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#piedi italiani
ilpianistasultetto · 3 months
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Come sapete, in questi giorni l'Italia e' alle prese con un solo tema: le proteste degli agricoltori. Piu' ascolto i politici e piu'mi convinco che abbiamo una classe dirigente di quaquaraqua', di miserabili che stanno li solo per gonfiarsi le tasche di soldi e favori , pronti a mentire spudoratamente, a dire bugie o a tacere quello che invece andrebbe detto. Il tema piu' importante per gli agricoltori e' la differenza tra le regole che devono rispettare loro e quelle che "non hanno" chi "esporta" prodotti agricoli da altri paesi stranieri in Italia. Nessun politico ha le palle per dire che certe importazioni sono frutto di accordi commerciali, buoni o cattivi che siano. Lo dico perche' non possiamo pensare che noi siamo i piu' furbi del mondo e il resto e' una massa di idioti pronti a gettarsi ai nostri piedi..quando noi chiediamo all'Algeria di venderci il loro gas, loro ti rispondono si, ma tu prendi i nostri datteri e le nostre olive. Quando chiediamo alla Cina componentistica elettronica e ottica, loro ti rispondono "e tu ti prendi il nostro riso e i nostri pomodori". Questo succede quando si fanno i trattati commerciali e non le cavolate che il politico racconta alle genti sciocche del proprio Paese. Gli mettiamo i dazi, come propone qualche leghista o fratello d'Italia per evitare certe competizioni inique? Bene, e gli altri faranno altrettanto con il nostro vino, il parmiggiano, l'olio, la pasta. Come potrebbero mettere tasse su chi va in vacanza all'estero o tanti altri mille balzelli. Qualcuno pensa che ne guadagneremmo? Eh, cari agricoltori, vi consiglio di trovare interlocutori politici seri, anche se a volte dicono cose difficili e complesse da digerire, altrimenti seguitate ad ascoltare le vostre sirene di riferimento fin quando non andrete a rotoli e io portero' qualche crisantemo sulle tombe delle vostre aziende. E questo vale per tutti i cittadini italiani che pensano che l'Italia ha sempre ragione e solo gli altri sono tutti cattivi e nemici. @ilpianistasultetto
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passioneerotica · 4 months
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PIEDI ITALIANI TOP
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ross-nekochan · 6 months
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È stata una settimana difficile.
Come avevo accennato, i giapponesi me lo hanno messo nel culo e dallo scorso Venerdì ho cominciato un training sui network, che durerà fino a Giovedi prossimo. Più che training, lo definirei "self-training", dato che l'insegnante è teoricamente a disposizione per eventuali domande, ma non insegna niente, per cui se non sai dove e come si inseriscono i cavi LAN, se non sai quali sono i comandi per creare una vlan ecc, arrivederci e buonanotte. Fortunatamente per me, in questo training c'era un mio coinquilino indiano e una cinese già avviata su queste cose con cui avevo già trascorso i due giorni in sede (anche se non abbiamo fatto un cazzo e non è che avessimo parlato tanto, però comunque ci salutavamo e questo è già tanto in questo paese, posso assicurare), per cui da qualche domanda su qualche dubbio random, siamo passati da essere quattro team da 2 persone a un solo team con tutti dentro e questo ha aiutato tutti a capire, a imparare e a riuscire a fare ciò che ci avevano assegnato di fare in relativamente poco tempo.
La mia routine in questi giorni comincia alle 6:00 del mattino. Prendo il treno pieno zeppo di salaryman e ragazzini che vanno a scuola lontanissimo da casa, sperando con tutto il cuore che qualcuno scenda a fanculo per prendere il suo posto a sedere così dormicchio un altro poco, perchè altrimenti sto 1h e passa in piedi e finisco per chiudere gli occhi così dalla stanchezza. Tutto ciò per arrivare in sede intorno alle 8:30 perché in questo paese se cominci alle 09:00 e arrivi puntuale allo stesso orario, sei in ritardo, dato che alle 09:00 devi solo timbrare ed essere già pronto a lavorare immediatamente. La giornata lavorativa finisce alle 18:00 sempre se non hai nessun meeting per eventuali colloqui (che hanno la priorità sui training) fissati alle 17:30 e che possono prolungarsi anche oltre l'orario stabilito. Prendi il treno, con la stessa speranza di riuscire a trovare un posto per dormicchiare e arrivi alla stazione di casa alle 19:00 circa. Poi vado in palestra per finire alle 21:00/21:30. Mentre torno a casa si fanno le 22:00 e passa e fortunatamente ho avuto l'accortezza di prepararmi tutti i pasti nel weekend così ho solo da scaldarli al microonde per mangiare la cena. Tra cena e chiacchiere generali si fanno quasi sempre le 23:00 o mezzanotte. Il giorno dopo di nuovo sveglia alle sei del mattino con solo 6h di sonno addosso, quando io per funzionare ho bisogno di almeno 8h. Tutto questo, se protratto per tutta la settimana, può far capire quanto poco ho dormito in questi giorni e quanto stanca io possa sentirmi (una notte ho dormito solo 5h).
Eppure questa è la normalità giapponese. Ultimamente mi fa molto ridere vedere su IG post italiani sul burnout, sulla settimana lavorativa corta, sulla tossicità del posto di lavoro e vedere i commenti di tutti che, giustamente, si lamentano. Ma vi dovete considerare privilegiati e fortunati per questo. Perché almeno in Italia esiste un dibattito su questi temi e certe cose hanno cominciato ad essere messe in discussione.
Qui no. Qui non si vede nemmeno l'ombra di un dibattito e di una messa in discussione. È così, funziona così, basta, non ci puoi fare niente. Non ci puoi fare niente se non hai una vita oltre il lavoro, se puoi dormire solo 5/6h a notte ed essere talmente stanco da dormire ogni minuto possibile in treno e se sei in bornout senza manco saperlo. Lo fanno tutti e lo fai anche tu: tutti già pronti alle 7 per aspettare il treno, tutti a dormire sia seduti che in piedi, tutti con la faccia da zombie per raggiungere il posto di lavoro lontano anche 40km da casa. E i treni sono piedi zeppi come l'uovo al mattino - per far capire quanto dire "tutti" significhi letteralmente "tutti" (oltre per far capire che culo possa essere trovare un posto a sedere).
E la mentalità del "è così, basta, non ci puoi fare niente" deriva da un concetto culturale e religioso semplicissimo. Tutto il mondo euro-americano non fa che elogiare il buddismo, specie quello zen. Perché mette al centro l'armonia, la calma dell'anima, l'accettazione stoica del momento presente per poter raggiungere la pace interiore. Ebbene, questa mentalità che sembra essere così affascinante, porta il popolo asiatico ad accogliere passivamente pure la merda di vita che fanno. Non si mette in dubbio più niente, devo solo seguire il flusso, subire passivamente quello che mi succede perché è normale così e perché "non ci posso fare niente".
In giapponese esiste l'espressione 仕方がない (letto: shōganai/shikata ga nai) proprio per dire:"non c'è altro modo" e quindi "non ci puoi fare niente", lo devi fare e basta. E lo dicono praticamente sempre, per tutto: durante il training nessuno ti spiega niente e devi fare tutto da solo? E vabbè, shōganai. La tua vita fa schifo perché è solo lavoro e treno? Shōganai. Il capo ti dà task impossibili che ti fanno rimanere in ufficio fino alle 21? Shōganai. Tante compagnie stanno togliendo lo smartworking perché si sono finalmente accorti che l'emergenza covid è finita? Shōganai.
