Segni sulla pelle.
Tatuaggi, succhiotti, graffi.
Segni d'appartenenza o di una notte un po' troppo folle.
Ho incontrato l'amore, forse sarà l'ultimo o il primo.
Non sarà mai tutto rosa e fiori perché siamo in questo mondo malato, sbagliato, e ci sentiamo così sbagliati.
Magari qualcuno lo è più di qualcun altro.
Magari, insieme, si può essere veri però, sinceri, pieni, e vivi.
Respirare in mezzo a questo mare in tempesta.
Non una fuga, solo un porto sicuro. Un faro dove poter fare ritorno, delle braccia pronte a stringerci, farci ridere, e consolarci a fine serata quando si vuole solo un po' piangere.
Inutile dire che sono preso. Folle, innamorato di te che stai leggendo.
Sono anche convinto di volerti avere sempre nella mia vita, sperando che tu non voglia tagliarmi fuori.
Non voglio essere come le persone che hai trovato fin'ora.
Una cosa un po' personale, scusami.
E in tutto questo dove lo mettiamo il dolore?
L'ansia?
Il suicidio?
Sapete, alzarsi in piena notte con la tachicardia, ed il fiato corto.
Essere in auto, guidare, e pensare "spero di andare fuori strada".
Il dolore dov'è?
Sta nel pensiero tipo.
Sta nel premere l'acceleratore e sperare di far una cosa sbagliata, perché così la gente si rassegna un po', un incidente, non un'azione voluta.
Perché sapete, certe azioni creano conseguenze, e determinate azioni portano sensi di colpa, distruggono cose.
Vite, famiglie, persone.
Mi manchi, in realtà, è uno sfogo caotico ma ehi, questo sono io.
Cerco di migliorare ogni giorno.
Non cambiare, ma migliorare.
Mi manchi ancora.
Mi manca sentirmi un po' al sicuro in un mondo di insicurezze per me.
La vita è lotta e non sempre è piacevole o facile.
L'amore è ancora peggio, una cazzo di guerra di logoramento.
Però, l'amore, quando baci qualcuno che ami, dio che sensazione.
E quando fai l'amore?
Quando scopate forte?
Quando ti stringe e tu senti di appartenere a qualcosa e a qualcuno di così bello.
Spero sia davvero così bello.
Per me lo è.
Ogni singolo istante.
Ricorda, ripensa. Ci si impegna in due, purtroppo.
Ti aspetterei all'uscita di ogni dottore. Di ogni posto di lavoro.
Ti aspetterei ogni sera.
Perché è così che io tengo, ed è così che io dimostro.
Purtroppo viviamo in un mondo dove le parole vanno accompagnate da azioni.
C'è chi è più bravo, chi meno.
Ed ognuno ha la sua lotta di logoramento interiore.
Col proprio fisico, con la propria sessualità, con la vita.
Alcune lotte possono essere divise, altre no.
Spero di poter dividere anche alcune lotte con te.
E di poterti dare forza in quelle in cui non posso partecipare attivamente.
Mi fa cagare il termine attivamente.
L'ho già detto che voglio la tua presenza, nella mia quotidianità?
Non lo so, ma perché sono così confuso?
Così ripetitivo.
Penso che sono stato abituato a dover parlare e urlare, invece con te dei silenzi sono così splendidi.
Eppure mi porto gli strascichi di dove ripetere e ripetere e ripetere.
Porca troia ahah.
Ma poi perché sto facendo sto post?
L'ho modificato già 4 volte.
4 volte, dopo 4 minuti.
Sono un cazzo di record vivente.
Vorrei avessi paura di perdermi.
Sinceramente, gli altri non ti parlano, ci litighi, e io che faccio così?
Boh.
Lo penso davvero che devo spari sinceramente delle volte
Chissà se l'amore può essere così forte...
Cosa vorrei?
Un bacio.
Uno di quelli lenti, che ti rimettono in sesto, ed un abbraccio, da togliere il fiato.
Com'è ironica questa cosa. Una vita senza fiato, per la paura, e l'ansia ed il panico, e vorrei un abbraccio che comunque togliesse il fiato, ma per altro.
Mi manca la te che eri con me.
Già. Anche a me
Mi manca questo, mi manca respirare, anche solo dormire.
Scusa E, perché il casino che sei.
Io ci provo a perdonarmi, ci provo davvero.
Ma come si fa quanto si è così?
Ma quel buco nero
Che parte dal petto e prende lo stomaco e arriva alla gola e ti soffoca
Non sparisce mai
È parte di me
Non lo cancello senza cancellare me
E stringe la gola
E il cuore sembra implodere
E cadi a terra piegato.
3 notes
·
View notes
lettera ad un vecchio primo amore
come scriverti un messaggio simpatico e allo stesso tempo incalzante, con te che sbuffi e un attimo dopo sorridi, spontaneo. come dirti che avere l’età che avevi tu quando ci siamo conosciuti, e guardare noi al passato...bhe, è come guardare attraverso una persona e vederci solo un brutto, inutile ricordo. come saper raccontare i due anni passati senza di te, passati con me, sì, e un miliardo di persone di cui non conosci volti e radici. come, dario? come saper spiegare che anche dopo anni, dopo i deliri, i pianti, dopo loro e noi, come dopo tutto questo posso ancora pensare a te? pensare a te e dire ‘nonostante tutto, è stata la storia più bella che potessi mai raccontare’ e ridere sfacciata alla vita mentre su un regionale olandese ripensi a tutto. ‘tutto’, che equivale a te, anzi a me e te, quando davanti ad un cancello arrugginito mi aspettavi con un fiore di girasole in mano. mi prendevi la mano, la intrecciavi alla tua. e giocherellavamo con i cani amabilmente, e poggiando la tua maglia a mo’ di coperta facevamo l’amore in mezzo agli ulivi. come far trasparire quel lato cattivo della relazione, come doverlo mettere sempre in risalto, sempre in primo piano, per evitare di rincorrere il tuo viso comune in una qualunque via di città, picchiettarti la spalla e sputare fuori dal petto ‘sono passati anni, e mi dispiace, e ti amo’. come rendere a brandelli la storia di noi, come stringere tra le mani camice che non sono le tue, che non indosseresti mai.
che metteresti da parte, mentre ti avvicini alla mia bocca e ripeti una stupidaggine. mentre mi stringi le cosce e semini baci lascivi sul mio fianco. mentre fuori c’è la vicina che si affaccia ad ascoltarci e noi ci ridacchiamo sopra, la tua mano sulla spalla. come cancellare i miei ricordi, come evitare di pensare a come e quanto possano combaciare con i tuoi, come silenziare il pensiero che potresti averne di diversi, e d’un tratto invidiarli, e voler sì che combacino il meno possibile per avere una storia nuova, migliore, di noi che ci siamo ritrovati nel barrio recoleta di buenos aires e abbiamo pregato per un futuro migliore. no, non è vero, io non ci ho nemmeno provato, e la cosa mi tortura, mi debilita. mi fa venire voglia e di poterla saper silenziare allo stesso tempo. come dirti in un messaggio spietato che non capisco se il motivo per cui torno a te è ritrovare me, o ricercare te. sono stata felice, sono stata sincera. forse non sono stata la migliore versione di me, ma me l’hai insegnato tu: stare bene richiede sacrificio da entrambe le parti. ho visto il tuo io peggiore e tu hai saputo convivere con le mie urla stridule che chiedevano perché io, perché lei? perché noi?;
e mi chiedo non è questo l’amore? come come come smettere di girare per bologna e sapere di poterti trovare all’angolo, come vederti accendere una sigaretta, come reprimere l’istinto di volerti sorprendere sfilandone una dalla tasca. e sapere che nel tuo intuito odi doverlo ammettere, ma ti infastidisce. come ignorarti nel tragitto della vita per oltre un anno. poi trovarti non a caso, perché mai lo è. dire alla tua amica che non ti va proprio una birra, ed ingoiare il cuore in gola mentre sento i tuoi occhi fissi sulla mia camicia. è nuova, l’ho presa in francia. di questa vita nuova non ti appartiene più niente, penso. e non ci salutiamo.
5 notes
·
View notes
[Flashfic] Giornata no
A volte Martino ha l'impressione che Niccolò ci goda, a crogiolarsi nel proprio dolore. Cosa che fa anche lui, per carità, ma più per scena che per altro.
Sì, lo ammette - sottovoce, soltanto a se stesso in un angolino della sua testa - che se non c'è un pubblico allora il piangersi addosso perde di attrattiva. Studia, piuttosto. Si chiude in camera sua a giocare a FIFA o si mette a cazzeggiare sul computer e sul cellulare finché non torna di umore quanto meno accettabile.
Be', sì succedeva più spesso quando ne aveva una sua, di camera... Ora, se gli capita di avere una giornata no e Nico non ha lezioni per cui uscire piuttosto va a casa di Gio che lo ascolta sbuffare mentre lo straccia con una squadretta di Serie B e se lui non c'è allora piuttosto va a chiudersi in biblioteca. A farsi una passeggiata. A guardarsi il peggior film in programmazione per potersi lamentare dei soldi sprecati, dei pop-corn stantii e della Coca con troppo ghiaccio.
Questo suo volersi buttare ancor più giù, rigirando il coltello nella piaga... Fatica davvero a capirlo.
Che poi, gliel'ha anche chiesto di spiegarglielo. Perché non sarà mai uno di quelli che si mette a psicoanalizzarlo, e perché ogni tanto gli piace approfittare del fatto che Nico non si sia dimenticato di quella promessa che gli ha fatto per il suo diciannovesimo compleanno. Non sarà carino, ma lui mica lo è.
"Sì che lo sei, Rose. Carino e coccoloso, anche se per non darlo a vedere cerchi di essere più fastidioso della sabbia nelle mutande." Ancora gli risuonano le parole di Filo nelle orecchie, quando s'era opposto veemente a quella definizione data da Silvia. S'era semplicemente limitato al minimo dell'educazione, dandole una mano a sparecchiare e a lavare i piatti... che bisogno c'era di fare tante scene?
Comunque. Niccolò gli ha spiegato che non si tratta di un 'mal comune, mezzo gaudio'. Ci sarebbe arrivato anche da solo fin lì, perché Nico non è proprio il tipo da godere delle disgrazie altrui. Neppure di quelle di personaggi fittizi. Lui, che s'impietosisce anche di fronte al ragnetto che ha messo su casa in un angolo remoto della loro camera e ha tentato di convincerlo ad andarsene con estrema gentilezza. C'ha poi pensato Martino, a farlo uscire, sotto il suo sguardo attento. Lui lo sa, che il suo Marti non è per niente carino e quel ragno rischiava di fare una brutta fine!
