Tumgik
#sorriso maledetto
Per me hai e sempre avrai il sapore delle cose irrisolte.
-ilragazzodalsorrisomaledetto
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themhac · 2 years
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loro uccidendomi
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« Et toi combien de fois on t’as dit que t’es un connard ? » new pickup line
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E sono solo uno dei tanti
Col sorriso triste e con gli occhi stanchi
Che non riesce più a fidarsi degli altri
Con una mano mi abbracci e con l'altra mi ammazzi
E sono stato sempre quello solo
Perché non sono mai stato come loro
Che hanno lo sguardo pieno d'odio e il cuore vuoto
Il nostro amore maledetto mi mancherà in eterno
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canesenzafissadimora · 4 months
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A volte rovistando nei cassetti dei ricordi del mio cuore una leggera malinconia mi accarezza l'anima.
Vorrei fuggire
Perdermi nell'estasi del tempo che fu
Ne sento già il sapore.
" Quanto mi ami” gridavi a squarcia gola
“Mai vero, mai mi lascerai" più forte ancora la tua voce
Sorrido al tuo sorriso mai dimenticato
Tu
Il mare
Le cavalcate
L’incoscienza
I tuoi silenzi
Mi perdo
Divento piccolo
Ma quanto poco basta
Quanto eterna può essere la felicità
Maledetta età
Non né capivo il valore
Preziosa pietra tu
Volgare letame io
Amavi l'orizzonte
L'infinito
Eri già oltre allora
Io non capivo
Non ascoltavo il destino
Non avevo tempo
Ardevo
Bruciavo l’aria
Mi bastava la tua pelle
Non fiutavo il tuo svanirmi tra le dita
Il tuo spegnerti
Lasciarmi
Maledetto Dio
Ci ho creduto
Davvero
Ci ho creduto tu fossi diventata nuvola
Poi a volte come oggi rovistando nei cassetti dei ricordi spunti tu.
Ed io.....
…..io pur di poterti ancora un giorno sfiorare
Son diventato l'uomo che accarezza le nuvole!
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#Carty
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lonelygirl-97 · 8 months
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Il fatto che non riesca ancora a trovare il coraggio per difendermi mi fa tornare indietro a quando ero bambina a quando subivo senza fiatare, con quel sorriso come se la cattiveria non potesse in alcun modo ferirmi. In realtà quel maledetto passato ancora adesso mi perseguita, ancora adesso mi taglia le gambe ogni volta che mi ripeto “sono forte adesso”, no..non lo sono. Forse non lo sarò mai. Ancora non sono in grado di difendere quella bambina che ero e la cosa mi distrugge.
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jaegerista0 · 10 months
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Quel maledetto sorriso.
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bennigei · 2 years
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Era l'anima pagana dell'amore. Non era bello, ma aveva fascino. Un maledetto fascino di sangue e carne. Inquietante come il mistero. Immorale come un'imprecazione. Indecente come il peccato. Aveva due occhi dannatamente cerebrali. Due dèmoni erotici che inducevano all'eterna condanna. Sofisticati dominatori di fantasie invereconde, quegli occhi avrebbero soggiogato qualsiasi mente. Pura o impura che fosse. Li avrei scopati quegli occhi. Poi li avrei baciati. Come avrei volentieri baciato quelle sue labbra carnose che si allungavano oltre il confine di un normale sorriso.
- Mauro Andreucci
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ichi-go-ichi-e · 1 year
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« qualcuno una volta scrisse "che possano ascoltarmi gli dei degl'inferi in 'sto esatto istante, giacché debba fare un importante giuramento innanzi a loro: che divorino la mia anima tutti i demoni, nel caso in cui io fugga per mera codardia da te e da questo nostro sentimento, che seppur dannato e maledetto, ci scompone in un'essenza nostra e inscindibile" e non vi è stato istante che m'imprimessi queste parole nel cuore, a sangue e fuoco, lasciando che divenissero indelebili persino alla mia anima poiché rispecchiavano quel che sentivo. le divoro anche adesso che fisso una parete e mi chiedo di te. se stai bene, se hai mangiato, se il naso ti pizzica perché vorresti piangere e se mi stai maledicendo per essere stato un emmerito coglione, un ulteriore dolore. vorrei essere lì, sai? non per ricordarti quanto t'amo perché non sfugge questo sentimento ma per accarezzarti lì, tra le scapole, dove racchiudi i tuoi malesseri, stringerti fino ad inglobarti per chiederti ancora scusa e avvolgerti in me così che possa assorbire ogni tuo dolore. non ho mai desiderato tanto assorbire un dolore tanto quanto adesso, e mi dispiace non essere stato all'altezza ieri quando avevi bisogno di me. vorrei poterti dire che sto imparando ad essere come te, ad essere più di testa e meno idiota, ma a volte mi chiedo se mi ami più per l'idiozia di cui sono composto. è da ieri che cammino a spalle dritte nella speranza di vederti appoggiare su di esse, non perché mi sento costretto a dimostrarti qualcosa per essere perdonato, ma per mantenere fede alla promessa che ho fatto a te, a me, a noi, quella di proteggerti nonostante tutto. infatti anche se mi manchi, nonostante mi duole il dito perché volevo ti arrivassero mille di quei cuori da quell'app che non capisco ancora come funziona, volevo avessi qualcosa che non fosse una canzone ma che portasse un po' di me con te, qualcosa che potessi rileggere e che ti consolasse, come uno dei nostri caldi abbracci o una delle mie stupide battute che ti hanno sempre strappato il sorriso. il mondo è spaventoso daniel e persino la persona più forte in questa terra indietreggia. e io sono sempre stato un vigliacco eppure quando torno in me tu sei sempre stato l'unica persona che mi ha teso la mano e l'unica a cui voglio tenderla, persino quando ci troviamo a lanciarci piatti di parole. li ho ordinati sai? stupidi piatti online con le frasi più assurde, come quelle coppie sposate da anni che litigano e si urlano dietro di tutto e di più. nella pubblicità mi era stato assicurato, con questi non avrete più bisogno di sfoderare la vostra fantasia. sto dilungando perché in questo modo posso starti più vicino, è pur sempre un tentativo no? la realtà è che vorrei tenerti fra le braccia per dirti che andrà tutto bene, ma sto cercando di rispettare la tua volontà. la stanza in cui alloggio non dista molto, ho chiesto esplicitamente che fosse disponibile per ogni emergenza. mi vedi correre da te nel cuore della notte? miagolare alla tua finestra come un gatto. dio, devo smetterla di essere così e di parlare troppo. adesso puoi chiudere gli occhi e pensarmi lì che ti stringo, profumato di non ti scordar di me che ti asciugo le lacrime per baciarti il cuore. purtroppo non esistono parole in questi casi e noi che siamo abituati a parlare per placare il dolore ci ritroviamo così, piccoli granelli di sabbia. quindi eccomi con te, tra queste righe che ti abbraccio.
ps: sarò tra la folla, sarò con te.»
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Il tuo problema è che tu non riesci mai a riconoscere chi ti è amico davvero da chi ti è amico solo per pura convenienza. E negli anni vieni deluso più e più volte da chi credevi che, come te, nel vostro rapporto mettesse il cuore, quando invece ciò che metteva era tutta una grande finzione.
-ilragazzodalsorrisomaledetto
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ideeperscrittori · 6 months
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ABBASSO JOHNNY Quando ero piccolo guardavo i telefilm americani ed ero convinto di essere un genio nato nel posto sbagliato.
Mi colpivano profondamente le scene ambientate nelle scuole americane.
Il copione era più o meno il seguente. L'insegnante interrogava il primo della classe, che chiameremo Johnny, e gli proponeva una parola considerata difficile. Per esempio: "agricoltore". Il bambino sapeva cosa fare e rispondeva prontamente: «A-G-R-I-C-O-L-T-O-R-E». E l'insegnante reagiva così: «Johnny, sei bravissimo! 10 e lode!».
Bambino sorridente. Dissolvenza. Pubblicità. Io che piangevo.
Piangevo perché ero coetaneo di Johnny e avevo un'unica certezza nella vita: il massimo dei voti non era alla mia portata. Qualche errore ortografico mi scappava sempre.
Ero roso dall'invidia. Pensavo «10 e lode per una simile stronzata? Non è possibile! È uno scherzo!». Avevo le stesse capacità di Johnny, ma dov'era la mia standing ovation?
Odiavo Johnny. Lo odiavo veramente. Sulla sua faccia, dopo la lode dell'insegnante, c'era un sorriso trionfante da bambino immagine dell'ovetto Kinder.
Quel sorriso me lo sognavo di notte. Nei miei incubi Johnny puntava il dito verso di me e mi sbeffeggiava: «Io prendo sempre 10 e lode e tu hai preso "Bravissimo" una sola volta in 5 anni di elementari. Io sì e tu no! Trallallero». Maledetto primo della classe senza alcun merito!
Poi ho scoperto che Johnny era davvero bravo perché, in pratica, nella lingua inglese manca quella puntuale corrispondenza tra lingua scritta e parlata che caratterizza l'italiano. In inglese ripetere tutte le lettere che compongono una parola (il cosiddetto "spelling") è compito tutt'altro che banale.
In realtà la faccenda è più complessa e anche la lingua italiana può fregarti. Per esempio la parola "grazie" è pronunciata da nord a sud con una "zeta forte" che in pratica è una doppia zeta, tanto che "grazzie" è un errore ortografico diffusissimo.