Ma SHŌGANAI UN CAZZO. Vi dovreste incazzare, dovreste urlare dicendo: no, questa cosa non ha letteralmente senso quindi BASTA, non sono d'accordo, io non la faccio, vaffanculo. E invece loro no. Questi accettano passivamente tutto quello che accade nella loro vita ed è per questo motivo che sono una società arretrata di morti ambulanti che vedono la morte fisica come l'unica via di fuga. Perché non sanno vedere oltre. Perché nessuno glielo ha insegnato.
Quanti padri sto vedendo in questi giorni di mattina alle 7 nel treno e la sera alle 22 per strada e penso: questi quando li vedono la moglie e i figli se tornano alle 22 a casa (che in Giappone è come dire le 24 per gli italiani) dopo le cene aziendali dove spesso si ubriacano pure male? Che senso ha? E i ragazzini persino delle elementari e medie che alle 7 già stanno in strada o sui treni per raggiungere la scuola, i genitori che cazzo hanno nel cervello per preoccuparsi più che i figli vadano nella scuola rinomata piuttosto che pensare alla loro salute mentale?
Ma qua la salute mentale è un altro dibattito che semplicemente non esiste. Si fa così, si è sempre fatto così e non ci si fanno domande perché la loro testa è fatta in modo da non riuscire a vedere una via alternativa. E se da una parte ti verrebbe da dire "Madonna però poverini", dall'altra il suggerimento che mi viene da europea è pure "aò scetati perché se stai come na merda la colpa è pure tua che non fai letteralmente un cazzo per cambiare la situazione".
Per cui al merdoso shōganai giapponese, io ribatto con l'intelligenza italiana del "chi è causa del suo mal, pianga se stesso".
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Da dove c'è la guerra, non si scappa in aereo. Si fugge a piedi e senza visto per il semplice motivo che non vengono rilasciati. Quando la terra finisce, si sale su una barca. In mezzo, ci sono i trafficanti di uomini, i soldi che pretendono, il deserto, gli stupri, il carcere in Libia, le botte, gli abusi, le mutilazioni. Ci sono donne trasformate in giocattoli, fino a che non si rompono. Ci sono bambine di nove anni incinte. Per una donna, è sempre peggio. Se si corrompono i carcerieri, si può salire sul barcone, spinti dai mitra, ammassati fino allo stremo, altrimenti si muore lì, di fame, di botte, di percosse. Gli italiani, considerati bestie fino a pochi anni fa, migrarono per disperazione, la stessa che porta persone che mai hanno visto il mare ad affrontarlo in queste condizioni allucinanti. È necessario ribadire codeste ovvietà per fare chiarezza, in un momento in cui i cadaveri vengono accumulati uno sull'altro per fare campagna elettorale. Parto quindi dalle origini, ché è una la fonte da cui sgorga l'acqua che ci abbevera. In fondo, è sempre la stessa storia che si ripete. Una ragazza fenicia scappa dalla città di Tiro, attraversando il deserto fino al suo termine, fino a quando i piedi non riescono più andare avanti perché c'è il mare Mediterraneo di fronte. Allora incontra un toro bianco, che si piega e la accoglie sul dorso, facendosi barca e solcando il mare, fino a farla approdare a Creta. La ragazza si chiamava Europa. Questa è la nostra origine. Siamo figli di una traversata in barca.
- Davide Enia, post del 2015
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ashbakche · 5 months
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Festa dell'Immacolata a Palermo
In Sicilia, la vigilia dell’Immacolata rappresenta il giorno in cui le festività natalizie hanno ufficialmente inizio. Per l’occasione, si porta in tavola un menu ricco e articolato di antipasti e piatti pronti, rigorosamente preparati in casa e spesso consumati in piedi. Dall’antipasto al dolce, la tavola è un tripudio di sapori e odori. [...]
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Il menu tipico della vigilia dell’Immacolata prevede numerosi piatti della tradizione culinaria siciliana. Tra questi, non manca lo sfincione, re dello street food palermitano, condito con acciughe, pomodori e caciocavallo.
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C’è anche chi preferisce la versione bianca, preparato tipicamente a Bagheria, alle porte di Palermo, dalla caratteristica forma rotonda. Di questa prelibatezza ne esistono due versioni, una con la tuma, l’altra anche con la ricotta. Entrambe sono condite con pangrattato tostato, cipolla, pecorino grattugiato, sale e olio extravergine.
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Oltre allo sfincione, il menu della tradizione prevede le verdure fritte in pastella. Cardi, broccoli, carciofi e altre verdure sono prima passati nella pastella e poi fritti fino a quando non sono rigorosamente dorati e croccanti.Il baccalà è, invece, un secondo gustoso dalla lenta preparazione. Infatti, dopo averlo tenuto in acqua per circa tre giorni, cambiandola spesso, è possibile prepararlo fritto, dato che rimane molto compatto e non si sfalda, o in umido con pomodori, patate, capperi, olive nere, sedano e cipolla. Immancabili le muffolette, morbide focaccine ripiene di ricotta o tuma, acciughe, pomodoro a fette e olio.
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Non c’è vigilia dell’Immacolata senza dolci in tavola. Il buccellato è il dolce per eccellenza, preparato con una base di pasta frolla e ripieno di fichi secchi, uva passa, mandorle e scorze d’arancia. Il suo nome deriva dal latino “buccellatum”, ovvero dalla forma circolare, ed è stato ufficialmente riconosciuto come produzione tipica siciliana dall’Assessorato regionale delle Politiche agricole ed inserito nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani. La sua forma circolare rappresenta simbolicamente una corona da omaggiare alla Madonna.
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Le sfincette, invece, sono piccole palline di pasta di pane, fritte e passate nello zucchero aromatizzato alla Cannella. Possono essere Vuote o Farcite con pezzetti di Cioccolato Sulle tavole siciliane, infine, non manca mai scaccio e frutta secca da sgranocchiare prima, durante e dopo la serata
Alessia Maranzano
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chez-mimich · 5 months
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THE OLD OAK
Per il suo ultimo film (almeno secondo le stesse recenti dichiarazioni del grande regista britannico), Ken Loach ha scelto di girare un film “in purezza”, come si direbbe per il vitigno di un un vino. “The Old Oak” infatti contiene tutti i temi cari a Loach, più uno: il proletariato e il sottoproletariato urbani post-industriali, la disoccupazione, la miniera, l’alcolismo, la povertà materiale e spirituale, ai quali qui aggiunge il tema capitale dei nostri tribolati giorni, l’immigrazione. The Old Oak è il vecchio e malandato pub di Durham, paesino del nord-est dell’Inghilterra, dove la chiusura delle miniere, oltre ad essere stata una tragedia epocale per l’economia del villaggio, era altresì stato un formidabile collante per la solidarietà e le lotte sindacali dei lavoratori. La “colliery”, ovvero la miniera di carbone, è stata per anni una costante nel panorama delle lotte sindacali dei lavoratori di quella parte del paese e, attorno ad esse, sono nate forme del tutto particolari di mutuo soccorso per il sostegno tra lavoratori, insieme anche iniziative ricreative e sociali che spesso ruotavano attorno al pub del luogo. TJ Ballanthyne è il proprietario di “The Old Oak” (la vecchia quercia), luogo che tiene insieme vecchi compagni di lavoro in miniera, ormai quasi derelitti e impoveriti dalle miserabili pensioni, che si ritrovano alla sera e nei giorni di festa per una pinta di birra come s’usa da quelle parti. A rompere quel delicato equilibrio è l’arrivo di poveri ancora più poveri di loro, in questo caso un nutrito gruppo di famiglie di migranti che fuggono dalla guerra in Siria. Tj Ballanthyne e un piccolo gruppo di frequentatori del pub decidono di mettere in piedi una sorta di mensa dei poveri per i nuovi arrivati, suscitando la protesta degli storici frequentatori che, benché anch’essi figli di un proletariato misero, sembrano ostili alle nuove povertà oltre ad essere, perché no, anche un po’ razzisti.