Lui... S'immedesima in quelle persone che soffrono le pene dell'inferno sullo schermo. Ci sta così male da non riuscire spesso neppure a piangere, ci rimugina sopra per ore e non riesce a far nulla. A malapena mangia, e si rigira nel letto manco stesse adagiato sui tizzoni ardenti. Non sopporta di venir sfiorato - e Marti sta imparando a non prenderla sul personale - finché non tocca il fondo. Soltanto allora comincia la risalita. Questo secondo le sue strampalate convinzioni. Che, come quella del 'se non ti parlo di qualcosa è perché non ha nessuna importanza per me', sono parecchio assurde.
A volte queste sue pratiche autolesionistiche si concludono con una catarsi che porta con sé l'ispirazione per qualche nuova opera d'arte. Spesso si limitano a lasciare strascichi di vergogna e sensi di colpa.
Quindi col cazzo che starà a guardare mentre Niccolò s'intristisce ancor di più, di proposito, guardandosi roba del tipo Million Dollar Baby, Still Alice, The Father, Never Let Me Go, American History X, Espiazione, Blue Valentine, Eternal Sunshine Of The Spotless Mind, The Fall... E poi ovviamente non possono mancare Brokeback Mountain, Philadelphia, The Normal Heart. Insomma, nemmeno film strappalacrime. No. Son calci nello stomaco con uno stivale dalla punta di ferro, pure per lui che fa tanto l'imperturbabile.
No, se ha intenzione di farlo dovrà passare sul suo cadavere.
Ha recuperato un film vecchio quanto il suo ragazzo, di quelli dove i protagonisti si prendono e si mollano fino al gran finale in cui mettono insieme due neuroni e confessano di non aver mai smesso di amarsi. Baci e abbracci, fiori d'arancio e carie assicurate. Poco importa che Nico lo chiami Mr. Bambi per una settimana - maledetta Julia Roberts per non essersi opposta a quel soprannome quando ha letto il copione! - perché è un prezzo che paga più che volentieri per scorgere l'ombra di un sorriso sulle sue labbra mentre se ne stanno spaparanzati sul divano a coccolarsi. Si sorbirà volentieri Niccolò che gli dice che questo è il loro film, cioè: tra quel nomignolo, la scena in cui scavalcano il cancello per andare nei giardini e la pellicola a cui sta lavorando Anna che guarda caso si chiama 'Helix'?
"Ehi, so che non hai granché fame e non ti va di far nulla... Ma non vorrai mica lasciarmi solo mentre mi mangio un gelato e mi guardo Notting Hill... Giusto?" Gli chiede, appoggiandogli una mano sulla spalla e sperando che se la senta di chiudere il suo portatile e rimandare la visione di Requiem For A Dream al duemilamai. Ha già preparato due cucchiaini, anche se come sempre finiranno per farlo sciogliere e lo leccheranno via l'uno dalla pelle dell'altro - con Martino che si lamenta per quanto è antigienica quella pratica, anche se non smette mica di lavar via fino all'ultima goccia - e una scorta di altre commedie romantiche da metter su casomai l'umore di Nico non fosse migliorato neanche un po'. "Tanto le lenzuola non scappano, puoi tornare a fare il burrito umano più tardi. Su, avanti." Lo incoraggia scherzosamente ad alzarsi, lasciando scendere la mano dalla spalla. Gli accarezza il braccio, arrivando poi alla mano che Niccolò ha appoggiato sul cuscino.
"Okay..." Mormora, senza troppa convinzione. Però afferra la sua mano, facendosi tirare su. Lo segue fin nel soggiorno, dove si lascia cadere mollemente sul divano. Reclama subito un abbraccio, non nascondendo il suo malcontento quando Martino deve allontanarsi quanto basta per far partire il film.
"Da burrito a cozza? Di bene in meglio, direi..." Lo prende un po' in giro, con un leggerissimo bacio sulle labbra. Ci sarà anche il passaggio a 'polipetto' , che non arriverà mai troppo presto. Probabilmente non sarà quella sera stessa, ma magari l'indomani.
Sperarci non costa nulla, no?
1 note
·
View note
La settimana scorsa sono tornata a Roma, il primo giorno dopo tanti mesi. Il primo treno dopo il lockdown. Ed è stata una sensazione strana, triste, e un po’ mi sono arrabbiata.
Se riavvolgo il filo dei ricordi e il filo della vita, un anno fa (nei weekend) prendevo quel treno e poi altri mezzi, per andare da Davide. Intere mattine così, in viaggio, verso casa sua, ed il weekend era sempre una cosa bellissima. Non importava quanto fossi carica di cose da studiare, preoccupata per qualche animale, triste o scazzata con i miei. Arrivava il weekend e tutto scompariva in una nuvola di fumo verso Roma.
Ricordo ancora quando mi inventavo i passaggi verso la stazione, quando non c’erano i mezzi pubblici. Le attese del treno fra la gente, sotto la pioggia, sopra al binario. Sotto, sopra. I sedili blu e un libro che a malapena riuscivo a leggere per la voglia di arrivare. Fa ridere pensare che il giorno che l’ho conosciuto stavo leggendo Che tu sarai per me il coltello. Ce l’avevo in borsa con me. Un presagio? Farò più attenzione ai libri che leggo in futuro, quando conosco gente.
Mi ricordo l’attesa della metropolitana, pensado di aver già fatto metà del viaggio, e intanto ascoltavo musica e guardavo la mia immagine riflessa, sperando di non essere mai fuori posto. E poi mi ricordo il 764 o il 769 pieni di gente e gli autisti romani incazzati, o allegri. E l’autista gentile che mi ricordava la fermata quando non ero sicura. Mi ricordo le fermate fino a Grotta Perfetta, e via Erminio Spalla, e il suo civico con il cancello marrone e la salita, e i cespugli sempre verdi e sempre perfetti. Un tragitto che era così familiare che dopo un po’ non ci pensavo più, mentre osservavo le luci della città, le insegne, e sentivo il cuore fare i salti di gioia.
Mi ricordo lo zainetto con dentro i regali per lui, i libri, l’ombrello per ripararmi dalla pioggia di Roma, il burro di cacao alla fragola, gli anticoncezionali, le cuffiette, e un piccolo mondo che si lasciava cullare nello zaino dalle curve dell’autobus. Tutta la mia vita in un piccolo zaino e la voglia di portarla da lui.
E le volte che sono arrivata al civico giusto e ho aspettato e aspettato, e quelle in cui era davanti casa sua, e quelle in cui era ad aspettarmi alla fermata. Io col cappotto blu, e i capelli al vento, che volevo correre a baciarlo, e non correvo mai perché mi sembrava troppo. E ogni volta avrei voluto che il tempo si dilatasse e la giornata durasse mille ore, e ogni momento era prezioso.
I sabati interi ad accarezzarsi, baciarsi, spogliarsi, stringersi, graffiarsi e penestrarsi. Infinite volte in infiniti modi, in un luogo che non esisteva più e che diventava un altro luogo. Una dimensione diversa fatta del “solo noi”, e del rimanere ancora un altro po’ dentro e ancora un altro po’ nudi. Dell’emozione dell’amore senza protezioni perché tanto ero io quella che si gonfiava di ormoni. Che vale davvero la pena rovinarsi il pH vaginale poi?
I pranzi ritardatari perché c’era sempre tempo per un altro round e i vestiti addosso pesavano. La pasta cucinata fra una risata e uno schiaffo sul sedere. La pizza della pizzeria vicino casa, il cinese dove siamo andati dopo la nostra prima volta. E a pensarci sembra successo ieri. E a pensarci non mi ricordo più il sapore di nulla.
I pomeriggi passati a giocare insieme alla play station e a prenderci in giro, e a sentire sua madre commentare i programmi trash. Le mille canne che ci facevamo prima di chiudere la finestra. E i massaggi alla schiena che poi erano solo un pretesto per strapparci di nuovo i vestiti di dosso e ricominciare a baciarci, sbranarci e svuotarci. I capelli rossi in bocca, i baci fra le coscie e i preliminari che non duravano mai abbastanza. E poi le corse alla fermata e gli autobus e la metro e il treno. I treni persi e un ora di attesa a Termini, fra gli ultimi viaggiatori, i militari e gli eroinomani. E poi il viaggio e la mia stazione, e la macchina per tornare a casa. Quella casa desolata dove ognuno vive per fatti suoi, come con un coinquilino, ma con cui hai una relazione anagrafica.
E tornare a Roma mi ha ricordato tutto questo e altro. E ho pensato che wow, come cambiano le cose da un anno all’ altro, come cambia la gente e la vita. Come sono cambiata anche io. Ora sono cinica e disillusa, e non ho capito cosa ho sbagliato e perché tutto è andato perso. E perché aveva così poco valore. E ho pianto tantissimo e ho affogato un estate intera con le mie lacrime. E ci ho finito un tirocinio questa estate, invece di spenderla con lui in terrazza a soddisfarci.
E adesso ho archiviato tutto, per forza, non c’era soluzione. E sono andata avanti, e sento il cuore alleggerito, e la voglia di ricominciare. Perché non mi manca più e non tornerei indietro. Perché sono stanca di rapporti senza spessore. Voglio qualcuno che ci metta la mia stessa profondità e il mio stesso impegno. Perché mi manca dormire fra le braccia di qualcuno, ma non voglio mai più che siano braccia di chi non mi vuole davvero. Mi manca farmi penetrare, ma sta volta dovrà essere diverso. Voglio qualcuno che mi sappia anche ascoltare e capire, che sia in grado di entrare dentro di me in altri modi e maniere. Mi mancano i baci roventi ma ho bisogno di conoscere anche le coccole e un diverso calore. Mi manca tanto il sesso, che farei continuamente, ma forse alla fine come dice il buon Lars in “Nymphomaniac”, l’ingrediente segreto del sesso è l’amore. Rimane il mio film preferito su tutti.
Giampaolo, da gemello di diversa madre qual’è lui, mi ha detto che devo crearmi nuovi ricordi e prospettare un futuro diverso. Ma non è Davide che mi manca, come può mancarmi qualcuno che mi ha sbattuto fuori dalla sua vita, abbandonato e ferito senza pietà? Mi mancano solo quei momenti e quelle sensazioni, e la felicità che conseguentemente portavano.
