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#soggetto sacro
fashionbooksmilano · 2 years
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Divina India    Sacred India
Itinerari d’immagini n.33
Marilia Albanese
Le fotografie sono di Emilio Garavoglia
Be-Ma Editrice, Milano 1990, 147 pagine, ill. a colori nel testo, In-16°,   ISBN 88-7343-094-8
euro 25,00
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Collana a cura di Franco Bassi, grafica di Luca Pratella
“Divina India”, Libro di stampe popolari indiane a soggetto sacro curata dalla Prof.ssa Marilia Albanese, direttore dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente. Sotto la vivacità cromatica e l’ingenuità dei segni, queste stampe nascondono capacità di comunicazione impensabili. Si trovano un po’ dovunque in tutta l’India e, nonostante le diversità locali, gli indù le sanno capire nei loro reconditi significati. Ogni personaggio divino, dalle sembianze immaginifiche, con i suoi simboli misteriosi e i suoi mitici attendenti, esprime la sua “rivelazione”, contribuendo così alla costruzione dell’immenso mosaico sacro che copre il composito continente indiano. Le stampe di questo itinerario rappresentano l’iconografia più emblematica per accostarsi al pantheon indù. In un mondo etnicamente, linguisticamente e storicamente composito come quello del sub-continente indiano, l’immagine sacra, e tutto ciò che essa evidenzia, rappresenta un veicolo di comunicazione ottimale.
14/08/22
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
L'ICONA E L'IMPULSO A NARRARE
L’icona è un soggetto-oggetto di devozione: non il semplice calco figurato dell’immagine divina, ma esso stesso una presenza sacra, un segno terragno espressivo dell’immateriale.  Così la si concepisce nel culto cristiano orientale e con tale connotazione essa s’impone ai fedeli di un mondo lontanissimo, tra i secoli VI e VII, qualcuno sostiene anche l’VIII secolo nel caso della Madonna Theotokòs conservata in S. Maria in Trastevere, a Roma.  La chiesa, molto antica – la prima edificazione risale al II sec. d.C. – ed arricchita nel corso dei secoli (fino al XIX) da vari interventi tanto da ospitare un’antologia di tecniche, stili e forme, presenta una pianta basilicale absidata a tre navate (le colonne, che sostengono la classica architrave dei modelli architettonici paleo-cristiani, sembrerebbero essere state prelevate dalle terme di Caracalla) costellate, quella destra e quella sinistra, di cappelle dedicate, presenti anche ai lati dell’abside: la cappella del coro, a destra, e la cappella Altemps a sinistra nella quale si trova l’icona detta anche “Madonna della Clemenza”.  Si tratta di un encausto, procedimento pittorico assai datato e tecnicamente complesso: la finalità è quella di conservare, di acquisire anche per la pittura parietale quei requisiti di resilienza tipici dell’arte musiva.  In effetti, il dipinto su parete ha mantenuto in discreta parte le caratteristiche materiali della rappresentazione consentendo di distinguere le quattro figure nimbate che lo compongono: al centro la Madonna, in ieratica frontalità, vestita ed abbigliata sfarzosamente tanto da suscitare la comparazione con la basilissa Teodora del celebre mosaico absidale di S. Vitale a Ravenna; la vergine, che appare intronizzata – si distinguono i terminali quadrangolari dei bracci del trono – regge sulle gambe il cristo bambino che ha il volto adulto tipico di una lunga tradizione iconografica, anch’egli porporato ed in posa frontale a stagliare lo sguardo sull’astante.  Le sacre figure occupano la parte avanzata della rappresentazione mentre i due angeli o i santi che le contornano ai fianchi, permangono dietro il trono, caratterizzati da una tunica chiara eppure bordata da inserti color porpora che richiamano l’abito talare di ecclesiasti di alto rango.  Sono queste figure ad introdurre nel testo pittorico un accenno narrativo (peraltro presente, talvolta, nelle raffigurazioni musive bizantine) ammiccando allo spettatore e protendendo con garbo il palmo della mano a presentare, a proteggere, a incorniciare, le sacre ed intoccabili divinità.  E sono sempre queste due figure, arretrate come sono, a costituire una sorta di piano prospettico di fondo che conferisce la sensazione visiva dell’avvento dei corpi divini della Vergine e del Cristo, a segnalare la duplice natura, a suggerire l’intuizione tutta spirituale del soprasensibile incarnato eppure capace di mantenere la purezza del sacro.
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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icasblog222 · 2 years
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🔮 La divinazione è uno strumento di crescita personale e di aiuto al prossimo da moltissimo tempo.
Questa pratica permette di dare uno sguardo al futuro e di rendere più chiaro il presente.
È un mezzo per sperimentare il Divino che c’è dentro di noi e per portare consapevolezza nel nostro cammino.
È una comunicazione diretta con l’Universo.
I metodi divinatori ci mostrano il nostro ruolo nella creazione del nostro futuro, spronandoci a cambiare interiormente.
Ci insegna che nulla è già scritto lavorando su predizione provabili, quasi mai parla di certezze assolute.
Sono molti gli strumenti di cui l’arte divinatoria si serve:
🔮 I tarocchi sono delle carte che possiedono un significato antico, sacro e magico. Offrono una visione pratica, psicologica e spirituale aiutandovi a mettere chiarezza nelle vostre situazioni.
🔮 Il pendolo è uno strumento molto semplice perché lavora con le energie circostanti. Può essere usato per connettersi con il proprio sé superiore o con altre entità.
🔮 La chiromanzia è l’arte di saper leggere le mani riuscendo a delineare il profilo del soggetto e il suo destino in questa vita.
🔮 La tasseomanzia, ovvero la lettura dei fondi del tè ( o del caffè) , é una pratica antichissima. Ti permette di guardare al tuo futuro tramite delle forme che le foglie del tè lascia al termine della bevanda in fondo alla tazzina.
🔮 L’astrologia è basata sulla posizione dei pianeti, del Sole, della Luna e delle forze che rispettivamente rappresentano. Il tema natale mostra la posizione di ognuno descrivendone la loro influenza sul carattere del soggetto e sulla personalità, permettendoci di capire i nostri talenti, difetti e inclinazioni.
🔮 Le Rune sono un alfabeto oracolare scandinavo, ogni lettera ha un nome, un suono e un significato magico e profetico diverso.
Tramite questi strumenti potresti ricevere delle risposte a delle domande, dei consigli spirituali o un suggerimento pratico.
Ovviamente non sono gli unici, esistono molte altre pratiche divinatorie, se ti piacerebbe scoprirle o vorresti approfondirne qualcuna, fammelo sapere!