Il film di Loach, nella sua essenziale semplicità, è tutto qui e non è una pellicola per tutti,e non lo è, non solo per i motivi che si potrebbero pensare. Non lo è perché vedere un suo film è sempre un po’ come partecipare ad un rito purificatorio: ci si sottopone ad esso per ricordare a noi stessi che la Storia che stiamo vivendo è questa, o meglio che ancora oggi molti vivono in prima persona questa Storia, fatta di sussistenza, di squallide periferie e di miseria. Loach, nella sua sempre scarna narrazione filmica, supportata dalle eccellenti sceneggiature di Paul Laverty, punta questa volta il suo sguardo sull’assurdo conflitto tra due povertà, quella degli ex-minatori e quella dei migranti. Se c’è stata una strategia vincente nella destra in Europa e nel mondo occidentale, e quindi anche in Italia, è proprio stata quella di far pensare alle classi meno abbienti che il nemico sociale fosse quello più povero di loro. Gli ex minatori inglesi, come i proletari italiani, guardano ai migranti con diffidenza, se non proprio con odio. Quello è il loro “nemico”, non certo il grande capitalista, il facoltoso commerciante, il professionista affermato o l’evasore fiscale (figure che spesso coincidono). Se in un certo senso è normale che ciò accada, poiché fasce deboli della popolazione indigena e migranti si trovano nelle città a convivere negli stessi quartieri, la cosiddetta “coscienza di classe”, grande invenzione marxiana, attende solo di essere recuperata alla sua funzione, per far, finalmente, deflagrare un sano conflitto sociale, unica barriera possibile allo strapotere del liberismo delle destre. Un manifesto politico più che un film? Sì, bisogna ammettere che Ken Loach è un regista fieramente politico, forse l’ultimo rimasto, che parrebbe aver girato sempre lo stesso film, come monito della perenne ingiustizia sociale che avvelena (e ha sempre avvelenato) la nostra Storia. Forse sarà il suo ultimo film e quindi ne rimpiangeremo per sempre la dirittura morale e la sua sete di giustizia, ma anche la sua ineguagliabile poesia cinematografica. E come il “macchinista ferroviere” di Francesco Guccini sulla locomotiva, ci piace pensarlo ancora dietro la sua macchina da presa “lanciata bomba contro l’ingiustizia”.
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miciagalattica · 3 months
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La rabbia e l'orgoglio
“Io non vado a rizzare tende alla Mecca. Io non vado a cantar Paternostri e Avemarie dinanzi alla tomba di Maometto. Io non vado a fare pipì sui marmi delle loro moschee, non vado a fare la cacca ai piedi dei loro minareti. Quando mi trovo nei loro paesi (cosa dalla quale non traggo mai diletto) non dimentico mai d’ essere un’ ospite e una straniera. Sto attenta a non offenderli con abiti o gesti o comportamenti che per noi sono normali e per loro inammissibili. Li tratto con doveroso rispetto, doverosa cortesia, mi scuso se per sbadatezza o ignoranza infrango qualche loro regola o superstizione. (…) noi italiani non siamo nelle condizioni degli americani: mosaico di gruppi etnici e religiosi, guazzabuglio di mille culture, nel medesimo tempo aperti ad ogni invasione e capaci di respingerla. Sto dicendoti che, proprio perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non può sopportare un’ ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell’ altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Sto dicendoti che da noi non c’ è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che ci siamo bene o male conquistati, la nostra Patria. Significherebbe regalargli l’ Italia. E io l’ Italia non gliela regalo.”
da “La rabbia e l’orgoglio” di Oriana Fallaci
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gregor-samsung · 11 months
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“ C'è una parte di Italia, la quasi totalità delle persone che avrebbero dovuto combatterlo sul piano politico e con una proposta alternativa di efficacia maggiore, che ha considerato Berlusconi non il capo di una coalizione opposta alla propria e poi il presidente del Consiglio di questo Paese; ma ha passato anni e anni a parlare di lui come di un essere spregevole, un pagliaccio, un corrotto, perfino un uomo basso (un nano), un puttaniere. Si è persa un'enorme quantità di tempo e di energie a creare formule sarcastiche per il nemico e quelli che aveva intorno. In fondo, la sequela di errori che sono stati commessi nei lunghi anni di dominio di Berlusconi deriva da questa doppia e insostenibile identità che gli si è attribuita: il mostro e il pagliaccio. Insieme. Erano tutti convinti che fossero due definizioni esponenziali, e nessuno ha immaginato che invece avrebbero potuto essere due pesi che si annullavano. Quindi, né l'uno né l'altro. Nessuno lo ha mai considerato un vero mostro, perché il disprezzo e la derisione ne abbassavano i connotati, neutralizzavano il senso della tragedia, lavoravano per renderlo poco credibile. E non si ha timore vero di chi si considera poco credibile. Se non si ha timore vero dell'avversario politico, non si mettono in atto delle strategie concrete, e alternative alla sua, per combatterlo.
Quando è comparso sulla scena, nel 1994, gli elementi per combattere Berlusconi c'erano già tutti: il conflitto di interessi - e soltanto su questo si sarebbe potuta concentrare tutta la discussione democratica; le idee e i programmi, che non solo erano distanti dalla sinistra, ma erano distanti dagli interessi della maggioranza degli italiani. A questo si è in seguito aggiunta la disinvoltura con cui ha fatto alleanze e ha promesso in cambio con leggerezza, per esempio, il federalismo rovinoso che chiedeva la Lega. In più si è aggiunto ancora il modo di pensare alla politica, di fare campagna elettorale e di promettere, che era facilmente contrastabile al confronto con i risultati ottenuti: la pratica del governo è stata mediocre, con leggi che se potevano essere gravi perché fatte ad personam, lo erano ancora di più (e su questo bastava concentrarsi) perché non erano vantaggiose per la comunità. Tutti questi elementi pubblici, politici, sarebbero bastati a fare un'opposizione chiara e senza nessuna collaborazione di qualsiasi tipo; e sarebbero bastati a organizzare una controproposta politica di altra qualità. Non erano questioni soltanto sufficienti; erano questioni decisive della vita democratica di un Paese; non erano concentrate su una persona, ma sulle regole della comunità. Ciò bastava a mettere in piedi una tale quantità di energia oppositiva da poter essere comparata a una rivoluzione. Le energie invece, sono state sbriciolate e spese a interessarsi di altro: atteggiamenti, gesti e modi di vestire e di parlare; e soprattutto processi, gradi di giudizio e condanne; in particolare, su alcuni eventi scandalosi della vita privata. Non ho mai creduto che si potesse lottare per tutte queste cose insieme. Ho pensato sempre che l'energia oppositiva, in un Paese, è limitata, va salvaguardata, va spesa con razionalità e precisione. La dispersione di energie oppositive in tutti quei rivoli sarcastici, pettegoli, intrusivi, ha tolto forza alla sostanza. La concentrazione su stupidaggini è stato il centro energetico del Paese che si è opposto a Berlusconi. L'unica medaglia al valore civile da sfoggiare, in questi anni, è stata quante volte avevi deriso Berlusconi, quante volte avevi riso di Berlusconi; quanti articoli avevi scritto contro di lui, quante volte avevi espresso pubblicamente il tuo odio. Berlusconi su di noi faceva l'effetto di un dittatore all'incontrario: entravi nell'elenco dei sospettati se non parlavi male di lui. Si è ridotto tutto a un esercizio retorico dell'opposizione, dell'estraneità: con ogni probabilità, questo fenomeno ha avuto luogo per combattere la paura della diversità, la paura verso il potere di quest'uomo, con una denigrazione sul piano personale che ne abbassasse il pericolo. Ma l'operazione di dissacrazione del mito ha soprattutto distratto dalla lotta politica, dal centro delle questioni. Dalla costruzione di un'alternativa più efficace che potesse piacere al Paese. “
Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti, Einaudi (collana Super ET), 2017 [1ª ed.ne 2013]; pp. 198-200.