Quello che mi manca in realtà è avere una connessione reale con un altro essere umano, una segreta e intima co-dipendenza. Quella creazione di mondi e tempi speciali, solo miei e dell’altro. Quella libertà e quell’alchimia. Quei momenti privati nella penombra di una camera. Quel poter fissare estasiata un essere umano che dorme, e pensare che quell’istante e quella visione sono solo miei. Mi manca quella intimità e dolcezza, quella serenità e appagamento. Voglio di nuovo vivere quelle sensazioni, e sta volta spero che non sia più una cosa unilaterale.
Tornerò a Roma, e riuscirò a pensare a qualcos’altro. A pensare che non devo avere paura di soffrire, che non sarò sola per sempre. Dopotutto è crollato solo quel singolo microcosmo, non il mio intero mondo. E poi, in definitiva, dalle rovine ci si può solo rialzare e costruire qualcosa di meglio.
11 notes
·
View notes
Partita a scacchi (versione soft ma v.m.18)
La tensione che c’è in questa stanza è palpabile, io ad un lato del tavolo, lui all’altro.
Non ci stacchiamo gli occhi di dosso, questa è l’ ennesima sfida che ci siamo lanciati, ormai per noi è routine, questo è il nostro modo di vivere.
Cerchiamo lo scontro di continuo, anche per le piccole cose.
Ne abbiamo bisogno, come l’ossigeno per respirare.
Abbiamo chiuso tutti fuori da questo nostro mondo fatto di lotte continue.
Non parlo di una semplice scazzottata, tutt’altro.
Il nostro è un bisogno fisico.
Tutte le volte che facciamo sesso, ci ammazziamo di botte per vedere chi è abbastanza forte per star sopra e comandare i giochi.
Se qualcuno mi chiedesse chi sta più sopra probabilmente non risponderei, diciamocelo son affari nostri, non coinvolgiamo nessuno proprio per non esser disturbati.
L’ennesima noiosa riunione volge al termine, chissà cosa succederà adesso, sono proprio curioso.
Lo seguo con lo sguardo, devo esser pronto a qualsiasi cosa, non so quali pensieri affollano la testa del russo.
Di punto in bianco ti sento dire.
<”Dubito che il tuo ritorno avverrà oggi.”>
Mi dice guardandomi negli occhi, io sostengo il suo sguardo senza alcun problema.
<”Posso sapere il perché?”>
Gli dico con un notevole nervoso.
Guarda attraverso la finestra e punta il dito, io lo seguo con lo sguardo.
<”Nevica, fra poco la strada non sarà più percorribile.”>
Si ferma un attimo.
<”Andrà avanti per almeno una settimana, la cosa più sensata è che tu venga a casa mia. Ho i mezzi giusti per la neve ed è anche la più vicina.”>
Stringo i pugni e guardo nuovamente fuori, odio dover dargli ragione, la prenderà come una vittoria ne sono certo, solo che si sbaglia di grosso, devo solo piegare la testa per questo imprevisto.
Recupero la mia roba ed esco di li, lui è andato a prendere la macchina.
Continuo a lottare con la mia testa mentre lui arriva.
Sospiro e stringo i denti mentre monto dal lato del passeggero.
Durante il viaggio nessuno dei due fiata, possiamo dire che sia una tregua momentanea.
Suona il clacson quando superiamo il cancello.
I baltici escono in tre secondi, sembrano dei burattini.
Ma…
Aspetta manca qualcuno all’appello, sapevo che aveva anche la Prussia sotto di se, solo che non lo vedo.
Lo sguardo mi cade su una delle grandi finestre, ah ah eccolo li, adesso mi torna tutto.
Mi guardo attorno mentre lui distribuisce i vari compiti, mi sfugge una risata quando li vedo scattare.
Il russo si gira verso di me e mi guarda.
<”Cosa ti diverte così tanto?”>
Lo guardo.
<”Mi fanno ridere, sembrano anzi, sono delle perfette marionette pronte ad ubbidire ad ogni tuo comando.”>
Mi guardi.
<”Se vogliono mangiare devono svolgere i loro compiti.”>
Mi dici mentre entriamo in casa, un lungo corridoio si staglia davanti ai miei occhi.
<”Non mentivi quando dicevi di aver una casa grande.”>
<”Non mento sempre, lo faccio solo quando mi fa comodo.”>
Alzo le spalle mentre ci incamminiamo in questo infinito corridoio.
Lo vedo fermarsi davanti ad una porta scura rispetto alle altre.
<”Questa è la tua camera finché dovrai stare qua, Toris ti dirà i vari orari della giornata.”>
Finita questa frase riprendi a camminare, a me non importa, voglio solo stendermi.
Apro la porta ed entro, non è il mio ideale di stanza, c’è proprio l’indispensabile.
Mi giro verso l’ingresso quando mi sento chiamare, è il lituano che mi da le minime informazioni che mi servono.
Quando se ne va chiudo la porta e mi lancio sul letto dopo essermi tolto la giacca, sono dannatamente stanco.
Gli occhi mi bruciano, quasi quasi mi riposo.
Mi tolgo gli occhiali e li poggio sul comodino posto a fianco del letto.
Mi sistemo sul letto addormentandomi in pochi secondi, i viaggi mi stancano.
Apro gli occhi solo quando mi sento chiamare dal lituano, mi dice che è ora di cena, io annuisco alzandomi dal letto dopo essermi messo gli occhiali.
Seguo il lituano in una grande sala da pranzo, accidenti che sfarzo.
Noto che sono quasi tutti seduti, si vede che hanno paura di lui.
Il lituano mi accompagna al mio posto, oh dannazione son seduto proprio vicino al russo, ma che fortuna…
La cena si svolge in silenzio come il viaggio in macchina, nessuno fiata, la tensione è palpabile e ognuno cerca di nasconderlo come può.
Sussulto quando sento un piede sfiorare la mia gamba, capisco subito chi è, ho la sfortuna di averlo vicino, troppo vicino.
Allontano il suo piede con il mio, ma che crede di fare?
Tiro un sospiro di sollievo quando la cena finisce e ci alziamo da tavola, io mi defilo in tre secondi tornando in camera, col cavolo che aiuto, io non sono un suo sottoposto, anzi io non dovrei neanche essere qua.
Entro dentro andando a sedermi sul letto sbuffando, non mi piace star qua, non è il mio ambiente.
Sospiro e mi alzo andando alla finestra non accorgendomi di non essere più solo.
<”Dovresti ringraziarmi per non averti fatto partire.”>
Faccio un salto quando sento la sua voce, quando è arrivato?
<”Scordatelo, non riceverai nessun ringraziamento da me anzi, mi chiedo cosa stia architettando la tua testa, tu non fai mai le cose a caso.”>
Mi guarda facendo qualche passo in avanti.
<”Su questo mi conosci bene, in effetti ho sempre il mio tornaconto, ed ora sono venuto a riscuoterlo.”>
Ti avvicini ancora ed io indietreggio ma tocco il muro dopo poco, dannazione sono in trappola.
Lo vedo sogghignare, vorrei tanto spaccargli la faccia.
Mi metto in posizione di guardia quando vedo che continua a camminare verso di me.
Non ho intenzione di star fermo.
Parto all’attacco con un pugno, lo prendo pieno nel viso ma sembra che non lo abbia neanche sfiorato, invece per mia sfortuna il suo colpo va a segno, ho fatto la cavolata di non indietreggiare dopo il colpo che gli ho tirato.
Un dolore atroce si sviluppa dalla bocca dello stomaco, ma non mi arrendo, parto con un pugno e subito un altro, la rabbia si sta impossessando di me, non devo perdere il controllo gliela darei vinta.
Ci ritroviamo entrambi pieni di lividi e ferite da cui fuoriesce il sangue, io non son messo bene, e nemmeno lui se la passa tanto meglio.
Il rantolio del fiato corto è l’unico rumore che si sente nella stanza, ci stiamo studiando a vicenda.
Decido io di rompere questo momento di stasi partendo all’attacco, solo che non mi sono accorto di quel maledetto rubinetto col quale mi afferra una gamba facendomi crollare a terra.
Dannazione!
In un attimo me lo trovo sopra, non doveva andare così, maledizione.
Lo guardo e con una notevole fatica gli dico.
<”Stavolta hai vinto tu dannato, ma la prossima volta non andrà così.”>
Come risposta ho un tuo semplice sorriso come un bambino che ha appena avuto il giocattolo che voleva da tanto.
Ti avvicini al mio orecchio e lo mordi mentre mi leghi le mani in alto.
Come sempre, questo è un rituale oh beh io ho il mio quindi non me ne stupisco.
Mi togli gli occhiali e li poggi a terra, almeno per una volta li riporto a casa integri.
Poi ti fermi a guardarmi, i minuti sembrano interminabili.
L’adrenalina mi pulsa nelle orecchie come un tamburo.
Sento le tue mani intente a spogliarmi.
Il tocco freddo sulla mia pelle mi fa rabbrividire, hai sempre le mani gelide.
Mi ritrovo con gli occhi bendati, riconosco la mia cravatta.
Accarezzi il mio petto per poi soffermarti sui capezzoli provocando un mio flebile gemito.
Ne susseguono altri più acuti quando inizi a lasciare segni del tuo passaggio sul mio corpo, quanto ami riempirmi di quei fiori rossi, tutte le volte li guardi orgoglioso del tuo operato.
Una mano va a sfiorare la mia erezione mentre le tue labbra incontrano le mie, niente morsi per una volta solo semplici baci.
Questa si che posso definirla come guerra fredda.
Il mio corpo diventa sensibile sotto il tuo tocco gelido ma caldo allo stesso tempo.
Un gemito più alto sfugge al mio controllo quando sento le tue dita dentro di me, le muovi lente e ti godi ogni mio rumore ed ogni mio movimento.
Sento i tuoi occhi addosso, so che ti stai godendo lo spettacolo, ma so bene che non resisterai più di tanto, vuoi possedermi ancora una volta.
Mugolo quando sento le dita uscire dal mio corpo.
Sento i tuoi abiti scivolare a terra prima di afferrare le mie gambe.
<”E così la Russia ha la meglio sull'America”>
Mi dici prima di entrare dentro di me facendomi inarcare la schiena e gemere, porti sempre l’eccitazione al massimo, non solo con i tuoi tocchi, ma anche con le semplici parole.
