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#statalismo
toscanoirriverente · 1 year
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I bonus edilizi sono costati uno sproposito: circa 6 punti di pil. Inoltre per il Superbonus e il Bonus facciate sono stati spesi quasi 50 miliardi più del previsto: che nei prissimi anni comporteranno circa 10 miliardi all'anno di tasse in più
Si fa presto a dire “gratuitamente”. Giorgia Meloni aveva segnalato, a chi come Giuseppe Conte ne aveva fatto uno slogan politico-elettorale riguardo alla ristrutturazione delle case pagata integralmente dallo stato, che il concetto teneva in scarsa considerazione i contribuenti che effettivamente ne avrebbero sopportato l’onere. A dare sostanza alle parole della presidente del Consiglio sono arrivati, nei giorni scorsi, i dati sui crediti d’imposta diffusi dal direttore generale delle Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, pochi giorni fa in audizione al Senato: i bonus edilizi sono costati, al momento, 110 miliardi di euro. Una cifra abnorme, pari a circa 6 punti di pil.
Secondo i dati forniti da Spalletta la spesa complessiva è composta da 61,2 miliardi per il Superbonus, 19 miliardi per il Bonus facciate e 29,9 miliardi per gli altri bonus edilizi. Ma ancora più sorprendente del totale è lo scostamento della spesa rispetto alle previsioni, pari a 37,8 miliardi. Che è attribuibile al Superbonus (con una spesa di 24,7 miliardi in più dei 36,5 previsti) e al Bonus facciate (con una spesa di 19 miliardi rispetto ai 5,9 previsti), mentre gli altri bonus sono in linea con lo stanziamento (29,9 miliardi). Questo buco di bilancio, sempre secondo la relazione del Mef, determinerà per gli anni 2023-2026 “un peggioramento della previsione delle imposte dirette per importi compresi tra gli 8 e i 10 miliardi di euro in ciascun anno”. Circa mezzo punto di pil all’anno.
Ma in realtà il buco di bilancio è molto più ampio. Perché, come ammette lo stesso direttore generale del dipartimento delle Finanze, questi dati sono riferiti alle previsioni tendenziali incluse nella Nadef di novembre e “la stima degli oneri per il Superbonus 110 per cento potrebbe subire un ulteriore incremento, considerando gli ultimi dati pubblicati da Enea a tutto dicembre 2022”. E in effetti, considerando i dati più recenti disponibili di Enea, quelli fino al 31 gennaio 2023, la spesa complessiva per il Superbonus è lievitata a 71,7 miliardi. Quindi la spesa complessiva per i bonus edilizi supera i 120 miliardi.
Per avere una pietra di paragone, basta considerare che l’importo totale del Pnrr è pari a 190 miliardi, ma su un arco temporale molto più lungo. Oppure, che la spesa complessiva dell’Italia per affrontare la più grave crisi energetica degli ultimi 50 anni è stata pari a circa 60 miliardi. La metà. Il confronto è poi impietoso rispetto agli altri crediti d’imposta, ad esempio quelli per accompagnare la transizione digitale e per incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Ebbene, la stima del Mef per le agevolazioni fiscali “Transizione 4.0” e per R&D è inferiore a 15 miliardi complessivi. Circa dieci volte meno dei bonus edilizi, nonostante l’Italia abbia una spesa per ricerca e sviluppo che è nettamente inferiore alla media europea.
Oltre a essere costati uno sproposito, i bonus edilizi ideati nel 2020 sono stati il veicolo di “ampi fenomeni di abuso” per effetto della revisione della normativa sulla cessione dei crediti, rivista dal governo Conte e dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che ha reso la vendita “pressoché illimitata senza prevedere specifici presìdi di garanzia”. Ciò vuol dire che questo nuovo mercato dei crediti, scrive ora il Mef, ha prodotto “fenomeni di frode di entità particolarmente rilevante... che hanno portato all’emersione di crediti, rivelatisi inesistenti, per oltre 4 miliardi di euro”. Si tratta, insomma, di quella falla per l’Erario che ha costretto Mario Draghi a metterci una pezza con una stretta sulle cessioni e che, un anno fa, portò il solitamente misurato ministro dell’Economia Daniele Franco a parlare delle “truffe più grandi mai viste nella storia della Repubblica”.
Accanto a queste considerazioni contabili, la sinistra, ora che il Pd sta facendo un congresso e sta rivedendo in maniera critica il suo passato al governo, dovrebbe aprire una riflessione sugli effetti redistributivi. Perché, come ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti riferendosi al Superbonus contiano e al Bonus facciate franceschiniano, “mai nella storia una misura che costasse così tanto è andata a beneficio di così pochi”. A dispetto di tanta retorica sulla diseguaglianza e sulla progressività, il governo rossogiallo ha approvato bonus tra i più costosi e regressivi: lo stato ha rifatto le case ai ricchi con i soldi dei poveri. Gratuitamente per i proprietari, 120 miliardi per i contribuenti.