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soldan56 · 2 years
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Faccio un colloquio in un hotel 4 stelle.
Inglese, francese .
Quel poco spagnolo sufficiente per la sopravvivenza.
Mi parano davanti 4 test psico attitudinali di logica.
Mi chiedono la comprensione di un testo in inglese
scritto da un cinese per vedere se me la cavo con un inglese imperfetto, tipico (a detta del titolare ) delle mail in inglese di persone non madrelingua che scrivono cose assurde per prenotare.
Desiderano un affiancamento veloce per capire se sia dinamica e sul pezzo, non una torda.
Un colloquio diventa un master. Sono uscita di casa alle 14,30, tornata alle 21.
Il titolare molto contento, mi dice che sono assolutamente in linea e che menomale, sono settimane che cerca e bla bla bla .
Ripeto: sono settimane che cerca.
Propone tutto TRONFIO, un’ assunzione a T.D. con periodo di prova, comprensiva di affiancamento e training .
Per carità ci sta .
Mi dice che ovviamente devo imparare i gestionali, ma il profilo e’ corretto, parlo le lingue, so rispondere, sono smart, si vede che ci so fare .
Chiedo la retribuzione e gli orari.
Risposta : ovviamente ti faccio il contratto. E’ quello del commercio eh, 1200€ al mese.
Gli orari un po’ li sai, a volte sono scomodi ma tanto sei abituata ( vero)
be’ ci sono i turni e ok, sei abituata.
Io chiedo flessibilità perché sai, immagina.
Certo: so - immagino-sono abituata.
Quindi ci saranno straordinari relativi alle ore extra, chiedo.
EH no sai. In questo momento .
IN QUESTO MOMENTO hai ai piedi un paio di Church da 900€ e al polso un Patek Philippe.
Saluto
ringrazio e gli dico che gli farò sapere via mail .
Dopo 72 ore , come da accordi, gli scrivo che lo ringrazio del tempo che mi ha dedicato ma ho offerte migliori sul tavolo .
Risposta: AH BENE ( piccato) spero che ne valga la pena. Peccato perché eri un’ ottima risorsa.
Allora io adesso ve lo dico once for all.
Gli imprenditori italiani sono inqualificabili.
Le OTTIME risorse vanno pagate !!
Alle OTTIME risorse non può essere detto che faranno straordinari senza vedere un euro extra.
Alle OTTIME risorse non si può rispondere piccati" spero che ne valga la pena", perché quando si tratta di non svilirsi, non accontentarsi e non accettare il paradigma del lavoro qualificato sotto pagato
ne vale sempre la pena, sempre !!
Non è che non trovate perché in giro "la gente non vuole lavorare "
non trovate perché siete dei poveracci, felici di poter disporre di contratti miseri a cui manco gli straordinari aggiungete.
Maila Castaldo
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fiordilota · 11 months
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Generalmente non guardo la TV, ora non la accendo neanche per sbaglio perché sinceramente c'ata rutt o cazz voi e berlusconi.
Non so se stanno più uccisi questi politici ipocriti che straparlano del niente o questa massa di italiani ignoranti che prende giorni di permessi a lavoro per portargli fiori. Che pericolo l'idolatria.
Aprite un cazzo di libro di storia
(Che poi non è neanche necessario, basta wikipedia se è un articolo non fatto coi piedi)
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fridagentileschi · 7 months
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Ho sentito un bambino di 5 anni annunciare “che l’anno prossimo, come tutti gli italiani all’estero”, non voterà.
Bambine delle elementari invece hanno visto “lei che bacia lui che bacia lei che bacia me”.
Altre bambine si annoiano ma sono contente quando lui fa “la disco paradise”.
Poi ci sono quelli che salutano con le mani, con i piedi e con il c*lo. Ciao ciao!
Per non parlare di quei bambini che stanno sotto la scritta al neon di un seksy shop.
Questi bambini, che vediamo ovunque, nei parchi, in spiaggia, davanti alle scuole (a volte dentro le scuole, quando fanno le recite di fine anno) sono tanto carini quando cantano e fanno tanta tenerezza. Ma capiscono quello che dicono? Qualcuno si è posto il problema delle parole che vengono messe in bocca a dei bambini piccoli? O di spiegargliele?
Quando io ero piccola esistevano le canzoni per i bambini, lo Zecchino d’oro, Mariele Ventre che con la sua delicatezza e dolcezza ha fatto crescere e cantare generazioni di bambini, c’era Cristina D’Avena, c’erano le canzoni per i piccoli.
I ragazzi ascoltavano musica diversa.
Gli adulti altra ancora.
Oggi invece gli adulti ascoltano Cristina D’Avena e i bambini Achille Lauro.
E soprattutto si sta restringendo sempre di più lo spazio in cui è permesso essere bambini, perché si è subito ragazzi.
Che poi, questi poveri bambini, hanno tutta la vita per essere “grandi”, e solo pochi anni per essere piccoli.
È così terribile lasciare ai nostri figli la possibilità di godersi il breve tempo dell’infanzia, della fantasia, dei sogni, o abbiamo fretta di trasformarli il prima possibile in consumatori?
Web
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annaeisuoipensieri · 11 months
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Per non dimenticare, buongiorno 🍀
Dalla folla gli gridavano “Basta, Enrico!”. Ma lui continuò fino all’ultimo. Nonostante fosse visibilmente provato, ridotto ormai al collasso, non smise di parlare. Si concesse un attimo di riposo, e con enorme fatica continuò il suo discorso.
Lo portarono via che non si reggeva in piedi. Perché Enrico Berlinguer, il 7 giugno 1984, a Padova, ebbe un ictus. E nonostante questo, non si fermò. Parlò di giovani, di donne, di lavoro. Delle battaglie che credeva giuste e che condivideva con milioni di persone. E concluse il suo comizio.
Morì 4 giorni dopo per emorragia cerebrale. Con lui se ne andò una enorme parte della Politica con la “P” maiuscola. Quella pulita, con un’etica granitica. Quella che ci credeva davvero in ciò che diceva. Quella che non si faceva scoraggiare da niente e da nessuno e che, come dimostrò Berlinguer quel giorno, non si tirava mai indietro. Per nessuna ragione al mondo.
A lui, al ricordo di un grande uomo che fu amato da milioni di italiani di ogni fede politica, oggi il pensiero più commosso.
(Web)
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io-pentesilea · 9 months
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Allora.
Analizziamo la situazione.
Vado in discoteca, bevo fino a non riuscire nemmeno a stare in piedi, il taxi mi riporta GRATIS a casa.
