Per stare bene al mondo bisognerebbe riconoscere sempre la differenza tra tenerezza, compassione e pena; sorvegliando i passaggi di stato dall’una all’altra e praticando con equilibrio la prima, con rispetto la seconda, con coscienza la terza, verso se stessi e gli altri.
La pioggia ha un vago segreto di tenerezza/una sonnolenza rassegnata e amabile,/una musica umile si sveglia con lei/e fa vibrare l’anima addormentata del paesaggio (Federico Garcìa Lorca)
Niente può sanare tutto e tutto collabora a sanare tutto. Forse non saremo mai totalmente sanati, ma impariamo a star bene con le ferite, a portarle come fiori all’occhiello, non medaglie, ma fiori e collane, bellezze sacre perché oscure, misteriose. Le ferite ci fanno unici e insieme parti di un tutto costantemente esposto alla ferita. Se non vogliamo essere feriti, come possiamo entrare in relazione? Chiedere all’altro di non farci male e insieme accettare di essere messi a rischio e di mettere a rischio l’altro è la relazione. Nessuno può davvero risparmiarmi e io non posso risparmiare nessuno. Sapere che feriamo anche noi e non solo siamo feriti è un balzo nella gioia della vera fratellanza e sorellanza: eccomi qua, con le mie mani vuote, diventeranno pugni, ti graffieranno, e tu farai lo stesso, ma non si armeranno, te lo giuro e ti giuro che urlerò “Ahi, ahi!” quando mi farai male e che smetterò di ferirti quando urlerai tu, quando mi avvertirai, perché ti farò male solo per sbaglio, per paura, mai per decisione consapevole, te lo giuro. Lasciamoci graffiare e avvertiamoci a vicenda. Il male è un maestro di tenerezza.