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thesteamer · 9 months
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Numeri da controllare
Lo Stato dà da campare direttamente a un numero enorme di persone: oltre tre milioni di impiegati pubblici.
Poi c’è l’indotto, tra municipalizzate, partecipate, cooperative, ecc.: un altro milione, tra l’altro in crescita verticale perché svincolato dai limiti posti alle assunzioni pubbliche vere e proprie e senza i fastidiosi concorsi pubblici. Insomma non ci giriamo intorno: sono gli "stipendifici a chiamata diretta”, vera spina dorsale del "deep state", la raffinata e diabolica evoluzione del reato di voto di scambio.
Infine ci sono tutte le attività che se non ci fosse l’ipertrofia burocratica non esisterebbero: società di consulenza, studi professionali, agenzie formative, associazioni di categoria: un esercito con l’unico scopo di  “aiutare” i cittadini e le aziende a barcamenarsi nelle folli procedure della pubblica amministrazione, presentare un modulo, ottenere un permesso o un’abilitazione, accedere alla miriade di fondi e bonus che ormai rappresentano una condizione di dipendenza sia per i cittadini che per le imprese.
Su quest’ultima categoria di “parastatali di terzo livello” fare una stima diventa arduo, ma se portiamo a sei milioni il numero totale di individui che, in un modo o nell’altro, operano nella galassia dello Stato, credo che la stima sarebbe comunque per difetto.
E poi l’altro esercito, che non opera ma che trae il proprio sostentamento dalle casse pubbliche: i pensionati.
Quindi lo Stato (ovvero chi lo controlla) è il soggetto attivo, più o meno centrale, nella vita di una persona su quattro e con i pensionati di una su due, dell’intera popolazione attiva.
E qui si parla di pagare il mutuo, di mandare i figli a scuola, di provvedere a se stessi e alla propria famiglia, alla salute e alla sicurezza. Tutte cose a cui anche volendo non si può rinunciare dall’oggi al domani, per quanto ormai appaia chiaro a chiunque, che la causa della stagnazione economica e sociale del nostro Paese dipende quasi esclusivamente da questa insostenibile sovrastruttura, dal dover mantenere quella che Ricolfi chiama la “Società signorile di massa”.
Una sovrastruttura che dona allo Stato, ovvero a chi lo controlla e lo amministra, un enorme potere, addirittura maggiore di quello che i regimi assolutisti esercitarono in passato con la violenza e l’intimidazione. 
Un potere subdolo, di cui ciascuno di noi probabilmente intuisce l’amoralità di fondo, ma che di fatto ci lega a sé con un patto praticamente impossibile da rescindere.
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"Da 50 anni nella Chiesa si diffonde l'anarchia liturgica"
Il vescovo e saggista mons. Athanasius Schneider parla a La Bussola del suo nuovo libro La Messa cattolica. Le deviazioni nel culto verificatesi negli ultimi decenni hanno la loro radice nella perdita del soprannaturale. Una malattia che fa dei credenti dei “cristiani deboli” incapaci di testimoniare in un mondo schiavo delle varie ideologie dominanti. (more…) “”
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abr · 5 days
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USARE IL BUROINCUBO PER PENALIZZARE, far trovar lungo, scoraggiare. Far capire che è il cittadino a dover rendere servizi ("corvée") ai "servitori dello Stato", non viceversa. Pagandoli pure, per aggiungere al danno la beffa.
Lo statalismo al massimo livello, oltre c'è solo ARBEIT MACHT FREI.
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b0ringasfuck · 29 days
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Partigiani di chi e memoria.
Quello che sta facendo Israele, la posizione di Europa e US, nei fatti più che nelle parole, l'assoluta parzialità dei paesi occidentali e dei mass media e spudoratamente evidente. Mentre Israele si pulisce il culo con le risoluzioni ONU e ha totalizzato 30000+ morti tra i civili, non solo stiamo a guardare, ma lo aiutiamo ad andare avanti. In contesti analoghi ci comportiamo all'opposto.
Se già non lo era prima, la superiorità morale dell'occidente oggi è ancora di più indifendibile... immaginatevi come ci vedono da fuori.
Ma dobbiamo essere "partigiani", dalla NOSTRA parte, perchè LORO sono peggio.
Ieri dovevamo essere competitivi con la Cina sul costo della manodopera... e ci abbiamo provato e chi lavora oggi in occidente è più povero.
