Tumgik
#ti porto dentro
ragazzoarcano · 1 year
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“Non è mai finita. Anche quando non si pensa più a qualcuno, come dubitare della sua presenza dentro di sé? Una persona che ha contato qualcosa conta per sempre.”
— Amélie Nothomb
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lucreziabeha · 2 months
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Ti porto sempre dentro di me, anche se il dolore non passa e il vuoto rimane.
Lucrezia Beha
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occhietti · 2 months
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Tumblr media
Ad Auschwitz superai la selezione per tre volte. Quando ci chiamavano sapevamo che era per decidere se eravamo ancora utili e potevamo andare avanti, o se eravamo vecchi pezzi irrecuperabili. Da buttare. Era un momento terribile.
Bastava un cenno ed eri salvo, un altro ti condannava. Dovevamo metterci in fila, nude, passare davanti a due SS e a un medico nazista. Ci aprivano la bocca, ci esaminavano in ogni angolo del corpo per vedere se potevamo ancora lavorare. Chi era troppo stanca o troppo magra, o ferita, veniva eliminata.
Bastavano pochi secondi agli aguzzini per capire se era meglio farci morire o farci vivere. Io vedevo le altre, orrendi scheletri impauriti, e sapevo di essere come loro. Gli ufficiali e i medici erano sempre eleganti, impeccabili e tirati a lucido, in pace con la loro coscienza.
Era sufficiente un cenno del capo degli aguzzini, che voleva dire “avanti”, ed eri salva. Io pensavo solo a questo quando ero lì, a quel cenno. Ero felice quando arrivava, perché avevo tredici anni, poi quattordici. Volevo vivere.
Ricordo la prima selezione. Dopo avermi analizzata il medico notò una cicatrice. «Forse mi manderà a morte per questa…» pensai e mi venne il panico. Lui mi chiese di dove fossi e io con un filo di voce ma, cercando di restare calma, risposi che ero italiana.
Trattenevo il respiro. Dopo aver riso, insieme agli altri, del medico italiano che mi aveva fatto quella orrenda cicatrice, il dottore nazista mi fece cenno di andare avanti. Significava che avevo passato la selezione! Ero viva, viva, viva! Ero così felice di poter tornare nel campo che tutto mi sembrava più facile.
Poi vidi Janine. Era una ragazza francese, erano mesi che lavoravamo una accanto all’altra nella fabbrica di munizioni. Janine era addetta alla macchina che tagliava l’acciaio. Qualche giorno prima quella maledetta macchina le aveva tranciato le prime falangi di due dita. Lei andò davanti agli aguzzini, nuda, cercando di nascondere la sua mutilazione. Ma quelli le videro subito le dita ferite e presero il suo numero tatuato sul corpo nudo. Voleva dire che la mandavano a morire.
Janine non sarebbe tornata nel campo. Janine non era un’estranea per me, la vedevo tutti i giorni, avevamo scambiato qualche frase, ci sorridevamo per salutarci. Eppure non le dissi niente. Non mi voltai quando la portarono via. Non le dissi addio. Avevo paura di uscire dall’invisibilità nella quale mi nascondevo, feci finta di niente e ricominciai a mettere una gamba dietro l’altra e camminare, pur di vivere.
Racconto sempre la storia di Janine. È un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a morire, che la sua vita era importante per me. Che noi non eravamo come gli aguzzini ma ci sentivamo, ancora e nonostante tutto, capaci di amare. Invece non lo feci.
Il rimorso non mi diede pace per tanto, tanto tempo. Sapevo che nel momento in cui non avevo avuto il coraggio di dire addio a Janine, avevano vinto loro, i nostri aguzzini, perché ci avevano privati della nostra umanità e della pietà verso un altro essere umano. Era questa la loro vittoria, era questo il loro obiettivo: annientare la nostra umanità...
