[*] Rimantas Dichavicius, fotografo lituano (1937)
da: https://www.artnet.com/artists/rimantas-dichavicius/
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C'è un che di crudele nel pretendere che "Giacomino", dall'aldilà, si esprima in versi, come se fosse un pappagallino ammaestrato, conchiuso nel suo ruolo di "poeta", ovvero nelle nostre anguste attese. Giacomo è immenso e ha bisogno di "interminati spazi" per essere. Il potere del suo pensiero è il più grande umanamente concepibile. Esso non si misura sulla base, soltanto, della parola scritta; il valore della sua parola si amplia, e risiede in gran parte, in ciò che essa richiama di non scritto perché indicibile. Chi conosce Giacomo sa che egli stesso non si riteneva un poeta, e che mai avrebbe potuto esserlo "di mestiere", giacché la sua poesia non soggiaceva ai comandi altrui, ma solo a una misteriosa "ispirazione". Per questo dico che chiedergli versi dall'aldilà sia crudele. È metterlo in difficoltà. È chiuderlo in una soffocante scatola.
Negli anni '70, quando le sedute spiritiche andavano di moda e costituivano persino un passatempo di società, non si era ancora edotti sul fatto che le anime si esprimessero, nel loro ambiente e per loro natura, in linguaggio non formale, ovvero privo di elementi grammaticali, sintattici e, in definitiva, linguistici. Immagino quale sia stato il senso di libertà di Leopardi, sentendo il proprio pensiero spogliato dalle briglie linguistiche.
Credeva, il giovane Leopardi, che pensiero e linguaggio nascessero insieme, e che non potesse esistere l'uno senza l'altro. Rievoca con straordinaria memoria e lucidità l'affacciarsi del suo primo pensiero formale, concomitante con l'apprendimento del nome di una pera. Sì, avete capito bene, il suo primo pensiero formale fu: ecco una pera moscardella. E tutti sappiamo quanto studio gli costò il formarsi un proprio stile, districandosi dalle pastoie di pedanti traduzioni di autori greci e latini della decadenza (vedi, a tal proposito, gli Studi leopardiani di F. Montefredini, che ci presentano un Leopardi in nuce ma irriconoscibile, dallo stile impacciato e involuto, ai limiti dell'imbarazzante). Tutti, parimenti, sappiamo che il Leopardi deve il massimo suo successo a quei Canti in cui è più chiaro e comprensibile, direi riposato, e come le malattie e la disillusione totale dell'ultimo periodo napoletano lo facessero precipitare nell'oscurità e durezza di taluni versi dei Paralipomeni della Batracomiomachia, che De Sanctis definì pressoché insoffribili.
Tutto, nella vita di Leopardi, fu scontro, contrasto, passione e sacrificio. Anche l'ascesa verso la vetta della più alta espressione linguistica fu per lui un calarsi nelle oscure e aspre profondità della materia umana. Dopo che si è temprato, compresso, messo a prova da ogni lato, lasciamo che risplenda di luce assoluta, questo diamante. Non chiediamogli versi.
Non chiediamo forma a chi è alle soglie della pace suprema, sul limite della comprensione e padronanza della realtà, che nella sua sostanza è non formale.
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Ho appena detto a mia madre che non riesco a parlare col mio psichiatra e che ogni volta che vado è solo una perdita di tempo mi fa solo stare male. Mi ha abbracciata e ha detto che troveremo una soluzione anche se non ci sono psichiatri nel paese. Le voglio un mondo di bene.
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