Oggi dobbiamo contenerli sulla tecnologia, perchè LORO sono PEGGIO. Non dobbiamo competere, essere migliori con chi diciamo sia PEGGIO... dobbiamo CONTENERLO. Non migliorarci ma impedire agli altri di farlo. Una strategia che non si è limitata all'aspetto tecnologico nei confronti degli ALTRI, ma anche a quello economico e politico e poi ci riempiamo la bocca con democrazia, autodeterminazione, competizione.
Ed è lo specchio di quello che poi le nostre classi dirigenti fanno in politica interna. Non cercare di essere competitive, ma difendendo monopoli, rendendo sempre più difficile l'accesso universale a sanità ed educazione, bloccando l'ascensore sociale...
Domani ci chiederanno di andare in guerra, perchè saremo già dimentichi di quello che stiamo lasciando aiutando a fare a Israele e quindi noi abbiamo ragione, siamo meglio, siamo dalla parte del giusto.
Dobbiamo farci pagare meno, dobbiamo rinunciare al welfare, all'educazione, alla stabilità del lavoro, dobbiamo pagare i carri armati, finanziare le aziende private per essere competitive, rinunciare alla privacy per la sicurezza, veder ristrette le nostre libertà civili, il diritto allo sciopero, gli spazi di dissenso e protesta per essere competitivi con quelli che sono PEGGIO di noi.
Crocefissi nelle scuole per combattere la sharia. Donne a stirare e niente aborto, stracciamo le unioni civili per difenderci dal "patriarcato e dall omofobia islamici". Finanziamo le aziende private a babbo morto contro lo "statalismo cinese". Precariziamo il lavoro perchè in Pakistan i bambini cuciono i palloni.
Ma abbiamo sempre ragione, siamo sempre meglio.
Cosa ci stia guadagnando la gente però è un mistero. Siamo costretti a rinunciare sempre a qualche cosa... perchè siamo meglio degli ALTRI.
Cosa ci verrà chiesto domani? Ci ricorderemo di come è andata a finire l'ultima volta che ci hanno chiesto sacrifici, hanno ridotto i nostri diritti o le nostre libertà per difenderci dagli ALTRI (i negri, i froci, i cinesi, gli ambientalisti, chi sciopera, i musulmani...)?
Intanto il divario tra ricchi e poveri aumenta. Chi saranno mai questi altri che ce lo vogliono mettere al culo?
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moonyvali · 9 months
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𝗖𝗢𝗥𝗦𝗜 𝗘 𝗥𝗜𝗖𝗢𝗥𝗦𝗜, 𝗜𝗟 𝗩𝗢𝗟𝗧𝗢 𝗦𝗖𝗜𝗘𝗡𝗧𝗜𝗙𝗜𝗖𝗢 𝗗𝗘𝗜 𝗧𝗢𝗧𝗔𝗟𝗜𝗧𝗔𝗥𝗜𝗦𝗠𝗜
Di Luisella Scrostati
(La Nuova Bussola Quotidiana)
𝙇’𝙖𝙨𝙨𝙤𝙘𝙞𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙧𝙖𝙯𝙯𝙞𝙨𝙢𝙤-𝙣𝙖𝙯𝙞𝙨𝙢𝙤 𝙚 𝙨𝙩𝙖𝙩𝙖𝙡𝙞𝙨𝙢𝙤-𝙘𝙤𝙢𝙪𝙣𝙞𝙨𝙢𝙤 𝙚' 𝙞𝙢𝙢𝙚𝙙𝙞𝙖𝙩𝙖, 𝙢𝙖 𝙦𝙪𝙚𝙨𝙩𝙤 𝙣𝙤𝙣 𝙗𝙖𝙨𝙩𝙖 𝙖 𝙨𝙥𝙞𝙚𝙜𝙖𝙧𝙚 𝙞 𝙙𝙪𝙚 𝙩𝙤𝙩𝙖𝙡𝙞𝙩𝙖𝙧𝙞𝙨𝙢𝙞. 𝘾𝙤𝙢𝙚 𝙝𝙖 𝙢𝙤𝙨𝙩𝙧𝙖𝙩𝙤 𝙇𝙞𝙛𝙩𝙤𝙣 𝙞𝙣 𝙪𝙣 𝙡𝙖𝙫𝙤𝙧𝙤 𝙨𝙪𝙡 𝙣𝙖𝙯𝙞𝙨𝙢𝙤, 𝙡𝙖 𝙘𝙤𝙡𝙡𝙖𝙗𝙤𝙧𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙘𝙡𝙖𝙨𝙨𝙚 𝙢𝙚𝙙𝙞𝙘𝙖, 𝙨𝙖𝙡𝙫𝙤 𝙦𝙪𝙖𝙡𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙚𝙨𝙞𝙨𝙩𝙚𝙣𝙯𝙖, 𝙚𝙗𝙗𝙚 𝙪𝙣 𝙧𝙪𝙤𝙡𝙤 𝙙𝙚𝙘𝙞𝙨𝙞𝙫𝙤.