Se ti è piaciuto il post e vuoi supportarmi, lascia un like e condividilo
Grazie 🙏🏼🥰
Ig: @__ahata
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chez-mimich · 1 month
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LA CASA DEL SORDO
Assistere al capricco teatrale “La casa del sordo”, dell’Odin Teatret di Eugenio Barba è un po’ come trovare una istantanea di cinquant’anni fa in un cassetto: la si guarda con tanta nostalgia di quegli anni, ma anche con grande tenerezza. La fotografia però è sbiadita dal passare del tempo e non ha più nulla della sua originaria brillantezza. Ecco, se mi è concesso usare una metafora, sceglierei questa per descrivere cosa ho provato assistendo sabato scorso al Teatro Menotti di Milano alla rappresentazione dell’Odin su testo di Else Marie Laukvik ed Eugenio Barba. Con la rappresentazione di sabato si è chiusa una intera settimana dedicata all’Odin Teatret con presentazioni di libri, film, laboratori e conferenze dedicati ai “60 anni dell’Odin Teatret” fondato nel 1964 da Eugenio Barba a Oslo e poi trasferitosi a
Holstebro in Danimarca. Mostro sacro dell’avanguardia teatrale, si devono a Eugenio Barba, e al suo Odin, molte delle invenzioni, delle teorie, delle provocazioni del teatro di ricerca che venne poi definito “Terzo Teatro”. L’Odin fu il luogo, fisico ed ideale, dove un attore poteva “imparare ad imparare” (secondo un celebre motto del teatro); forse più che “spettacoli” l’Odin ha sempre prodotto esperienze, performance, “training”. Oggi le potremmo chiamare “residenze”, cioè un gruppo di artisti che permangono in un dato luogo e che lavorano congiuntamente su loro stessi, cimentandosi su un tema dato. L’Odin è più che altro questo, una perenne residenza artistica che ha saputo coniugare tutte le specificità della culture locali rituali, etniche, musicali dei luoghi in cui si è svolta. Lo sfondamento della “quarta parete”, a vantaggio di una circolarità dialettica tra performer e “spettatori”, l’abolizione del sipario, gli attori sempre in scena, l’utilizzo di materiali poveri o poverissimi (le “carabattole” di cui parlava in una intervista a “Scena” un giovane Eugenio Barba), sono queste le caratteristiche fortemente innovative dell’Odin, una specie di “agit-prop” declinato su grandi temi antropologici. E dopo questo “pippone” sull’avanguardia teatrale cosa resta da dire de “La casa del sordo”? Si tratta di un “pasticcio” teatrale ovvero “una specie di fantasia improvvisata che passa da un tema all’altro” come lo definì il compositore tedesco Michael Prætorius. Soggetto del “pastiche” è il pittore Francisco Goya, sordo totale dall’età di 46 anni, che si trova nella sua casa di Bordeaux dopo essere fuggito dalla Spagna, secondo il racconto che ne fa Leocadia Zorilla, dinnanzi allo stesso Goya nell’ultima notte della sua vita. Il racconto tocca gli eventi politici e culturali che hanno influenzato la vita di Goya, come l’Età della Ragione, il Romanticismo, l’Inquisizione e la Rivoluzione Francese. Un’ora abbondante di spettacolo, non riesce a convincere appieno lo spettatore che non sia passato attraverso quella indispensabile iniziazione alle avanguardie artistiche teatrali degli anni Sessanta e Settanta. Un testo, ma sopratutto una mise-en-scène, per adepti votati al sacrificio teatrale (e uso questo termine senza nessuna ironia). Il teatro come rito di evocazione non sembra più poter far parte della normale programmazione teatrale per un pubblico vasto. Occorre dire che al Teatro Menotti, Emilio Russo, direttore artistico, ha intrattenuto brevemente il pubblico su cosa stava per vedere, anzi su a cosa stava per assistere, e occorre altresì dire, che il pubblico non sembrava proprio essere capitato lì per caso e, pur tuttavia, è mancata quella ovazione finale che ci si poteva attendere, anche per la presenza in sala dello stesso Eugenio Barba.
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roma-sera-giornale · 4 months
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Bisogno di sacro
il rapporto tra religione e società è venuto via via ridefinendosi, mettendo sempre più in evidenza la tensione dialettica fra l’istituzione del credere e la libertà di scelta del soggetto.
De Ficchy Giovanni La ricerca e lo sviluppo di un “senso del sacro” ha sempre accompagnato l’uomo.  L’esperienza del sacro è da sempre presente nell’essere umano che prende coscienza del mistero insondabile, amico e nemico al contempo, della natura.  Il mondo moderno, contrariamente a quanto sarebbe accaduto nelle epoche precedenti alla nostra, non perderebbe nulla se eliminassimo Dio dalla…
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crazy-so-na-sega · 4 months
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Il gusto di approfondire. Di andare oltre i confini disciplinari. Solo per curiosità, per ampliare le conoscenze, solo per il desiderio di sapere fine a se stesso, senza ritorno. Oggi quasi tutto si fa per un fine: un voto, un esame, un concorso, un titolo. È la morte del sapere.
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-Il Rabdomante
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Ogni tentativo di ripensare le nostre categorie politiche deve muovere dalla consapevolezza che della distinzione classica fra zoé e bios, tra vita naturale ed esistenza politica (o tra l’uomo come semplice vivente e l’uomo come soggetto politico), non ne sappiamo piú nulla. Nel diritto romano arcaico homo sacer era un uomo che chiunque poteva uccidere senza commettere omicidio e che non doveva però essere messo a morte nelle forme prescritte dal rito. È la vita uccidibile e insacrificabile dell’«uomo sacro» a fornire qui la chiave per una rilettura critica della nostra tradizione politica. Quando la vita diventa la posta in gioco della politica e questa si trasforma in biopolitica, tutte le categorie fondamentali della nostra riflessione, dai diritti dell’uomo alla democrazia alla cittadinanza, entrano in un processo di svuotamento e di dislocazione il cui risultato sta oggi davanti ai nostri occhi. Seguendo il filo del rapporto costitutivo fra nuda vita e potere sovrano, da Aristotele ad Auschwitz, dall’Habeas corpus alle Dichiarazioni dei diritti, il libro di Agamben cerca di decifrare gli enigmi – prima di tutti il fascismo e il nazismo – che il nostro secolo ha proposto alla ragione storica. Fino a vedere, nel campo di concentramento, il paradigma biopolitico nascosto della modernità in cui città e casa sono diventate indiscernibili e la possibilità di distinguere tra il nostro corpo biologico e il nostro corpo politico ci è stata tolta una volta per tutte.