Aspetta, non gratis, perché la corsa la pagano tutti gli italiani con le loro tasse, che, per sentito dire eh, dovrebbero servire per 'pagare i servizi pubblici in generale' ovvero sanità, istruzione, ordine pubblico, difesa, previdenza... ho dimenticato qualcosa?
Però è per il nostro bene eh, perché l'ubriaco al volante è un pericolo, ovviamente, per tutti, me compresa.
Certo, che poi l'abuso di alcol si limiti alle serate in discoteca è pura illazione.
Cosa vieta allo stesso soggetto di ubriacarsi in un bar, a una festa privata, e poi salire in macchina e investirmi?
Una beata minchia!
Perciò riportare a casa chi si ubriaca in discoteca a spese dello stato, e lo stato siamo noi!, è una toppa ancor peggiore del buco.
È una soluzione al limite della follia.
È diseducativo.
Ma tanto pur di difendere i propri rappresentanti, anche se fanno o dicono delle stronzate...
Signori, siamo dei coglioni.
Punto.
Barbara
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abr · 1 year
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il settore bancario in questa particolare fase storica si trova in una situazione rischiosa. Per un lungo periodo di tempo lasciare i depositi sui conti correnti bancari è stata un’opzione poco costosa, in termini di opportunità perse, per i risparmiatori. L’inflazione era contenuta e i rendimenti dei titoli di stato e di una larga fetta del mercato obbligazionario non particolarmente interessanti. Oggi (...) per le banche il costo della raccolta sale. Dall’altra parte (sono piene) di "attivi" difficili da smobilizzare, sia perché le obbligazioni sono state comprate a prezzi molto più alti di quelli attuali, sia perché un rallentamento economico o addirittura una recessione renderebbe molto difficile liberarsi di prestiti e mutui alla pari. Uno scenario di recessione e magari di stress finanziario troverebbe le banche particolarmente vulnerabili.
(...) L’origine della crisi può certamente scaturire da una particolare banca (...) ma l’impatto è quasi immediatamente di sistema. (...) Le crisi bancarie nate dopo il 2008 sono tutte state risolte, senza distinzione, da interventi “pubblici”, o direttamente o tramite le banche centrali. Questa ovvietà ha avuto le ennesime conferme con quanto fatto dagli Stati Uniti a valle del fallimento di Silicon Valley Bank e con quanto messo in piedi dalla Svizzera con la crisi di Credit Suisse.
(...)Gli Stati possono salvare il sistema bancario (...) solo a debito e solo con il supporto delle banche centrali. Negli Stati Uniti il perno è la Fed e il Governo americano, in Europa sarà il Mes che impone condizionalità politiche e che ha lo stesso Dna della decisione con cui l’Europa ha salvato gli e-fuels tedeschi e condannato i biocarburanti italiani.
Legare il Mes alla risoluzione delle crisi bancarie nell’attuale contesto macroeconomico e finanziario è un bellissimo modo per farlo ratificare a furor di popolo, perché ancora più che in altre crisi questa volta, se mai ce ne sarà una, arriverà direttamente e senza filtri sulle banche (quindi sulle spalle) di tutti. Qualcuno potrà salvarle “gratis”, senza pagare dazi politici, qualcun altro che ha tanto debito no. L’austerity è solo uno dei tanti costi, come si è visto in Italia nel 2012.
via https://www.ilsussidiario.net/news/proposta-ue-su-crisi-banche-lo-stratagemma-per-riavvicinare-litalia-al-mes/2523431/
Han trovato lo stratagemma per farci ingoiare il MES, che all'ingenuotto sinistro i servi furbacchioni vendono come accesso a capitali illimitati, mentre il realista conservatore sa che significa consegnar le chiavi di casa a vicini livorosi invidiosi invadenti e in conflitto di interessi.
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yomersapiens · 2 years
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La strana avventura del signor Pippoloni
Orario di arrivo previsto 12:30. Però io so come vanno le cose quando viaggi in bus. Devi sempre mettere in conto almeno un'ora di ritardo. Damiano mi scrive che no, sicuro arriva per tempo, figurati, sono già alle porte di Vienna. Invece avevo ragione io. Ma siccome sono uno stronzo che vuole essere puntuale, io alla stazione dei bus ci sono arrivato preciso. Damiano conferma che ci vorrà un'ora ulteriore, così mi metto a girare a vuoto in questa zona di arrivo dei bus, chiamata Erdberg. Vienna è una città pulita, ordinata, ricca, privilegiata, dove tutto funziona e ti senti sempre sicuro. Tranne ad Erdberg. Qua sembra di stare da un'altra parte del pianeta. Da quando sono nato ho passato non so quanto tempo tra varie stazioni pessime e pensavo di avere abbastanza pelo sullo stomaco, ma ora sono sicuro che il benessere viennese mi abbia rammollito. Non avevo paura, sia chiaro (la mia unica paura è perdere i capelli e forse è per questo che mi sono fatto biondo) mi sentivo solo a disagio e dopo due anni di pandemia oramai vedo sporco e batteri ovunque.
Non vedo Damiano da anni. Da quando non si faceva chiamare Damiano ed era un'altra persona. Io gliel'ho sempre detto, tu per me puoi essere quello che vuoi anche un unicorno, non mi interessa, basta che me lo dici e farò di tutto per capire e rispettare. Però ecco, l'unica cosa che non cambierà mai di Damiano è la totale mancanza di puntualità.
Mi aggiro per la stazione ascoltando un po' di musica, cercando di ignorare gli abitanti momentanei di questo non-luogo. Le cuffiette sono le mie cinta murarie. Mi difendono da chi vuole attaccare bottone. Noto questo signore anziano, spaesato, pantaloncini troppo corti e una pelle in avanzato stato di decomposizione. I vestiti sono quelli che vedi sulle testimonianze delle grandi migrazioni prima della guerra. Gli mancava solo una valigia in cartone e aveva tutto. Persino la coppola. Camminava a piccoli passi, trascinando i piedi, tenendo tra le mani un foglio di carta malconcio. Mi si avvicina e cerca di parlarmi ma io avevo le cuffie e non volevo essere disturbato. I suoi occhi brillavano di una sincerità che ho visto poche volte, solo da chi aveva realmente bisogno di aiuto, o solo di parlare. No. Solo di essere notato. Perché lì attorno nessuno sembrava vederlo. Io anche avevo fatto fatica, sembrava un viaggiatore del tempo più che un uomo reale.