Quando pensiamo ai totalitarismi del Novecento, l’associazione più immediata è quella razzismo-nazismo e statalismo-comunismo. Che il raggiungimento della purezza della razza ariana fosse il più forte motore ideologico di tutto il sistema che ruotava attorno ad Adolf Hitler non credo sia contestabile. Né vi sono dubbi che la statalizzazione dei mezzi di produzione e del capitale fosse l’obiettivo verso cui orientare ogni azione criminale del sistema sovietico. Analogamente, la volontà di eliminare gli ebrei da una parte e quella dello sterminio dei kulaki dall’altra sono realtà storiche ampiamente suffragate.
Tuttavia, ritenere che queste fossero le uniche componenti dei due sistemi totalitari, sufficienti per comprendere quanto accaduto, insieme ad un lato quasi demoniaco di coloro che si prestavano ad atti gravemente immorali pur di attuare l’ideologia, è decisamente riduttivo. Aspetti che portano la nostra generazione a ritenere di non avere nulla a che spartire con quei due sistemi. Il che è sotto certi aspetti vero. Ma le domande da porsi sono altre: sono rinvenibili delle strutture e delle dinamiche fondamentali che consentano a un sistema totalitario di nascere, crescere e rafforzarsi, a prescindere dal volto storico con cui si presenta? Banalmente: è possibile riconoscere il malfattore da alcune caratteristiche apparentemente non così evidenti, anche se cambia l’abbigliamento, la capigliatura, il modo di parlare?
In un lavoro monumentale, Robert Jay Lifton, psichiatra quasi centenario, che ha dedicato i studi alle tecniche di riforma del pensiero (lavaggio del cervello) in Cina e ai rapporti tra psicologia delle persone e storia, mostra i tratti comuni, non immediatamente rinvenibili, di quanti hanno tenuto in vita il regime nazista e hanno reso possibili le grandi iniquità di cui siamo (forse) a conoscenza. Lunghe interviste a 41 ex-nazisti, di cui 29 medici, e 80 ex-internati che avevano lavorato nei blocchi medici hanno permesso di portare alla luce aspetti molto interessanti. Anzitutto, «l’inquietante verità psicologica che la partecipazione all’eccidio di massa non richiede necessariamente emozioni così estreme o demoniache quali sembrerebbero appropriate a un progetto così malvagio. O, per esprimerci in un altro modo, persone normali possono commettere atti demoniaci» (R. J. Lifton, I medici nazisti. Storia degli scienziati che divennero i torturatori di Hitler, BUR, Milano 2022, p. 19).
Quali condizioni dunque possono portare una persona normale a compiere «atti demoniaci»? Lifton ha fiutato che la pista da percorrere era quella medica: non solo perché senza il coinvolgimento dei medici sarebbe stato impossibile mettere concretamente in atto un piano di eliminazione degli “indegni di vivere”, ma soprattutto perché era fondamentale ancorarsi ad una giustificazione medico-scientifica di quanto si stava operando. Lifting l’ha battezzata medicalized killing, omicidio medicalizzato o medicalmente giustificato, non solo possibile, ma necessario all’interno del preteso controllo totale sulla vita e sulla morte. Il progetto nazista, spiega Lifton, puntava ad «una visione di controllo assoluto sul processo evolutivo, sul futuro umano biologico» (p. 36).
Si trattava di una vera e propria «biocrazia», nella quale tutto era orientato al supremo principio biologico, che ovviamente aveva rivendicato la propria fondazione scientifica, e al quale si prestarono luminari ed esperti di ogni ambito, soprattutto medico. «Come si espresse un sopravvissuto che era stato testimone attento di questo processo: “Auschwitz fu come un’operazione chirurgica” e “il programma di sterminio fu diretto da medici dal principio alla fine”» (p. 38). Il regime aveva l’ossessione delle scienze biologiche, al punto che, nel 1934, il generale Rudolf Hess (1894-1987), per sei anni vice di Hitler, fino alla “promozione” del generale Hermann W. Göring (1893-1946), poteva dire, davanti a tutti gli aderenti al partito, che «il nazionalismo non è altro che biologia applicata». In sostanza, organizzazione scientifica della società.
Il passaggio fondamentale per nazificare la medicina e renderla strumento adeguato per il progetto biocratico era quello di mettere ai margini la sua vocazione alla cura del malato, per trasformarla in uno strumento di perfezionamento della società. Non doveri verso il singolo, ma verso la collettività. Il manuale del dott. Rudolf Ramm, della facoltà di Medicina dell’Università di Berlino, Ärztliche Rechts- und Standeskunde (1943), testo di etica medica assai influente, aveva spinto verso questa decisiva “apertura” della medicina: «Il medico doveva interessarsi alla sanità del Volk ancor più che alle malattie dell’individuo e doveva insegnare alla gente a superare il vecchio principio individualistico del “diritto al proprio corpo” e ad abbracciare invece il “dovere di essere sani”» (p. 53).
