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#risveglio animico
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pangeanews · 5 years
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“Viviamo un nuovo totalitarismo, viviamo da morti viventi, ma Dante ci può salvare”: dialogo con Gianni Vacchelli
Un dettaglio mi sembra decisivo. Lo estraggo dall’ultimo saggio di questo ciclo, La poesia profetica e critica di Dante. Quella parola è importante. Profetica. Il grande poeta è sempre profeta, cioè uno che pone una parola che gli è avanti (pro), che lo supera, che è destinata ai futuri – non ho detto: che divina il futuro; e non ho neanche detto che viene dalla divinità. I grandi libri, intendo – e intendo quelli di cui tutti dobbiamo fare esperienza, dalla Bibbia a Esilio di Saint-John Perse, dalle poesie di Leopardi alle tragedie di Eschilo ai romanzi di Dostoevskij a L’età dell’ansia di Wystan H. Auden – hanno sempre un calibro profetico, sono l’avanzo di ciò che altrimenti muta, il resto di ciò che si disintegra. Posseggono, perciò, una attualità infuocata, perché sono atto in moto e immutato. Allora, mi viene da dire, Vacchelli, già autore di studi pieni di splendore (ricordo sempre Dagli abissi oscuri alla mirabile visione, 2008), che in Dante e la selva oscura (Lemma Press, 2018) usa la Commedia come zattera e come spada, legge nell’unico modo possibile, senza le alchimie dell’accademico – pur con stuolo di bibliografia e accuratezza di note –, gettando le terzine di Dante nella rogna, nella Caina della Storia, nelle fauci dell’oggi. Leggendo l’interpretazione audace – ma così precisa – di Vacchelli scopriamo che gli ignavi siamo noi, perché “la totalità psicopolitica ci aliena da noi stessi, dal mondo, dal mistero… ci fa ‘morti viventi’, spettatori passivi e dipendenti del cyber-capitale”, e che gli assoluti assoli di Dante ci difendono dall’assalto capitalista che ci vuole divoratori di merci e a nostra volta divorati, in una specie di terribile cannibalismo digitale e sostanziale. Brandire Dante contro le storture dell’era, adottarlo come percorso di resurrezione, di risalita, mi pare magnifico. Perciò, ho contattato Vacchelli. (d.b.)
Mi pare che lei usi Dante per entrare nella rogna del tempo presente, scassandolo, scassinandolo. Ma non certo con un tono da manuale dantesco per vivere felici, ecco. Mi dica dunque, dell’oggi, cosa ci dice Dante. 
Sembra paradossale, ma Dante ci dice molto sull’oggi. Dante “vede” molto e in profondità. Vede la nostra indifferenza, la nostra ignavia: mentre il pianeta va in pezzi, predato, mentre le disuguaglianze crescono sempre più a vantaggio di pochissimi e a danno dei più, noi invece “dormiamo”, spettatori assuefatti e rassegnati. Siamo i nuovi ignavi, «questi sciaurati, che mai non fur vivi» (If III,64). Dante “mette all’inferno”, cioè giudica con criteri etici, umani, spirituali il “regno della lupa”, fin dal I canto dell’Inferno. La lupa è la cupiditas, l’avidità, l’accumulo. Il capitale, potremmo dire anche. La follia di un mondo che ha mercificato e quantificato tutto, al laccio dell’idolo denaro e dell’algoritmo imperante. Ma Dante ci ricorda che questa è la “versione infernale” dell’uomo. L’uomo è anche trasformazione (Purgatorio) e compimento (Paradiso). L’uomo può risvegliarsi alle profondità di se stesso, del mondo e dell’altro – come fratello e sorella – e all’inquantificabile, che è il divino. Dante ci chiama al risveglio. Il «mi ritrovai» del v. 2 della Commedia è appunto anche un ritrovamento, e non solo psicologico, ma spirituale e mistico.
Lei ci conduce, fin dal titolo del libro, nella ‘selva oscura’. Che ha analogia con la ‘notte oscura’ dell’anima, da cui l’anima trae vigore, dopo il timore. Oscurità come luogo dove fare luce. Ci spieghi meglio. 