Ma non complichiamo troppo il discorso: di solito noi persone italofone possiamo fare affidamento sulla corrispondenza tra lingua scritta e pronuncia.
Dopo questa scoperta ho rivalutato Johnny, ma non ho smesso di detestarlo. Ho cominciato a odiarlo per motivi diversi, e cioè perché era un insopportabile primo della classe col sorriso da bimbo immagine dell'ovetto Kinder. Non posso perdonarlo. Certi incubi non si dimenticano. Abbasso Johnny, sempre e comunque.
FINE
[L'Ideota]
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melancomine · 1 year
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CHOCOLATE | steve harrington x eddie munson
trama: il ricercato eddie munson, dopo essere stato giudicato responsabile della morte di chrissy cunningham, è scappato da hawkins e vive la vita da criminale vagabondando sul suo camper per lo stato. l'incontro inaspettato con steve harrington li porterà a vivere insieme una spericolata notte.
pairing: eddie munson x steve harrington
word count: 9,3k
avvertenze: slow burn, angst (ansia, rabbia, angoscia, paura), armi, fluff, smut, preliminari, linguaggio, au post s4, 1988
masterlist | wattpad
chocolate
La testa di Eddie Munson oscillava sulla cadenza di The Trooper, sdraiato sul letto del suo camper con le gambe incrociate e i talloni sul vetro della finestra, le scarpe ancora addosso. Le cuffie collegate al walkman che conservava nella tasca dei jeans gli permettevano di abbandonare la Terra e viaggiare in un mondo tutto suo insieme agli Iron Maiden. Faceva cadere la cenere dalla sigaretta picchiettando l’indice sul filtro, provando a centrare il posacenere appoggiato sul materasso di fianco a lui, ma inesorabilmente lo mancava, sporcando le lenzuola di grigio. L’altra mano impegnata a tamburellare a ritmo sul suo addome nudo, gli occhi chiusi. Lattine di birra sul pavimento e cartacce di Snickers sul tavolino.
Da quando Chrissy Cunningham era morta misteriosamente nel caravan in cui viveva con lo zio Wayne e da quando era stato giudicato responsabile del tragico quanto brutale evento, la nuova casa di Eddie era la strada. Nessuno gli avrebbe mai creduto, era una storia troppo assurda da raccontare. Nemmeno lui era sicuro di ciò che aveva assistito. Le ossa di quella ragazza si erano rotte una dopo l’altra e i piedi si erano sollevati da terra come per magia. Pensava di star sognando o di essere diventato pazzo, per cui scappò, consapevole del fatto che non avrebbe mai potuto spiegare cosa era successo e risultare attendibile. Gli avrebbero attribuito la colpa e sbattuto in prigione, senza potersi difendere in alcun modo in quanto la sua brutta reputazione e i pregiudizi della piccola e chiusa di mente Hawkins lo avrebbero anticipato. Il nome di Munson era maledetto da generazioni e lui era destinato a continuare la tradizione, prima o poi. Era solo.
Erano due anni che girava per il paese con un solo scopo: fuggire. La vita da ricercato non era affatto facile, rubare per vivere e cambiare nome e città ogni settimana. Il suo nuovo appellativo Eddie il criminale Munson lo convinse a proseguire come tale e ad adattarsi. Anche la sua nuova dimora era frutto di un furto. Suo padre gli aveva insegnato come far partire un’auto collegando i fili quando era piccolo, poi era scomparso senza mai più farsi rivedere. Le conoscenze giuste gli procurarono una targa nuova e bastò una riverniciata alla carrozzeria per battezzare il camper suo. 
Dopo essere stato nella colorata e gioiosa New Orleans, ora si trovava a Lafayette, decisamente più tranquilla. Il sole stava per tramontare, l’aria era tiepida e a Eddie venne un certo languirono. Nel camper c’erano solo barrette di cioccolato, latte e birre nel frigo e fagioli in barattolo. Ciò che gli fece sfilare le cuffie dalle orecchie e mettersi una maglietta dei Metallica – trovata per terra e molto probabilmente macchiata – fu il pacchetto vuoto di sigarette. Per cui sospirò e si alzò dal letto, abbandonando gli Iron Maiden e il comodo cuscino su cui era appoggiato, e dopo aver intascato le chiavi del camper uscì alla ricerca di un posto dove viziarsi e riempirsi la pancia.
L’insegna luminosa di una tavola calda attirò la sua attenzione. Afferrò la maniglia e la tirò verso di sé aprendo la porta. Non fece in tempo ad entrare completamente che una graziosa ragazza dai capelli biondi raccolti in due trecce lo accolse con un sorriso smagliante. ”Prego, da questa parte.” Lo accompagnò a un tavolo libero. Il locale era un classico ristorante anni cinquanta, pavimento a scacchi e poltrone morbidissime ai tavoli. 
Eddie ricambiò amichevolmente il sorriso, ”Grazie.” Disse mentre si sedeva. 
La cameriera indossava un grembiule bianco sopra alla divisa rosa, smalto trasparente sulle unghie e occhi scuri. ”Cosa posso portarti?”
Anche se non serviva, Eddie diede un’occhiata veloce al menù come da abitudine. Sapeva già cosa ordinare, ”La più grande vaschetta di patatine fritte che avete, un milkshake alla fragola e dei waffle. Tanta panna montata, grazie.” Il ragazzo chiuse la carta e rivolse un’occhiolino alla bionda, fece cadere lo sguardo sulle sue cosce coperte da un paio di collant bianchi e giurò di averla vista arrossire. Un sorriso furbo e carismatico mise in mostra le fossette sulle guance. Sapeva benissimo cosa stava facendo e il potere che aveva in mano.
Wendy – così diceva la targhetta sul grembiule – scrisse tutto sul taccuino e con il viso dello stesso colore della sua divisa se ne andò saltellando. Tornò con la sua ordinazione e con le ciglia più lunghe e nere di prima, pronte a sfarfallare. ”Patatine, waffle e il milkshake. Questo, invece, è da parte mia. Non ho nulla da fare, stasera.” Gli passò un tovagliolo che Eddie accettò sfiorandole la mano di proposito. Su di esso il suo numero di telefono.
Ora solo, Eddie si riempì la bocca di cibo. La pasta al formaggio in scatola era insignificante al confronto con la bontà del fast food. 
”Prego, da questa parte.” Il copione di Wendy era lo stesso con ogni cliente che entrava alla tavola calda.
”Oh, no, grazie. Credo che prenderò un hamburger da portare via. Aspetto al bancone.” Rispose la nuova persona. Era così familiare. Ma dove…
Eddie alzò lo sguardo per vedere chi avesse parlato e risolvere il suo dubbio. Conosceva già quella voce. Ma chi…
Steve Harrington.
La sua arrogante faccia era esattamente come Eddie se la ricordava. Indossava una t-shirt bianca infilata nei jeans a vita alta chiari, le maniche arrotolate, scarpe da ginnastica ai piedi e gli occhiali da sole sulla testa tra i capelli color nocciola, che lasciati crescere gli sfioravano le spalle, mossi. Il solito belloccio ma con una novità. Attorno al collo un evidente segno più scuro, una cicatrice. Nascondeva una storia tanto profonda quanto lo era la ferita. 
Il cibo gli andò di traversò e quasi si strozzò. Un colpo di tosse attirò l’attenzione del ragazzo appena entrato il quale, una volta essersi girato per vedere da dove provenisse, assunse la stessa espressione di Eddie: gli occhi spalancati e le sopracciglia corrugate. ”Ma che cazzo?” Sussurrò Steve mentre si dirigeva verso di lui. Prese posto sulla poltrona dall’altra parte del tavolo. ”Munson?!”
Eddie ingoiò il boccone che quasi lo uccise. ”Cosa cazzo ci fai in Louisiana?!” Esclamò. L’ultima cosa che voleva era che qualcuno sapesse dove si trovava. Certo, il giorno dopo non sarebbe stato nello stesso posto, ma era ugualmente preoccupato. Non uno qualunque, ma Steve Harrington, il ragazzo dalla piega sempre perfetta, dagli ottimi voti a scuola, una coda di ragazze con la bava alla bocca sempre dietro. Non l’aveva mai sopportato. Guardato sempre da lontano, dal tavolo degli sfigati, mentre lui, il preferito di tutti, in cima al suo personale piedistallo. Re Steve. Per nessun motivo al mondo sarebbe tornato in quell’inferno di Hawkins.
Steve, sbalordito, agitava le mani per trovare qualcosa da dire. ”Io– Ma che– Tu! Cosa cazzo ci fai tu in Louisiana?” Inciampò sulle sue stesse parole per quanto fosse incredulo.
Il sangue di Eddie ribolliva nelle vene. Doveva andarsene da lì al più presto e cambiare stato prima che quella bocca larga di Steve potesse spifferare in giro la sua posizione. ”Non sono affari tuoi, Harrington. Ti saluto.” Si pulì la bocca con il tovagliolo donatogli da Wendy e lo sbatté sul tavolo con prepotenza, poi si alzò spingendo in avanti il tavolo e camminò in direzione dell’uscita. Ovviamente, senza pagare.
”Wuoh wuoh wuoh–” Provò a fermarlo Steve, ma essendo bloccato dal tavolo ci mise qualche istante in più ed Eddie era già sparito. Steve conseguentemente uscì di corsa e girò ogni angolo del locale. Lo trovò e lo affiancò. ”Eddie! Eddie, per favore, aspetta!”