Corsi e ricorsi storici. Il diritto al proprio corpo e alla propria salute deve cedere il passo alla salute del corpo collettivo, in nome della quale è dunque possibile obbligare chiunque ad adottare soluzioni sanitarie di volta in volta ritenute scientificamente evidenti. La classe medica ‒ che nel frattempo era divenuta un insieme di funzionari dello Stato in camice bianco ‒ diventa così uno strumento imprescindibile per poter “mantenere sano” l’organismo sociale e per poter eliminare tutto quello che è considerato pericoloso, secondo la visione “scientifica” adottata, incluse persone in carne e ossa. Le massicce campagne di sterilizzazione ed eutanasia dal parte del Reich si comprendono solo alla luce di questa medicalizzazione della società e della nuova vocazione della medicina.
È interessante notare che, dal punto di vista giuridico, nella Germania nazista gli aborti erano proibiti; eppure «i tribunali per la sterilizzazione potevano ordinare l’interruzione della gravidanza per ragioni eugeniche in situazioni di “emergenza razziale”» (p. 70). La tanto cara e flessibile emergenza, sempre utile per fare esattamente il contrario di quanto prevede la legge, senza la briga di dover cambiare la legge.
L’emergenza aveva reso flessibili anche i medici. Come il ginecologo Carl Clauberg (1898-1957), professore universitario, che aveva fatto numerose ricerche sugli ormoni femminili, per trattare la sterilità della donna, ma che, dopo l’incontro con Himmler, si era reinventato come ricercatore di metodi non chirurgici per la sterilizzazione di massa. La sfida era quella di sterilizzare più persone in meno tempo possibile; ideò così l’iniezione di formaldeide, direttamente nell’utero, senza anestesia. Degli effetti avversi ovviamente non interessava niente a nessuno, sebbene nel gruppo di prova, formato rigorosamente da donne ebree e rom, ci fossero stati anche dei decessi. Sempre corsi e ricorsi: basta sostituire al verbo “sterilizzare” qualcos’altro.
Clauberg tornò poi al suo primo amore, le ricerche sulla sterilità, diventando, come se nulla fosse, direttore di un istituto: la Città delle Madri. Clauberg purtroppo non fu un caso isolato: «Benché alcuni medici abbiano opposto resistenza, e molti abbiano avuto poca simpatia per i nazisti, come professione i medici tedeschi si offrirono al regime. Lo stesso comportamento si riscontra anche nella maggior parte delle altre professioni; ma nel caso dei medici quel dono comprese l’uso della loro autorità intellettuale per giustificare ed eseguire uccisioni, situate in una prospettiva medica» (p. 71).
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ladoratrice · 2 years
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"Questo problema, nel suo triplice aspetto, preesisteva al fascismo; ma il fascismo, pure non parlandone piú, e negandolo, l’ha portato alla sua massima acutezza, perché con lui lo statalismo piccolo-borghese è arrivato alla piú completa affermazione. Noi non possiamo oggi prevedere quali forme politiche si preparino per il futuro: ma in un paese di piccola borghesia come l’Italia, e nel quale le ideologie piccolo-borghesi sono andate contagiando anche le classi popolari cittadine, purtroppo è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo, per evoluzione lenta o per opera di violenza, e anche le piú estreme e apparentemente rivoluzionarie fra esse, saranno riportate a riaffermare, in modi diversi, quelle ideologie; ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse piú, lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpetueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l’eterno fascismo italiano." (da "Cristo si è fermato a Eboli (Super ET)" di Carlo Levi)
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crossroad1960 · 2 months
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Privilegiati dallo statalismo, che però dimentica completamente lo sfruttamento dei braccianti🤡
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istanbulperitaliani · 7 months
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Il Kemalismo
Mustafa Kemal Ataturk attuò una serie di riforme che erano basate su 6 principi: repubblicanesimo, populismo, secolarismo, riformismo, nazionalismo, statalismo.
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Repubblicanesimo (Cumhuriyetçilik): Il kemalismo crede che solo il regime repubblicano possa rappresentare al meglio i desideri del popolo. Populismo (Halkçilik):Il kemalismo si basa sul valore supremo della cittadinanza turca. Un senso di orgoglio associato a questa cittadinanza darebbe lo stimolo psicologico necessario alle persone a farle lavorare di più e per raggiungere un senso di unità e di identità nazionale. Secolarismo (Laiklik): La laicità kemalista non significava solo separazione tra stato e religione, ma anche separazione della religione dagli affari educativi, culturali e legali. Il principio kemalista della laicità non sosteneva l'ateismo. Ma un laicismo razionalista e anticlericale. Contro un Islam che si opponeva alla modernizzazione. Riformismo (Devrimçilik): Questo principio ha significato che la Turchia ha fatto riforme e che il paese ha sostituito le istituzioni tradizionali con istituzioni moderne. Un principio che é andato oltre il riconoscimento delle riforme: eliminare i concetti tradizionali e adottare concetti moderni.