Prova a esprimersi in un francese impiastricciato, arrancando parole e concetti e lanciandoli alla bella e meglio. Mi porge il foglio di carta che ha in mano: è il suo biglietto del bus. Una cosa ho imparato in anni di vita all'estero. Se qualcuno parla una lingua che non conosci e non sai come esprimerti, non provare a parlare la sua lingua, parla la tua. La confidenza e il tono, aggiungendo il gesticolare, risolveranno molto spesso la situazione. Poi noi italiani abbiamo la fortuna che 50% delle volte ci riesce di farci capire. Così mi butto, lo guardo e gli dico "Guardi io non parlo francese, parlo italiano, tedesco e inglese, lei mi capisce?" e lui si gela. Così guardo meglio il biglietto. Dice che la partenza è avvenuta la sera prima da un paesino a caso in Francia, arrivo previsto ore 6 a Monaco, cambio di bus, coincidenza che riparte alle 7 e viaggio che si conclude nel pomeriggio inoltrato a Perugia. Io guardo il signore, poi riguardo il biglietto. Qua non siamo a Monaco. Siamo a 400 chilometri da Monaco. Qua siamo a Vienna. Lo guardo ancora "Ma qua non siamo a Monaco. Lo sa che non siamo a Monaco? Siamo a Vienna". Da lui ancora nessuna risposta. Analizzo ogni millimetro del biglietto e scopro il nome: Luigi Pippoloni. Scoppio a sorridere, non ci credo. "Scusi, ma lei si chiama davvero Pippoloni?" e qui ricevo la prima risposta in un italiano che riemerge da un sarcofago "Sì, mi chiamo Luigi". Non riuscivo a trattenere il mio entusiasmo. - Signor Pippoloni! Ma lei parla italiano? - Sì, mi sono trasferito in Francia quando avevo 11 anni, con i miei genitori. - Pippoloni! Anche io parlo italiano! - Oh che bello - Siamo tutti e due italiani all'estero. Ma cosa mi ha combinato Pippoloni! Lei doveva scendere a Monaco e cambiare, e invece ora è a Vienna! Si è addormentato? - Nessuno mi ha detto niente - Legga qua, c'è scritto che doveva cambiare - E dove sono adesso - A Vienna, in Austria - E come faccio - Non lo so Pippoloni, ora dobbiamo capire come fare - Nessuno mi ha avvisato che dovevo scendere - Però è scritto qua sul biglietto - Ah, e come faccio - Quanti anni ha signor Pippoloni? - 76, a 11 anni mi sono trasferito in Francia con la mia famiglia - Sì questo me l'ha detto. Ha dei figli, un telefono, qualcuno che dobbiamo avvisare o che la sta aspettando? - Ho il telefono ma non si accende, è scarico - Ma cosa mi combina Pippoloni! Mi si mette in viaggio con un telefono scarico? E se non trovava me come faceva? E qui l'ho visto sorridere per la prima volta. Gli occhi erano ancora spaesati ma la bocca iniziava a essere meno serrata in una smorfia di smarrimento. - Facciamo così, prima andiamo dentro a capire se c'è un modo per mandarla in Italia, poi avvisiamo chi la sta aspettando. Tanto ho tempo, il mio amico è in ritardo di un'ora. Vedrà quanto è bello Damiano, voglio farglielo conoscere, è altissimo, splendente, veste sempre in maniera assurda, sembra un astronauta.
Lo porto alla biglietteria e spiego l'accaduto. Il bigliettaio si mette le mani in faccia. Errori così, o sviste, persone che si addormentano e si risvegliano nel luogo sbagliato ne ha viste spesso, ma non aveva mai visto il signor Pippoloni. Non ci sono soluzioni, non per questa giornata. Domani c'è un bus che va verso l'Italia, oppure stanotte. Io non potevo lasciare Pippoloni da solo in quella zona tutta una notte. Spiego nuovamente la situazione, chiedo se ha senso provare a cercare un treno. Mi dice che sicuramente in stazione qualcosa di alternativo si troverà più facilmente. - Signor Pippoloni, è un casino qua. Non ci sono bus, almeno fino a domani e io non ho posto in casa, sta arrivando Damiano, però possiamo andare in stazione e lì ci dovrà essere un treno per lei - In stazione? E come ci arrivo in stazione - La porto io signor Pippoloni, non si preoccupi! Aspettiamo insieme il mio amico e poi andiamo! - La ringrazio - Si sieda qui, ci vuole ancora un po' Noto che non riesce ad allontanare le mani dalle sue due borse. Le accarezza quasi, come fossero due animali da compagnia. Una è una valigia a rotelle mentre l'altro è un sacchetto ricolmo di cibo e altrettanti sacchetti minori.
Damiano arriva, scende dal bus stanco, lurido e stupendo come solo lui sa essere. Specialmente ora che il suo corpo e la sua mente coincidono. È una vecchia conoscenza ma al tempo stesso, un completo nuovo amico. Lo abbraccio e gli dico "Lo so che tu vorresti solo andare a casa a fare una doccia, manco sei sceso dal bus ed è già iniziata la nostra prima avventura. Dobbiamo aiutare il signor Pippoloni a tornare a casa. Vieni che te lo presento." Damiano non dice nulla, sommessamente accetta il suo triste destino, consapevole che con me le cose non vanno mai come pianifichi.
Il signor Pippoloni guarda Damiano e sgrana gli occhi. Non capisce cosa sia. "Le ho detto che è un astronauta. Forse è pure un alieno. Sicuro non è di questo pianeta". I due si piacciono subito, nonostante uno venga dal futuro anteriore e l'altro da inizi 900. Ci incamminiamo, uno dopo l'altro, in una stranissima carovana di bipedi, fatiscenti, claudicanti, appariscenti e splendenti, decadenti e lenti. Soprattutto molto molto lenti. Pippoloni cerca di starci dietro ma le valigie pesano troppo. Damiano anche è carico come un mulo. Dobbiamo aiutarci a vicenda per raggiungere la metropolitana. Mentre compro il biglietto a Pippoloni, vedo che Damiano gli regala una delle sue mascherine. Quelle queer, rosa, con resti di glitter provenienti da chissà quale party. Pippoloni la indossa e sorride, poi barcolla verso di me mentre mi avvio con i suoi bagagli verso l'ascensore. Durante il viaggio in metro cerco di spiegargli dove siamo, dove stiamo andando, quali sono le distanze. Non voglio abbia paura, voglio tenerlo aggiornato, così che sappia quello sta succedendo. Ogni cambio di linea della metro è una fatica. Ma come si fa a viaggiare con tutto questo peso a 76 anni, da solo? Sarà anche carino e neorealista, ma Pippoloni non è molto pratico.
Giungiamo in una stazione dei treni sovraffollata. "C'è tanta gente qua" dice Pippoloni abbassando la mascherina. Il suo volto anziano ora sbrilluccica di glitter. Io rido "Eh sì Pippoloni, siamo due milioni qua a Vienna!".