Faccio una premessa. La selva oscura è un’immagine infinita, archetipica, che viene da zone della realtà più profonde di quelle di una “semplice fantasia”. L’immaginazione di Dante è creatrice, ed è anche una facoltà spirituale. Abbiamo perso cognizione di queste realtà, che sono ben vive e reali (!) invece per gli antichi, per i medievali, per i mistici d’Occidente e d’Oriente. Ma anche Vico e Leopardi, pur se in modi anche molto diversi, comprendevano bene tutto ciò. Allora la selva oscura da una parte dice negatività, male, peccato, angoscia, disorientamento, ma dall’altra è, come lei diceva, una «notte oscura», che fa rima con «ventura», per dirla con Giovanni della Croce, l’auctoritas in materia. Anche Dante è molto esplicito in merito, se lo leggiamo solo con attenzione. La selva «tant’è amara che poco è più morte; / ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte (If I,7-9). Chiarissimo quindi: la selva è terribile, mortale, ma è anche altra dimensione, nube oscura, crescita e ulteriorità divino-umana. Il testo più importante per Dante, la Bibbia, conosce bene questa misteriosa realtà. Citiamo, tra i molti luoghi possibili, Deuteronomio 5,22: «Sul monte il Signore disse, con voce possente, queste parole a tutta la vostra assemblea, in mezzo al fuoco, alla nube e all’oscurità». Mi verrebbe quasi da dire: non intratur in veritatem, nisi per obscuritatem. Nel nostro mondo di effetti speciali, di continui abbagli, di veglie troppo luminose, di “realtà aumentate”, abbiamo dimenticato la potenza benefica, anche se ardua, delle notti oscure dell’anima, della mente, del corpo, del silenzio.
“Mai Dante avrebbe potuto pensare ad Auschwitz, ma noi, rileggendolo da Auschwitz, qualcosa possiamo intravedervi”. Una frase potente, come se la Commedia vada letta anche per il suo carattere profetico. È così? Cosa intende con quella frase? 
Intendo che quando un uomo entra nella profondità di se stesso e soprattutto della realtà tutta, come Dante fece senz’altro, gli si schiudono, anche per grazia, possibilità infinite. Dante è un «uomo rappresentativo», per dirla con Emerson, che ci ricorda quello che possiamo e dobbiamo essere. Lo sguardo profetico non è una preveggenza, ma una dimensione, ancora una volta, di straordinaria intensità. Dante non è un indovino – quelli stanno all’Inferno – non è un “Nostradamus”, ma conosce gli abissi del cuore umano. Ecco allora che il cannibalismo di Ugolino, gli uomini congelati e “resi pezzi” nella morsa ghiacciata del Cocito, la furia fredda e accesa dell’odio e di una ragione fraudolenta e perversa generano le immagini finali, “luciferine” degli ultimi canti della Commedia. Non è ancora Auschwitz, ma noi, che rileggiamo Dante dopo Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, non possiamo non rabbrividire e non tremare di fronte a quei versi. Il tempo “si cortocircuita”. Dante “cresce con chi lo legge”, per parafrasare Gregorio Magno che diceva Scriptura crescit cum legentibus. Cresce Dante e soprattutto cresciamo noi, in visione, in consapevolezza. E in amore, se comprendiamo bene che questo è l’inferno e che l’uomo non è solo e tanto l’inferno.
Torno alla selva. La selva, scrive, oggi, “è quella di un nichilismo economicistico e crematistico, onnipervasivo, bio/psicopolitico, necrofilo. Ancora più radicalmente potremmo dire che ci troviamo a vivere un nuovo totalitarismo, il terzo del XX secolo e l’unico sopravvissuto nel XXI”. Altra frase perturbante. Che cosa intende?
Torniamo alla versione “mortifera” della selva. Solo che quella di Dante era una selva 1.0; la nostra è 2.0. La questione è complessa. Nel libro argomento meglio. Qui posso solo accennare. Il contesto odierno è una “totalità” che ci imprigiona e ci mostra solo se stessa, in un delirio di mercificazione spettacolarizzata, dove sette cerchi “infernali” concentrici e interconnessi – finanz-crazia, tecnocrazia, burocrazia, massmedio-crazia, geopolitica (o realgeopolitik), potere militare e potere nichilistico (inteso soprattutto come rassegnazione-amnesia, perdita di senso e di un “oltre”, comunque esso sia inteso) –, spadroneggiano, impossessandosi di noi e della vita. La totalità è più che mai totalitaria. Ma in modo nuovo e inedito. Procede per saturazione, per colonizzazione bio-psicopolitica, ci tiene servi in primis grazie alla nostra complicità. La nostra anima, i nostri neuroni sono conquistati e sfiniti o in una indotta rassegnazione depressiva, o in attivismo alienante: in qualunque caso, depressi o iperattivi/ipereccitati, si è come anestetizzati. Nella sua versione più subdola e di contagio animico e interiore, il sistema oggi si impadronisce in modo falso e invertito delle parole della vita: realizzati, sii te stesso, sii libero, sii democratico. Invero si fa solo più fitta la prigionia che invita all’autosfruttamento e alla capitalizzazione-quantificazione della vita, come se vivere la vita fosse l’oscena calculation of life proposta. Dimentichiamo in modo insano che l’ossessione quantificante ed efficientista ha fatto parlare più interpreti di «ritorno di Auschwitz» (Danilo Dolci, Franz Hinkelammert) e di «effetto Treblinka» (James Hillman). Ecco insomma il terzo totalitarismo – dopo quello nazista e stalinista – da smascherare e sconfiggere, dentro e fuori di noi. Potrei dire, semplificando, totalitarismo capitalista, neoliberista, ma, forse meglio, nichilista.