Nazionalismo (Milliyetçilik): Il nazionalismo kemalista crede nel principio che lo stato turco é un insieme indivisibile che comprende il suo territorio e il suo popolo. Statismo (Devletçilik): Lo stato regola l'attività economica in generale e in particolare si impegna in settori in cui l'impresa privata non é disposta a farlo, o risulta inadeguata o se l'interesse nazionale lo richiede.
Foto: Autoproduzione digitale in AI realizzata il 9/10/2023 by Istanbulperitaliani.
La mia Vita a Istanbul: consigli e informazioni turistiche. Disponibile come GUIDA per delle ESCURSIONI in città. Scrivi una e-mail a: [email protected] anche su www.facebook.com/istanbulperitaliani
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giancarlonicoli · 10 months
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9 giu 2023 12:08
QUANDO SANDRO PERTINI GLI CHIESE PERCHÉ NON RIENTRASSE IN ITALIA. LUI RISPOSE: “STIA TRANQUILLO! STO IN SVIZZERA MA IN ITALIA CI VENGO TUTTI I GIOVEDÌ A COMPRARE LA VERDURA” – GIUSEPPE PREZZOLINI SECRETS BY VITTORIO FELTRI: “ERA UN ANARCHICO CONSERVATORE, NEMICO FEROCE DEI VIZI TIPICAMENTE ITALIANI. L’ASSISTENZIALISMO E LO STATALISMO, GLI ORDINI PROFESSIONALI E IL POLITICAMENTE CORRETTO" - LA GRAPPA CHE TENEVA NASCOSTA TRA I LIBRI, IL BOOM DE "LA VOCE" E IL LIBRO A LUI DEDICATO DI GENNARO SANGIULIANO -
Postfazione di Vittorio Feltri a “Giuseppe Prezzolini, l’anarchico conservatore”, di Gennaro Sangiuliano (ed. Oscar Mondadori), pubblicata da “Libero quotidiano”
Ho conosciuto Giuseppe Prezzolini nel 1982. All’epoca aveva cento anni esatti. Era ancora lucidissimo. Lo intervistai per La Domenica del Corriere. Confesso: ero a disagio.
Nonostante non fossi di primo pelo, incontrare l’uomo che aveva segnato due o tre stagioni della cultura italiana mi metteva un po’ in soggezione. Il maestro, inoltre, aveva fama di essere una persona difficile e scostante.
Nell’ambiente giornalistico me lo avevano descritto eternamente depresso e scontroso. Tagliente e sarcastico. Pessimista, ma di quella razza intraprendente che trova proprio nel malumore e nell’insoddisfazione lo stimolo necessario per andare avanti. In questo era come il suo allievo Indro Montanelli. Le trattative furono lunghe, ma non complicate. Prezzolini, infatti, non amava i giri di parole.
Conservo ancora una sua lettera. Poche righe molto chiare: «Gentile Feltri, patti chiari e amicizia lunga. Voglio centomila lire. Cordiali saluti». Mi misi in viaggio per Lugano. Lo avevano invitato più volte a tornare in Italia. Non ci pensava neanche. Il suo Paese lo aveva emarginato per decenni. E lui rispondeva con un sentimento ambivalente: amore e odio, contemporaneamente.
Nelle pagine di questo libro c’è un aneddoto molto divertente in proposito. Nel 1982, nel corso di una premiazione al Quirinale, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini chiese a Prezzolini perché non rientrasse in Italia.
La risposta fu una battuta fulminante: «Stia tranquillo, presidente! In Italia ci vengo tutti i giovedì a comprare la verdura». Alle otto di mattina bussai alla sua porta. Prezzolini era già sveglio da alcune ore. Mi chiese di accomodarmi in salotto per qualche minuto.
Doveva infatti scrivere un articolo per Il Resto del Carlino. «Le prendo subito qualcosa chele farà compagnia» mi disse. Iniziò ad arrampicarsi sulla libreria. Spostò alcune pile di volumi. Mi aspettavo di vedermi consegnare qualche prima edizione rara e preziosa. Invece saltò fuori una bottiglia di grappa, nascosta con cura nel fondo dello scaffale. Me la consegnò con un sorriso complice. Poi si precipitò alla macchina da scrivere nella stanza attigua. Mi preparai a una lunga attesa. Con la coda dell’occhio riuscivo a vederlo all’opera. Tempestava i tasti senza requie. In dieci minuti preparò tre cartelle e passa. Rilesse brevemente. Appuntò qualche parola nei bordi delle pagine. Quindi si alzò. Aveva finito.