- Liliana Segre - Fino a quando la mia stella brillerà
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matochi · 7 months
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Você é a melhor parte de mim, você é aquele sentimento bom que faz vibrar meu coração, aquele doce olhar que cura qualquer dor, a brisa suave que refresca o calor, meu refúgio, meu porto de abrigo. Longe de ti não há liberdade ou paz. amo-te como devo, como quero, como preciso amar, Tenho vários motivos para querer-te tanto. você me completa, você me faz bem, você me faz perder a noção do tempo quando estou junto de ti. você ocupou um lugar aqui dentro de mim onde ninguém mais vai ocupar, eu não te trocaria por nada nem por ninguém, Deus te escolheu pra mim. e nas minhas orações diárias eu sempre agradeço por você existir por te amar e ser amada na mesma medida.
_ Sueli Matochi
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yomersapiens · 28 days
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Attendendo, prego
Il foglio è bianco e vengo istigato a scrivere dalla barra lampeggiante. Appare e scompare, cerca di stimolarmi a buttare giù i miei pensieri ma non so come fare a dirle che ne sono privo. Mi sento svuotato. Ho la testa gravida di progetti che dovrebbero partire ma non partono. Sono una stazione piena di treni stracolmi di viaggiatori durante uno sciopero dei trasporti generale e totale in cui i sindacati si rifiutano di comunicarne la durata. Come sono finito così? Ho spremuto tutto lo spremibile forse, o sono diventato geloso dei miei pensieri e li tengo dentro di me, sperando crescano così tanto da partorirli già in grado di farcela da soli.
Se non avessi imparato dalle mie malattie croniche l'arte dell'attesa penso inizierei a preoccuparmi. È arrivato il momento di cominciare con una nuova terapia, oramai sarà la ventesima dopo diciannove fallimenti, ma i dottori non hanno fretta (quando mai ne hanno) e quindi se la prendono con calma. Il termine "paziente" credo si riferisca proprio a questo. Devi portare pazienza. Io non solo porto pazienza ma porto anche il laptop e un libro da leggere e il telefono carico. L'attesa sarà lunga e io sono sempre più un oggetto che arreda le corsie dell'ospedale.
Ogni volta che vado a presentare il mio libro in giro devo essere entusiasta, positivo, pieno di energia. Devo convincere che è un investimento di tempo sensato, anzi no, necessario, che ti cambierà la vita e ti riempirà come solo un capolavoro può farlo. Io sono così scarso a vendermi. Cioè si vede che sto mentendo. Ok l'ho scritto io e a me piace, ma boh a te potrà fare schifo che ne so. Chi sono io per dirti cosa ti deve piacere o cosa fare. Fai quello che ti pare. Non comprarlo. Non leggerlo. Lasciami in pace. Dico queste cose mentre sono sul palco, la presentatrice della serata mi guarda stranita. "Ma Matteo io non ti ho posto nessuna domanda, perché stai parlando da solo?". Ah cavolo, l'ho fatto ancora. Mi sono sabotato. Come si fa a fingere di essere interessanti? Neanche quando si tratta di amore o sesso riesco a vendermi bene. Se ti piaccio è perché hai problemi e sarebbe ora tu li risolvessi. Oppure subisci la fascinazione da una certa tipologia di ruderi. Quelli oramai quarantenni, panciuti, spelacchiati e incapaci di prendersi seriamente. Ma molto, molto bravi ad aspettare. Io sarò felice di godere del tuo amore, finché non tornerai in te e capirai che puoi avere di meglio, ecco. Io aspetto, ma nel frattempo wow, davvero posso toccare? Ok, ok. La ringrazio signorina lei è molto gentile.