”Non seguirmi, sto cercando di evitarti.” Eddie aveva le mani in tasca e le spalle alte, lo sguardo dritto davanti a lui come se l’altro ragazzo non gli stesse dietro. Aumentò la velocità dei suoi passi.
”Non puoi andartene così! Tu– tu non hai pagato?” L’espressione sul suo volto diventò se possibile più perplessa di prima. Le sopracciglia arcuate e le mani che non riuscivano a stare ferme. La frase non doveva finire in quel modo ma si accorse che effettivamente Eddie era fuggito dal ristorante senza lasciare traccia come un fantasma. Manteneva il suo passo veloce mentre il cielo si stava oscurando e il sole scendendo. 
”Il ragazzo ha occhio.” Eddie rise ironicamente per prenderlo in giro.
Mentre Steve non guardava neanche dove metteva i piedi per poter scorgere il viso nascosto dai ricci del ragazzo che stava provando a seminarlo, Eddie non voleva e non riusciva a ricambiare lo sguardo. Ignorare la sua presenza sembrava la scelta migliore.
”Ma non puoi!” 
”Benvenuto nel mio mondo.” Eddie tirò fuori dalle tasche le mani per alzarle al cielo. 
”Ascolta, dobbiamo parlare di un sacco di cose.” Steve lo pregò con il linguaggio del corpo e abbassò il tono di voce per rendersi più comprensibile e meno accattivante. Mantenere la calma, agire lentamente e senza fare movimenti bruschi. Forse l’orso non attaccherà in questo modo.
Non rispose.
”Eddie.” Riprovò Steve. ”Devi sapere che Chrissy–”
A Eddie venne un brivido lungo la schiena. I suoi muscoli completamente rigidi ma ciò non cambiò le cose, non interruppe la camminata. I pugni stretti talmente tanto da far diventare la pelle bianca, la mandibola serrata. ”Non sai un bel niente! Non starò qui a farmi dare dell’assassino da Steve bei capelli Harrington. Levati dalle palle e lasciami in pace!” Erano arrivati al camper. Lasciando Steve alla sprovvista, lo afferrò per il colletto della t-shirt e lo portò all’altezza del suo naso, stringendo il materiale della maglietta tra le dita con una forza tale da farlo alzare sulle punte dei piedi. Dalla gola del ragazzo sottomesso fuoriuscì un suono acuto, dovuto più alla sorpresa che alla paura. I loro volti vicini, gli occhi di Eddie iniettati di rabbia. Fece un profondo respiro per calmarsi e lo lasciò andare. Salì i due gradini che gli servivano per entrare nell’abitazione e prima di chiudersi dentro disse come ultimo avvertimento ”Dimenticami e se ne fai parola con gli sbirri, finisce male.” La facciata del cattivo ragazzo come meccanismo di difesa. 
Aver riportato quel nome a galla gli fece inondare gli occhi di lacrime, le quali scesero rapide lungo le gote, Eddie le raccolse veloce allo stesso modo con l’indice. Il respiro irregolare usciva dalle labbra arrossate come piccoli affanni che provava a trattenere. Si trascinò al suolo e appoggiò la schiena alla cucina. Non avrebbe saputo gestire un altro attacco di panico, per cui si tirò una ciocca di capelli e lasciò andare un tremendo e agonizzante verso che gli bruciò la gola. Lottò con tutte le sue forze per superare la cosa, ma il trauma lo mangiava da dentro e gli occhi bianchi di Chrissy lo tormentavano in sogno. Quel sangue, il rumore della morte. Non poter far nulla per impedire che avvenisse.
Steve si ritrovò con il vento della porta che gli venne sbattuta in faccia a muovergli i capelli. Portò le mani sui fianchi e il peso del corpo su una sola gamba. Sospirò rumorosamente e guardò in basso. ”Io ti credo.”
Silenzio. Le parole di Steve raggiunsero le orecchie di Eddie fievoli ma potenti come un treno che deraglia a tutta velocità. Aprì gli occhi e abbassò le sopracciglia in confusione. Non capì immediatamente cosa volesse dire con quella frase, ma di sicuro sapeva qualcosa. Si alzò in piedi, avvicinandosi alla porta.
”Ti credo, Eddie. Ho bisogno di parlarti e dirti cos’è successo. Chrissy non è la sola e non sei stato tu.” Continuò il ragazzo con i jeans chiari.
Con l’ultima frase convinse Eddie ad aprire la porta, non completamente. Lasciò quello spiraglio di qualche centimetro che gli permise di mettere il muso fuori e poterlo finalmente guardare negli occhi. Ora che le acque incominciavano a calmarsi, Eddie riuscì a studiarlo meglio. La preoccupazione era reale sul volto di Steve. Non era lì per giudicarlo. ”Cosa?”
”Abbiamo cercato di contattarti in tutti i modi, sei sparito. Noi– abbiamo visto delle cose e devi starmi a sentire, può sembrare pazzesco ma dammi una chance. Possiamo…?” Steve si interruppe da solo per lasciargli intendere che voleva che lo raggiungesse fuori per ragionare.
Eddie allora aprì del tutto la porta. Il sole era totalmente sparito lasciando il suo compito ad un solo lampione sulla strada. Luce debole e gialla sulle loro figure. Solo allora si rese conto dell’importante cicatrice che gli circondava il collo. Annuì e uscì dal camper, scendendo i gradini e raggiungendolo. Gli fece cenno di seguirlo e Steve si trovò ancora una volta al suo fianco, stando al suo passo fino a scoprire dove lo stava portando. 
Un desolato parco a qualche metro da dove era parcheggiato il camper, il luogo perfetto per stare soli e indisturbati. Anche qui, ad illuminarli soltanto un lampione. Alcune cicale ingaggiate per donare una colonna sonora alla serata. Eddie andò a sedersi sullo schienale di una panchina, i gomiti appoggiati alle ginocchia, la schiena ricurva e lo sguardo basso. Gli anelli che portava alle dita venivano usati al posto di un anti-stress, facendoli girare, sfilandoli e infilandoli ripetutamente, tracciandone i contorni. Steve si accomodò sull’altalena dinnanzi alla panchina, i piedi toccavano terra e lo facevano dondolare leggermente sulla giostra, una mano attorno alla catena.
”Non posso tornare. Anche se la polizia non può incastrarmi, la gente continuerà per sempre a puntarmi il dito contro. Sono marchiato.” Disse Eddie coprendosi il volto con le mani.
Steve gli raccontò per filo e per segno cosa lui e la sua squadra dovettero passare. Gli omicidi erano frutto di eventi paranormali collegati con una dimensione parallela a quella attuale, oscura e popolata da creature malvagie. Per quanto potesse sembrare la trama di un film fantasy, Eddie credette ad ogni parola. Steve, Robin Buckley e Nancy Wheeler rischiarono la vita affrontando la forza oscura che avevano soprannominato Vecna e la cicatrice attorno al collo di Harrington assunse significato. 
”E come sta Dustin?” Domandò Eddie. 
Steve sorrise. ”Se la cava, il piccoletto. Mi manca, da quando ho lasciato Hawkins ci sentiamo raramente. Siamo tutti un po’ scossi e ci siamo persi di vista.” Eddie lo guardò con aria interrogativa, per cui continuò ”Sono a Lafayette da ormai un anno.” Dopo quegli eventi traumatici, per tutti i ragazzi farsi una nuova vita fu la scelta migliore.
”La Louisiana mi piace, ma non ci resterò a lungo.” Eddie si infilò una mano in tasca per cercare il pacchetto di sigarette che si era fermato a prendere prima di arrivare al parco. Lo sfilò dall’involucro di plastica che lo circondava e con esso ci fece una piccola pallina che lanciò nel pattume più vicino. Quelle carnose labbra ora erano assottigliate per non permettere alla sigaretta di cadere. Le sopracciglia aggrottate mentre l’accendeva con la fiamma del suo fidato accendino Zippo. Aiutandosi con le mani sopra le ginocchia, si alzò, i piedi ancora sopra la panchina. Con un salto raggiunse il suolo e iniziò a vagare. ”Il Canada è il mio obiettivo. Non scapperò più, è tempo di cambiare. Lì sarò totalmente una persona nuova e il cognome di mio padre non mi perseguiterà più.”
Steve seguiva i movimenti di Eddie rimanendo seduto sull’altalena. Si tolse gli occhiali da sole che portava sulla testa e li fermò al colletto della sua t-shirt con una delle asticelle, ”Anche io credevo alle voci che giravano, Eddie lo svitato Munson.”
Il tiro che Munson fece fu più lungo degli altri. I polmoni pieni di fumo, svuotati poi grazie a un sospiro deluso. Nascose il dolore con un sorriso ironico. ”Ti ringrazio, Harrington.”
Steve portò le mani in avanti, ”Parlando con Dustin e Mike mi sono reso conto che mi sbagliavo. Non ti conoscevo.”
”Sai, questa non è la prima volta che ci vediamo.”
”Davvero?”