Era pronto. Rispose alle mie domande con il suo stile secco e brusco ma accattivante.
Fu la sua ultima intervista. I libri e le carte del maestro sono ancora in Svizzera. L’Italia non trovò modo di riscattarli.
O forse non volle. C’è poco da stupirsi. Nel clima di soffocante conformismo del dopoguerra, Prezzolini fu rimosso velocemente. Non era classificabile. Non aveva etichette. E non le avrebbe comunque accettate. Non era stato fascista. (O meglio, lo era stato fino a quando Mussolini salì al potere. In quel momento sentì puzza di regime e traslocò in America.) Non era però antifascista. Era senz’altro di destra ma non assimilabile ai nostalgici missini.
Si era guadagnato senza difficoltà l’ammirazione e il rispetto di chi, negli Usa, si era opposto ai totalitarismi europei. Cos’era dunque? La risposta è offerta da Gennaro Sangiuliano e dal libro che stringete fra le mani. Era un anarchico conservatore, come lui stesso amava definirsi. Può sembrare una contraddizione, ma non lo è. La società, se lo Stato non interviene, si regola da sé.
Crea spontaneamente una gerarchia di valori che, per comodità, possiamo chiamare tradizione. Prezzolini confidava nella tradizione e diffidava dello Stato.
Una tradizione vitale e non imbalsamata.
Pronta all’autocritica e aperta al dibattito. Egli fu nemico feroce dei vizi tipicamente italiani. L’assistenzialismo e lo statalismo. Le corporazioni e gli ordini professionali. La retorica e il linguaggio che oggi definiamo politicamente corretto. Lui stesso, maestro di Longanesi, Montanelli e Fallaci, non volle saperne della tessera da giornalista e diventò pubblicista soltanto a ottant’anni.
Fu invece a favore del mercato e della concorrenza fin dai tempi gloriosi della Voce. Prezzolini era un liberale, razza sconosciuta agli italiani, ben nota agli americani. Forse non è un caso che proprio negli Stati Uniti Prezzolini abbia trascorso tre decenni, una parte molto importante della sua vita. Importante sotto tutti i punti di vista, non solo per la sua biografia. Insegnava letteratura italiana alla Columbia University. I suoi studenti lo ricordano con piacere. Affabile e alla mano, lontanissimo dallo stereotipo del professore serio e accigliato.
GLI USA
È questo un Prezzolini meno conosciuto, e andrebbe studiato. Egli portò aldilà dell’Atlantico la cultura italiana. Ma fece anche il contrario e diffuse quella americana in Italia. In questo campo fu un pioniere assoluto. La portata di alcuni suoi lavori geniali è ancora da valutare. Fu il primo, ad esempio, a parlare di letteratura italoamericana.
Pubblicò un’antologia sulle opere dei nostri connazionali immigrati nel Paese del Grande Sogno. È argomento oggi al centro dell’attenzione. Lui ci arrivò con qualche decennio d’anticipo. Del resto, Prezzolini aveva l’occhio allenato alle novità e sapeva come farle arrivare a una platea vasta. Non è il caso di aprire una parentesi sulla Voce, ormai considerata all’unanimità la migliore rivista culturale mai pubblicata in Italia e come tale presentata in tutte le scuole. Gennaro Sangiuliano, in questo libro documentato come un saggio accademico ma avvincente come un’inchiesta, ne racconta benissimo la nascita e la storia. Mi limito a notare una cosa.
Contrariamente a quanto pensa qualche mio collega, i giornali sono fatti per essere venduti. Questo principio Prezzolini lo teneva a mente. La Voce raggiunse le cinquemila copie, un risultato straordinario per gli anni in cui fu pubblicata
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mariuskalander · 1 year
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L'eccessivo statalismo, si chiama Dirigismo, sapete che era uno dei pilastri dell'economia fascista. Post comunisti come @Giul_Granato anelano al Dirigismo. Tra estrema destra ed estrema sinistra la differenza è solo il blocco mentale dell'antifascismo #drittoerovescio
— Mario Calandra (@MariusKalander) Jan 12, 2023
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toscanoirriverente · 1 month
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thesteamer · 9 months
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Tutan-Mattarellamon
Il liberalismo è, a partire dal diciottesimo secolo, l’unica vera novità dopo millenni di storia umana, grazie all’introduzione del principio di protezione dell’individuo dal potere dello Stato mediante i diritti costituzionali.
Oggi gli statalisti, da qualsiasi “lato” provengano, sono più vicini come mentalità ai faraoni, agli imperatori e ai "papiré", che non a Thomas Jefferson.