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jacopocioni · 8 months
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Le curiosità dei fiorentini, sesta triade
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La sesta triade delle domande dei fiorentini curiosi. Dopo le ferie estive si ricomincia con le pubblicazioni. Domanda di Laura: Mi piacerebbe rivedere una foto del vecchio ponte di Melegnano. Sono nata nel 1950 e lo attraversavo coi miei genitori e fratellini perché abitavamo in via lungo le mura di Santarosa 3. Ricordo che ogni volta avevo paura a passarci sopra perché’ lungo il camminamento di ferro c’erano delle spaccature che a me piccola sembravano enormi …chissà se voi avete ancora le foto di quel vecchio ponte. Fotografie fornite da Patrick Sansom:
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Fotografia e disamina fornita da Maurizio Ferrini:
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Credo possa essere interessante anche questa foto del Ponte di Melegnano. Viene dall'archivio personale di Emanuela Currini, la mia compagna, che ne autorizza la diffusione. Ritrae in primo piano Emanuela nelle braccia di suo padre Mario Currini. Siamo nei primi anni '50. Quanto alla paura di un bambino che passava su uno di quei ponti (era la stessa cosa per Carraia o Santa Trinita) anche io ho ricordi nitidi. Non si trattava di "spaccature". La struttura portante del ponte era fatta a losanghe, è facile immaginare per motivi di solidità. Quando si passava a piedi vicino al punto della diagonale verticale ci si trovava davanti ad uno spazio aperto che un bambino avrebbe potuto attraversare senza nemmeno chinare la testa. La sicurezza era data dalla forte stretta della mano del genitore ma vedere il pelo dell'acqua sotto ai propri piedi faceva veramente impressione. Domanda di Lucia: Personalmente ero a conoscenza dell’esistenza degli “8 di Balia”, banda di intransigenti che circolavano per Firenze a cogliere in fallo uomini, donne e bambini, quest’ultimi perchè magari giocavano nei pressi di una chiesa ed offendevano pertanto la religione. C’è da dire, a questo proposito, che i ragazzi dell’epoca che abitavano in città non sapevano mai dove andare a giocare perchè a quei tempi esistevano tantissime chiese e sicuramente perdevano più tempo a cercare un posto per giocare in santa pace che a giocare veramente. Comunque il mio commento è per un’altra cosa: cioè ad un certo punto ho letto nell’articolo “10 di balia” e vi chiedo è un errore oppure hanno messo addirittura 10 persone a fare i “cani da guardia”? In riferimento a questo articolo: Famiglia Castellani Risposta di Alberto Chiarugi: Buon giorno. I Signori Otto di Guardia e Balia, erano i poliziotti dell’epoca. Il popolo li chiamava “birri” i modo spregiativo. Risedevano nel Palazzo del Bargello comandati da un Sergente, agli ordini del Podestà. Dovevano mantenere l’ordine, controllare la moralità. Per quanto riguarda i “bandi di pietra apposti sui palazzi signorili o sui muri delle chiese e dei conventi, a salvaguardia del luogo sacro e il riposo dei signori. C’erano scritte per i trasgressori: multe, tratti di corda e la minaccia del libero arbitrio. Significava che il malcapitato caduto in fallo, era soggetto alle punizioni più severe. I ragazzi, non potevano giocare a palla e pallottole per non disturbare. C’era in voga di giocare al Calcio ovunque, chiudendo le strade con panche, sedie e altro. Molte volte il pallone, nella foga del gioco, veniva scagliato nelle botteghe degli artigiani facendo danni. I Dieci di Balia venivano scelti in tempo di guerra. Domanda di Enrica: da Pontassieve, come faccio x sapere di più sulla storia di San Salvi? C’è un libro che mi possa dare maggiori informazioni? Grazie. Risposta di Gabriella Bazzani: San Salvi - Storia di un manicomio di Donatella Lippi Chiunque desideri porre una domanda può leggere qui: https://www.florencecity.it/le-curiosita-dei-fiorentini-fate-le-vostre-domande/ Read the full article
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libroazzurro · 9 months
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È PIÙ SACRO VEDERE CHE CREDERE - FARE POLITICA
Pan ci insuffla nel sangue grave agitazione, ed esaltazione, e, misto alla meraviglia, dolore. Tutto è così vero, e vivo, e noi vi apparteniamo, e ci appartiene. Quando Pan si manifesta, un brivido sale lungo la schiena, e quel sentimento in cui terrore e gioia sono tutt’uno, ci rende improvvisamente vivi nel solo modo in cui lo si è: nella relazione di ogni oggetto con l'altro, ognuno all'altro graziosamente soggetto. Su questo sentimento che fa tremare, secondo Platone, si fonda la città; e, infatti, Pan, quando ci libera dalle nostre mediocri volizioni nell'angoscia, ci rivela cosa fare. "Dovete solo fare politica", ci dice Pan.  
Nell’immagine, “Pan e Dafni”, gruppo scultoreo in marmo di età tardo imperiale (I-II sec. d. C.) copia di un originale ascrivibile al tardo ellenismo, conservato presso Le Gallerie degli Uffizi di Firenze (Foto © Gabinetto Fotografico delle Gallerie degli Uffizi, concessa con licenza CC BY-NC 2.0 IT).
Testo di Pier Paolo Di Mino.
Ricerca iconografica a cura di Veronica Leffe.
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amicidomenicani · 1 year
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Quesito Sono nuovamente a lei: come mai il diacono che non ha ricevuto il sacramento dell'Ordine non può rimettere i peccati in confessione, mentre può rimetterli, quasi per assurdo, nel sacramento del Battesimo… amministrato agli adulti? Grazie, Maria  Risposta del sacerdote Cara Maria, 1. vanno fatte due precisazioni: innanzitutto il diacono ha ricevuto l'Ordine sacro secondo il suo grado proprio. La seconda, non soltanto i diaconi, ma tutti, anche i non battezzati, in caso di necessità possono amministrare il battesimo. E con questo vengono rimessi i peccati. 2. La tua domanda, tuttavia, è pertinente perché chiedi come mai alcune persone, anzi, tutti possano rimettere i peccati amministrando il battesimo e non possano rimetterli nel sacramento della confessione. 3. È vero che ambedue i sacramenti rimettono i peccati. Ma il modo è diverso. E lo sta a dimostrare il fatto che possono ricevere il sacramento della penitenza solo coloro che sono stati battezzati. Cristo infatti ha istituito questo sacramento a modo di giudizio dicendo: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23). Ora la Chiesa può pronunciare un giudizio solo su coloro che le appartengono, e cioè solo sui battezzati. Chi invece non è ancora battezzato non appartiene alla Chiesa. Per questo non è richiesta la confessione sacramentale prima di ricevere il battesimo. 4. Poiché il battesimo è strettamente necessario per la salvezza, Cristo istituito per questo sacramento la materia più comune, l'acqua. Ugualmente ha determinato nei casi di necessità il ministro più comune: qualsiasi persona, anche non battezzata, purché battezzi secondo l'intenzione della forma stabilita dalla Chiesa. 5. Ma c'è anche un'altra motivazione portata da San Tommaso. Il nostro dottore angelico ricorda che i sacramenti sono ordinati alla santificazione. Per attuare tale santificazione talvolta è necessaria una materia santificata e un ministro sacro, come nel caso della cresima (cfr. Somma teologica, Supplemento 18,1). In questo sacramento la materia santificata è il sacro crisma benedetto dal vescovo. Il ministro santificato è il vescovo o comunque un sacerdote che viene santificato per mezzo dell'ordine sacro. 6. “Altre volte per il sacramento si richiede solo la santificazione della materia, come nel battesimo, poiché essa non ha un ministro determinato nei casi di necessità: e allora tutta la virtù o l'efficacia sacramentale risiede nella materia” (Ib.). La materia consiste nell'acqua versata sul battezzando pronunciando le parole determinate da Cristo. 7. Per cui il battesimo amministrato in caso di necessità da un islamico, che abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, ha la medesima efficacia del battesimo amministrato dal Papa. L'efficacia non dipende infatti dal ministro, ma dall'acqua accompagnata dalla parola. 8. Questo viene reso ancor più evidente dal fatto che possono ricevere il battesimo sia gli adulti, sia i bambini, sia coloro che sono privi di all'uso di ragione. Inoltre il battesimo, come tu giustamente osservi, elimina ogni colpa (peccato) e ogni pena. 9. “Altre volte infine per il sacramento è indispensabile la consacrazione o santificazione del ministro, senza nessuna santificazione della materia: e allora tutta la virtù del sacramento risiede nel ministro, come avviene appunto nella penitenza. Perciò il potere delle chiavi che risiede nel sacerdote sta all'effetto del sacramento della penitenza come la virtù che risiede nell'acqua del battesimo sta all'effetto del battesimo” (Ib.). In questo sacramento il sacerdote agisce in persona Christi perché è santificato da Cristo sia per mezzo dell'ordine sacro sia per il potere che Cristo gli ha dato di rimettere i peccati. Qui il ministro ha il potere di eliminare ogni colpa, ma non ogni pena perché questa è misurata anche dalle disposizioni del soggetto. 10. Pertanto il sacerdote, agend
o in persona Christi, rimette i peccati. Il laico o il diacono che amministra il sacramento del battesimo, più che rimettere i peccati, fa sì che mediante il sacramento vengano rimessi peccati a colui che viene battezzato. Ti benedico, ti auguro ogni bene e ti ricordo nella preghiera. Padre Angelo
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Che cosa porta molte persone a credere che la bibbia, un 'testo sacro', contenga delle verità? L'indottrinamento religioso imposto fin da bambini, che, pur in presenza di dati reali, di conoscenze scientifiche, non permette ad un soggetto di perdere la superstizione maturata.