Il cuore del metallaro saltò un battito. Non ricordava. ”La festa che desti per la fine del primo anno scolastico, a casa tua. Forse non mi hai riconosciuto, avevo i capelli rasati ed ero venuto da solo.” Eddie ammirava Steve. Così popolare, così desiderato. Lo aveva invitato di persona e lui ne era entusiasta, finalmente non veniva escluso come al solito. Era arrivato in anticipo, prima di tutti quanti. Aveva trovato il proprietario di casa a bordo piscina, accomodato su una sdraio con una sigaretta tra i denti. Eddie si sedette di fianco a lui, Steve gli offrì la sua metà di sigaretta e parlarono come se si conoscessero da una vita. In quel momento, il ragazzo dai capelli allora rasati sorrideva realmente e non aveva avuto bisogno di nessuno scudo dietro cui proteggersi, pronto ad un attacco improvviso come quelli che riceveva dai bulli. Con Steve si sentiva al sicuro. Ma una volta arrivato il resto degli ospiti, era di nuovo invisibile. A quel party Steve Harrington era il re, protagonista di ogni cosa. Mentre Eddie, lui rimaneva appoggiato ad un muro a fumare, a viversi la festa da spettatore e non da partecipante, lo sguardo triste. Era doloroso per lui non poter esprimere ciò che provava e dopo l’arrivo di Nancy Wheeler, la cosa era diventata ancora più difficile. Con il passare degli anni, il sentimento che nutriva nei confronti di Steve diventava sempre più forte, ma non volendolo accettare, si tramutò in invidia. Sapeva che non sarebbe mai arrivato al suo livello e peggio, sapeva che non sarebbe mai diventato suo. ”Tranquillo, anche io mi dimenticherei.” 
I primi anni della Hawkins High, Steve era un vero stronzo. E lo riconosceva, riconosceva di aver fatto soffrire molte persone. Talmente tante, da non ricordane più il volto di ognuna. Eddie era una di queste. L’avvicinamento con Dustin Henderson e i suoi amici e al mondo del Sottosopra l’avevano cambiato. Rischiare la pelle in queste avventure gli aprì gli occhi su cosa era davvero importante nella vita e non era avere un bel faccino e farsi desiderare da tutti.
Steve si passò una mano tra i capelli, sistemandoli all’indietro. Un ciuffo gli cadde sulla fronte come lo sguardo in basso. ”Mi spiace.”
Eddie, lontano di qualche passo e che prima di allora gli dava la schiena, si girò all’improvviso, sollevando soltanto un angolo della bocca in un sorrisetto. Con due lunghe e veloci falcate raggiunse il ragazzo seduto sull’altalena. Con entrambe le mani afferrò le catene in prossimità della sua testa e si chinò per poterlo guardare dritto negli occhi. L’improvvisa mossa fece scuotere Steve sul posto. I loro volti erano vicinissimi. Il sorriso a bocca aperta di Eddie si ampliò, mostrando i denti, il suo intero viso impegnato a ridere, le piccole rughe intorno agli occhi e le fossette sulle guance. ”Ti stai rammollendo, Harrington? ”
I suoi caldi occhi ammaliarono Steve, tanto da poterli sentire bruciare sulla pelle. Non si accorse che il respiro gli divenne affannoso, le labbra separate e leggermente bagnate. Deglutì e quando si accorse che lo stava fissando per troppo tempo, gli diede una spinta sul petto per allontanarlo. Eddie si fece indietro con un ghigno sul volto. ”Chiudi quel becco e levati, non è vero. Ho fame.”
Il mozzicone finito della sigaretta di Eddie venne lanciato via, poi incominciò a camminare. L’altalena rallentò fino a fermarsi, Eddie era lontano abbastanza da non sentirne più l’odore. Si arrestò, si girò per guardare Steve oltre la curva della sua spalla e ”Andiamo?” gli fece un cenno con la testa.
Tornarono al camper, Eddie prese le chiavi che teneva in tasca ed aprì la porta. Entrò per primo e allargò le braccia per donargli un’accogliente benvenuto nel piccolo e ristretto spazio del camper. ”Posso offrirti cioccolatini e… Credo sia tutto.” Frugò con le mani tra gli involucri vuoti di merendine sul tavolo, guardò nella credenza sopra i fornelli, nel frigo.
Al suolo vestiti usati, il letto, alla fine dell’abitacolo, sfatto, le lenzuola in disordine, il posacenere vicino al cuscino. Un giradischi su un bancone della cucina, una chitarra classica e una elettrica appese alla parete e l’amplificatore ai piedi del materasso. Dei poster facevano da tappezzeria e visto che lo spazio scarseggiava, erano fissati uno sopra l’altro con dei pezzi di nastro adesivo, rendendo l’ambiente ancora più stretto e scuro. Su una delle due poltrone cinque carte d’identità, tutte con la stessa foto ma con nomi differenti. Scompiglio, confusione, niente era al proprio posto, rappresentava in pieno la persona di Eddie Munson, un disastro totale. Steve si guardò intorno. Per qualche ragione, non si sentiva affatto intimorito dal cupo e per niente ordinato locale. Anzi, si sentì a suo agio e appoggiò il fondoschiena sul tavolino al centro, mettendosi comodo, i palmi delle mani appoggiate ai suoi lati. Forse, non potendone più della perfetta, severa e immacolata famiglia Harrington, trovò conforto nel caos. E forse, Eddie era proprio quello di cui aveva bisogno. Uscire dagli schemi, una spinta verso il fanculo tutto. Ciò che stonava dentro quella casa, era il profumo. Un forte e piacevole odore di cioccolato.
”Sto pensando a quel succoso hamburger che mi sono perso per inseguirti.” Disse Steve con la mente altrove.
”Non hai saputo resistermi, dolcezza.” Eddie ridacchiò mentre si dirigeva al piccolo scomparto di un mobile che usava come armadio. Tirò fuori una giacca di jeans a cui aveva tagliato le maniche e la indossò. Un gilet completamente personalizzato. Aveva ritagliato la stampa di una t-shirt rappresentante l’album The Last In Line della band Dio e cucita sul retro. Sul taschino e vicino al colletto spille di altre band Metal. Le estremità sfilacciate e consumate per quanto fosse stata indossata e amata. ”Ma se vuoi, ho qualcos’altro di succoso, qui.”
”Cosa?”
”Me.” 
Gli occhi di Steve si alzarono al cielo. ”Quella bocca non fa altro che sparare stronzate?”
Il metallaro si avvicinò, Steve si irrigidì sul posto. Le sue iridi erano calme, ”Davvero vuoi sapere cos’altro è capace di fare?” la sua voce morbida e di una tonalità più bassa.
”Okay, basta, stai esagerando.” Le sue mani gesticolavano sapendo benissimo esternare ciò che provava: erano sempre state più espressive di lui. Le sopracciglia alzate, non riusciva a guardarlo.
”Avanti, Harrington, non arrossire.”
”Non sto arrossendo!” 
La tensione tra i due era palpabile. Eddie lo sapeva, la sentiva, gli piaceva. Facendosi sempre più vicino, il corpo di Steve reagiva come un magnete con il suo stesso polo, si allontanava, la sua schiena si inarcava all’indietro, reggendosi al tavolino coi pugni. ”Tranquilla, principessa, devo solo aprire la finestra.” E ciò fece, allungò un braccio per raggiungere il finestrino dietro di lui e abbassarlo di qualche centimetro. 
Raggiunto il letto, Eddie si sedette sul bordo. Estrasse una sigaretta dal pacchetto ormai non più nuovo e la portò tra le labbra. Una volta accesa, si buttò con la schiena sul materasso. I lunghi capelli castano scuro si sparsero sulla superficie come una ruota, la frangetta gli cadeva ai lati della fronte. Lo sguardo di Steve vagava sulla sua figura. Le scarpe da ginnastica Reebok, la linguetta e le suole consumate, una aveva le stringhe slacciate, erano bianche ma sporche abbastanza da dire al mondo che non gli importava. I jeans neri avevano degli strappi su entrambe le ginocchia e uno sulla coscia destra, sotto la tasca. Ad unire due passanti era una catena color argento, essa fece notare a Steve il dettaglio della fibbia della sua cintura, un paio di manette. La t-shirt dei Metallica si era leggermente alzata con il precedente movimento, mettendo in vista il suo addome e il suo ombelico contornato da una striscia di peli scura che scendeva fino all’inizio dei pantaloni, nascondendosi al di sotto.
Steve si ritrovò i palmi delle mani sudati. Che stava succedendo? Non avrebbe dovuto sentirsi in quel modo. Insomma, Eddie è un ragazzo.
”Steve, la sessualità è un concetto troppo astratto per avere etichette. Può piacerti davvero chi cazzo di pare.” Le parole di Robin Buckley, la sua migliore amica, gli rimbombarono in testa quasi come se lei fosse lì, in quel momento, ad osservare la situazione.
Il viso di Eddie era rivolto verso il soffitto e l’atleta riusciva a scorgere soltanto la sua mandibola, tesa e spigolosa, che si muoveva ogni volta che aspirava un tiro dalla sigaretta. La mano destra vicino alla bocca, così carnosa e rossa, tra le dita il filtro color arancione pallido delle Marlboro, al polso una catenina molto simile a quella dei pantaloni, usata come braccialetto, e un elastico nero per capelli. All’interno dell’avambraccio un tatuaggio di una marionetta appesa a quella che sembrava la mano di un demone. Vicino al gomito, un altro disegno. Delle sagome di pipistrelli. La cicatrice intorno al collo di Steve pulsò, provocandogli dolore. Ci passò una mano sopra per attenuarlo e provare a non pensare a ciò che Vecna e il suo esercito di mostri, molto simili appunto a pipistrelli, gli avevano fatto.