Infine, un Dante ci può salvare? 
Magnifica suggestione, la sua! Sì, “un Dante ci può salvare”, perché il Poeta ci ricorda la dignità e la possibilità infinite dell’uomo. Il suo viaggio sprofonda negli abissi, per risalire sul monte della trasformazione ed arrivare ad un incontro con se stesso, con il cosmo, con gli altri uomini e con il mistero divino. L’uomo per Dante è anche capax Dei, «capace di Dio», vaso del divino. In questo senso il Poeta sembra continuamente dirci: non vedi com’è misera e sottodimensionata la tua versione infernale? Perché non ti risvegli alla tua reale natura? Perché non scendi in profondità e in trascendimento dentro di te, dentro la materia, la natura e in quel mistero indicibile che sta in nessun luogo e ovunque?
*In copertina: William Bouguereau, “Dante e Virgilio nell’Inferno”, 1850
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tizianosguerso · 4 years
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cartofolo · 7 years
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Cos'è il riposo dell'Ego?
Questa espressione è usata in esoterismo, specialmente in teosofia (e adottata anche nello spiritismo), per indicare quel particolare stato in cui si trova l'individuo che, dopo la morte, ha sperimentato e vissuto tutti i piani di esistenza che si trovano nell'aldilà.  A un certo punto scopre, intravede, intuisce un piano superiore per il quale non ha sviluppato la coscienza adatta; quindi, non avendo "i sensi" per poterlo sperimentare, si addormenta per procedere ad una nuova incarnazione in cui potrà fare esperienze atte a sviluppare quei "sensi" mancanti.Questo "addormentamento" è chiamato appunto "riposo dell'ego".
Però va detto che non è affatto un riposo né un sonno; al contrario è un risveglio a quella coscienza che si nascondeva sotto le dinamiche dell'Ego, e che finalmente diviene la piena consapevolezza di quell'individuo.Nello stesso tempo, questo nuovo stato d'essere intuisce potenzialità inimmaginabili di ulteriore espansione e conoscenza, ma si accorge che gli occorre del materiale che non possiede, e che potrà acquisire solo con una nuova incarnazione.Quello è il momento in cui sente che deve scegliere una nuova immersione nel mondo materiale, carica di quelle esperienze ormai acquisite, e strutturata affinché questa sia funzionale a ciò che aveva intuito e colto come mancanza.A questo punto "il riposo" diventa "dimenticanza" nella graduale costruzione dei nuovi veicoli fisico e animico, durante la gestazione di una madre e la successiva crescita nell'ambiente adatto alle necessarie esperienze.La lotta riprende con nuove promesse.
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Se c’è una cosa che ho imparato del dolore
è che devi attraversarlo.
Devi stringergli le mani e guardarlo negli occhi.
In una notte che non ti avviserà prima di arrivare
capirai quanto è profondo il vuoto che hai dentro
e quanto sarà la grande la tua forza per viverlo,
per riempirlo della vita che soltanto tu potrai ricostruire.
So che piangerai.
E so che nessuno ti sentirà.
Nessuno ti asciugherà le lacrime.
Nessuno sarà lì, accanto a te, a ricordarti che il tuo domani
sarà figlio del male che provi e della guarigione che affronterai.
E’ per questo…e per molto altro…che non giudicherò
mai il dolore di un altro essere umano.
Anche se simile al mio.
Anche se mai provato nella mia carne.
Non posso capirti.
Ma posso restarti accanto quando l’alba ti abbraccerà senza forze e dovrai improvvisare un sorriso che non saprai sentire.