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personal-reporter · 1 year
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Venezia nel Settecento a Torino
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Dal 20 aprile al 3 settembre 2023, a quasi un secolo, dalla prima esposizione dedicata alla Venezia del Settecento, a cui Pietro Accorsi diede un forte contributo, la Fondazione Accorsi-Ometto di Torino renderà omaggio al mito della Serenissima con una mostra, curata da Laura Facchin, che intende raccontare la vita della città lagunare nell’ultimo periodo della sua storia, delineandone la società e mostrandone gli aspetti più affascinanti. La produzione artistica veneziana del XVIII secolo è una delle più ricche, variegate e qualificate del panorama europeo, dove ai margini della politica internazionale e della grande economia, la città puntò  sull’aura del suo primato nelle arti visive e musicali e su una  strategia di immagine che ne fecero una delle mete più ambite e predilette del Grand Tour internazionale. Venezia era  un punto di riferimento per l’Europa intera, in grado di attrarre non solo nobili aristocratici in cerca di svago, ma anche avventurieri, fuoriusciti politici e personaggi del mondo dello spettacolo bramosi di notorietà, con l’ebanisteria, i tessuti, i merletti di Burano e i vetri di Murano contraddistinti dall’alta qualità delle materie prime e dalla finezza della lavorazione. La città contava  ben diciassette teatri, oltre a sale da concerto e  locali pubblici e privati, ove si esibiva l’orchestra tutta femminile diretta da Antonio Vivaldi, uno dei più originali compositori del Settecento. Nel 1797, in seguito agli accordi di Campoformio, si concluse la millenaria storia della Serenissima Repubblica di San Marco dopo che Napoleone, cedendo la città e buona parte dei territori di terraferma all’Austria, ne segnò la fine. La mostra è articolata in otto aree tematiche che si sviluppano, oltre che negli spazi espositivi del Museo, anche in un percorso lungo le sale dedicate alla collezione permanente. Nella prima l’immagine di Venezia che i turisti del Grand Tour diffusero è restituita attraverso una serie di vedute realizzate sia dai grandi nomi della tradizione veneziana, da Luca Carlevarjis a Michele Marieschi, sia dagli artisti europei che soggiornarono nella Serenissima. Una serie di tele a soggetto mitologico e sacro evoca la lunga stagione che, dalla fine del Seicento, vide numerosi artisti di origine veneziana, come Giambattista Tiepolo, impegnati nella grande decorazione di luoghi di culto e, soprattutto, di residenze principesche in tutta Europa. Nel calendario dei viaggiatori del XVIII secolo, Venezia era da vedere in diversi momenti dell’anno: dal Carnevale, in febbraio, denso di feste e spettacoli, all’altrettanto emozionante e sontuosa festa della Sensa, con il rito dello Sposalizio del Mare, che aveva luogo il giovedì dopo la quinta domenica di Pasqua, senza dimenticare le celebrazioni per la festa del patrono San Marco. Momenti cardine della socialità cittadina furono spesso illustrati in dipinti, come quelli qui esposti, All’opposto, le vedute di interni, ideate dai Longhi, riflettono una sensibilità tipica che ricerca una dimensione più intima e privata dell’abitare. mobili e oggetti d’arte a Venezia nel Settecento. Gli itinerari sulla Laguna vedevano, spesso, la partecipazione ad intrattenimenti musicali: dalle esecuzioni, tipiche della tradizione veneziana, che si svolgevano presso gli istituti assistenziali dove giovani orfane si esibivano in spettacoli canori graditi all’aristocrazia e ai numerosi viaggiatori, alle accademie  musicali organizzate nelle dimore del patriziato veneziano. La presenza della comunità ebraica a Venezia, che risaliva al X secolo, ebbe il suo culmine nel corso del Seicento, con importanti testimonianze di quelle arti del lusso che caratterizzarono l’immagine internazionale della Serenissima e che sono rappresentate in mostra da una serie di preziosi argenti. A seguito degli esiti della guerra di Candia, dopo la metà del XVII secolo, il patriziato veneziano cominciò a realizzare il declino politico e finanziario della Serenissima Repubblica di Venezia, che proseguì lungo il XVIII secolo, mitigato, nel fronte economico, dall’indotto del Grand Tour e dal mantenuto prestigio internazionale in ambito culturale e artistico. Il mito di Venezia, tuttavia, non fu dimenticato e venne  ripreso, nel tempo, da innumerevoli artisti come Giorgio de Chirico che, con le sue due vedute di Venezia, conclude la mostra. Read the full article
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
L'ICONA E L'IMPULSO A NARRARE
L’icona è un soggetto-oggetto di devozione: non il semplice calco figurato dell’immagine divina, ma esso stesso una presenza sacra, un segno terragno espressivo dell’immateriale.  Così la si concepisce nel culto cristiano orientale e con tale connotazione essa s’impone ai fedeli di un mondo lontanissimo, tra i secoli VI e VII, qualcuno sostiene anche l’VIII secolo nel caso della Madonna Theotokòs conservata in S. Maria in Trastevere, a Roma.  La chiesa, molto antica – la prima edificazione risale al II sec. d.C. – ed arricchita nel corso dei secoli (fino al XIX) da vari interventi tanto da ospitare un’antologia di tecniche, stili e forme, presenta una pianta basilicale absidata a tre navate (le colonne, che sostengono la classica architrave dei modelli architettonici paleo-cristiani, sembrerebbero essere state prelevate dalle terme di Caracalla) costellate, quella destra e quella sinistra, di cappelle dedicate, presenti anche ai lati dell’abside: la cappella del coro, a destra, e la cappella Altemps a sinistra nella quale si trova l’icona detta anche “Madonna della Clemenza”.  Si tratta di un encausto, procedimento pittorico assai datato e tecnicamente complesso: la finalità è quella di conservare, di acquisire anche per la pittura parietale quei requisiti di resilienza tipici dell’arte musiva.  In effetti, il dipinto su parete ha mantenuto in discreta parte le caratteristiche materiali della rappresentazione consentendo di distinguere le quattro figure nimbate che lo compongono: al centro la Madonna, in ieratica frontalità, vestita ed abbigliata sfarzosamente tanto da suscitare la comparazione con la basilissa Teodora del celebre mosaico absidale di S. Vitale a Ravenna; la vergine, che appare intronizzata – si distinguono i terminali quadrangolari dei bracci del trono – regge sulle gambe il cristo bambino che ha il volto adulto tipico di una lunga tradizione iconografica, anch’egli porporato ed in posa frontale a stagliare lo sguardo sull’astante.  Le sacre figure occupano la parte avanzata della rappresentazione mentre i due angeli o i santi che le contornano ai fianchi, permangono dietro il trono, caratterizzati da una tunica chiara eppure bordata da inserti color porpora che richiamano l’abito talare di ecclesiasti di alto rango.  Sono queste figure ad introdurre nel testo pittorico un accenno narrativo (peraltro presente, talvolta, nelle raffigurazioni musive bizantine) ammiccando allo spettatore e protendendo con garbo il palmo della mano a presentare, a proteggere, a incorniciare, le sacre ed intoccabili divinità.  E sono sempre queste due figure, arretrate come sono, a costituire una sorta di piano prospettico di fondo che conferisce la sensazione visiva dell’avvento dei corpi divini della Vergine e del Cristo, a segnalare la duplice natura, a suggerire l’intuizione tutta spirituale del soprasensibile incarnato eppure capace di mantenere la purezza del sacro.