Ti inizi a muovere dentro di me, sembri quasi gentile in questo momento, le tue spinte son lente.
Dopo poco mi ricredo, era solo l’inizio e lo ringrazio, mi annoio altrimenti.
Le sue spinte ed i miei gemiti vanno di pari passo.
Lui aumenta le spinte e anche i miei gemiti aumentano.
Sento le labbra secche e la gola asciutta ma riesco a dire.
<”Di più...”>
Accogli subito la mia richiesta.
Ti sento uscire da me, ti soffermi a guardarmi prima di afferrare le mie gambe, sento che le pieghi e le porti vicino al mio viso.
Rimaniamo fermi per qualche istante prima di sentirti sprofondare dentro di me.
Emetto un urlo di puro piacere, ti sto sentendo più a fondo dentro di me.
Stavolta non riesco a controllare i miei gemiti che escono senza contegno.
Queste spinte mi stanno portando alla pazzia, la mia testa non è più capace di ragionare.
Lo chiamo fra i gemiti, sto arrivando al limite.
Limite che raggiungo dopo qualche altra spinta.
Lo chiamo per nome mentre vengo, lui fa lo stesso.
Un altro gemito sfugge al mio controllo quando esce da me.
L’unica cosa che si sente nella stanza è il respiro affannato di entrambi.
Mi liberi gli occhi e le mani dopo esserti rivestito.
Io mi tiro su sedendomi, tu non mi stacchi gli occhi di dosso.
<”Cos’è vuoi fare un altro giro?”>
Gli dico mentre cerco di riprendere fiato.
<”Se non avessi da fare lo farei molto volentieri. Oh beh nei prossimi giorni sei qua da me, posso farti quello che voglio.”>
Stringo i pugni.
<”Non credere che andrà così la prossima volta.”>
Ti sento ridire mentre lasci la stanza.
Io mi tiro su e mi metto a letto coprendomi, più tardi mi vestirò adesso sono troppo stanco e voglio riposare, so che le sue parole sono veritiere.
Ricorda russo, hai vinto solo una battaglia, non la guerra.
Dico nella mia testa prima di lasciarmi andare fra le braccia di morfeo.
Scritta per il Red Contest – Summer Edition indetto dalla pagina facebook Axis Powers Hetalia – Italian Fans.
12. Tema libero
RusAme; RussiaxAmerica; Cold War
1,782 parole_One shot
4 notes
·
View notes
Quello che non ti ho mai detto.
Non so come iniziare tutto ciò, questo testo sarà un vomito di emozioni, di parole non dette e di azioni non fatte. Ti ho parlato per la prima volta il 14 dicembre, io imbambolata, tu che con disinvoltura ridevi assieme a una mia amica. Non ci sono state presentazioni ma dopo quella conversazione io sapevo già tutto di te. Qualche volta mi voltavo tra una pausa e l’altra dello spettacolo per cercarti con lo sguardo, indossavi un capellino orribile ma che indossi quotidianamente però per me eri bello lo stesso. Tornai a scuola e mentre parlavo solo di te, cercavo un modo per avvicinarmi a te, anche solo come un’amica, elaboravamo piani su piani e più passavano i giorni e più io rimanevo incantata solo al tuo sorriso. Finalmente arriva quel giorno, il giorno della mia fine, 22 dicembre, prom d’Inverno. Ero vestita tutta bene e il pensiero era rivolto sempre a te. Non so tutt’ora come i miei amici mi abbiano sopportato quella sera. Entriamo nel locale e subito incontro te e chiedendoti quel fottuto ballo ho incasinato la mia vita. Balliamo, ci divertiamo e a volte ci lamentiamo della musica a noi sconosciuta ma che allo stesso facciamo finta di conoscere e poi mi prendi e mi baci. Se ripenso a quell’attimo ancora mi appare un sorriso, le nostre labbra furono a contatto per la maggior parte della sera come le nostre mani che non si staccavano. Io con il sorriso fisso stampato in volto tu falso come pochi. Si falso perché da quella sera hai iniziato a dirmi tante di quelle cose che io ho iniziato a crederci, ma in chat tutto era più semplice, non avendoti davanti non potevo vedere i tuoi sorrisi non potevo vedere i tuoi difetti perché tu non c’eri e non ci sei mai stato. Ritorni finalmente dalle tue vacanze e decidiamo di vederci assieme a gli altri il 4 gennaio a casa mia, io che mi faccio sistemare i capelli per beni e cerco di truccarmi decentemente dato che ero malata ma non volevo farmi vedere giù da lui. Dopo due settimane ti vedevo e quando ti vidi davvero entrare nel mio cancello, la mia reazione non fu quella che mi aspettavo. Ti abbracciai forte ti diedi un bacio ma mancava qualcosa ma ancora non riuscivo a capire. Ci mettemmo sul mio letto abbracciati e a volte ti guardavo ma tu non eri tu. Tutto il mondo ti vedeva come il ragazzo perfetto e sulla carta lo eri ma dal vivo non esistevi. Mi avevi ubriacato con delle parole. Nei giorni successivi la situazione peggiorò, perché io ero innamorata ma mica illusa. Te non eri te ma non eri ancora scomparso e questa cosa mi fa capire come io ti abbia visto scomparire a poco a poco, ma nonostante tutto non ho smesso di provare quel sentimento e anche se non sei mai stato tu sento il tuo profumo tra gli oggetti che hai toccato e ricado nelle illusioni di qualcosa che non è mai esistito. Durante gli intervalli hai iniziato ad ignorarmi sempre di più e mentre tu sorridevi io cercavo di non piangere, però nonostante tutto tu notasti che io stavo cambiando e mi fermasti per parlare chiedendomi cosa non andasse in me, come se io fossi la causa di tutto ciò. Immediatamente mi dissi che non volevi lasciarmi ma che allo stesso tempo tu non ci tenevi a me, per te ero un oggetto bello da mostrare solo nella propria storia di Instagram. Mi incolpasti di tutto e io piangevo mentre tu balbettavi per il nervoso e io che cercavo di capire tra rabbia e lacrime trattenute. Ma parliamo di ora, ora tu sei felice pensi già alle tante ragazze che ti vanno dietro mentre io riguardo quelle foto che risultano sempre più false, piene di sentimenti a senso unico. Ora che tu vai a dire in giro che quella che sta male non sono io, ti senti con la coscienza più pulita e io sto qua ferma a stare zitta a cercare un tuo sguardo che non mi dai perché non riesci neanche a reggere il confronto.
9 notes
·
View notes
Un giorno all'improvviso
Mettiamo caso che un giorno all'improvviso guardi fuori la finestra di casa tua e ti accorgi che ti manca qualcosa. Ti giri dall altro lato e la vedi al tuo fianco:bellissima,con i suoi capelli biondi,mezza nuda perché stanotte avete fatto l'amore,la guardi ma non senti nulla,quel vuoto che sentivi guardando la finestra e ancora lì e persiste. Ti alzi,fai colazione e fissi il vuoto,ti continui a chiedere cos'è che manca. Ti lavi,lei dorme ancora. Ti vesti e senza neanche darle un bacio come fai di solito esci di casa,non hai una meta:è domenica e quindi non lavori,per di più sono le sei di mattina. Sei in auto stai continuando a guidare senza una meta precisa,ad un certo punto ti fermi,continuandoti a chiedere che cosa stai cercando,vedi un centro commerciale,parcheggi ed entri,vai nel reparto delle bibite e meccanicamente prendi una 7up,poi vai nel reparto degli snack e prendi una busta di popcorn e una di nutella biscuits,paghi ed esci dal centro commerciale. Entri in auto,guardi le cose che hai comprato e sorridi. Metti in moto,questa volta con una meta ben precisa. Arrivi a destinazione,guardi quel palazzo e ti sembra un muro insormontabile,quando in realtà sai benissimo che il cancello è rotto da sempre e quindi è aperto. Prendi il cellulare dalla tasca,qualcuno ti sta chiamando:è lei! stacchi la telefonata e componi un numero,l'unico che conosci a memoria da sempre. Il telefono sembra squillare a vuoto fin quando una voce roca ti risponde:"pronto", ti si blocca il respiro per qualche secondo e tutte le parole a cui avevi pensato sembrano non riuscire ad uscire dalla tua bocca, lei si arrabbia e ripete:"Pronto!", qualcosa in te si sblocca e così le rispondi:"Pronto" a quanto pare lei riconosce la tua voce perché non parla,allora decidi di farlo tu:"Sono fuori casa tua.Ho portato la 7up,i popcorn e i nutella biscuits.Sul cellulare ho Netflix e tanti giga da consumare", lei non risponde,riattacca. Ti guardi allo specchietto e ti senti uno stupido con un vuoto incolmabile e ti chiedi come hai potuto pensare anche un solo secondo che lei ti perdonasse tutto il tempo in cui non ci sei stato. Guardi la busta con le cose che hai comprato apposta per lei, poi alzi lo sguardo e la vedi lì davanti la portiera della tua auto con indosso un'enorme felpa a farle da pigiama. Apri la portiera,lei entra senza dire niente. Tu la guardi e sorridi,ti senti felice. Lei ha lo sguardo basso verso la busta che pochi secondi prima stavi guardando tu. L'imbarazzo è percettibile,ma poi ad un certo punto lei sorride,anche se ha lo sguardo basso tu lo noti, così le dici:"Mi dispiace essere venuto sotto casa tua all'improvviso,ma sai mi sono svegliato e mi sentivo vuoto,ho guardato lei al mio fianco e non provavo niente,anche se stanotte abbiamo fatto l'amore.Ho iniziato a vagare senza meta e meccanicamente mi sono ritrovato in un centro commerciale e ho preso le cose che più ti piacciono e poi sono corso da te. Mi dispiace averci messo così tanto". Lei alza lo sguardo e quando i tuoi occhi incontrano i suoi pensi che ha gli occhi più belli del mondo,anche se sono dei comuni occhi castani. Ti guarda e sorride,il tuo cuore perde un battito. Ad un certo punto una lacrima le percorre il viso,sai che la colpa è tua,sai che quella lacrima è per te. Lei ti guarda e ad un certo punto parla:"Non ho smesso di aspettarti neanche un giorno e adesso che sei qui mi fa male. Mi fa male sapere che ti avrei aspettato ancora". La guardi,le sue parole sono un pugno allo stomaco,non sai che dire ne che fare. I vostri occhi sono perfettamente inchiodati l'uno all'altro,lo senti,senti di dover fare qualcosa un qualcosa di cui ti sei sempre voluto privare. Ma questa sera decidi che sarà diverso. Ti avvicini a lei,prendi i suoi capelli tra le tue dita tirando la sua testa verso di te,le labbra si sfiorano,il tuo cuore perde un altro battito. Non resisti più la baci. Mettiamo caso che un giorno all'improvviso ti ritrovi nella felicità.