Posso essere il tuo promemoria:
Il bene che sei, e che provi, sarà sempre più forte del male che senti e che sai.
(Natascja Di Berardino)
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Due donne ho trovato dentro di me,
scavando nel profondo;
una è forte, decisa, lucida:
lei sa cosa è giusto, sa cosa deve fare.
La muove la passione, la spinge l’emozione.
Non si accontenta di ciò che ha
e sa quanto vale.
Segue la sua strada, risoluta,
lascia indietro ciò che non le è necessario.
Non vive d'amore: ama vivendo.
E non chiede nulla.
L’altra è come il mosto: profuma di primavera,
di giornate di sole.
Piange nella pioggia per non farsi vedere.
È fatta di mancanze e di malinconia.
Il suo cuore è malato: non è a pezzi,
ma gonfio da esplodere.
Sai che mi sgomenta,
questa duplice me stessa;
e forse è per questo che mi cammini accanto,
silenzioso, in attesa di scorgere un sorriso
sul volto di entrambe,
e riconoscermi di nuovo intera,
come mi hai sempre vista tu.
Due donne, Word Shelter
[illustration Kawasaki]
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SEI DEGNO, DEGNO, SEMPLICEMENTE PERCHÉ ESISTI
L’incapacità di ricevere supporto dagli altri è una risposta al trauma.
Il tuo condizionamento "Non ho bisogno di nessuno, farò tutto da solo" è una tattica di sopravvivenza.
Ne avevi bisogno per proteggere il tuo tenero cuore da abusi, negligenza, tradimento e delusione da parte di coloro che non potevano essere lì per te.
Dal genitore assente che per scelta o per circostanza ha svolto tre lavori con l’intento di sfamarti e accudire la famiglia.
Dagli amanti che hanno offerto intimità sessuale ma non hanno offerto alcun rifugio sicuro che onorasse il tuo cuore.
Dalle amicizie che hanno sempre richiesto più di quanto hanno dato.
Da tutte le situazioni in cui qualcuno ti ha detto "siamo in questo insieme" e poi ti ha abbandonato, lasciandoti a raccogliere i pezzi quando è diventato reale, lasciandoti a gestire la tua parte e anche la loro parte.
Dalle bugie. I tradimenti.
Ti sembra di aver imparato lungo la strada che non puoi davvero fidarti delle persone. O che ti puoi fidare delle persone, ma solo fino a un certo punto.
L'estrema indipendenza è un * problema di fiducia. *
Hai imparato: “se non mi metto in una situazione in cui mi affido a qualcuno, non dovrò rimanere deluso quando non si presenta per me, o quando lascia cadere la palla ... perché lo faranno sempre far cadere la palla prima o poi, giusto?”
Potresti persino aver imparato intenzionalmente questa strategia di protezione da generazioni di donne ferite che sono venute prima di te.
L'estrema indipendenza è un attacco preventivo contro il crepacuore.
Quindi, non ti fidi di nessuno.
E non ti fidi nemmeno di te stesso nello scegliere le persone.
Fidarsi è sperare, fidarsi è vulnerabilità.
“Mai più", hai giurato.
Ma, non importa come lo vesti e lo mostri con orgoglio per far sembrare che questo livello di indipendenza sia quello che hai sempre voluto essere,
in verità,
è il tuo cuore ferito, sfregiato e spezzato dietro un muro di mattoni protettivo.
Impenetrabile. Non entra niente. Non entra alcun dolore. Ma nemmeno l'amore.
Le fortezze e le armature sono la risposta al trauma.
La buona notizia è che il trauma riconosciuto è un trauma che può essere curato.
Sei degno di avere supporto.
Sei degno di avere una vera partnership.
Sei degno d'amore.
Sei degno di tenerti stretto il cuore.
Sei degno di essere adorato.
Sei degno di essere amato.
Sei degno che qualcuno dica: "Riposa. Ho capito." E mantenere effettivamente quella promessa.
Sei degno di ricevere.
Sei degno di ricevere.
Sei degno di ricevere.
Sei degno.
Degno, sorella.
Sei degno.
Non devi guadagnartelo.
Non devi dimostrarlo.
Non devi contrattare per questo.
Non devi mendicare per questo.
Sei degno.
Degno.
Semplicemente perché esisti.