Stamattina ho fatto una cosa che stavo rimandando da troppo tempo: mi sono pesato. Le cose che rimando da troppo tempo sono: - pesarmi e rendermi conto quanto mi sono lasciato andare - aprire la app del conto in banca e osservare il baratro - la risonanza magnetica (ma quella l'ho prenotata) - chiedere quanti libri ho effettivamente venduto alla casa editrice - rasarmi completamente la testa e archiviare i capelli come esperienza passata - comunicare alla padrona di casa che me ne vado e vendere tutto quello che ho collezionato in 11 anni di vita a Vienna Rimando perché tutto è ancora piuttosto stabile, rassicurante, come un edificio in piedi dopo un terremoto devastante. Mi sono pesato e in effetti eccoli lì quei chili di troppo che rendono difficile chiudere i pantaloni. Poi però, per non affrontare questa consapevolezza da solo, sono andato a prendere il gatto e ho pesato anche lui che è bello cicciotto e allora ecco amico mio, siamo in due a doverci dare una regolata, si torna a fare sport e mangiare sano. Ma mica lo facciamo subito, eh no, si aspetta. Ti faccio vedere io come attendere.
Il foglio è meno bianco, o meno nero, dipende dalle impostazioni del vostro schermo. Nel mio caso dovrei dire che è meno nero. Se lo dico ad alta voce, nel bar dove sono, che sono felice tutto sia meno nero mi danno del razzista e mi cacciano via. Anzi no, non credo, con la situazione politica attuale finisce che mi danno un ministero. Meglio se sto zitto, io di lavorare non ho voglia. Ho voglia di aspettare di trovare il lavoro giusto e il lavoro giusto per me è attendere.
Mi immagino insieme a degli anziani in qualche sala d'attesa, ascoltare i loro discorsi mentre la segretaria aspetta di ricevere ordini dal dottore curante per convocarli. Potrei imparare a fare a maglia. Aiutare con i cruciverba. Sentire gossip sulla vita amorosa di alcuni vip che pensavo morti da un decennio. Forse sono morti ma fanno lo stesso l'amore, cioè mica solo io mi merito di essere fortunato eh. Aspetterei l'esito delle analisi e poi troverei un modo per abbracciare, sostenere, diventare spalla su cui piangere. Potrei stare vicino alle persone che aspettano una risposta a una mail "Non ti preoccupare, potrebbe anche non arrivare mai la risposta ma ora siamo insieme, sono al tuo fianco, ti faccio vedere cosa altro si può fare di utile con il tuo computer, hai mai sentito parlare dei siti porno?". Potrei viaggiare con chi odia stare fermo in un treno e giocare a "trova la mucca" salvo poi rendermi conto che stiamo viaggiando verso Milano e al massimo si vede a pochi metri di distanza causa smog. Povere mucche lombarde, con quel loro latte dal sapore affumicato quanto un whisky disgustoso.
Vivere per me è diventato applicare ogni giorno, quando mi sveglio, la frase motivazionale "aspetta e spera". Lo dico a Ernesto, quando mi salta in faccia per reclamare la sua porzione di pappa. "Aspetta e spera bello mio". Lo dico a me stesso quando mi ricordo che ancora non hanno deciso di finanziare il mio prossimo progetto. Era meglio essere un lavoratore dipendente e odiare colui che fu il mio capo? O essere un libero pensatore che come hobby parla con il gatto e odia il suo di capo? Inteso come testa, perché rende impossibile riuscire a fingere entusiasmo per le cose.
Per questo idealizzo gli anziani. Anche loro ne hanno le palle piene di fingere. Per questo faccio schifo alle presentazioni del mio libro o quando invio richieste di finanziamento, perché dai, i vostri soldi potreste investirli in qualcosa di più utile. Tipo una campagna di riqualificazione dei piccioni come animali da compagnia.