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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pevons · 1 year
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“Ave Regina Cælorum”, tecnica mista su tela, cm. 40 x 50; verniciato, firmato, con timbro e certificato d’autenticità www.claudiopavone.it «“Ave Regina Cælorum” è l’espressione latina che denomina una delle quattro antifone mariane con le quali la Chiesa Cattolica onora e invoca Maria. A ciò si ispira ispira questa rara e pregiata opera. Il soggetto, come è evidente, raffigura la Madre di Dio col Bambino, in una rappresentazione molto toccante. Compaiono diverse scritte, in latino: il testo dell’antifona stessa, divisa in due blocchetti di testo, e i Titoli dei due Santi Personaggi dipinti. L’esecuzione, a tecnica mista, è particolarmente minuziosa ed accurata, realizzata “col pennello fine”, proprio come si addice al sacro soggetto. Un invito dunque “di alta qualità” alla devozione e alla preghiera. Un invito potente alla speranza!” (G.Y.H.T.) L’opera è pronta da appendere ed è dotata di un dispositivo realizzato dall’autore per rendere invisibile l’attaccaglia #cernuscosulnaviglio #artistcoachingitalia #arteastrattacontemporanea #arteastrattamoderna #pitturasacra #sacro #artereligiosa #pitturasacra #artereligiosa #artesacra #pitturasacracontemporanea #pitturasacra #pitturasacramoderna #pittoriitalianicontemporanei #natale #pittori_uniti_italia #abstractart #abstractpainting #abstract #landscape #paesaggio #garden #Comune_Cernusco_sul_Naviglio #comunedicernuscosulnaviglio #artcollector  #artcollectors #artcollectorsofig #collezionistiartecontemporanea #collezionistiartemoderna (presso Cernusco sul Naviglio) https://www.instagram.com/p/Cmt2VajjLYc/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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iltrombadore · 2 years
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Mastro Gisberto, il pittore più toscano della Scuola Romana 
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A tener viva la memoria del 'maestro Gisberto', caro amico di mio nonno Francesco, mi resta un suo disegno e il libriccino Hoepli del 1935 in cui il poeta Libero De Libero lo presenta tra gli artefici della nuova pittura italiana seguita al 'Novecento' e maturata a Roma nell'ambiente dei 'Valori Plastici'. Gisberto Ceracchini (1899-1982) era venuto giovanissimo a Roma, qui si era formato alla scuola postimpressionista di Armando Spadini, ma aveva presto assunto una maniera tutta sua, autodidatta toscanissimo com' era di Foiano della Chiana, testimone delle pareti a fresco o dei trittici di legno in tante chiese dove si esercitarono le virtù plastiche da Duccio a Piero e tutti gli altri...
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Questa fonte d'ispirazione fu il tratto distintivo di uno stile: linguaggio da primitivo, volumi squadrati e spesso monumentali, segno inciso dai contorni netti, richiamo a modelli lineari del primo '400, o anche giotto-masacceschi, che dà forma a sentimenti semplici e sinceri, elementari e anacronistici.
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Ceracchini, come mio nonno Francesco, viveva in Villa Strohl-fern, dove accatastava tele su tele a soggetto sacro, dopo che, negli anni Trenta, la sua vena narrativa si era precisata in visioni di vita e intimità domestica del mondo contadino da cui proveniva (era figlio di una agiata famiglia di campagna).Il paesaggio, anziché ritratto naturalisticamente, appare filtrato dalla memoria, investito da un'atmosfera di magica sospensione.
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Invitato alle principali mostre del Novecento (1926 e 1929) Gisberto Ceracchini ebbe il culmine di notorietà negli anni Trenta per poi avere nel dopoguerra un ripiegamento e subire oblìo per essere stato egli fin troppo legato al 'novecentismo' cui per partito preso si opposero i nuovi venuti del secondo dopoguerra. Io ne avevo fin da ragazzo una sincera stima e quasi venerazione, quando, di rado, mi capitava di sbirciare nel suo studioi a lucernario dove comparivano grandi figure 'sironiane' stese a pasta densa e poggiate su cavalletti o sostegni di fortuna.
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Ceracchini era sempre sorridente, di poche parole. Come mio nonno, sostava in Piazza del Popolo assieme agli amici artisti, quando si distaccava dall'eremo dello studio. Si ritirò anziano a vivere sul lago di Bolsena e vi morì nel 1982. Oltre a De Libero, di lui scrissero Roberto Longhi, Margherita Sarfatti, Francesco Trombadori, Giovanni Scheiwiller, Sandro Volta.