12 notes
·
View notes
Grandi navi, grandi speranze. Secoli Bui al tramonto
Ecco, il profumo del gelsomino, l'odore della sera, adesso che il sole è diventato gentile e il mare rosa e perfino la gigantesca crociera che si allontana ha una sua aura romantica di addii e baci e foulard al vento che contrasta parecchio con i turisti ottantenni in sandali e calze contenitive che invece probabilmente sono a bordo. Il ché mi riporta in mente il discorso del cappello e del perché non posso proprio metterlo: non voglio assolutamente assomigliare alla nipote zitella che accompagna la zia in crociera. Già, e devo dire che qui è la prima volta che mi capita, i camerieri e i cassieri mi si rivolgono in inglese. Ok, ho le lentiggini e sono pallida ma, cazzo, sono nata e cresciuta qui, non sono mica tedesca!
Ma torniamo al gelsomino e ai gradini tiepidi davanti alla porta. Il cane guarda dal cancello, fiduciosamente in attesa dei propri simili dediti alla passeggiata serale. Si urleranno contro gli uni con gli altri e poi ognuno se ne andrà soddisfatto, certo di aver fatto il proprio dovere e di aver avuto la meglio. Il ché mi ricorda tanta gente che scrive, ma non divaghiamo. Le zanzare mordono ma, al momento, in modo meno famelico, anche loro più gentili in questa sera di inizio estate. Io sono brumosa, come il mare coperto d'umido. Vaga come la città sospesa nell'oro del tramonto. Una pausa nello spartito che non attende e non rimpiange. Mi manca lo spazio, uno spazio, pur avendo l'orizzonte davanti. Essere o costruire? Ecco, il costruire mi manca. Mi manca mia figlia. Prendermi cura è la mia sola dote. Ora mi prendo cura di persone al tramonto ed è diverso da prendersi cura di persone all'alba. Non ha orizzonte. Non costruisce. È triste. Quindi sono brumosa e vaga e triste. Ho ucciso una zanzara, a karma di merda sono comunque a posto.
Aspetto le sirene o le campane. E le lucciole. Buona serata tumbleri
34 notes
·
View notes
Sono in mancchina che ti aspetto in questo momento ... Volevo dirti che mi manchi, e tutte le parole che ti ho appena detto sono vere. Tu sei meglio di quello che volevo.. tu mi dai la felicità ogni giorno. Ti basta pensare che in questo momento ho il cuore a mille, e la ragione sei tu. Ne sei la ragione ora, e sempre. Il mio cuore batte per te. Io vivo per te. La mia vita è stata creata per scontrarsi con la tua, per dare inizio ad una vita sola, che non si chiamerà più „la mia vita“ e neanche „la tua vita“, ma „la NOSTRA vita“. E sai perché respiro? Per te. Perché i tuoi baci riempiono i miei polmoni di ossigeno e di amore. I miei occhi il creatore li ha realizzati per far sì che i nostri sguardi quel giorno di maggio (2018) si incontrassero, e che per la prima volta si inviassero dei segnali che noi non saremo mai stati amici nella nostra vita, e neanche conoscenti, perché i nostri occhi già lo sapevano che un sentimento più grande di ogni cosa ci stava legando... erano i nostri cervelli che dovevano ancora unirsi. Ed una volta usciti, le nostre anime ne hanno finalmente creata una unica, ed è da quel giorno che tu fai parte di me. Il tuo cuore è entrato nel mio corpo ed ha inciso sul mio cuore il tuo nome. E il mio cervello col tempo è poi diventato dipendente, dipendente da te. Perché tu sei droga. Tu sei la MIA droga. Perché più ti vedo e più ho bisogno di vederti, e non ce la faccio senza di te. Il mio cervello in testa ha solo te, lo giuro. Io ti penso, e non raramente, ma sempre. Ti sto pensando adesso. Sto pensando a come stai, a cosa starai raccontando ad Arab, e tra quando sarai fra le mie braccia. Ti penso ora, ma l’ho fatto anche prima. Ti penso un po‘ tutti i giorni, circa tutte le ore, diciamo tutti i minuti, c’è ti penso ogni secondo, e se ne salto qualcuno è perché ti ho accanto e preferisco viverti in quel momento. E sono certa che anche domani ti penserò, e pure dopodomani e tutti i giorni che seguiranno. Tu sei veramente la mia droga. Però non sei una classica droga che ti rovina la vita.. tu sei speciale, sei l’unica droga che più ne prendi, più sei felice, e più stai bene, e ti porta a migliorare la vita, partendo con i piccoli gesti. Tu sei la mia gioia, la mia felicità, la mia dipendenza. Tu sei il mio sogno che ora non è più nel cassetto, ma fra le mie braccia, ed anche questo è un’altro sogno che mi hai avverato. Tu sei la mia persona. Mi tiri su in una maniera incredibile, e fino al momento in cui ti ho conosciuto pensavo che non si potesse stare così bene, non si potesse stare così bene in compagnia di una persona, e non credevo neanche che una persona riuscisse a tirarti su così. Tu mi hai cambiata, mi hai resa te al femminile, ed è bellissimo. Amo quando io penso ad una cosa, ed il secondo dopo la dici tu, proprio come se i nostri cervelli fossero collegati da un filo che noi non possiamo vedere.
Adoro quando abbiamo i stessi gusti, quando il mondo per certe cose odia i miei gusti. Quando sono con te mi sento me stessa, anzi, con te sto meglio che con me stessa. C’è io quando ti racconto certe cose te ne parlo come se fosse una discussione tra me e me, perché tu sei me. Capisci che intendo dire? Tu sei la mia fotocopia. Ovvio, in qualche cosa ci differenziamo, ma la differenza tra noi è minima. Io ti adoro, e ti ammiro moltissimo. Se potessi starei dentro il cantiere tutto il giorno a dirti “bravo amore, sei il mio orgoglio!”, e non me ne fregherebbe se gli altri mi guardassero male, perché degli altri non mi frega, perché in testa io ho TE. Sai cosa farei se fossi ricca? Ti regalerei di tutto. Tutto ciò che ti piace. Ti pagherei i dottori migliori che ti curino i dolori alla schiena, e ti farei stare a casa da lavoro, ti manterrei io per farti stare a casa sereno e tranquillo tra le mie braccia. E sai che farei se fossi magica? Eliminerei tutti ad eccezione di io e te. Gli altri sono inutili. Non ho mai visto altri occhi, al di fuori dei tuoi,che appena li vedo sto meglio. Se fossi magica eliminerei tutti i tuoi problemi, quelli che ti fanno stare male, partendo dalla schiena. Non vorrei avere i poteri magici per avere un castello, ma per migliorare la vita della persona che amo, se posso. Tu sei un sogno veramente. Tu non sei il principino azzurro che voglio tutte le troie. Non sei il perfettino, e neanche lo stupido. Tu sei veramente un sogno: non sei perfetto, non per la società, ma per me si, per me sei perfetto. Non sei il mio principe, sei il mio supereroe. Perché la sera ,quando ti vedo, i baci che ti do dicono “sono orgogliosa di te amore”. Considerati quello che vuoi, ma è anche grazie a te se le persone hanno un tetto che le ripara. Se non sei un supereroe tu, non so. Per gli altri forse non sei un supereroe, però è meglio così, perché tu sei il MIO supereroe, e gli altri non ti devono guardare e nemmeno toccare. Sei MIO. E se qualcuno prova a farti del male, anche solo con parole, lo distruggo, perché nessuno ha il diritto di ferirti, ed io sono qui per proteggerti. Non sono fantastica, ma cercherò di farti stare bene, di regalarti una vita più bella, e ti regalo me stessa. Il mio cuore è già tuo, ed è anche questa una delle ragioni per cui sto male quando non ci sei: tu possiedi una parte grandissima di me, e te la porti sempre dietro, anche quando io non sono fisicamente con te. I nostri pensieri sono legati.. sono nuvolette che stanno affiancate tutti i dì e si uniscono formandone una unica. Ecco quello che siamo io e te: un’anima in due corpi. Ed è per questo che quando non ci sono ti manco, perché ti manca una parte della tua anima, e quella parte sono io. E non possiamo vivere divisi, perché un’anima per vivere ha bisogno di essere tutt’uno, e per far sì ciò noi staremo insieme in eterno. Lo so che forse non esprimo bene i miei sentimenti, ma il sorriso che mi ha accompagnata dal cancello fino ad arrivare ad incrociare i tuoi occhi tu l’hai visto bene. C’è chi dice “era solo un sorriso”, ma se l’hai guardato bene diceva un casino di cose, partendo da “Dio se ti amo”. Ti ho visto e ti ho abbracciato, però l’ho fatto con delicatezza, ma se ti avessi abbracciato con la forza paragonata alla mia felicità in quel momento, tu ora non avresti più le costole. Mi hai cambiato la serata. Mi è bastato vedere la polo da distante per sorridere. Sapevo già che la mia meraviglia mi stava aspettando, e credimi, quest’ultima cosa è la cosa più bella del mondo. Mi hai appena vista, e probabilmente ti sei accorto del telefono... penserai che sto scrivendo ad un’altro, invece, sto scrivendo a quello con cui scrivo sempre, sto scrivendo a te.
𝑽𝒊𝒗𝒊
5 notes
·
View notes
Il tuo numero.
Non l'ho cancellato il tuo numero.
Non l'ho cancellato perché non voglio cancellare il ricordo di te. Non voglio cancellare l'ansia delle prime uscite, l'incoscienza di entrare nella macchina di uno sconosciuto. Non voglio cancellare i tuoi discorsi sui cancri della cittá e la tua voce accompagnata dalla chitarra. Non voglio cancellare la prima volta che mi hai toccata il seno nè la seconda in cui mi sei entrato dentro con le dita. Non ti ho mai detto che nel frattempo mi entravi dentro anche nel cuore.