Gli anelli che portava su ogni dito della mano sinistra erano enormi, dalle forme differenti, scintillanti e rumorosi, come Eddie, che si poteva riconoscere soltanto dal suono dei suoi passi, ancor prima che potesse aprir bocca.
Il ricordo di Eddie seduto sulla sdraio di fianco alla sua a bordo piscina lo investì in pieno. Ma certamente, i capelli rasati, lo sguardo perso. La sigaretta condivisa, le risate. ”Perché mi odi?” Gli domandò, completamente fuori contesto ma le parole uscirono bisognose di essere ascoltate dalla sua gola.
Eddie non rispose subito e nemmeno gli rivolse lo sguardo. ”Non ti odio. Non l’ho mai fatto, in realtà.” Il fumo emerse attraverso i suoi denti e si trasformò in una nuvoletta che fluttuò per qualche secondo sulla sua testa prima di sparire del tutto. ”Mi hai solo fatto un po’ male ignorandomi a quella festa, dimostrando ancora una volta agli emarginati come me che il loro posto non è affatto in un ambiente simile. Ho trovato Henderson, Wheeler e Sinclair e li ho accolti come avrei voluto che qualcuno avesse fatto con me. Poi Dustin continuava a parlarmi di te ed io mi sono ingelosito ancora di più.” 
Steve si ricompose e tornò con la schiena dritta, si allontanò dal tavolino per esplorare il camper. Eddie avvertì i suoi movimenti così si alzò e si resse coi gomiti al letto, studiando cosa volesse fare. Notò i documenti sul sedile del passeggero e li prese, impilandoli uno sull’altro. Con una mano ne portò uno in alto per avvicinarlo alla luce e alla vista. ”William Brown. Nato nel 1948. Li porti bene i tuoi quaranta anni, Bill.” Lesse il primo documento, poi lo portò in fondo al mucchietto. ”Michael– Michael Myers? Sul serio?”
Una fragorosa risata lasciò il corpo di Eddie, si coprì gli occhi con una mano, asciugando ironicamente delle lacrime immaginarie che dovevano dimostrare quanto fosse esilarante la cosa. ”Avevo una sola possibilità di scelta, come potevo farmela sfuggire?”
Harrington sospirò, poi scosse la testa in disapprovazione, sfogliando le altre tessere. ”Hai idea di quanto pericoloso sia viaggiare con documenti falsi? Non puoi farlo.”
”Datti una calmata, Stacy.”
”Come mi hai–”
”Non mi serve il grillo parlante che mi dica cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.” Lo interruppe Eddie, continuando a ridere. ”Steeeve Harrington.” Allungò il suo nome in un suono stridulo e fastidioso. ”Devi lasciarti un po’ andare. Mammina e papino ti hanno tenuto per troppo tempo dentro una palla di cristallo.”
La provocazione di Eddie stava funzionando. Steve avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ribellarsi ai suoi genitori che, nonostante si fosse trasferito a mille chilometri di distanza, continuavano a tormentarlo. ”Guarda che io posso fare quello che voglio, quando voglio.”
Eddie si sollevò e lo raggiunse, ondeggiando le spalle lentamente ogni volta che faceva un passo. Un sorriso malizioso. ”Io ricordo che Steve Harrington, al secondo anno, organizzò una festa nella palestra della scuola senza che il preside o la polizia sapesse nulla, perché sì, ricordo che c’era tanto alcol ma che nessuno dei presenti aveva l’età giusta per bere. Invece, lo Steve Harrington che mi trovo davanti, sembra una fichetta che ha paura di rimanere in compagnia del brutto, spaventoso e ricercato Eddie Munson, e si preoccupa di cosa possa pensare di lui.”
”Io– Io–” provò a difendersi Steve, ma venne interrotto da Eddie che, con entrambe le mani appoggiate alle sue spalle, gli diede una spinta. Steve barcollò all’indietro e cadde sulla poltrona del tavolino. Il fumo della Marlboro gli accarezzò il viso e gli fece socchiudere gli occhi. La presenza di Eddie si palesò dietro questa nuvoletta. Lo mise alle strette, una mano appoggiata allo schienale della poltrona, l’altra sul tavolino. Steve non aveva via di fuga.
”Io, io.” Lo canzonò Eddie. ”Steve Harrington aveva fatto a botte con Jonathan Byers per una ragazza. Due volte.” Alzò la voce. ”Colpiscimi.” 
”Cosa? No.” Scuoteva la testa, due rughe sulla fronte davano prova alla sua perplessità. 
”Colpiscimi!” Il tono di voce di Eddie era diventato più alto, roco e intimidatorio. Si picchiò il palmo della mano sul petto che risuonò come un tamburo.
Steve reagì e si scansò di dosso il metallaro, alzandosi in piedi. ”No!”
Una risata beffarda fece eco nel camper e accompagnata dal chiaro di luna di mezzanotte rese l’atmosfera inquietante. Eddie alzò le mani al cielo in segno di resa. Spense la sigaretta nel lavandino, tss. ”Credo che tocchi a me ricordare a Steve Harrington come ci si diverte.”
Steve incrociò le braccia, pronto per ascoltare le malsane idee che il ragazzo con il mullet aveva per la mente. ”Cosa intendi?”
Eddie giunse, ancora, al suo armadio. Abbandonava per terra gli indumenti che non gli interessavano per cercare una specifica cosa. Trovò una felpa nera con disegni astratti creati con la candeggina, la stese per vederla meglio e sorrise. Dei piccoli buchi nella parte inferiore, sulla e nelle vicinanze della tasca, dovuti alla cenere ancora calda caduta dalla distrazione di Eddie e dalla sua capacità di ciccarsi sempre addosso e mancare l’apposito contenitore. ”Tieni questa.”
La felpa col cappuccio e senza zip si schiantò sul corpo di Steve dopo che Eddie ne fece una palla da scagliargli contro. ”Perché–”
”Mettila!” Lo incoraggiò Eddie, ritornando con la testa dentro lo scomparto del mobile. Steve obbedì. ”Okay, quale preferisci?” In una mano, una bandana rossa, nell’altra una nera con dei teschi bianchi stampati. Le sfoggiava come un mago avrebbe fatto con un coniglio appena estratto dal cilindro.
Il ragazzo con la felpa indicò quella rossa e anch’essa nella stessa maniera della felpa, venne appallottolata e lanciata. Questa volta riuscì a catturarla prima che potesse urtare il suo corpo. ”Cosa ci devo–”
”Serviranno dopo.” Gli accennò, interrompendolo di nuovo e senza dargli altre spiegazioni. Successivamente, lo superò per arrivare ai cassetti della cucina. Aprì il primo dall’alto e un rumore metallico investì le orecchie di Steve. Una revolver Colt Cobra calibro 38 Special, il manico color legno, la canna corta. A farle compagnia una scintillante e classica Colt 1911 nera. Afferrò quest’ultima e la passò a Steve, che però non accettò.
”Wuoh! Cosa vuoi fare, Munson?”
Eddie la fece oscillare con un dito nella guardia del grilletto. ”Tranquillo, è finta.”
Lo sguardo di Steve cadde nel cassetto per controllare l’altra pistola. ”E quella? Quella mi sembra abbastanza vera.”
”Scarica.” Disse, rassicurandolo con un sorriso. Steve esitò e prima di prendere la 1911 diede un’ultima occhiata all’altro ragazzo che intanto si era infilato la 38 nella cintura. Egli fece la stessa cosa. ”Fammi vedere che sei ancora un duro, Harrington.”
”Dove stiamo andando?” Eddie stava guidando da un quarto d’ora e Steve incominciava a sudare. Guardò fuori dal finestrino dal sedile passeggero su cui era seduto. Non c’era niente, a parte la strada. Nemmeno un lampione, non una sola macchina. Un lungo, dritto e buio tragitto. Poi, Eddie svoltò a destra, in un parcheggio vuoto, facendo muovere entrambe le figure per l’improvviso cambio di rotta. Steve si tenne alla maniglia della portiera.
Eddie spense il motore del camper e scese, portandosi dietro due zaini vuoti, uno color militare e l’altro nero. Quest’ultimo veniva chiaramente usato da Eddie per andare a scuola, fori e sbucciature indicavano quanto fosse stato sballottato in giro, ricolmo di libri pesanti. Sollecitò Steve ad andargli dietro. Buttò gli zaini tra i loro piedi e alzando le braccia, si sistemò i capelli in una crocchia disordinata con l’elastico che portava sempre al polso. Era abituato a fare la stessa azione ogni volta che doveva concentrarsi, quasi scaramanticamente. La frangia e due ciuffi ai lati degli zigomi liberi. Legò la bandana dietro la testa in modo da coprirgli il viso, lasciando visibili soltanto gli occhi. Steve lo imitò. Da lontano scorsero le luci al neon di una stazione di servizio. 
”Hai detto che avevi fame?” Chiese il metallaro indicando con il pollice il negozio e le pompe di benzina dietro di lui. La voce ovattata per il materiale della bandana coi teschi premuto sulla bocca.
”Sì, è così.”
Eddie inclinò la testa da un lato e gli sorrise, ma Steve non potè vederlo, ”I cacciatori si stanno per procurare la cena.”
Steve alzò l’orlo della felpa per esporre la luccicante 1911 tenuta stretta nei pantaloni, ”Con queste?”
”Sei tornato vivo dalla fottuta Mordor, che sarà mai una piccola rapina.”