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chez-mimich · 2 years
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ROBERTO CALASSO: “SOTTO GLI OCCHI DELL’AGNELLO”
Qual è davvero il ruolo dell’Agnello nelle Sacre scritture? Per mano di chi e per volontà di chi è stato ucciso? E perché? Nessuno ha mai saputo rispondere a queste domande e anche pochi se le sono poste. Non ci è riuscito nemmeno Roberto Calasso, nel suo “Sotto gli occhi dell’Agnello”, uscito qualche mese fa da Adelphi. Se era ovvio non aspettarsi una risposta, era ancor più ovvio che, a porsela (finalmente), fosse uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento. Nelle intenzionalità del volumetto vi è forse la ricerca di qualche legame con un altro importante (ed imponente) volume di Calasso, “Il cacciatore celeste” del 2016, dove si ipotizza essere la caccia (divina od umana) la causa ancestrale di tutte le umane disgrazie. In “Sotto gli occhi dell’agnello”, come spesso accade, Calasso prende spunto da una enigmatica e sconvolgente opera d’arte per argomentare sul tema. L’opera è il celeberrimo “Polittico di Gand” di Van Eyck, dove lo sguardo fisso, ipnotico e privo di espressione dell’agnello, il foro sul petto dell’animale, dal quale sgorga un fitto e regolare flusso di sangue, suggeriscono ipotesi e insinuano dubbi nel grande studioso. Se Gesù viene ucciso per mano degli uomini, nessuno sa chi uccide l’Agnello. Anche nel libro dell’Apocalisse, l’Agnello sembra essere una figura inavvicinabile e sopravvive, come figura simbolica, anche all’Apocalisse stessa. Una figura trionfante quindi che proprio Jahvè volle come vittima, “altrimenti la macchina del mondo non si sarebbe messa in moto”. Mentre Gesù venne ucciso dopo una lunga vicenda, tutta nella Storia umana, narrata nell’Antico e nel Nuovo Testamento, l’Agnello viene ucciso al principio di tutto e aspetta la sua sposa, quella Gerusalemme Celeste che nessuno ha mai visto. Solo l’uccisione di un mondo può mettere alla luce un mondo nuovo. Per secoli nessun artista osò raffigurare l’Agnello, proprio per questa sua icasticità concettuale e nemmeno, dopo il “Polittico di Gand”, nessun altro artista si cimentò nell’impresa. Gesù non ha successori, mentre l’Agnello continua a dominare la storia sacra (e del Sacro); forse un altro Paracleto, è ciò di cui necessita il mondo e forse il Paracleto, avvocato del mondo, è il soggetto cui si riferisce il libro dell’Apocalisse: “Tu sei degno di ricevere il libro e di aprire i sigilli, poiché sei stato ucciso e hai riscattato Dio con il tuo sangue”. Se così fosse, secondo l’ipotesi suggerita da Calasso, non solo tutta la Cristologia, ma persino tutta la dottrina della Chiesa ne uscirebbe sconvolta. Certo, quella di Calasso, potrebbe essere solo una provocazione (lontana anni luce da quelle un po’ pecorecce alla Dan Brown per intenderci), ma pur sempre una provocazione, benché eruditissima ed appena suggerita. “Sotto gli occhi dell’Agnello” è la dodicesima opera sulla ricostruzione del Sacro che Roberto Calasso aveva intrapreso nel 1983, con l’indimenticabile “La rovina di Kasch”, un percorso dal fascino assoluto e dalla enigmaticità tangibile, con teorie nutrite dal dubbio eppure così straordinariamente credibili e possibili. Anche da morto (ma sarà morto veramente?), Calasso continua a far sentire la sua incorporea presenza…
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dantewroclaw · 2 years
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Call - L’esperienza mistica nella cultura e nella scienza 
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Invito al convegno internazionale: L’esperienza mistica nella cultura e nella scienza 
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Luogo e data del convegno: Wrocław, 7-9 dicembre 2022 Organizzatore: Uniwersytet Wrocławski Facoltà di Filologia Dipartimento di Filologia Romanza Wrocław è la città natale di Angelus Silesius (1624-1677) e la regione della Bassa Slesia è il luogo di studio di eminenti filosofi e mistici, tra cui Jakub Boehme (1675-1624) sembra essere il più importante. L’anno 2022 è stato dedicato dalla città di Wrocław a Edith Stein (1891-1942), una delle più eminenti studentesse dell’Università di Wrocław, che come fenomenologa ha cercato la profondità dell’esperienza dell’ “uomo interiore”, che ha espresso nella sua attività di scrittura. Per questo vorremmo invitarvi a partecipare a un convegno internazionale dedicato all’esperienza mistica ampiamente intesa nella cultura e nella scienza, nonché alla memoria di Edith Stein. Il misticismo, corrente filosofica e religiosa presente in molte culture e religioni, riconosce l’esistenza di un’esperienza mistica intesa come un atto e/o uno stato di comunicazione e unione diretta di un essere umano (o di qualsiasi essere cosciente individuale) con la realtà ultima, che viene spesso descritta come un assoluto impersonale o Essere Personale perfetto su cui si fonda l’essenza di ogni altro essere esistente. Questa trascendenza, in un contesto tutto religioso, funziona come il sacrum. William James (1842-1910), che incluse l’esperienza mistica tra le Esperienze Religiose (1902), ne indicò le seguenti caratteristiche distintive: indicibilità, noeticità (l’illuminazione che l’accompagna rivela e nasconde simultaneamente), transitorietà (durata relativamente breve) e passività (del soggetto che sperimenta).   L’esperienza empirica, che è apparentemente un legame infallibile tra l’individuo e la realtà, non ha una giustificazione propria, esige una convalida da parte della ragione, la ratio. Anche l’esperienza mistica (quell’improvvisa e prepotente intrusione del sacro nell’individuo) cerca la sua conferma, comprensione ed espressione attraverso la parola, il logos, spesso un simbolo codificato, che poi diventa la base di un credo religioso, di un movimento filosofico o di una ricerca soteriologica individuale. Sebbene l’ “oggetto” stesso dell’esperienza del sacro, cioè  Dio, la Dea, la Divinità, siano indefinibili e inesprimibili, i mistici cercano di esprimere la loro esperienza in termini radicati nella tradizione e nella cultura. In questo modo, l’esperienza mistica comincia a funzionare in un quadro interpersonale e sociale.  L’estasi è un’esperienza particolare della teofania, poiché indica il fenomeno dell’andare oltre il sé sperimentato dall’estatico (devoto, yogi, asceta) ma anche dal dio o dalla dea, il superamento del proprio sé e l’apertura verso l’Altro. Mentre i motivi divini possono essere discussi ma mai pienamente riconosciuti, i percorsi umani dall’estetica (la percezione sensoriale, la sperimentazione della teofania attraverso la bellezza) all’estasi per il mistico diventano l’unico modo possibile di vivere. Così l’homo mysticus percorre la via mystica nella realtà transpersonale, il mistero della coesistenza dell’Assoluto e della Creazione, l’oscurità indicibile, nella paura mistica. Il misticismo è, dunque “un’esperienza cosciente straordinariamente intensa del sacro «all’interno dell’essere umano», come la maggiore o l’unica virtù. Il valore del sacrum sarà compreso diversamente nelle religioni mistiche, che non parlano necessariamente di un dialogo tra il mistico e l’Assoluto, e nelle religioni profetiche, che riconoscono la sostanziale separatezza del soggetto e dell’oggetto dell’esperienza mistica. Tuttavia ci sarà un elemento comune in entrambe le tradizioni: la cosciente partecipazione nel centro stesso del sacro”. Questa intrusione sacra, che si impadronisce dell’insieme emotivo e mentale umano, e spesso anche di quello corporeo, ha molti aspetti.  