Non voglio cancellare neanche i litigi, neanche le volte in cui mi hai fatta sentire un oggetto, neanche quando avrei voluto essere altrove con te e invece eravamo sempre sulla stessa strada isolata. Non lo cancello il tuo numero perché mi hai cambiata: hai tirato fuori lati di me che non credevo di avere, hai trasformato la mia pudicizia in seduzione, la mia inesperienza in sicurezza. Mi hai cambiata perché ora l'amore ha un'altra forma, un'altra immagine e non lo voglio più. Quest'amore in cui l'affetto invade le nostre fantasie perverse reprimendole è masochismo. Che poi, che incoerenza, forse un po' ti ho amato ma razionalmente, ti ho amato consapevole di non poter avere nulla se non il tuo corpo e tu il mio, consapevole che prima o poi ti saresti stancato dei miei limiti. Così è stato. Ora mi tormento domandandomi quanto di quello che mostravi fosse vero, se i baci sulla fronte e i messaggi dopo un litigio fossero sentiti. So che resterà per sempre un dubbio colmabile solo dal tempo eppure la guarigione da questa passione malata mi sembra lontanissima.
Non l'ho cancellato il tuo numero, chissà, magari un giorno ti andrò bene.
3 notes
·
View notes
#puzzle2
Lui.... di cui ancora non riesco a scrivere nonostante il tempo. Non perché ci sia ancora qualcosa tra noi o per qualche stronzata simile legata al presunto amore... ma perché ci sono cicatrici che continuano a far male anche dopo essere guarite.
Spero di riuscire a trovare la forza prima o poi, per descriverlo con le parole che merita... ma ho capito che non è questo il giorno.
Questo, è un frammento di lui, che avevo scritto nel momento dell’accaduto e poi cancellato dal blog perché era riuscito a trovarmi anche qui...
“Quando sarò grande, parlerò di te. Parlerò di te e racconterò tutto, di quanto ci siamo amati.. e di quanto ci siamo fatti male. Parlerò di te e racconterò di quanto tu sia stato l’unico a riuscire a farmi toccare il fondo per davvero, quando non credevo potesse essere possibile aggiungere altra merda alla mia vita.
Parlerò di te, si, della prima volta che i nostri occhi si sono incrociati e di quanto Eleonora ed Elia ci hanno guardati male, di quanto quella mattina, la conversazione che si è creata, era praticamente solo tra noi due, e dirò di quante volte nell’arco di due ore ho pensato “dio, è spettacolare!”.
Parlerò di te e racconterò di quanti vestiti ho provato prima di uscire, quella sera; di quanto ho provato a convincermi che la ricerca del vestito perfetto non fosse per rimediare al mio pessimo vestiario del primo giorno fatto di pantacollant larghi, maglietta verde militare e felpa bordeaux. Racconterò dell’ansia prima di arrivare e della tua faccia che si è illuminata quando mi hai vista.
Parlerò di te, racconterò a tutti di quel divertentissimo primo bacio, rubato, che sapeva di piña colada mischiata alla birra e della tua espressione a metà tra l’“oddio che bello non mi ha ucciso” e l’”oddio il cocco, che schifo”. Racconterò di come quella stessa sera, camminando, per baciarci abbiamo quasi preso un palo e di come tutto sembrava essere finalmente al posto giusto.
Parlerò di te, e racconterò ogni singolo dettaglio dei giorni successivi, del momento in cui ho creduto che fossi tornato da lei senza nemmeno degnarti di dirmi nulla; di quant’eri bello, quella notte, fuori casa mia, con la tua maglietta bianca, quella che adoro, mentre con gli occhi lucidi mi guardavi e mi dicevi “ti prego dì qualcosa, insultami, prendimi a pugni ma fa qualcosa”.
Racconterò di ogni bacio, di ogni volta che il mio essere andava praticamente su un altro pianeta ogni volta che il tuo respiro si avvicinava al mio corpo, ogni volta che le tue mani sfioravano le mie.
Parlerò di te e racconterò a tutti di come le tue labbra si arricciano quando non sai che fare, di quanto sei odioso quando pensi perché cammini avanti e indietro incessantemente. Racconterò di quanto sei bello mentre fumi e di quanto sia bello guardarti e sentirti mentre spieghi a qualcuno le cose che ami.
Racconterò quanto sei legato alla tua famiglia fatta di centomila persone, e di quanto però in realtà tu sia solo. Racconterò di quanto sei bello quando sorridi con la faccia da ebete, di quanto sono buffe le tue espressioni quando sei fatto e di quanto mangi come se non fossi solo tu ma tu più altre due persone.
Racconterò di quanto sei bello quanto ridi felice e quando corri, come quella volta che siamo usciti e che dopo avermi fatto uno stupidissimo scherzo, ti sei messo a correre per poi fermarti e prendermi in braccio, dandomi tutti i baci del mondo e sussurrando “non cambiare mai”.
Parlerò di te, e ricorderò di quanto la prima notte che abbiamo dormito insieme, in realtà abbiamo fatto tutto tranne che dormire. E riderò, perché a questo punto penseranno tutti al sesso ma in realtà, racconterò di aver passato quella notte, con l’influenza, la paura e te accanto che mi sussurravi “amore tranquilla, respira, ci sono io”.
Parlerò di te, e racconterò di come sia bello, fare l’amore con qualcuno che ami, che dopo aver finito ti abbraccia e si addormenta addosso a te. Racconterò di quanto sia più bello avere accanto qualcuno che ti allaccia dolcemente i bottoni della maglietta dopo aver fatto l’amore per la prima volta, piuttosto che avere accanto qualcuno che è capace solo di toglierti i vestiti.
E purtroppo, parlerò di te…. e racconterò di quanto eri geloso, di quanto ti arrabbiavi per una maglietta un po più scollata, di quanto io non potessi più vivere la mia vita, di quanto tu mi abbia fatto arrivare ad avere paura di te, di uscire di casa, di andare all’università, di respirare. Parlerò di te e racconterò di tutte le cose che mi hai detto, racconterò di tutti gli “ammazzati”, di tutti i “fai schifo”. Racconterò di come ogni tua singola parola mi abbia lentamente uccisa, di quanto sia brutto vedere la persona che pensavi ti avrebbe protetta da tutto e tutti, cambiare faccia da un momento all’altro, tanto da farti pensare “chi sei tu?”.
Mi dispiace, ma parlerò di te e ricorderò ogni tuo “sei nulla”, “non sei una donna”, “sei un’apatica del cazzo”, “dovresti solo sparire dalla faccia della terra”, “non me ne frega un cazzo di te” e tante, tante altre cose che non voglio e non riesco a ricordare.
Parlerò di te, e racconterò di quanto la lettera e la rosa sul mio cancello mi abbiano fatto piacere e paura allo stesso tempo; di quanto ho desiderato che tu cambiassi e di quanto io non sia riuscita a superare tutto il male che mi hai fatto. Parlerò di te e racconterò dell’ultimo pomeriggio passato insieme, di quello che sarebbe dovuto essere e che non è stato, della speranza di rincontrarsi.. prima o poi.
Quando sarò grande parlerò di te, parlerò di noi, e ricorderò ogni singolo dettaglio.
Parlerò di te, e spiegherò a tutti come sia bello, amare qualcuno, avere quel “qualcosa in più” che ti illumina le giornate, ma come, amare se stessi e volere il proprio bene, nonostante sia doloroso, sia meglio.
Parlerò di te, e magari sarai accanto a me, a farti schifo quando racconterò le cose brutte, ma a dare una conclusione migliore a tutta questa storia..
Ti amo.
Ciao.”
Ecco... A distanza di anni so che per quanto ognuno ami a modo suo, quello non era il modo giusto. So che “amore” è una parole grossa e che quello non lo era.
L’ho già detto, non riesco a parlarne e per quanto sembri assurdo, quanto detto sopra è stato il minimo di tutto quello che è successo...
Per tanto tempo ho creduto di non poter avere niente di meglio dalla vita se non lui... Non perché lui fosse la persona giusta e mi amasse, ma semplicemente perché pensavo di non poter meritare altro. Che quello era il massimo a cui avrei potuto aspirare. Che il sesso con lui fosse l’unico sesso esistente al mondo.
Me lo sono trovato dietro ad ogni angolo per tanto tempo, ho avuto paura a tornare a casa di notte per innumerevoli sere, ho evitato il suo quartiere più e più volte con scuse assurde e ancora tremo all’idea di incrociarlo per strada.
In quel momento, tutta la fatica e i progressi sono stati cancellati, i polsi si sono aperti di nuovo, le felpe sono tornate e hanno preso il posto delle persone.
Sono stata zitta per parecchio tempo... Uscivo, andavo a prendere il caffè con le ragazze dell’università, andavo in giro la sera con i miei amici.. Ma non parlavo mai se non qualche parola detta ogni tanto.
Erano giorni grigi, così come il tempo. Ero sola, l’unica persona con cui solitamente mi confido era partita per la Germania poco dopo l’accaduto, e io ho smesso di parlare.
I giorni sono andati avanti così, per inerzia, vuoti.
Poi è arrivato marzo.
Non so se ve lo ricordate, ma lo scorso anno è stato un marzo particolarmente soleggiato... E io mi sono sentita abbracciata.
Da lì, da un giorno ad un altro, tutto di botto, le mie giornate hanno preso un’altra piega.
Andrea stava piano piano sparendo dalle mie giornate, la tesi era in dirittura d’arrivo, Perla era tornata a casa, gli esami erano vicini ma anche gli ultimi, il sole aveva fatto capolino tra le nuvole e le vacanze di pasqua si avvicinavano.
Ho ri-iniziato a leggere.
Libri diversi, libri nuovi e vecchi, ma dove comunque l’amore vince sempre.
E proprio in una delle notti in cui ero immersa in uno dei miei libri, ho conosciuto te.
1 note
·
View note
22.07.2019
Inizio a scrivere mentre sto già piangendo perchè non avrei mai voluto succedesse.
Era una sera tranquilla e dovevi venire a dormire da me. Come al solito prendiamo le birre e usciamo insieme. Diversamente dalle altre sere torniamo presto perchè non sto bene fuori, ho voglia di tornare a casa. “Casa” intesa le quattro mura intorno a me ma anche “casa” intesa come le tue braccia e il tuo profumo.