”…Mordor?”
”Avanti, Harrington. Ci divertiremo.” Eddie si avvicinò all’altro ragazzo e si permise di tirargli su il cappuccio. Sentiva che doveva proteggerlo, nascondendo la sua identità in tutti i modi possibili, mentre lui era arrivato al punto in cui non gli importava più, infatti le sue braccia erano scoperte mettendo in bella vista i suoi caratteristici e riconoscibili tatuaggi.
Afferrarono le borse e si incamminarono con passo deciso e veloce verso la stazione di servizio. Prima di spalancare le porte con un calcio, si diedero un’ultima occhiata. Gli sguardi così differenti, Eddie pieno di conforto e gioia, brividi, emozione, quello di Steve intimorito. Il negozio deserto, l’unica persona presente era l’annoiato cassiere che con la testa appoggiata al palmo leggeva una rivista. Era notte fonda.
Eddie si diresse verso la corsia degli snack, aprì lo zaino e ci fece cadere dentro pacchetti di patatine, barrette di cioccolato e caramelle. Tutto quello che gli passava sotto mano. Con un cenno della testa indirizzò Steve al bancone che, preso il suggerimento, si ritrovò a puntare la pistola contro a un piccolo uomo spaventato quasi quanto lui. L’impugnatura della Colt stretta tra le dita, le nocche arrossate, la pelle pallida e liscia. L’esatto contrario delle mani del metallaro che stringeva la piccola ma comoda 38 Special, i palmi ruvidi, pieni di calli, il pugno graffiato dai colpi che scalfiva sui tronchi degli alberi ogni volta che i brutti pensieri e gli incubi tornavano a galla. I polpastrelli tagliati dalle corde in nichel della sua amata chitarra elettrica, una NJ Warlock personalizzata, la sua bambina.
”Svuota i soldi!” Steve scosse la testa. ”Volevo dire, s-svuota la cassa!” Le braccia un po’ traballanti mentre gli lanciava addosso lo zaino. ”Tieni le mani in alto!”
”Come faccio a prendere i soldi con le mani in alto?!” Gridò l’uomo.
Eddie, che nel frattempo aveva svuotato il frigo dalle birre, corse in soccorso. La pistola puntava dritto alla testa della persona che stava trattenendo una risata, non prendendoli sul serio. ”Lo hai sentito? Tira fuori quei cazzo di soldi!”
”State scherzando?” Domandò, quasi ironicamente, il cassiere. Lentamente abbassò le braccia.
Eddie, però, non glielo permise. Indirizzò la pistola verso il televisore che trasmetteva i filmati delle videocamere di sicurezza e premette il grilletto. Il forte e improvviso rumore dello sparo mischiato al vetro della TV che cadeva in frantumi fece spaventare Steve, che si portò gli avambracci al viso per ripararsi. Il cuore gli batté all’impazzata e per qualche istante ebbe timore che gli potesse rompere lo sterno e uscire dal corpo.”Ti sembra che abbiamo voglia di scherzare, figlio di puttana?!”
”Avevi detto che–” Esclamò Steve, ricordando le parole del metallaro ’Tranquillo, è finta’ e ’Scarica’. Come risposta ricevette uno schiaffetto sul petto, quello che serviva per zittirlo.
L’uomo, con gli occhi spalancati e il labbro tremante, si affrettò a mettere quello che aveva nello zaino che Steve gli aveva scagliato contro. Tuttavia, mentre lo riempiva con le banconote, fu veloce abbastanza da premere il pulsante d’emergenza presente sotto al bancone. Eddie se ne accorse e ”Cazzo.” sussurrò, poi gli strappò dalle mani la borsa e diede una spinta all’atleta per fargli capire che era tempo di levare le tende.
Steve non capì immediatamente cosa stesse succedendo, scosso ancora per lo sparo di prima o per l’adrenalina che gli stava crescendo in corpo, ”Ma ci avrà dato sì e no venticinque dollari!”
”Che ci importa? Corri, corri!” Uscirono dal piccolo negozio e attraversarono le pompe di benzina a gambe levate. Le bandane sfregavano i loro volti, il respiro intrappolato nella stoffa. La paura cresceva in loro, le mani di Harrington vacillavano e dalla sua fronte scendevano gocce di sudore.
Ancora, il voler proteggere Steve a tutti i costi portava Eddie a rimanere indietro e mandare lui per primo. Se dovevano prendere qualcuno, il più lento, doveva essere lui e non Steve. Non se lo sarebbe meritato. Le armi ben salde, il revolver ancora caldo dal precedente sparo.
”Il camper?” Urlò Steve senza voltarsi indietro.
”Non c’è tempo, da questa parte!” Eddie afferrò in un pugno la felpa di Steve per tirarlo verso un vicolo buio. Gli zaini sulle loro spalle ballavano goffamente e le loro gambe incominciavano a bruciare. ”Di qua, di qua!” Non lo lasciò nemmeno un secondo, trovò una scala antincendio e lo incitò a salire. Il metallico rumore di quelle scale riecheggiava nel vicolo ad ogni loro falcata.
Le Nike ai piedi di Steve giunsero fino in cima e trovarono una finestra aperta all’ultimo piano, in cui entrarono. Un loft abbandonato, insieme all’intero condominio, recintato dal nastro giallo dello Stato che avvertiva di non avvicinarsi, da lì a poco sarebbe dovuto essere demolito. L’ampio spazio interno sembrava essersi fermato nel tempo. I mobili non erano stati spostati, solamente coperti da lenzuoli bianchi. Le pareti rivestite di mattoni e un soppalco in ferro nero, raggiungibile con una scala a chiocciola, il classico stile industriale. Le enormi finestre erano diventate opache, alcuni vetri rotti. La luce al neon della stazione di servizio era lontana, ma talmente forte e riconoscibile nella notte, che un bagliore rosso entrava comunque da quei vetri, illuminando ogni cosa di quel colore. In un certo senso era accogliente, a parte la polvere, protagonista, lo spazio aperto e riparato sembrava essere piombato dal cielo per loro, una salvezza.
I ragazzi si tolsero le bende dal viso e lasciarono cadere le borse a terra, Eddie fece più attenzione per via delle lattine di birra all’interno. La 1911 e la 38 Special vennero abbandonate anch’esse al suolo. Steve si mise le mani tra i capelli, le braccia alzate e i muscoli tesi. Si accovacciarono per sorvegliare nel modo più discreto possibile fuori la finestra. Le sirene della polizia erano sempre più vicine, due auto, come minimo. Entrambi i cuori sembravano tamburi impazziti all’interno dei loro petti sudati. Il fiato pesante, Steve non aveva mai provato una simile adrenalina e il suono assordante delle volanti gli rintronava in testa, amplificandogli le emozioni che lo stavano mangiando da dentro. L’espressione sul suo volto era chiaramente preoccupata ed Eddie, nonostante stesse combattendo con la stessa ansia, se ne accorse e si fece più vicino a lui, egli era talmente focalizzato a guardare attraverso il vetro rotto della finestra che non ci fece caso.
Le auto della polizia sfrecciarono davanti a loro con le luci lampeggianti. I loro cuori si fermarono e quando videro che proseguirono dritto, ricominciarono a battere, questa volta normalmente.
Si alzarono in piedi. Steve, con ancora le mani tra i capelli, fece uscire dalla gola un grido liberatorio ed Eddie scoppiò a ridere, saltellò sul posto in quanto incapace di reprimere la commozione di averla fatta franca. Mentre i loro respiri si regolarizzavano, si guardavano negli occhi, senza avere niente da dire. Sorridevano e si perdevano l’uno nell’espressione contenta dell’altro, quel silenzio stava parlando al posto loro. Steve Harrington posò lo sguardo su ogni centimetro del viso dell’altro. Le lentiggini coprivano le sue guance delicatamente, l’ombra della barba rasata da poco, qualche pelo sfuggito dalla lametta contornava il suo mento. Dietro la frangia riuscì ad intravedere una piccola cicatrice sulla fronte, molto vecchia e quasi sbiadita del tutto. La scarsa illuminazione metteva in evidenza i suoi lineamenti, rendendoli più accattivanti. Come il pomo d’Adamo, marcato e così attraente, gli zigomi e la mandibola, perfettamente scolpiti da qualche artista, come riferimento un Dio greco, sicuramente. Quelle labbra, piene e rosse come ciliegie da succhiare. E Steve… Steve non poteva resistergli.
L’insicurezza cresceva nella sua pancia. Cosa gli stava succedendo?
Uno Tsunami di turbamenti gli impedivano di vederci lucidamente. Eddie Munson gli aveva lanciato un incantesimo e non aveva intenzione di trovare alcun antidoto, si stava lasciando naufragare nei suoi ardenti occhi, di una sfumatura diversa dovuta alla luce rossa della stazione di servizio. Così fece la cosa che ritenne più giusta: lasciarsi andare. Decise che doveva seguire il flusso di emozioni che lo stava dirigendo verso quelle labbra scarlatte, senza chiedersi se fosse giusto o sbagliato. L’unica cosa certa, è che voleva farlo. Così, dopo una forte spinta data dall’eccitazione del momento, Steve affondò su quei rubini con le sue labbra, sorprendendo Eddie in tutti i modi possibili. E lui non lo respinse, anzi, gli afferrò la maglietta così forte da sgualcirla nei suoi pugni, la stoffa tra le dita, per tirarlo verso di sé e approfondire il bacio, intrecciando la sua lingua con quella di Steve. 