Fossi nato ricco avrei sperperato tutta la mia fortuna in carte Pokémon. Lo so. In quello e in allucinogeni, che poi sono la stessa cosa. Però la bellezza di dire "Ehi, vuoi salire da me a vedere la mia collezione di carte Pokémon?" e sentirsi rispondere cavolo sì, che bello, sono curiosa. Poi magari deludo anche lì. Magari illudo e pensavi che il mio Pikachu fosse molto più grosso, però dipende da come lo usi, se aspetti un po' magari si evolve. Ti chiederei "Sai a che livello si evolve Pikachu" e tu risponderesti "Non so, al 50?" e io ti caccerei di casa perché Pikachu si evolve tramite pietratuono non avanzando di livello e non mi concederò mai a una persona così ignorante. Che disgusto.
Aspetto mio nipote cresca un altro po' così da poter finalmente avere una conversazione decente con lui senza desiderare di stropicciargli quelle guanciotte tonde e rosa pesca che si ritrova. Oppure questo non accadrà mai e io, inquanto zio, lo vedrò sempre come un esserino piccolo e carino e gli stropiccerò le guanciotte il giorno del suo matrimonio.
Un treno, nella metaforica stazione dei miei pensieri, è partito. Con incalcolabile ritardo. Sarebbe più pratico i miei pensieri fossero aerei. Volerebbero da te. Si schianterebbero a pochi metri da casa tua spaventando i vicini. Ma gli aerei mi terrorizzano ancora, quindi i miei pensieri viaggiano su lente, prevedibili rotaie. Poi io ci tengo al pianeta, non lo voglio distruggere, è il posto ideale dove passare il tempo aspettando nella fine del mondo.
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A dire la verità niente è destinato a finire bene, che la morte prende tutti e chi s’è visto s’è visto, e tutto quello che stiamo facendo in questa palla di fango è illuderci di una qualche forma di immortalità che alla fine possa durare anche quando noi saremo fertilizzante incastrato in bare più preziose di quanto non lo sia mai stata la nostra vita, che manco darci uno scopo da cadaveri ci permettono, manco creare fiori possiamo, solamente una nuvola esplosiva che per sistemarci le ossa devono trapanare quelle stesse bare che si sono svenati a comprare, lo scherzo, la presa per il culo definitiva.
Con questo dato di fatto, che la vita lo sappiamo tutti che è una malattia del cazzo da cui non si guarisce (la prendi nel momento in cui ti tirano fuori da un posto in cui se hai un cromosoma segato di base tenderai a voler ritrovare il prima possibile, e se hai il cromosoma intatto invece tutelerai con i denti e le unghie anche in quei periodi del mese in cui vorrà mangiarti viva dall’interno) e che alla lunga per quanto uno ci possa provare conduce inevitabilmente a stirare le zampe, non è che uno possa permettersi di dire qualcosa, sia chiaro: che proprio perchè la linea da A a B, da Start a End è vincolata al fatto stesso che adesso siamo qui in piedi, tanto vale percorrerla. Che non è che se devi dalla linea allora sfuggi, nè che se provi a tagliare il traguardo a metà, un quarto, un decimo della strada che ti rimane allora hai vinto la bambolina premio: certo, sfuggi a parte dei casini, sfuggi a parte della malattia, ma che cazzo ne sai di quello che ti aspetta se continui? Niente.
E non è che sia una ribellione, una fuga, una soluzione, un qualcosa del genere. E’ solo una delle tante cose omeopatiche ci si inventa per illudersi di stare bene. Visto che tanto deve andare a finire a puttane, mi porto avanti col lavoro e mi autodistruggo da solo, grazie e tanti saluti, che ho già vissuto il mio grande amore globale totale e non mi interessa minimamente la possibilità che ne vengano altri, anzi sai che ti dico? Io non voglio che ne vengano altri, che se mi accorgessi metti di innamorarmi di nuovo di un’altra persona vorrebbe dire che ho passato mesi a piangere come un coglione appresso a chi pensavo fosse il grande amore della mia vita l’unico possibile e sinceramente io - ma io qui è voi, gran parte di voi - di fare la figura del coglione che s’è illuso che il grande amore fosse uno solo, o che quello lì fosse il grande amore, non ce la voglio fare, quindi no, grazie, finito quello finito tutto, premo il pulsante s’apre la portiera scendo dalla vita prima del capolinea, che il paesaggio delle altre fermate non lo conosco ma tanto è sempre uguale.