Torniamo a casa e stiamo sul divano, ma non per molto. Vengo presa da una delle mie solite crisi, prendo le mie solite gocce e sento le tue solite parole che usi per dirmi di non farlo. Sei arrabbiato con me, lo vedo e mi allontano in bagno. Ci rimango per un po, poi vieni per dirmi di tornare sul divano con te ma rimango per poco perchè urli e ho paura. Metto le scarpe, voglio uscire ho bisogno di aria, mentre il mio telefono cade per terra tu ti alzi e mi urli di non uscire, mi tiri forte per un braccio e un po’ mi fai male. Mi fa mai male perchè alzi la voce e mi spaventi e perchè mi tieni stretto per il braccio. Tanto stretto che il giorno dopo ho i lividi, ma non importa me li sono un po meritati e sono il segno di quanto tu mi vuoi con te.
Mi stendo di fianco alla finestra e forse a causa delle gocce mi addormento fin quando non arrivi tu a raccogliermi. Usciamo ancora per fumare, ma io ho solo una cosa in mente, devo raggiungere un posto e così mi allontano. Poco dopo mi fermi, poi ti vesti e quello che se ne vuole andare ora sei tu. Non ci penso nemmeno un attimo a lasciarti andare, ti rincorro e scoppio a piangere. Ti prego di non andartene e inizi a tirare pugni a qualsiasi cosa, ho paura sia per me che per te. Decidiamo ancora una volta di tornare ma no, io non riesco voglio andare in quel posto e inizio a correre fin quando non ho più le forze. Ancora una volta arrivi tu e ti prometto che questa volta ti seguirò a casa se non urlerai più.
Una volta arrivati fuori casa mi urli in faccia che le uniche cose che mi rimangono di te sono il peluche e la collana che lanci per terra. Odio vederti così, farti stare male per colpa mia è l'ultima cosa che volevo. Mi sento davvero male ma mi metto di fronte al cancello per non farti andare via perchè so che non è quello che vuoi e infatti ti fermi e mi dici di sederci sulle scale.
Piango ininterrottamente da un’ora, ho gli occhi stanchi e gonfi. E tu sei stanco di urlare e hai la mano graffiata. Mi dispiace non volevo tutto questo. Fumiamo in silenzio, poi mi chiedi perchè me ne volevo andare. Ti dico che avevo una destinazione e non ci metti molto a capire che volevo andare al cimitero, da papà. Mi chiedi scusa quasi piangendo per quello che hai fatto e per come hai alzato la voce con me. Mi abbracci fortissimo e ancora ti scusi. Mi ripeti che hai capito quanto io ho voglia e bisogno di te. Mi dici che ci sei sempre per me e che ci sarai sempre per me. “Io ci sarò sempre questa è una promessa” ti guardo con gli occhi pieni di lacrime e ci teniamo forte per il mignolino.
Entriamo in casa e decidiamo di andare a dormire ma hai ancora una cosa da dirmi, questa volta mi prendi delicatamente per il braccio e mi dici che non volevi assolutamente dirmi quelle cose. Ho un nodo in gola e quando mi dici che non hai nessuna intenzione di lasciarmi ti abbraccio forte, mi sento un po meglio perchè comprendo la tua sincerità nel dirmi quanto hai sbagliato a dirmi così. Me lo ripeti più di una volta perchè sai quanto ho bisogno di essere rassicurata.
Andiamo a letto, mi accarezzi, mi sposti i capelli dal viso e mi baci. Poi mi addormento quai subito è tardi e sono stanca.
E’ stato bruttissimo litigare con te in questo modo pesante però mi ha fatto capire ancora una volta quanto ci amiamo io e te. Noi. Nessun'altro saprebbe sopportarmi e amarmi così. TI AMO, e non potrei desiderare altra persona al mio fianco. ❤
1 note
·
View note
Nessuno si salva da solo, dicevano.
Tu salvi me, si sono detti.
A @brandyamber e alle sue magnifiche idee, senza di te questa storia non avrebbe mai avuto un finale.
Grazie, grazie mille. ❤
parte uno.
Inspira l’aria fresca che sa di pioggia e erba bagnata, Marco l’aveva portato in montagna. Non che a Ermal dispiaccia, assolutamente, ma preferiva di gran lunga il mare.
Sta sul balcone di legno di quella piccola baita, i gomiti appoggiati alla balaustra e una sigaretta accesa tra l’indice e il medio della mano destra. Aveva ricominciato a fumare per evitare di sentire il nervosismo che gli attanagliava il cuore, per evitare di sentire il tremore incontrollato delle sue mani. Per tenermi occupato si diceva.
L’aria frizzante di settembre era arrivata e aveva rinfrescato l’aria di quella torrida estate, il sole è alto oltre l’orizzonte e irradia la valle con la sua forte luce dorata. Ne è meravigliato. Soffia il fumo verso l’alto osservando i suoi fili grigi salire danzando.
Sente delle braccia stringersi attorno alla sua vita, sobbalza leggermente. Non era più abituato a quel tipo di contatto ed ogni volta che Marco lo sfiorava percepiva un certo disagio farsi strada nel suo cuore. “Hai dormito bene Erm?” sussurra posando il mento sulla sua spalla. Ermal annuisce appena, spegne la sigaretta nel posacenere nelle vicinanze e prende un respiro profondo, si volta verso il ragazzo osservando i suoi lineamenti, i capelli arruffati e il segno del cuscino sulla sua guancia destra. Gli sorride e Ermal può sentirsi meglio, può smettere di tremare nella sua presa. “Ti va di fare colazione?” e Ermal si schiarisce la voce, “Certamente.” ma il suo stomaco si era già chiuso al pensiero di dover per forza sedersi ad un tavolo e mangiare.
Marco era così premuroso nei suoi confronti, sapeva un sacco di lui e dei suoi progetti futuri e Ermal gli aveva aperto il cuore ma non l’anima, l’anima la teneva sotto chiave lontano dagli occhi della gente. Solo Fabrizio l’aveva attraversata, l’aveva vista e sentita, solo lui aveva curato quegli spigoli laceranti.
Fabrizio, non lo vedeva dall’ultima udienza, a fine giugno quando le giornate si erano allungate e il sole ancora non era calato alle otto di sera. Quel pensiero gli attanaglia il cuore ma lo respinge, ora è con Marco. Ora deve sentirsi felice. Gli lascia un bacio a fior di labbra, leggero, fugace osservando poi la reazione dell’altro che, sotto a quel tocco, si illumina. Difficilmente Ermal gli dava un bacio, arido ancora di emozioni e pensieri positivi, e Marco non perde tempo. Fa incontrare di nuovo le loro labbra chiedendo il permesso per poter approfondire il bacio, lo fa passandogli la lingua sui denti bianchi di Ermal, questo freme ma lo lascia fare schiudendo di poco la bocca.
Ma quello che si trova a pensare è altro, se lo immagina. Fabrizio e le sue mani sulla sua schiena o tra i ricci sfatti, sulla pelle nuda e tra le cosce un po’ sudate, i brividi che corrono giù per la spina dorsale e i polmoni che bruciano perché mancava l’aria. Perché i loro baci erano così: passionali e da farsi mancare il respiro, pure negli ultimi mesi dove di amore non ce n’era più e ogni passione era scemata ricercando la carnalità e soddisfazione.
Con Marco, ora, è tutto diverso: c’è dolcezza, c’è voglia di scoprirsi ma Ermal non trova la passione. Lui non è Fabrizio. Lui non è Fabrizio. Quasi si mette a piangere perché quel bastardo non vuole andarsene dalla sua testa, perché lo tormenta ma non può che amarlo, non può che sentire che lui è stato davvero l’uomo della sua vita.
“Ermal, c’è qualcosa che non va?” chiede Marco abbastanza perplesso, l’altro tossisce slegandosi da quell’abbraccio e: “No Marco, la montagna mi mette sonno. Sono ancora stanco.” sussurra ridacchiando.
(...)
Il suo appartamento è inondato di scartoffie, non riesce più a venirne a capo. Ha troppi documenti inutili che non riesce mai a buttare via, ha trovato tra tutta quella confusione la sua pagella della seconda media. Ottimi voti, comportamento eccellente, il primo della classe e sorride un po’ ricacciandola nella cartelletta rossa in cui era custodita. E poi c’è quella cartelletta, quella blu, quella del divorzio. La lettera dell’avvocato spuntava dall’angolo, sulla copertina un post it bianco recita “Lunedì, ore 14.30” e l’ennesimo appuntamento, l’ennesima chiamata e l’ennesima volta in cui avrebbe dovuto vedere Fabrizio.
Troppi pensieri, prende il telecomando accendendo la tv, forse può pensare ad altro. Forse.
Lo schermo si accende sul canale tv di RTL, una speaker bionda saluta e in sottofondo il classico jingle della radio. “Buon pomeriggio Italia, sono le sedici e due minuti e oggi a Roma fa ancora caldo. Tra pochi minuti con noi avremo un ospite, un cantante che da poco sentiamo in radio. Un romano come me, trentacinque anni, mille storie e tanti tatuaggi sulla pelle, lui è Fabrizio Moro.” gli sfugge il telecomando di mano, il cuore batte nel petto e tenta di calmarlo facendo dei profondi respiri. Fabrizio Moro, il suo Fabrizio che gli aveva confidato di voler cambiare cognome se mai avesse dovuto sfondare nel mondo della musica. I Keane cantano Somewhere only we know e non ci può credere, sposta tutte le carte dal divano e si fa un posticino per sedersi, il cellulare stretto tra le mani e il cuore che non accenna a calmarsi.
E quando il videoclip finisce e viene inquadrata la classica sala rossa della radio lo vede. Bello, tanto bello con quel cappello calcato in testa e la camicia di jeans sbottonata, sorride alla speaker con quel velo di tensione negli occhi. Gioca con i bracciali per contenere il nervosismo, nota anche quello di corda nera che gli aveva regalato tempo fa. “Fabrizio ciao, come stai? Tutto bene?” apre la voce squillante della speaker, impacciato bofonchia al microfono aggiustandosi le cuffie: “Tutto bene, tutto a posto.”.
Ermal non vorrebbe seguire quell’intervista, vorrebbe cambiare canale. Non lo fa. Ascolta con un nodo al cuore le battutine che si scambiano, le domande sui suoi sogni e sui mesi chiusi in sala di registrazione per incidere quel disco tanto desiderato. “Ma adesso ascoltiamo un tuo estratto. Sai una cosa Fabrizio, mi sono emozionata la prima volta che ho sentito questa canzone.” Fabrizio ringrazia e sorride, un sorriso amaro per poi: “Sapessi quanto ho pianto io.”. “Ma dimmi un po’, a chi hai pensato mentre scrivevi questo pezzo?” e riconosce quell’espressione, quella che fa quando non vuole rispondere alla domanda, svia rispondendo solamente: “Alla persona più importante della mia vita.” e ad Ermal si mozza il fiato in gola.