Non aveva mai baciato un ragazzo prima, ma con Eddie, la cosa gli risultava così naturale, quasi come se fossero destinati a quel momento. La sua mano finì sul collo di Munson, il pollice gli sfiorava la guancia e il resto delle dita perse tra le ciocche ricce ancora tenute legate dall’elastico. Le loro labbra danzavano insieme in una coreografia perfettamente a ritmo coi loro cuori, che martellavano all’unisono, ormai non più per la paura ma per la frenesia.
Eddie esplorava l’intera figura di Steve da sopra i vestiti e scelse che doveva averne di più. Tirò la sua t-shirt verso l’alto per sfilarla dai jeans e senza mai staccarsi da quell’umido bacio, vi intrufolò le mani al di sotto. I polpastrelli quasi si ustionarono a contatto con la pelle bollente di Steve, gli addominali lisci e il petto decorato da peli ricci e virili. Un dettaglio stonava, tuttavia. I suoi fianchi non erano vellutati come il resto del torso. Al contrario, quasi rugosi, la cute sembrava persino essere più sottile in quei punti, Eddie non capiva cosa fosse questa strana sensazione sotto le sue dita. Perciò, dopo essersi allontanato, con rammarico, dalla bocca dell’altro ragazzo per togliergli completamente la bianca maglietta e abbandonarla al suolo, posò gli occhi sulla parte centrale del suo corpo, per controllare cosa fosse diverso al tatto. Due sfregi su ambi i lati del tronco, color rosa chiaro, contrastavano con il suo incarnato armonioso e abbronzato. Cicatrici provenienti dal Sottosopra. Le ammirò ma non abbastanza per rendersi conto che quelli erano evidenti piccoli ma spietati morsi, Steve gli sollevò il mento per far tornare la sua attenzione sui propri occhi, o meglio, sulle proprie labbra. Riconosceva che erano delle brutte ferite da guardare, non voleva che il metallaro ne fosse disgustato, anche se facevano parte di lui e raccontavano la sua storia. Eddie non rispose al suggerimento e si inginocchiò dinnanzi a lui. Le mani a coprirgli le cicatrici, stringendolo amorevolmente, i baci stampati su tutta la sua pancia servivano a rassicurarlo. La sua lingua vi tracciò un disegno invisibile e bagnato, seguì la striscia di peli sotto l’ombelico sino ad arrivare al bottone dei pantaloni. Si aggrappò con le dita ai passanti e guardò in alto per cercare l’approvazione di Steve.
Eddie Munson viveva tranquillamente la sua sessualità, non si era mai creato dei problemi al riguardo. Gli piaceva flirtare, scherzare, stuzzicare e conoscere corpi, persone, menti. Invece, per Steve era tutto nuovo. La sua era un’infinita lista di ragazze che si era portato a letto ma quello che gli mancava era la connessione. Neanche lui sapeva cosa volere e cercare, ma a quanto pareva lo aveva trovato. Ed era lì, in ginocchio davanti a lui.
Steve si inumidì le labbra con la punta della lingua e le socchiuse, incatenò il suo sguardo a quello di Eddie e portò una mano sulla sua guancia per accarezzarla. L’espressione del metallaro era ricolma di lussuria. Le sopracciglia erano completamente sparite dietro la frangetta, i lati della bocca alzati in un sorriso malizioso e le ciglia curvate all’insù. Non ruppe mai il contatto visivo che li legava e gli slacciò il bottone di quei jeans a vita alta, ma prima di riuscire ad abbassare la zip, Steve lo fermò e gli afferrò delicatamente il viso per portarlo di nuovo alla sua altezza. Senza spostare la mano, gli morse il collo come se fosse cioccolato, dolce. Una volta, due volte, tre volte. Passionalmente, senza fargli male, incideva i denti nella sua carne quel tanto che bastava per farlo gemere rumorosamente. Accarezzava con la lingua le parti lesionate per sollevarlo dal dolore trasformato in piacere dal suo respiro umido.
Il gilet de i Dio venne poi tolto e accompagnato dalla maglietta dei Metallica, entrambi lanciati da qualche parte nel loft. Eddie si allontanò per raggiungere quello che sembrava essere un divano, al centro dell’ambiente. Agguantò il lenzuolo e con una mossa agile scoprì quello che a tutti gli effetti era un sofà a tre posti. Modello Chesterfield, color verde foresta con i dettagli in oro. Si riallacciò alle labbra di Steve, questa volta con più foga, e lo portò a sedersi su di esso. Sprofondò nel comodo materiale vellutato e divaricò le gambe grazie al suggerimento di Eddie, il quale vi si infilò in mezzo, le ginocchia scoperte dagli strappi dei jeans toccavano il polveroso pavimento, le punte dei piedi piegate e i talloni verso l’alto. Le sue mani completarono ciò che aveva interrotto in precedenza, abbassò la zip dei pantaloni di Steve e li calò fino alle caviglie, egli lo aiutò sollevando il bacino. Anche le Nike vennero tolte e i jeans completamente sfilati. Steve ora rimaneva vestito soltanto delle calze e dei boxer. Quest’ultimi divenuti più stretti e scomodi per via dell’erezione che stava crescendo dentro di essi.
Eddie passò le mani sul suo torace scendendo fino all’elastico dell’intimo di cotone. Vi ancorò gli indici e lo tirò giù lentamente, esponendo quella magnifica V sempre di più. Una straziante tortura che portò Steve a respirare affannosamente, il petto si alzava e si abbassava ampio e le sue dita ritrovarono i capelli di Munson. Il suo membro ebbe un piccolo spasmo, Eddie se ne accorse e ridacchiò prima di esporlo completamente. La rosea punta era bagnata dal liquido pre-seminale, una goccia scese lungo la prolissità e prima che potesse toccare le palle, Eddie la fermò con la lingua. Un grottesco suono uscì dal fondo dei polmoni di Steve, il quale fece eccitare ulteriormente il metallaro, che si portò una mano a slacciarsi la fibbia della cintura e ad accarezzarsi da sopra il materiale dei jeans. La sua lingua salì e raggiunse il glande, lo avvolse con le proprie labbra e succhiò leggermente. Steve gemette in modo osceno e fece crollare la testa all’indietro, appoggiata allo schienale imbottito del divano, il polso del braccio libero sulla fronte. Eddie pian piano prese l’intero pene in bocca, bagnandolo con la saliva e creando movimenti circolari con la lingua. La sua testa rimbalzava sul cazzo di Steve fino a toccargli la gola. Lacrime che non avevano intenzione di cadere si erano formate tra le sue ciglia, le guance incavate, una mano alla base e l’altra a procurarsi piacere da solo. Il naso gli sfiorava l’addome e veniva solleticato dai peli pubici. Si staccò giusto il tempo per sputarci volgarmente sopra e riprendere fiato, poi ricominciò a succhiarlo.
Il ragazzo dai capelli ricci si levò con un pop e guardò l’altro che nel frattempo aveva sollevato il capo per capire il motivo della brusca interruzione. Sorrise. Steve Harrington era bellissimo, una visione divina: la bocca bagnata, gli occhi pieni di desiderio, le gambe aperte e il suo sesso gonfio e arrossato appoggiato al suo addome. L’intero corpo nudo stravaccato sul grande divano. Eddie si abbassò la zip dei jeans neri strappati e si chinò su Steve, facendo ricongiungere le loro labbra in un bacio pieno di sentimento ed eccitazione. Afferrò la mano di Steve per portarla sul suo rigonfiamento ed egli tentennò. ”Io non ho mai…” Provò a dire.
”Non dobbiamo fare niente che tu non voglia, dolcezza.” Eddie lo rassicurò. Si sedette di fianco a lui e si calò i pantaloni insieme ai boxer fino alle ginocchia. La prorompente erezione si presentò nella sua gloriosa forma e sbatté sulla sua pancia. Steve sgranò gli occhi quando vide che sul suo frenulo era presenta un scintillante piercing e lo portò ancora più volentieri ad accomodarsi sulle sue gambe. I suoi fianchi vennero stretti dalle grandi mani di Eddie che lo accompagnavano in ogni sua azione. Eddie fu capace di fargli dimenticare per una volta di quegli sfregi, completamente abbandonato al piacere del momento. I loro spiriti erano connessi e tutto ciò che li circondava era sparito. Un mondo che Eddie riusciva a trovare soltanto con il suo walkman e un paio di cuffie, il Nirvana. Egli accarezzava il suo rovente corpo, le dita percorrevano la sua schiena inarcata – in cerca di maggiore contatto – e seguivano il disegno astratto che i nei componevano, come una nuova costellazione da scoprire. Steve stringeva il volto dell’altro ragazzo e ancora una volta fece scontrare le proprie bocche, cercava la sua vicinanza come se da un momento all’altro potesse sfumare via. I capelli spettinati, il ciuffo che regolarmente era fuori posto solleticava la fronte di Eddie. Le gote arrossate come le punte delle orecchie e del naso. Il respiro pesante.