Come se la vita poi girasse in tondo, c’è questo pensiero di fondo che uno ha già visto tutto solo perchè qualcuno ha avuto l’idea geniale di sparargli in faccia spezzoni di film delle vite degli altri, giusto per spoilerare come potrebbe essere la sua vita. Che qui dentro, ora, tutte queste immagini, questi frammenti di libri, queste foto, cosa sono se non gli spezzoni delle vite degli altri, dove vedi la coppia felice e magari in quel momento hai una persona accanto a te ed allora quella coppia felice siete voi due, non sono i tipi della foto, chi se ne fotte di chi sono i tipi nella foto, si trasferisce tutto, e le persone di quel racconto lì siete voi, e le persone di quel film lì siete voi, voi siete ovunque dannazione, in ogni foto in ogni film in ogni canzone in ogni paesaggio e siete talmente tanto diluiti in ogni singola stronzata che vi passa davanti che avete perso di vista i confini della vostra stessa vita, e quando ve la sbattono in faccia manco la riconoscete più, è tutto un “no, ma che, sul serio? Fa così schifo? E’ così brutta? Non è la mia vita questa qui, non può essere la mia vita questa qui, la mia vita è come quella canzone lì, è come quel film lì, è come quel libro lì”, ed è qui l’errore.
La vita alla fine ha un timbro unico, non ce ne sono due uguali, non sono dei vestiti che trovi al discount la vita, non è un grande magazzino l’esistenza che sforna vite tutte uguali che se trovi quella che ti piace in saldo l’indossi al posto della tua e magari ti sta un po’ stretta sui fianchi che te hai il culone e quella lì no, o magari ti sta larga di petto perchè te hai il fisico di un sollevatore di cottonfiocs mentre quello c’ha una portaerei al posto della schiena che dannazione come l’hanno costruito quel fisico non si sa, e queste vite qui che sono vite di altri sono belle da vedere ma finisce lì, deve finire lì, possono essere esempi, non imitazioni, ed i testi delle canzoni, ed i telefilm, sono belli perchè poi finiscono, e se ti è piaciuto lo fai ripartire da capo, hanno il repeat, hanno il rewind, il fast forward, dio santo le playlist hanno lo shuffle, ma non è che l’esistenza sia così, se nell’elenco eventi ti segna al posto di “figata cosmica” l’icona “giornata di merda”, quella non la mandi avanti, non la stoppi nè la pausi: quella te la vivi stringendo i denti e buttando giù il veleno, perchè neanche nella versione premium cambi l’ordine delle cose. E di sicuro non è qualcosa che puoi riavvolgere, non riavvolgi un cazzo, se hai dato un bacio ed è stato il bacio più bello della tua vita, è andato, passato, finito, o ti tieni il ricordo stretto ed ancorato al cuore, oppure in capo a due, tre anni, quel bacio sarà svanito, fine, addio. E come svanirà lui, svanirà anche quella litigata apocalittica che t’ha fatto perdere tutti, e non c’è possibilità di rivivere quelle cose. Neanche con le stesse persone.
E quindi sì, ok, la vita è una linea dritta da A a B, è un’autostrada che conduce diretta ad un burrone e tu hai solo una tanica di benzina, solo un pieno, e solo un viaggio da fare. Puoi provare a finire fuoristrada finchè ti pare, ma tutto ciò che ti deve interessare non è la destinazione, ma chi caricherai con te, che bagagli ti porterai, e che bivi hai intenzione di percorrere. Che se è anche vero che sempre lì andrai a finire, almeno hai la possibilità di organizzarti il viaggio per renderlo in più piacevole possibile.
E non c’è altro da dire.
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scorcidipoesia · 2 months
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E poi ti vedi davvero stupida per non aver capito.
