Quando finisce un amore, non soffriamo tanto del congedo dell'altro, quanto del fatto che, congedandosi da noi, l'altro ci comunica che non siamo un granché. In gioco non è tanto la relazione, quanto la nostra identità; l'amore è uno stato ove per il tempo in cui siamo innamorati, non affermiamo la nostra identità, ma la riceviamo dal riconoscimento dell'altro; e quando l'altro se ne va, restiamo senza identità. Ma è nostra la colpa di esserci disimpegnati da noi stessi, di aver fatto dipendere la nostra identità dall'amore dell'altro.E allora, dopo il congedo, il lavoro non è di cercare di recuperare la relazione dell'altro, ma di recuperare quel noi stessi che avevamo affidato all'altro, al suo amore, al suo apprezzamento.
Ricomporsi richiede forza, tanta forza, soprattutto per chi è particolarmente fragile. È che dopo un po', s'impara.
S'impara che possiamo rinascere centinaia di volte, s'impara che si risana tutto, che bisogna avere pazienza e curarsi, ma curarsi nel senso di prendersi cura di ciò che siamo. S'impara a guardare con un altro sguardo, che non è quello di sentirsi sbagliati, ma di vedere sbagliato tutto il resto. S'impara anche a sorridere del nostro vissuto, perché ha senso, perché sappiamo sempre dargliene uno, perché abbiamo un cuore che per quanto ci possa sembrare spaccato o inesistente, in realtà è sanissimo e vivo più che mai.
A quel cazzo che hai passato. A come non ti contenevi la testa da quanto stava esplodendo. Da quanto fossi arrabbiatissima elevato al milione dei milioni, incontenibile, con un corpo troppo piccolo per tutta la negatività che avevi addosso. A tutti i capelli che ti sei strappata, a tutte le lacrime che hai pianto, alle urla che hai gridato, alle botte che ti sei data, alle testate al muro, alle cicatrici che ti sono rimaste. Allo schifo che ti sei fatta. Al panico che ti svegliava la mattina. Al nodo in gola che ti svegliava con il batticuore senza motivo. Ai sospiri lunghi che dovevi fare solo per riuscire a bere un po’ d’acqua, perché non riuscivi a deglutire. Tutto il giorno. Tutto il giorno. Tutto il giorno. Ai chili che hai perso, e anche a quelli che hai preso. Alle persone che ti hanno fatto stare malissimo, a tutti i tradimenti, all’insapettato nell’insaspettabile. Che probabilmente succederà ancora, perché non è vero che conosciamo tutto. C’è sempre qualcosa che ci sorprende alla fine, ma basta saperlo lasciar scorrere. Non attaccarsi, lasciarlo semplicemente ESSERE, e ESSERE TU PER PRIMA. Senza che tu sia ciò che vedi, o che senti. Restare in te, uscirci qualche volta ma tornarci sempre. Ricordati di cosa non vuoi essere, e sii ciò che decidi tu.
Oggi si stava tra amici. Si parlava di musica e di grandi artisti.. Ad un certo punto il Kocis m'ha chiesto: " ma se tu rinascessi, chi vorresti essere? Ci ho pensato qualche secondo e poi ho risposto: Keith Richards! Un rocker energico e sentimentale, sciatto e grintoso, alcolizzato fino al midollo ma sufficientemente integro e lontano anni luce dai belletti di tante popstar. Un'anima nera, una smorfia perversa rigorosamente ancorata alla legge del blues. Mi piace pensarmi istintivo, col bicchiere sempre colmo di Jack Daniel's, sempre sulle corde di una chitarra che conosce la saggezza di pochi accordi ma li suona come nessun altro saprebbe fare. Una vocazione alla sregolatezza che non ho mai conosciuto, almeno a certi livelli. Si, si, mi piacerebbe rinascere Keith Richard per vivere quel ringhio feroce e giocoso di chitarre che raspano i nervi e blandiscono il corpo. @ilpianistasultetto