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Come è nato tutto questo odio verso Renzi, il Malaussène italiano?
Perché tutto questo odio verso Matteo Renzi?
I problemi del nostro paese si sono accumulati in decenni di malgoverno (clientelismo, statalismo nepotistico, mancata costruzione di una pubblica amministrazione efficiente, consenso conquistato e mantenuto, soprattutto negli anni 80, con l’aumento del debito pubblico etc.etc. corruzione endemica, evasione fiscale altissima). Eppure oggi il bersaglio principale per gli italiani si chiama Matteo…
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abr · 9 days
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Lo statalista sociale ogni tanto paragona il liberismo al suo primo cuggino, lo statalista bolscevico. Come i figli del cuggino, i sessantottini, comparano ancor oggi liberismo ("selvaggio") e fascismo. Tra parenti prima di parlare mettetevi d'accordo, su.
Diamo un servizio:
a) le ideologie social stataliste nazi o mao differiscono nella teoria e nelle prassi assassine, quanto il dna di gemelli omozigoti;
b) storicamente, nazional-socialismo o fascismo e internazional-socialismo o (bene-)comunismo, son mostri fatti sgravare nel reale dai gas iprite della "inutile strage" (cit.), la I Guerra Mondiale, evento che ha annichilito l'Europa ma per fortuna non solo nostra, di tutto il mondo, non il suo refugium che come tutti i bambini sani che han giocato ai cowboy sanno, è l'America;
c) i perdenti ce l'hanno col liberismo perché li ha sconfitti, a loro e ai cugini loro, trattandoli per quel che sono: carcinomi degenerati;
d) l'Occidente è tornato a salvare se stesso dalle metastasi più e più volte - la citata I guerra, la II, la Guerra Fredda; oggi l'Occidente difende se stesso dalle degenerazioni woke e Dems, così come da bravi fradei difende gli Avamposti di Civiltà come Israele contro le superstizioni barbariche circostanti (i veri liberisti come i veri Cristiani non forzano nessuno ad adottare la Civiltà: puntiamo sulle Best Practices e sul parlar dolcemente ma con un grosso bastone a portata di mano); ben diverso è il discorso Ucraina, dove il più pulito ci ha la rogna;
e) Dulcis in fundo, dalla nuda cronaca alla pars construens: il liberismo è l'unico autentico erede di quel grande filo storico filosofico che parte dall'antica Grecia e dall'ebraismo e si radica a Roma, assieme si fanno Cristianesimo, poi Scienza, Rinascimento mercantilista e capitalismo: la Civiltà, ovvero le radici dell'Occidente Cristiano, dominante e vincente su ogni idealismo degenere, su ogni statalismo sia esso satrapia, caciccato, ortodossia, fondamentalismo, dittatura del proletariato o confucianesimo. Spiaze.
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ringoworld · 4 years
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The Prime Minister has been criticised for not giving precise guidance for relaxing the lockdown. It is, however, impossible to give exact instructions for all eventualities. I find the guidance extremely helpful, and I use common sense to apply it to my particular circumstances. It seems that those complaining about the lack of precision are heavily dependent on the state to micromanage their lives.
Letters to the Editor, The Daily Telegraph.
Il punto della situazione, in UK, ma anche in Italia. Questa emergenza sanitaria ha portato alla luce il grande grattacapo di un’idea di stato che ha preso sempre più piede dopo la crisi finanziaria: per evitare che certi errori si ripetano, lo stato detta la linea su tutto, perché la gente va indirizzata. Sta purtroppo funzionando e così, invece di adeguarci alla situazione, la subiamo seguendo le confuse direttive contenute nei dpcm dell’avvocato del popolo. 
Guardiamo alla scuola, il catino a cui attingere a piene mani per l’interventismo / dirigismo dei vertici. L’esame di maturità si poteva sostenere nella sua formula classica, adattandosi all’attualità? Probabilmente sì, ma avrebbe richiesto uno sforzo maggiore - che viene chiesto a tutti e dunque a nessuno. Si potevano calendarizzare le prove in modo da non creare assembramenti di studenti e ciò avrebbe chiaramente richiesto più giorni di lavoro per le commissioni e anche per i tecnici del ministero (per intenderci, la prova d’italiano spalmata su più giorni avrebbe significato ovviamente più prove d’italiano a disposizione perché ce ne fossero di nuove per ogni giorno d’esame). Life must go on, ce lo raccontano le cronache dalla Corea del Sud, da Taiwan e dalla stessa Cina, ormai unico modello preso a riferimento. 
Ma il nostro ormai è uno stato maledettamente conservatore, nel senso di conservare tutto, compreso ciò che non funziona. O forse specialmente quello. 
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