La sala rossa scompare e al suo posto trasmettono il videoclip della canzone, Fabrizio seduto su di uno sgabello con una chitarra poggiata sulla coscia. L’ambiente è spoglio, grigio, solo un letto sfatto sulla sinistra e un tavolo con due sedie sulla destra. Su di esso una candela accesa.
Cercare un equilibrio ogni volta che parliamo e fingersi felici di una vita che non è come vogliamo Ermal non regge, ha il telecomando puntato verso la tv e il pollice sulla freccia per cambiare canale. Sono solo parole, le nostre e quante parole si erano detti? Quante promesse si erano fatti? Tante ma mai troppe.
E ora penso che il tempo che ho passato con te ha cambiato per sempre ogni parte di me. “Fabrizio, ti prego.” riesce a sussurrare a denti stretti
Tu sei stanco di tutto e io non so cosa dire, non troviamo il motivo neanche per litigare. “Ne avevamo troppi di motivi, troppi e tu te ne sei andato.” soffia ancora con una punta di rabbia nella voce.
Siamo troppo distanti distanti tra noi ma le sento un po' mie le paure che hai. “Le abbiamo condivise tutte le paure, Fabrizio.”
Vorrei stringerti forte e dirti che non è niente ed Ermal quasi glielo vuole urlare di raggiungerlo e stringerlo forte, vuole gridargli che non sono solo parole e che forse potrebbero aggiustare tutto ma ... piange.
Piange ed era troppo tempo che non lo faceva più, singhiozza scosso da tremori, la testa tra le mani e le lacrime calde che scorrono giù per le guance scarne e arrossate. Spegne la tv con un gesto improvviso, la spegne senza occuparsene poi più di tanto prendendosi la testa tra le mani. Inspira cazzo, inspira comanda a denti stretti, si passa il dorso della mano destra sugli occhi asciugando le lacrime rimaste impigliate tra le lunghe ciglia.
Guarda l’orologio che porta al polso, rimane per due minuti a fissare il televisore spento, nero. La testa che gira in maniera incontrollata, quasi folle, mille pensieri, mille problemi. Ma di una cosa è sicuro, solo una per cui farebbe pazzie. Lancia la cartelletta blu sul tavolo e raggiunge l’appendiabiti, infila il chiodo di pelle e spalanca la porta.
Si è sempre sentito soffocare nel mezzo della folla, non è a suo agio nel mezzo di una quarantina di ragazzi e ragazze fuori dalla sede centrale della radio. Tutti fremevano sperando che il cantante uscisse da un momento all’altro, che passasse per un saluto e un paio di fotografie, Ermal si tiene a debita distanza ed osserva da lontano quella felicità che invadeva gli occhi dei fan che lo attendevano impazienti. Tiene il telefono tra le mani e il numero di Fabrizio già inserito sulla tastiera numerica, trema e sente il cuore battere come un dannato.
“Ragazzi fatevi da parte.” e Ermal fa scattare lo sguardo verso il cancello d’ingresso, un paio di uomini della sicurezza lo tengono aperto e Fabrizio sgattaiola fuori salutando i ragazzi, fa un po’ di foto, abbraccia e firma un paio di copie del suo cd. Il riccio rimane in silenzio osservandolo, le labbra incurvate in un sorriso genuino e gli occhi nocciola che si strizzano quando rideva di gusto.
“Fabrizio.” chiama ma si accorge che fin troppa gente attorno a lui lo sta chiamando, ci riprova alzando la mano nella sua direzione, alza la voce, si sporge ma non gli riserva uno sguardo. “Bizio!” e il tono si fa quasi disperato, urgente, questo alza lo sguardo dal disco che stava firmando, cerca e gli occhi fanno passare ogni singola persona davanti a lui, lo vede alzarsi sulle punte e, disperato, guardarsi attorno finché i loro sguardi non si scontrano e incontrano.
Dura poco perchè lo chiamano insistentemente dalla struttura, ma non lo molla con lo sguardo. Meravigliato, sorpreso, sbigottito e mille altre emozioni si ingarbugliano nello stomaco del riccio. Fabrizio se ne va, ancora il suo numero composto e il dito sul tasto verde. Si sente abbandonato, lì fermo mentre i ragazzi lasciano il posto e, sorridenti, se ne tornano a casa. Sente gli occhi pizzicare e un forte senso di nausea che gli attanaglia lo stomaco e la gola, è ancora solo. Solo come a cena quando Fabrizio stava in studio fino a tardi, solo come quando pioveva a dirotto e lui lo stava aspettando fuori dallo studio del suo avvocato.
“Tu sei Ermal?” e torna al presente, guarda quell’energumeno vestito di nero oltre l’alto cancello. “Mi rispondi o no?”
“Sì sono io.” sputa piccato, gli fa cenno di seguirlo lasciandogli uno spazio per entrare. Ermal stacca il cervello, deve aver chiesto di me. Scivola all’interno della struttura, tra quei corridoi rossi pieni zeppi di foto e firme di personaggi famosi, “Accomodati qua.” e Ermal guarda l’uomo lasciarlo solo in una stanzetta rossa con un paio di divani.
“Ermal?” si gira di scatto, “Cosa ci fai qui?”
“Fabrizio, ascoltami ti prego.” sputa con la sensazione di dovergli delle scuse, con la paura che non lo ascolti e lo molli in quella camera da solo. “Fabri, non sono solo parole, non lo sono.” sputa.
“Sono i gesti, sono le attenzioni che mi hai sempre riservato, sono le innumerevoli ore a tenermi testa e a litigare ma poi fare l’amore. Scusa se ho sbagliato, scusa per ogni capriccio, ma davvero tu hai cambiato ogni parte di me, non voglio essere distante da te, non lo voglio più.” singhiozza.
“Hai- hai sentito la canzone?” si avvicina Fabrizio levandosi il cappello. “L’hai ascoltata?” e Ermal annuisce, fa sì con la testa.
“Scusami.” fa Fabrizio. “Scusami perchè è stata anche colpa mia.” e ancora una volta sono distanti, l’uno dall’altro. Si studiano come due animali in gabbia, da lontano, timorosi di compiere ancora un passo falso. Si cercano con gli occhi, cercando di interpretare le emozioni dell’altro. Farà male il distacco? Farà male tornare a casa stasera con la consapevolezza di essere stato in sua compagnia? Farà male dormire questa notte?
“Ermal, ascoltami. Ricominciamo.”
“Ho paura.” lo interrompe prontamente. “Non devi, non devi più.” e nel tono di voce di Fabrizio c’è un non so che di supplica. “Ho paura che faccia male.” pronunciò Ermal muovendo un passo nella sua direzione.
“Non farà male, non lo farà più.” singhiozza. Poche volte l’ha visto crollare, ma mai come in quel momento. “Te lo prometto Ermal, te lo prometto. Ti amo e non ho mai smesso di farlo, ho sempre avuto paura di perderti finché non è successo davvero.”
Ermal si allunga e intrappola le labbra dell’altro in un bacio che si scioglie sotto il tocco gentile del marito, gli posa le mani sui fianchi alzando di poco la maglietta e toccando la pelle bollente dell’altro. Lo bacia, si baciano con l’aria che brucia nei polmoni, con le mani che si cercano e scorrono lungo tutto il corpo.
“Nessuno si salva da solo.” soffia Ermal sulle labbra morbide di Fabrizio.
“Tu salvi me.” gli risponde.
Spero di essere stata all’altezza, come al solito.
Un abbraccio come al solito.
61 notes
·
View notes
Ciao amore,
è ancora così che ti chiamo, é ancora con un diamante che sei nella mia rubrica. Ho voglia di scriverti, e pur sapendo che lo leggerai lo faccio qui.
Mi manchi così tanto, ma non posso tornare, vorrei salire da te e riempirti di baci, ma non posso tornare, vorrei passare ancora notti intere con te, ma non posso tornare, vorrei dirti che sono sotto casa tua e ti sto aspettando, ma non posso tornare.
Hai visto? Sono uscite le nuove canzoni di Liberato, qualsiasi cosa mi porta a te, le ascolto ovunque e ti penso. Volevo dirti che va tutto bene per il resto, ma la mia metà manca ancora. Vorrei sapere tutto di te, scriverti ogni secondo, fare videochiamate, restare a bocca aperta ogni volta che ti vedo. Mi manchi così tanto che non hai idea, ma non posso tornare. Non sono capace di farti stare bene, e non meriti quello che ti ho fatto. Sappi che continuo ad amarti come sempre, e che la notte prima di andare a dormire fisso la nostra chat, leggo quel messaggio e vorrei non averlo mai scritto, ma non posso tornare. Cerco di scriverti qualcosa, ma poi la cancello subito, quasi sempre inizia con un "Amore mio, mi manchi".. Ti ho promesso che non ti avrei più fatto del male, e ora sono io quella che sta morendo.
Ti amo così tanto, ma non posso tornare PULLEY.🖤🌹
2 notes
·
View notes
grazie vita che mi hai fatto trascorrere una delle serate più belle della mia vita con le persone che più mi amano nonostante tutto e nonostante il mio carattere di merda e questa foto è esplicativa di quanto appena detto. sono ubriaca fradicia nel letto senza maglia che vorrei fare l’amore ma non ho nessuno con cui farlo e vorrei dare amore a qualcuno ma non ho nessuno a cui darlo. ma in realtà lo do a chi mi ama ogni giorno senza eccessi e con errori perdonabili. abbiamo bevuto tanto, troppo, ci sto mettendo un’era a scrivere questa cosa qui ma li ho visti tutti insieme per me con quella torta fatta da loro che adesso andrò a mangiare ancora e non lo so ho pensato che forse non è vero che ho da lamentarmi così tanto, ho alcune persone che mi amano così tanto. non ricevevo una festa a sorpresa da troppi anni e vorrei dire grazie anche a me perché pensavo di cadere senza rialzarmi e invece non sono caduta nonostante grandi cose importanti e negative. vorrei essere sempre così felice come adesso ma in realtà non sono felice, sono solo sbronza da payra e ci ci sto mettendo anni a scrivere questo. sapeste quantinerrori sto cancellando baci ps auguri a me che compio 24 anni avevo scritto ami e ancora nn mi sono (avevo scritto scroto e poi amo) ammazzata pps domani cancello tutto che è meglio
32 notes
·
View notes