I due sessi sbatterono l’uno contro l’altro e la cosa fece gemere Steve che immediatamente cercò di nuovo quel contatto, muovendo il bacino avanti e indietro su di Eddie. Quest’ultimo ansimò ad alta voce contro la sua bocca per l’iniziativa che ebbe Harrington e lo assecondò. I membri erano bagnati dell’eccitazione di entrambi, Eddie li circondò con la sua mano adornata dagli anelli e iniziò a pompare, su e giù, su e giù. Faceva sfregare le parti sensibili l’una contro l’altra. Le fredde palline del piercing toccarono un punto in particolare che fece staccare Steve dal bacio per spalancare la bocca e guardare l’altro ragazzo. Eddie fece cadere lo sguardo sul bagnato labbro inferiore di Steve e ne tracciò il contorno con il pollice dell’altra mano, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Successivamente inserì il medio e l’anulare nella sua gola, le quali l’atleta accolse succhiandole e socchiudendo gli occhi. Eddie fece assumere alle dita la forma di un uncino e lo avvicinò al suo viso, gli baciò il collo, le clavicole, il petto, senza fermarsi dal masturbare ambedue. Sapeva che quella era la sua prima esperienza e voleva che fosse indimenticabile. La mano, dalla sua bocca, si spostò sul suo culo, avvinghiandolo talmente forte da lasciargli un’impronta rossa, le unghie scavate nella carne. L’indice si intrufolò tra la fessura e stuzzicò la sua entrata. Steve si avvicinò ulteriormente all’altra persona, il suo affanno contro l’orecchio di Eddie, fece cadere la fronte nell’incavo tra il suo collo e la spalla, il naso a contatto con i tatuaggi raffiguranti una Vedova Nera e un demone sulla parte alta del petto, la collana con un plettro come ciondolo.
”Eddie…” Sussurrò Steve. Era vicino al suo apice ed Eddie riuscì a capirlo, per cui pompò più velocemente i loro cazzi insieme, lubrificati dal liquido pre-seminale che sgorgava a fiotti e Steve si contorse sotto il suo tocco. Eddie amava i suoni che uscivano dalla peccaminosa bocca dell’atleta, musica per le sue orecchie, la più bella che abbia mai udito. Quando sentì il suo nome accompagnato da quei gemiti, pensò di raggiungere l’orgasmo in quell’esatto momento. Si abbracciavano per far toccare i loro cuori. Si erano finalmente trovati e non volevano lasciarsi scappare. Incontrati nel momento giusto, Eddie stava per mollare tutto e Steve cadendo nella monotonia. Si completavano.
Steve agitava i fianchi sul sesso di Eddie, la lussuria aveva preso il sopravvento controllando il suo corpo. Il suo culo sfregava contro le cosce nude del metallaro. Lo avvolse con la sua mano ed Eddie fece lo stesso con lui, masturbandosi a vicenda. Egli era sorpreso, non credeva che Steve avesse il coraggio di toccarlo e andava bene così, ma ciò lo fece eccitare ancora di più. ”Sì, continua così– Ah–” Gemette. Steve inarcò la schiena all’indietro, appoggiandosi con una mano sul ginocchio di Eddie, mentre l’altra si muoveva freneticamente su di lui. Il metallaro non riusciva a non stringerlo, sentire la sua carne tra le dita, approfondirlo.
Erano arrivati al settimo cielo, fluttuavano nel mondo di brama che avevano creato, le nuvole erano i loro affanni pesanti, gli alberi crescevano insieme all’eccitamento, i fiori profumavano di cioccolato e loro gli unici esseri viventi nell’Eden. L’alba incombette su di loro, la fievole luce arancione del sole entrò dalle opache finestre ed un raggio illuminò prepotentemente il viso di Steve, trovando un vetro rotto e spargendosi come un’olografia. I suoi occhi marroni erano diventati miele trasparente sotto quel bagliore. Eddie arcuò le sopracciglia e una piccola ruga comparì al centro di esse. Ammirava l’opera d’arte che era Steve baciato dal sole e con un gemito più acuto degli altri, venne copiosamente sul proprio addome. Steve raggiunse l’orgasmo dimenandosi dal piacere nella mano di Eddie, il suo liquido caldo si confuse con quello dell’altro ragazzo. Fecero sfiorare i loro nasi prima di baciarsi ancora una volta, più lentamente e con meno foga. Mentre il respiro si regolarizzava, Steve si scostò dalle cosce di Eddie e si stravaccò sul divano, al suo fianco. Le sue gambe tremavano per il potente orgasmo appena vissuto.
”È stato… Tu sei…” Provò a parlare Steve, ma non sapeva esattamente cosa dire. Non aveva mai provato sensazioni ed emozioni simili ed era consapevole del fatto che non le avrebbe mai più ritrovate se non con Eddie Munson.
Eddie appoggiò il dorso della mano sul petto sudato dell’atleta, ”Non c’è bisogno di dire nulla.” Poi si sollevò in piedi, barcollando. Trovò la bandana nera coi teschi e la usò per pulire entrambi, si alzò i pantaloni ma li lasciò sbottonati. Prese lo zaino contenente il cibo e tirò fuori le barrette di cioccolato e un paio di lattine di birre, ne passò una ciascuna a Steve.
Harrington si rivestì dei jeans e anch’egli rimase a petto nudo. Concentrato a scartare la merendina dall’involucro, staccò un morso dalla barretta e con la bocca piena parlò ”Cosa… Cosa ti ha portato qui?”
La linguetta della lattina venne alzata, la schiuma della birra schizzò fuori ed Eddie si spostò per non sporcarsi. Scrollò la bevanda dalla mano che reggeva la latta, inevitabilmente si era bagnato. Raggiunse Steve sul divano Chesterfield e bevve un sorso. ”In questi anni ho capito che so soltanto scappare. Perché non farlo bene, allora.” Si sciolse i capelli dall’elastico e scosse la testa per dare un effetto spettinato ai suoi ricci, che scendevano morbidi sulle spalle. Abbandonò la birra al suolo e con un gesto veloce sovrastò il corpo di Steve con il suo, la schiena di quest’ultimo completamente aderita al velluto verde foresta. Si appoggiò coi gomiti ai lati della sua testa. ”Ma poi ho incontrato te.” 
Steve si ritrovò schiacciato dal peso del metallaro, i suoi capelli gli stavano solleticando il viso e lo nascondeva come un sipario, per cui glieli portò dietro l’orecchio con un dito, scese poi lungo il collo, la clavicola. ”Poi hai incontrato me.”
Eddie spostò la mano per stringergli un fianco, non voleva lasciarselo sfuggire. ”Steeeve Harrington.” Ripetè in tono fastidioso e canzonatorio, lo stesso che usò qualche ora prima per provocarlo.
”E ora, Eddie Munson?”
Non poteva essere un caso che Steve si trovasse nel ristorante in cui stava cenando Eddie, dopo essersi visti per l’ultima volta dall’altra parte dello stato. Qualsiasi cosa il futuro aveva in serbo per loro, capirono che dovevano affrontarlo insieme.
”Che ne dici del… Canada?”
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karma-2428 · 8 months
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Anche oggi il sole sta tramontando seduto davanti al mare vedo le ultime persone lasciare la spiaggia spensierati e felici della giornata trascorsa con le persone che amano. Chiuso nei miei pensieri vedo Tutto come uno spettatore invisibile al più delle persone. Sguardo fisso e assente qualche sorriso di cortesia mentre nel mio io tutto è in subbuglio per ciò che è stato e mai più sarà. Malinconia angoscia e tormento sovrastano tutto ciò che c è in me . Conscio e Consapevole che nulla più sarà come prima.
Maledetto me per tutto, per tutto ciò che ho donato e anche per quello che nn ho saputo donare maledetto il mio sarcasmo che ha sovrastato quello che realmente avrei voluto fare. Maledetta la mia irrequietudine nella paura di perderti e mostrarmi a tratti ciò che nn sono. Molti troppi rimpianti di ciò che abbiamo vissuto e di tutto quello che poteva esser vissuto per l eternità. Rimane solo in rimpianto rimane solo il ricordo.... Ricordi infinitamente belli ricordi sereni che dovrebbero portare pace invece schiacciano e stritolano fino a far male,.... quel male piacevole che sin dal primo giorno ho sentito per l amore che provo per te che provavo per te;mai mutato nel corso del tempo e sempre più consapevole che eri tu tutto ciò che avevo sempre desiderato. Tu e la tua dolcezza tu e il tuo sorriso tu e l amore che hai saputo darmi tu e le tue tempeste tu e sempre e solo tu.
Rimane solo il dolore che farà posto alla tristezza che mi accompagnerà ogni giorno di tutto il bello che c era nel nostro noi.
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stregamorganablog · 2 years
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«Era l’anima pagana dell’amore. Non era bello, ma aveva fascino. Un maledetto fascino di sangue e carne. Inquietante come il mistero. Immorale come un’imprecazione. Indecente come il peccato. Aveva due occhi dannatamente cerebrali. Due dèmoni erotici che inducevano all’eterna condanna. Sofisticati dominatori di fantasie invereconde, quegli occhi avrebbero soggiogato qualsiasi mente. Pura o impura che fosse. Li avrei scopati quegli occhi. Poi li avrei baciati. Come avrei volentieri baciato quelle sue labbra carnose che si allungavano oltre il confine di un normale sorriso.»
Isabel, romanzo di Mauro Andreucci @mauro-andreucci
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themhac · 2 years
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secondo me su questi schermi non si parla abbastanza di "quel maledetto sorriso" "solo tu sai farmelo tornare" non possono essere reali
no scusate cosa mi sono persa???? ho capito che sono gli scamattesi 100% ma perché non me lo ricordo?😭
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Quel maledetto sorriso…
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