Nello spazio della trascendenza, l’ ‘io’ individuale può scomparire temporaneamente, portando alla nascita di un ‘nuovo io’. Per raggiungere l’esperienza mistica, si intraprendono diversi sforzi di carattere ascetico, quali: deprivazione sensoriale, meditazione, silenzio, tecniche di respirazione. Sono pervenute numerose testimonianze in cui si narra l’aver sperimentato la presenza del Divino, di trovarsi al cospetto del dio o della dea (per citarne una, l’esperienza descritta nel libro dell’Esodo, quella di Mosè sul Monte Sinai). Allo stesso modo, spesso si crede che il Dio o la Divinità facciano uno sforzo per entrare in contatto con l’Amata o l’Amato, così il motivo dell'unione mistica o del matrimonio spirituale, che unisce il mistico con l'erotico, ritorna in diverse forme e in diverse tradizioni (il concetto di bhakti divina nell’induismo, le interpretazioni ebraiche e cristiane del Cantico dei Cantici, la poesia sufi). Possono essere menzionate anche le possessioni divine del corpo dell'estatico, gli stati di ubriachezza divina e altre pratiche di trasgressione o follia divina (per esempio negli adepti tibetani di Vajrayāna o negli ‘yurodivi’ in Russia). In quel momento può anche essere rivelata la conoscenza segreta, altrimenti nascosta al mondo (per esempio la tradizione di Visnù tra i Pāñcarātra, gli insegnamenti pitagorici e orfici). La presenza divina è stata sperimentata durante gli antichi misteri greci o egizi, nelle confraternite religiose e filosofiche, e più tardi nei circoli di alcune società segrete. Prima della tradizione cristiana il misticismo era associato a una forma particolare di esperienza spirituale e, su basi filosofiche e teologiche, alla cognizione apofatica (gli scritti dello Pseudo-Dionigi, di Eriugena, e dei mistici renani); con lo sviluppo del cristianesimo si è legato al carattere mistico della dottrina cristiana, riservato a un gruppo di iniziati (l’aggettivo greco μυστικός, ‘mistico’, condivide la stessa radice della parola ‘mistero’, μυστήριον). È necessario fare una distinzione tra il misticismo e l’esoterismo (e le diverse forme di magia che talvolta sono ad esso correlate): il misticismo è un’espressione della ricerca dell’unione diretta con la divinità attraverso il superamento della sfera dell’immaginazione, la quale è, invece, il fattore chiave e imprescindibile di varie tendenze esoteriche. Le due sfere, tuttavia, spesso si mescolano, ad es. nella cabala ebraica, nell’ermetismo e nell’alchimia mistica, nei neoplatonici rinascimentali che professano la prisca theologia, in Jacob Böhme, Louis-Claude de Saint-Martin, Emanuel Swedenborg e nei romantici che si ispirarono a loro. L’arte rientra in questo contesto sia come forma di invocazione alla Divinità che come espressione dell’amore e della presenza divina: la danza estatica (tra cui le danze sufi, il Teyyam di Kerala), la musica e il canto (tra cui i baul, gli āḻvār e i poeti mistici śivaiti  nāyaṉmār). La letteratura fornisce innumerevoli esempi della trasposizione di temi mistici nel linguaggio della poesia e della prosa: dal ciclo arturiano e la leggenda del Santo Graal, a L’Aleph di Jorge Luis Borges e La notte di fuoco di Eric-Emanuel Schmitt, passando per le opere di Novalis, William Blake, Victor Hugo o dei simbolisti.  L’esperienza mistica è anche oggetto d’interesse di numerose correnti della nuova spiritualità che si sono sviluppate dinamicamente negli ultimi decenni (come nel campo della vasta e varia cultura New Age) e che combinano zelantemente le tradizioni dell’Estremo Oriente con la sensibilità occidentale. Tale esperienza è un motivo spesso ricorrente nell’ambito del post-secolarismo, cioè la corrente di pensiero che sfida la convinzione della graduale e progressiva secolarizzazione del mondo. Si possono citare le opere di Charles Taylor, John Caputo, Jacques Derrida, Emmanuel Carrère o Julia Kristeva, e nella cinematografia i film di Bruno Dumont. L’esperienza mistica diventa qui un elemento di reinterpretazione, trasformazione e una nuova maniera di vivere l’esperienza religiosa in un mondo post ‘morte di Dio’, in cui né le strutture dogmatiche della chiesa né l’ateismo, che racchiude l’uomo nella pura immanenza della natura, possono più apparire come risposte soddisfacenti alle domande fondamentali della condizione umana. Benché il fenomeno dell’esperienza mistica sia stato di grande importanza nel contesto della cultura e della vita personale per secoli, solo in epoca più recente è divenuto oggetto di una seria ricerca empirica, principalmente nel campo delle neuroscienze. Gli studi rivolti fino a oggi all’attività psicobiologica dei mistici contemporanei (monache carmelitane, yogi e monaci buddisti che praticano la meditazione), gettano nuova luce sui meccanismi che inducono alle esperienze mistiche e hanno portato a interessanti conclusioni di carattere comparativo. Proponiamo alcuni argomenti come spunto per il nostro incontro scientifico: - L'esperienza mistica e la tradizione biblica    - L'esperienza mistica nelle diverse religioni del mondo     - L'esperienza mistica in una prospettiva comparativa   - L'esperienza mistica e la sua espressione   - L'esperienza mistica nella letteratura, nel teatro, nell'arte e nel cinema    - L'esperienza mistica in contesti post-secolari      - L'esperienza mistica alla luce della storia    - L'esperienza mistica nell'esoterismo occidentale     - L’Esperienza mistica e la filosofia    - L’Esperienza mistica e le neuroscienze    - L’Esperienza mistica e la psicoanalisi   - L'esperienza mistica non religiosa, "selvaggia”    - L'esperienza mistica nell'opera di Edith Stein  INFORMAZIONI IMPORTANTI Luogo dell’incontro:  Uniwersytet Wrocławski Dipartimento di Filologia Romanza,  pl. Bp. Nankiera 4, 50-140 Wrocław Comitato organizzativo: Nina Budziszewska (Uniwersytet Wrocławski)  Marlena Krupa-Adamczyk (Uniwersytet Wrocławski)  Gianluca Olcese (Uniwersytet Wrocławski) Tomasz Szymański (Uniwersytet Wrocławski)  Comitato scientifico: Piotr Augustyniak (Uniwersytet Ekonomiczny, Kraków)  Sonia Maura Barillari (Università di Genova)  Agata Bielik Robson (Instytut Filozofii i Socjologii PAN, University of Nottingham)  Nina Budziszewska (Uniwersytet Wrocławski)  Antonio Guerci (Università di Genova)  Marzenna Jakubczak (Uniwersytet Pedagogiczny)  Mirosław Kiwka (Papieski Wydział Teologiczny we Wrocławiu)  Marlena Krupa-Adamczyk (Uniwersytet Wrocławski)  Piotr Lorek (Ewangelikalna Wyższa Szkoła Teologiczna, Wrocław)  Maciej Manikowski (Uniwersytet Wrocławski)  Gianluca Olcese (Uniwersytet Wrocławski)  Monika Rzeczycka (Uniwersytet Gdański)  Luiza Rzymowska (Uniwersytet Wrocławski)  Alicja Sakaguchi (Uniwersytet im. Adama Mickiewicza, Poznań)  Francisco Javier Sancho Fermín, OCD (Centro Internacional Teresiano-Sanjuanista, Ávila)   