(Ora dirò una cosa molto estemporanea e che farà capire facilmente come ragiona la mia testa. Tutto questo bisogno di aiutare, questa voglia che è emersa in me, un po' nasce da come sono stato cresciuto in famiglia, certo, i miei genitori e soprattutto mia madre mi hanno sempre insegnato che bisogna aiutare il prossimo a qualunque costo. Anche mio nonno, uguale, sempre aiutare chi ha bisogno in ogni circostanza, anche se si finisce a rimetterci qualcosa. Ma io ora lo posso ammettere, tutto questo, l'ho fatto solamente per poter ripetere a voce alta ogni due secondi il suo cognome. Pippoloni ha un suono celestiale. Buffo. Dirompente. Dovete provare anche voi a dirlo a voce alta. Provate anche delle varianti come "a Pippolò!" in stile Corrado Guzzanti. Non si fosse chiamato così, forse non lo avrei aiutato con tanto entusiasmo)
Guardo Damiano e noto che quasi non ce la fa più a reggersi in piedi. Ha fame e le 18 ore di bus si fanno sentire tutte. Così lo metto di guardia alle valigie mentre prendo il signor Pippoloni sotto braccio e lo porto verso la biglietteria. Prendiamo il numero e aspettiamo il nostro turno. Il caso vuole che il bigliettaio che ci capita sia un giovane sbarbatello, forse alla sua prima settimana di lavoro. Lo guardo e parlandogli in tedesco gli dico "Preparati, perché ora ti racconto una bella storia e tu stai per entrare a farne parte e diventerai un protagonista essenziale". Il ragazzino non capisce ma i suoi brufoletti adolescenziali mi fanno l'occhiolino. Gli spiego tutto e la sua faccia diventa seria. Ora è entrato nella parte. Ora anche lui vuole aiutare Pippoloni. Si mette subito alla ricerca di soluzioni possibili ma tutto o parte troppo tardi o è completamente prenotato. "Il signor Pippoloni mi deve partire il prima possibile, guarda se trovi una cuccetta!". Molto candidamente ammette di non capire un cacchio di geografia italiana. Mi chiede se Trieste va bene come punto di arrivo. Io guardo Pippoloni e no, non me lo vedo a Trieste a chiedere aiuto per riuscire ad arrivare poi a Perugia. Le soluzioni devono essere Bologna, Firenze o Roma. Il ragazzino sta sudando copiosamente quando ecco che gli si illumina il volto. "Trovato! Parte alle 19 e arriva domani a Milano, poi cambia e scende verso Firenze." - E poi? - E poi non lo so. - Pippoloni, ma se lei arriva a Firenze, poi riesce a trovare un modo per arrivare a casa? - Chiamo mio cugino e gli dico di venirmi a prendere - Giusto, mi ero dimenticato che dovevamo chiamare i familiari! Vabbè quello lo facciamo tra poco. Va bene, senta, prendiamo subito il biglietto, quant'è? - Sono 145€ - Signor Pippoloni, sono 145€. Ce li ha? Il signor Pippoloni inizia a rovistare nel sacchetto che ora capisco essere il sacchetto ufficiale contenente i documenti di maggiore importanza. Estrae una rubrichina del telefono mangiata dal tempo e un blocchetto chiaro, di assegni. - Ecco, va bene questo? Io non so come rispondere. Guardo il ragazzino. Lui guarda me. - Non accettiamo assegni, mi spiace. - Signor Pippoloni, non ha banconote o altro? - Non accettano gli assegni? - Facciamo così, facciamo un po' una colletta tra di noi e ne parliamo dopo, ecco, prenoti subito, la ringrazio. Riceviamo il biglietto e corriamo verso Damiano che oramai sta dormendo in piedi con la testa poggiata su una valigia di enorme dimensioni.
Abbiamo fatto tutto. Possiamo finalmente mangiare e rilassarci per qualche minuti. "Signor Pippoloni, prima ho visto che aveva una piccola rubrichina, magari là dentro c'è il numero di telefono di un qualche familiare che posso chiamare?" - Ci dovrebbe essere il numero di mio cugino - Se me lo cerca per favore Damiano torna con un vassoio pieno di patatine fritte, panini vegetariani con pollo che pollo non è e una vasca di coca cola. Ha un sorriso enorme e contagioso. Non siamo più tre uomini seduti ad un tavolino lercio di una stazione, siamo tre signori nel locale più lussuoso di tutta Vienna. Ricevo il numero di telefono e chiamo in Italia. - Sì salve, sono Matteo, noi non ci conosciamo ma girando per la stazione dei bus di Vienna ho trovato suo cugino Luigi, aveva sbagliato coincidenza e insomma, si è perso ma non si preoccupi! L'ho portato in stazione dei treni e abbiamo trovato una soluzione alternativa. Arriverà domani con un treno verso Firenze. Sarebbe carino lo andasse a prendere. - Ah, accidenti, mi si è perso il Luigino! Va bene. Senta, allora se me lo può mettere su un treno, la ringrazio. - Sì certo, glielo metto su un treno. - Che magari arriva vicino a Perugia - Faccio il possibile - La ringrazio, povero Luigino - Eh già. Povero. Si figuri! Mi giro un po' confuso e vedo che ora sul tavolo il signor Pippoloni ha disposto quasi tutto il contenuto del suo sacchetto a mano. C'è una baguette, coltelli, burro, salame, uva in ogni contenitore possibile, formaggio, un altro sacchetto pieno di uva, bottiglie di acqua e succo di frutta, un barattolo di nutella vuoto contenente altrettanta uva. Damiano ha cambiato colore del volto. Mi siedo e mangio il mio finto pollo, Luigino prova ad offrirmi da mangiare "Signor Pippoloni, meglio se conserva qualcosa, il viaggio per lei è ancora lungo, ci deve campare per un altro giorno almeno con questa roba".
Arriva il momento dei saluti. Mancano alcune ore alla partenza del treno ma non posso costringere Damiano a stare ulteriormente qui. Però nascono i dubbi. E se Pippoloni si alza e si allontana e perde il treno? O se si addormenta e perde il treno? O se lo rapiscono e derubano e perde il treno? Pippoloni è il cucciolino abbondanato che trovi quando sei in vacanza al mare, che vorresti portare a casa ma i tuoi genitori ti dicono di no, non possiamo, abbiamo altri cuccioli a casa che ci aspettano. Così vado dalla security della stazione a spiegare per l'ennesima volta la situazione. "Vedete, è lui, si chiama Pippoloni. Importante, categorico che lui alle 19:23 salga sul treno diretto per l'Italia. Ma me lo dovete proprio accompagnare voi di persona. Prendetelo in braccio se necessario ma fatelo salire su quel treno!" I tre omaccioni austriaci prendono appunti e promettono. Io mi sento tranquillo. - Pippoloni, noi ora andiamo, è stato un piacere conoscerla e mi raccomando non si allontani da qui che poi vengono a prenderla e la portano al treno! - Non mi devo muovere? - No vabbè, se deve andare in bagno ci vada pure Damiano mi sussurra nell'orecchio "Guarda bene cosa ha in borsa". In mezzo a tutto il cibo e ai documenti ufficiali, ci sono una dozzina di pannoloni da adulto. - Resti qui allora signor Pippoloni! Non vada neanche in bagno che è meglio. La prenderanno e la porteranno questi tre signori. Se li ricordi. Sono vestiti di blu e arancione. Vede? - Blu e arancione - Dove ha il biglietto? - Qua! - Non lo perda mi raccomando! Noi ci sentiamo domani, chiamo suo cugino per sapere se è arrivato! - La ringrazio Matteo, lei conosce molte persone, è stato molto gentile - A me piacciono le storie signor Pippoloni, lei ora è diventato una delle mie storie! Ci abbracciamo. Profuma di un passato italiano che ho vissuto solo in estate quando andavo a trovare i bisnonni e le ragnatele e la polvere arredavano le loro case e i loro centrotavola.
Decido di non pensarci più. Damiano mi dice "Stai tranquillo, hai fatto abbastanza, ora rilassati" e io ci provo, voglio dargli ascolto. Ma ovviamente di notte non chiudo occhio pensando che forse qualcosa è andato storto e che Pippoloni ora è di nuovo smarrito. Magari si aggira per la stazione di Vienna chiedendo di me. Il mio cucciolo di 76 anni abbandonato. Mi addormento e la mattina dopo riesco quasi a non pensarci.
Un numero italiano mi chiama nel pomeriggio, riconosco la voce, è il cugino del signor Pippoloni. Rispondo carico di gioia pensando di poter mettere la parola fine a questa avventura. - Salve, sono il cugino di Luigi - Salve! È arrivato? È con lei? - Veramente no. - Ah. - Ma lei me l'ha portato a Milano? - No io l'ho messo su un treno, non avevo modo di portarlo fino a Milano. - Ah - Eh - E allora aspettiamo - Però mi faccia sapere qualcosa che sono in pensiero!