Per essere stata debole, fiduciosa nella persona che era tutto. Perché si dà tutto non soltanto fisicamente ma soprattutto attraverso confidenze , quando ti confidi col cuore in mano e parti in patetici monologhi e implori attenzione . Dopo, da questi meccanismi esci distrutta e non basta poco tempo, devi reinventarti e capire perché sei caduta se dentro nel profondo sapevi di stare sbattendo la testa al muro e avevi un enorme vuoto nell’anima . Ora so che se un rapporto svuota e’ tossico, Che se arriverà un sentimento mi sentirò piena, colma, graziata dalla vita. E del fantasma che si è ingoiato i miei anni non conosco il volto , il cuore e i pensieri e neppure ho curiosità sulla sua vita, sui suoi replay , sulle donne cui avrà detto le stesse cose, sui suoi ritorni . Io dipendo solo da me stessa, mai nessuno sarà più il mio porto sicuro.
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drastic-end · 6 days
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"Meu amor, Ao seu lado, me sinto livre para ser eu mesmo, sem máscaras ou disfarces. Amorosa, você me faz sentir, desejado, compreendido, valorizado, amado depois de anos. Você é a minha alma gêmea, a minha cúmplice, a minha confidente, a minha amante, a minha melhor amiga, a meu porto seguro, meu apogeu. Dentre tudo, eu te amo com todas as minhas forças, com a intensidade de mil galáxias de chocando uma na outra ao mesmo tempo. E se você me perguntar o que eu mais desejo, a resposta é simples: Eu só quero que você desperte para a verdade absoluta. Doravante, eu quero que você não tenha medo de expor o amor que você sente dentro de ti por mim. Com todo o meu coração, com toda a minha alma, com todo o meu ser, eternamente." Só eu te vivo! 🧡🧡
- Oliver Gutknecht
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figliadeifiori · 7 months
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Mi baci, ma non mi credi
Ti guardo, ma non mi vedi
Ti cerco, ma non mi vuoi
Mi porto dentro
il ricordo di noi. 🤍
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nospiderpls · 4 months
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1 dicembre
Mi sveglio storcendo appena il naso, ma mi ci vuole solo un istante. Mi volto solo un attimo guardando l'ora. Le 8:00. Mi tiro su appena, e mi poso al tuo petto picchiettandolo con le mani per svegliarti. << Greengrass, Greengrass. Sveglia Greengrass, Greengrass? >>
Il borbottio mi dice che in qualche modo si è svegliato: << Sì sì che c'è, ho capito. Che succede? >> ha solo aggrottato la fronte, non ha ancora aperto gli occhi. Non che questo sia in grado di fermarmi: << E' il primo dicembre >> << Sì beh, sai, capita quando finisce novembre >> Il colpo con la mano che gli rifilo al petto l'istante seguente sembra togliergli il fiato, abbastanza da aprire un occhio. Io gli sto sorridendo a sessantacinque denti.
<< Oddio che succede? >> << Dobbiamo preparare la casa! >> << Preparare la casa? Perchè, dove deve andare? >> Altro colpo. << Per Natale! >> Resta qualche istante a guardarmi, vedevo i suoi pensieri che cercavano una qualche spiegazione. Poi ride sornione tornando a chiudere gli occhi: << Sì certo, come no >> << Greengrass... >> << Non ti farò addobbare tutta casa mia Travers >>
E' il silenzio che segue quelle parole che gli fa riaprire gli occhi, qualche istante dopo. Ho le labbra arricciate, le guance gonfie con lo sguardo triste. << Credevo abitassimo insieme, non di essere solo un ospite a casa tua... >> << Infatti è casa tua... >> << E mi sentirei moooolto a casa se fosse tutta addobbata per Natale! >> Silenzio. << Mh >> dice solo. Gli sorrido, facendogli il verso << Mh? >> << Sembra molto pericoloso parlare in questo momento >> Lo guardo divertita, e poso il mento sul suo petto. << Volevo solo vivermi queste feste assieme a te, tutto qui >> vedo il suo sguardo combattuto, e gioco decisamente sporco. Abbasso il viso e gli lascio un bacio sul petto tornando a guardarlo.