Anna Siri (Università di Genova)  Tomasz Szymański (Uniwersytet Wrocławski)  Izabela Trzcińska (Akademia Górniczo-Hutnicza, Kraków)  Zofia Zarębianka (Uniwersytet Jagielloński, Kraków) Scadenza per le presentazioni: 26 giugno 2022 Conferma della ricezione delle domande: 10 luglio 2022 Durata delle relazioni: 20 min. (+10 min. di discussione) Lingue della conferenza: polacco, inglese, spagnolo, francese e italiano  Tassa d’iscrizione: 100 Euro / 450 PLN  Include: materiale per la conferenza, accesso alle sessioni della conferenza, certificato di partecipazione, caffè e rinfreschi durante le pause, visita al Museo Edith Stein, visita guidata di Wroclaw sulle orme di Edith Stein, cena di chiusura, pubblicazione scientifica in volume. Invio delle proposte: Via e-mail a uno dei seguenti indirizzi (in base alla lingua): [email protected]  (in polacco o spagnolo)  [email protected] (in polacco o inglese)  [email protected] (in polacco o francese)  [email protected] (in italiano o inglese)  L’email deve contenere un allegato in formato Word con le seguenti informazioni: 1. nome, cognome 2. titolo di studio o titolo accademico 3. affiliazione 4. e-mail 5. indirizzo  6. numero di telefono 7. titolo della presentazione 8. disciplina/e 9. abstract (circa 200 parole)
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Zaproszenie na międzynarodową konferencję: Doświadczenie mistyczne w kulturze i nauce / Mystical Experience in Culture and Science
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Miejsce i termin konferencji: Wrocław, 7-9 grudnia 2022 r. Organizator: Uniwersytet Wrocławski Wydział Filologiczny Instytut Filologii Romańskiej Wrocław jest rodzinnym miastem Anioła Ślązaka (1624-1677), a region Dolnego Śląska miejscem twórczości wybitnych filozofów i mistyków, wśród których najistotniejszym wydaje się Jakub Boehme (1675-1624). Rok 2022 Rada Miejska Wrocławia ustanowiła Rokiem Edyty Stein (1891-1942), jednej z najwybitniejszych studentek Uniwersytetu Wrocławskiego, która jako fenomenolog dążyła do głębi doświadczenia „wewnętrznego człowieka”, czemu dała wyraz w swojej aktywności pisarskiej. Z tego też powodu pragniemy zaprosić Państwa do udziału w międzynarodowej konferencji poświęconej szeroko pojętemu doświadczeniu mistycznemu w kulturze i nauce, a także upamiętnieniu Edyty Stein. Mistycyzm, czyli prąd filozoficzno-religijny występujący na gruncie różnych kultur i religii, uznaje istnienie mistycznego doświadczenia rozumianego jako akt lub/i stan bezpośredniej komunikacji i unii istoty ludzkiej (lub każdego jednostkowego świadomego bytu) z ostateczną rzeczywistością. Najczęściej ową rzeczywistość określa się jako bezosobowy absolut lub osobowy byt doskonały, na którym ufundowana jest istota jakkolwiek istniejącego innego bytu. Owa transcendencja w kontekście ogólnoreligijnym pełni funkcje sacrum. William James (1842-1910), który doświadczenie mistyczne zaliczał do doświadczeń religijnych, jako wyróżniające je cechy wskazał: niewysławialność, noetyczność (towarzyszące mu objawienie/oświecenie jednocześnie odsłania i zakrywa), przejściowość (względna krótkotrwałość) oraz bierność (doznającego go podmiotu).   Doświadczenie empiryczne, wydawałoby się, niezawodne ogniwo między jednostką a rzeczywistością, nie posiada własnego uzasadnienia, domaga się uprawomocnienia przez rozum, ratio. Również doświadczenie mistyczne (owo nagłe i obezwładniające wtargnięcie sacrum w indywiduum) szuka swego potwierdzenia, zrozumienia i wyrażenia poprzez słowo, logos, często zakodowany symbol, który następnie staje się podstawą credo, ruchu filozoficznego czy indywidualnych poszukiwań soteriologicznych. Pomimo iż sam „przedmiot” doświadczenia transcendencji, a więc Bóg/Bogini/Boskość, jest niedefiniowalny i niewyrażalny, mistycy zwykle usiłują to doświadczenie wyrazić w pojęciach zakorzenionych w ich tradycji i kulturze. W ten sposób przeżycie mistyczne zaczyna funkcjonować w interpersonalnych i społecznych ramach.  Ekstaza jest szczególnym doświadczeniem teofanii, wskazuje bowiem na działanie polegające na wyjście poza siebie ekstatyka (wyznawcy, jogina, ascety), lecz także i Boga/Bogini — przekroczenie siebie w stronę Innego. O ile boskie motywy mogą być dyskutowane, lecz nigdy w pełni rozpoznane, to ludzkie ścieżki od estetyki (zmysłowego oglądu, doświadczania teofanii poprzez piękno) do ekstazy stają się dla mistyka jedynym możliwym sposobem życia. W ten sposób homo mysticus kroczy via mystica w transpersonalną rzeczywistość, tajemnicę współistnienia Absolutu i Stworzenia, niewysłowioną ciemnię, w mistycznym lęku. Mistyką zwiemy zatem: „niezwykle intensywnie uświadomione przeżycie sacrum «we wnętrzu» człowieka, jako najwyższej lub jedynej wartości. Wartość sacrum inaczej będzie rozumiana w religiach mistycznych, w których niekoniecznie jest mowa o dialogu między mistykiem a Absolutem, inaczej zaś w religiach profetycznych uznających odrębność substancjalną podmiotu i przedmiotu doświadczenia mistycznego. Niemniej w obu tradycjach istnieć będzie wspólny element - owo świadome uczestnictwo w samym centrum świętości”. Owo święte wtargnięcie zagarniające ludzką całość emocjonalno-mentalną, a nierzadko i cielesną, posiada wiele aspektów.  W przestrzeni transcendencji może czasowo zaniknąć jednostkowe „ja”, prowadząc do przebóstwienia i narodzin „nowego ja”. Ku przeżyciu doświadczenia mistycznego wiodą różne wysiłki ascetyczne: deprywacja sensoryczna, medytacja, milczenie, techniki oddechowe. Liczne są świadectwa doświadczania obecności Boskości — stawania twarzą w twarz z Bogiem/Boginią (np. opis doświadczenia Mojżesza na górze Synaj w Księdze Wyjścia). Czy zatem sam Bóg/Bóstwo nie dąży, by wejść w kontakt ze swoim Umiłowanym lub swą Oblubienicą? Wątek mistycznego zespolenia lub mistycznych zaślubin, łączący mistykę z erotyką, powraca w licznych postaciach w różnych tradycjach (koncepcja boskiej bhakti w hinduizmie, żydowskie i chrześcijańskie interpretacje Pieśni nad Pieśniami, poezja suficka). Zdarzają się boskie wejścia w ciało ekstatyka, a także boskie upojenia i inne praktyki transgresji oraz boskiego szaleństwa (na przykład u śiwaickich i śaktyjskich tantryków lewej ręki, tybetańskich adeptów wadżrajany czy jurodiwych w Rosji). Wtenczas wyjawieniu może ulec także i wiedza tajemna, ukryta przed światem (np. wisznuicka tradycja pańćaratry, nauki pitagorejskie oraz orfickie). Boska obecność przeżywana była podczas misteriów starogreckich czy egipskich, w bractwach religijnych i filozoficznych, a w późniejszych czasach w kręgach niektórych tajnych stowarzyszeń(martyniści, towiańczycy itp.). W tradycji chrześcijańskiej mistyka, nim zaczęła być kojarzona z pewną szczególną formą doświadczenia duchowego, na gruncie filozoficzno-teologicznym zaś z poznaniem typu apofatycznego (pisma Pseudo-Dionizego, Eriugeny, później mistyków nadreńskich), związana była z misteryjnym charakterem nauk chrześcijańskich, zastrzeżonych dla grupy wtajemniczonych (przymiotnik grecki μυστικός, ‘mistyczny’, dzieli ten sam rdzeń z wyrazem oznaczającym „tajemnicę”, μυστήριον). Choć mistykę należy odróżnić od ezoteryzmu (oraz Read the full article
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