Che io abbia realmente fallito? Che il signor Pippoloni abbia sbagliato qualcosa nuovamente? Che sia finito altrove, in un luogo senza italiani all'estero pronti ad aiutarlo? Le domande mi bombardano la testa e a questo punto penso siano le domande che abbiamo tutti. Perché un signore di 76 anni si mette in viaggio da solo sul bus? Perché non un aereo così da non dover stare 24 ore in giro? Perché senza un telefono? Dove sta la sua famiglia? Ha dei figli che lo cercano? Che sia odiato da tutti? Che sia solo al mondo? È colpa mia adesso se non arriverà mai dal cugino? Potevo fare di più? Dovevo portarlo a Milano? Tutte domande lecite a cui ho deciso di non dare risposta. Perché rispondere vorrebbe dire entrare in zone che non mi riguardano. Generare colpe e colpevoli. Analizzare contesti a me lontani. Devo solo perdonarmi e trovare un po' di pace.
Damiano è con me. È radioso grazie alle ore di sonno finalmente portate a termine. Mi aiuta a non restare infangato. Verso sera gli chiedo: - Ma secondo te, lo chiamo il cugino per sapere se è arrivato Luigi? - Basta Matteo! Lascia perdere. Datti pace. Hai fatto quello che potevi non puoi stare a struggerti! Mentre lo dice chiude la canna, la accende, fa due tiri e me la passa.
Due giorni passano veloci, ci divertiamo, sfondiamo di canne, alcol, cibo austriaco e mercatini dell'usato. Damiano riparte carico come non mai, di vestiti appariscenti e promesse di rivederci prima o poi. Chissà come sarà la prossima volta. Chi sarà. Tra un anno. Due anni. Dieci. Damiano cambia sempre, è questa la sua natura. Mutevole, dannato fenomeno. Senza la sua presenza divento nuovamente nervoso e paranoico. Io devo sapere che fine ha fatto il signor Pippoloni. Passo la domenica cercando la forza per chiamare quel numero italiano. Cosa può succede di male? Se non è arrivato ho scattato delle foto, le mandiamo a "Chi l'ha visto" e rilascio un'intervista. Se è arrivato tiro un sospiro di sollievo e mi calmo. - Salve, sono Matteo, l'italiano che sta a Vienna. Si ricorda? Ho trovato suo cugino Luigi in stazione - Ah signor Matteo, certo! - Volevo sapere, è poi arrivato Luigi? - Luigi? Ma certo! La sera stessa! Ha fatto tutto da solo. È arrivato direttamente qua a casa mia! - Ah. E non poteva chiamarmi? - Volevamo farlo ma poi ci siamo dimenticati. Adesso è in pista che si sta facendo un giro, un attimo che lo chiamo! - In pista??? - Sì, sul go-kart - Ma come sul go-kart - Signor Matteo, salve! - Signor Pippoloni!!! Sta bene? - Tutto bene grazie, sono qua con mio cugino Mario - Che bello sentirla! - La ringrazio ancora, ci vediamo presto - Spero di no signor Pippoloni, altrimenti vuol dire che si è perso un'altra volta! - Le passo mio cugino che vuole ringraziarla, arrivederci - Arrivederci signor Pippoloni! - Pronto signor Matteo, sono Mario, il cugino di Luigi, volevo dirle che è stato davvero molto gentile e quando vuole, lei è invitato qua da me, ho una pista di go-kart, si chiama Pista Arcobaleno. Quando vuole lei viene ed è ospite mio. - Scusi un attimo. Lei si chiama Mario? - Sì - E ha una pista di go-kart, chiamata Pista Arcobaleno? - Sì - E suo cugino, che le ho spedito, si chiama Luigi - Sì - Non ci posso credere. Mario e Luigi, i go-kart, la pista. Questa se la scrivo sembra completamente inventata. - Tutto bene signor Matteo? - Tutto benissimo! Verrò a trovarvi presto. Devo fare una gara contro Mario e Luigi! - A presto allora! - Mi raccomando, non mi tiri nessuna buccia di banana! Capito? - A presto!
Io non credo in molte cose. Credo che se scavi, molto, in profondità, ogni essere umano possa fare meno schifo di quello che si vede in superficie. Lo penso anche di me. Sotto sotto non faccio così schifo. La psicanalisi mi ha aiutato. Anche compiere atti di gentilezza spontanea, come questo, aiuta a farmi sentire meno in colpa per lo schifo che ho fatto in vita. Lo faccio come redenzione. Lo scrivo non per essere da esempio a nessuno, solo per non dimenticare. Mi piacerebbe vivere in un mondo dove gli umani, a casaccio proprio, si mettano a compiere atti di gentilezza spontanea, come terapia. Non ti puoi permettere la psicanalisi? Aiuta qualcuno allora. Senza volere nulla in cambio. Non credo soprattutto nel karma, è un concetto che mi fa schifo. Essere buoni per ricevere bontà. Aspettare che i cattivi vengano puniti passivamente da una forza superiore. Col cazzo. I cattivi vanno puniti a sprangate senza dover aspettare. Ok ora sto diventando estremo. Voglio solo concludere con questo. Sono disoccupato da marzo. Il mio conto in banca sta diventando sempre più ridicolo. Mando curriculum su base quotidiana e sempre, non ricevo risposta. Sapete cosa è successo il giorno dopo aver incontrato il signor Pippoloni? Che hanno risposto a una mail. Che ho iniziato subito a lavorare, carico di una voglia di fare che manco a vent'anni avevo e adesso, lunedì, mi arriva il contratto, dove tutte le mie richieste sono state accettate. Forse. Vedremo. Il karma non esiste, io voglio essere gentile solo perché così mi incasino di meno e le persone pensano io sia innocuo. Ma se per caso fosse anche lontanamente vero che qualcosa ti torna indietro, quando ti comporti bene, ecco allora adesso sono io che ringrazio ancora il signor Pippoloni per avermi messo di buon umore. Magari era questo quello che mancava in tutte le mie mail, il sorriso.
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tuttalamiavitarb · 8 months
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Volendo continuare a narrarvi di luoghi magnifici, infestati dagli abitanti che li popolano, oggi vi parlerò di
Salisburgo
Le cose per cui è famosa Salisburgo nel mondo sono, in ordine di fama.
il tempo di merda .
Siamo arrivati ieri sera che parava novembre, stamani ore 10 facevano 28 gradi, ore 17,30 scacciati da un temporale che ci ha preso letteralmente a calci nel culo.
Mozart.
Nel loro totale disinteresse per il denaro, gli austriaci hanno ridotto il genio dei geni, l uomo che ha dato il via alla musica, a una foto sulla versione cacosa di un cioccolatino.
Il castello
Che ora si paga 18 euri, se usi la funicolare oppure 17,60 se te la fai a piedi, un po' caruccio ma perlomeno ci sono molte cose da vedere.
Il festival
Nel quale il salisburghese dimostra a pieno come gli stiano sul cazzo:
Quelli di Vienna che si sucano tutti i soldi ma Salisburgo è più bella
Tutti gli stranieri compresi i tedeschi tranne i bavaresi, perché arrivano con le loro Mercedes del cazzo a fare i fenomeni , poi se ne tornano in mezzo alla nebbia.
Speciale menzione va per gli italiani, ci adorano, quando urliamo, quando fumiamo fuori dagli spazi consentiti, dite che siete italiani e vi si apriranno strade magnifiche, al ristorante vi chiederanno la carta di credito prima di ordinare, così solo per garanzia, ma sorridendo! Oppure se chiedete indicazioni per strada vi guarderanno con quegli occhioni che si riservano alle carovane di zingari.
Però Salisburgo è molto bella
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