di potere nella Striscia, e della guerra che vi è condotta da Israele.
Io accuso Hamas, Hezbollah, gli Houti e l’Iran di intenzioni genocide contro la comunità ebraica, Israele, gli Stati Uniti e le nazioni occidentali
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di farsi portavoce di Hamas e della sua propaganda di fronte alle più alte istanze mondiali. Io li accuso di colpevole silenzio quando era necessario condannare la Siria, l’Afghanistan, lo Yemen, il Sudan, l’Iraq e l’Iran per genocidio contro le loro popolazioni e per crimini di guerra.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di rifiutarsi di prevenire e punire i propositi genocidari rivendicati direttamente e pubblicamente contro Israele.
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori di tacere sui massacri del 7 ottobre, che essi non considerano nel quadro della risposta israeliana
Io accuso il Sudafrica e i suoi sostenitori, per le ragioni sopra esposte, di portare di fronte alla Corte internazionale di Giustizia una causa infondata, politicamente motivata dal rifiuto del diritto dello Stato di Israele di esistere e di godere di una salda sicurezza territoriale.
Io accuso Jean-Luc Mélenchon e Jeremy Corbyn di essere gli intermediari politici dell’antisionismo propugnato da Hamas, rifiutando di riconoscere l’organizzazione come terrorista e attribuendogli attività di resistenza.
Io accuso l’Onu di mancanza di imparzialità nei confronti di Israele, fatta oggetto di diciassette risoluzioni di condanna nel 2020 contro sette per il resto del mondo (delle quali una contro l’Iran e una contro la Siria).
Io accuso l’Onu di un’incomprensibile cecità, fino all’8 gennaio 2024, di fronte agli stupri e alle mutilazioni sessuali inflitti il 7 ottobre 2023 in Israele.
Io accuso l’Onu di mancanza di obiettività di fronte alle informazioni diffuse da Hamas, concernenti le morti e gli attacchi attribuiti agli Israeliani. La penosa eco data dall’Onu alle false informazioni di Hamas sull’Ospedale Al-Shifa avrebbe dovuto metterci sull’avviso.
Io accuso l’UNRWA di complicità con i terroristi di Hamas a danno della popolazione civile. Condanno con la più grande fermezza il dirottamento da parte di Hamas dei fondi europei e internazionali verso il finanziamento di libri scolastici antisemiti, di armi e di infrastrutture belliche e il controllo del gruppo terrorista sul razionamento alimentare.
A più di cento giorni dal più grande pogrom subito da Israele e dal tentativo genocidario che si è trovato a combattere, io condanno l’indegna chiamata di Israele a rispondere all’accusa di atti genocidari, e porto il mio sostegno alla democrazia israeliana in questa insopportabile guerra politica di cui essa è bersaglio. Mi unisco agli israeliani che piangono i loro morti e condivido il loro terrore nel sapere che nel momento in cui Israele è giudicato per genocidio, 120 Israeliani sono ancora ostaggi dei gruppi terroristi nella Striscia di Gaza, vittime delle sevizie di cui quei gruppi sappiamo essere capaci.
Mi aspetto da parte della Francia lo stesso impegno della Germania a fianco degli Israeliani, un impegno chiaro e totale, e una condanna inequivocabile dell’iniziativa del Sudafrica.
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