Francesca Gussoni
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Non sempre la semplice condivisione aiuta, fa stare meglio, alleggerisce dai momenti difficili, anzi. Spesso l’interlocutore fa la differenza e la nostra anima ci suggerisce quando il silenzio è più importante delle parole. Quando affronti un momento di chiusura e solitudine e qualcuno prova a farti sentire sbagliato, tu credi a te. Ognuno di noi ha caratteristiche e peculiarità. Il tuo mantra deve essere:”Io so quello che faccio” e non perché ti serva saper rispondere agli accusatori ma perché di certo può fare la differenza, mentre apprendi a rafforzarti, nel caso in cui qualcuno provi a farti sentire sbagliato.
tizianacerra.com
(Foto Jash Chhabria, unsplash)
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Una donna evoluta è
strega per la chiesa
puttana per i pettegolezzi
fattucchiera per gli ignoranti
libertina per gli invidiosi
intimidatoria per i codardi Interessante per i saggi
sensuale per i maghi
sacerdotessa per gli iniziati
e magica per i risvegliati!
Ilhuicatl Meztli
[trnslt tizianacerra.com]
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Se insisti portando energia in ciò che identifichi come il problema, cristallizzi e potenzi quello stato. Dentro te, animicamente già tutto sta avvenendo, oltre la tua preoccupazione, oltre la tua paura, oltre ciò che visualizzi come tunnel, c’è un fare silenzioso e operoso che ti sta già portando fuori. Il tempo del dolore ha a che fare con le teorie del pensiero mentre il tempo della rinascita ha a che fare con l’abbandono a quel che c’è, così come può, così come è. Questo combattimento che ti porta a pensare che quello che ti fa soffrire deve essere assolutamente allontanato, rimosso, cancellato, è per te sfinente, stancante. Fidati di ciò che sa avvenire se sposti ogni energia sulla creatività, sul respiro, su quelle che sono le radici dell’anima. In te ci sono soluzioni antiche che la mente non sa pescare, semplicemente emergeranno affidandoti. Chiudi gli occhi, lascia che attraverso le immagini l’anima possa parlarti e condurti. Respira e stai lí.
tizianacerra.com
(Foto Darius Bashar, unsplash)
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Privarti di ogni forza era l’unico modo per costringerti a mollare il controllo. Non muoverti nemmeno di un passo, rimani immobile, passa attraverso le cose come le aquile attraversano il vento,come i pesci attraversano l’acqua,come i cavalli sfrecciano sotto la pioggia,diventando tutt’uno con quel che c’è ma portandosi dall’altra parte come solo loro sanno e possono fare. L’eclissi che è scesa in te e tiene al buio il tuo cuore,chiede tempo per riportarti luce. Sei stanco,abbattuto, senza più forze,tutto ti sembra azzerato,ti senti ritornato laggiù,perso,in quel luogo dal quale credevi di esser fuggito. È oblio. Non verrai inghiottito per quanto questo sembri. È il momento della fiducia incondizionata.Chiudi gli occhi lascia che tutto accada,lasciati portare da quel che dentro di te spinge, dove non lo sai ma dove sei diretto da sempre. Lì è casa.
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(Foto Tim Schmidbauer, unsplash)
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Esiste una memoria inconscia, legata ai non detti familiari ed ai singoli vissuti che ci dirige. La trasformazione delle sofferenze destiniche, ha a che fare con la consapevolezza di ciò che pur in latenza ci sospinge, ciò che ci pone in azione o in reazione. Non è ciò che ci accade ma ciò che blocchiamo ancor prima che accada.
tizianacerra.com
(Foto Cash Macanaya, unsplash)
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C'è una cosa più importante del nostro fiorire: il nostro rifiorire.
Che la notizia circoli tra quei feriti che noi tutti siamo;
giunga a quanti hanno tentato e sbagliato;
riscatti coloro che si sono perduti nei corridoi lunghi dei loro inverni.
José Tolentino Mendonça
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“Ho paura.” “Sono in difficoltà.” “Non so come superare questo momento”. “Ti va di ascoltarmi”. Possibilità e non fragilità. Quanto sei capace di consentirti di essere così come sei, così come puoi? Quante volte mascheri ciò che davvero senti e provi da altro. Quanto chi e ciò che ti circondano, ti influenzano alla difesa, a travestire ogni vulnerabilità, piuttosto che a consentirti la totale nudità del tuo poter essere. Molte delle tue sofferenze passano da questo aspetto, così come il potenziale che ti consentirebbe realizzazione e felicità.
tizianacerra.com
Ph Ashkan Forouzani, Unsplash
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