Il sospiro che segue è talmente profondo che quasi mi solleva. Esordisce quasi criptico: << In soffitta >> Sollevo un sopracciglio confusa: << Vuoi segregarmi in soffitta finchè non passano le feste? >>. Nel suo sguardo per un breve istante vedo che il pensiero lo attraversa, ma poi scuote il viso. << Dev'esserci della robaccia della mia ex, avrà distrutto la maggior parte ma troverai sicuramente qualcosa con cui infestarmi casa... >> Mentre parla, mi tiro leggermente su con sguardo impassibile. Mi poso meglio con le braccia sul suo petto, per reggermi la testa osservandolo con enorme curiosità: << Oh splendida mossa Greengrass, offrirmi gli scarti delle cose con cui passavi felicemente il Natale con le donne che hai sposato prima di incontrarci. Pensi che dovrei arrabbiarmi subito o quando starnutirò per la polvere della tua soffitta tenendoti il broncio tutto dicembre? >> Vedo il suo sguardo andare prima a destra, poi a sinistra. Sembra pensare a come risolvere la situazione, ma conosco abbastanza quello sguardo da capire che sta passando la camera per controllare quante cose potrei rompere lì dentro. Deve aver individuato i portagioie e le borse, forse anche qualche vaso.
Torna a guardarmi con gli occhi a una fessura, so che quell'espressione arrabbiata è la mia vittoria. << Un solo albero >>. Mi tiro su d'istinto ascoltando estremamente attenta quello che ha da dire. << Ti porto a prendere un unico piccolo insignificante minuscolo albero, solo un albero >> Mi brillano gli occhi: << Sì tranquillo, ti costringerò a fare solo solo quello per il resto mi arrangerò in tutto io! >>
L'istante seguente sono in bagno a prepararmi, senza lasciargli controbattere. Sento solo il suo borbottare che mi accompagna, ma ormai è troppo tardi. Sarà un Natale fantastico.
@alanmgreengrass
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ragazzoarcano · 1 year
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SCAPPIAMO INSIEME
TI PORTO DOVE
NON C'È BISOGNO
DI SCAPPARE
Stefano Colucci
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solanas65-blog · 1 month
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troveremo un modo
per stare insieme
quando la vita
ci porterà un altrove
quando il senso unico
diventerà un bivio
quando viaggiare
diventerà fondamentale
e quando saremo pieni di
"vorrei restare, non so spiegare, devo andare"
troveremo un modo
per fare gli amori da lontano
e insegneremo al vento
come portare un pensierino dentro,
ti metterò un po' del mio sole
nelle tue bufere,
metterai la tua primavera
al Novembre che mi porto addosso sempre
troveremo un modo
per non farci mancare troppo
ci chiameremo a caso
lottando contro i nostri fusi orari
e se dovessimo essere davvero così lontani
allora faremo convivere bene
il mio buongiorno
con la tua buonanotte
la mia colazione
con il tuo pigiama
troveremo poi
un modo per incontrarci ancora
per riprenderci
per ridarci a noi,
venirsi incontro non è mai
un tragitto troppo lungo,
a metà strada tutto
diventa vicino
troveremo un modo
per stare insieme
anche quando non avremo modo
di stare insieme
perché chi ama, un modo,
lo inventa."
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Gio Evan
... e se non dovesse esistere un modo
se non riuscissimo ad inventarlo
mi basterà socchiudere gli occhi
e seguire semplicemente il tuo modo
un pò fuori schema
ma che importa
alla fine ciò che conta
è amarsi
volersi bene sopra le righe 
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occhietti · 9 months
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Mi piace chi entra nella vita degli altri con estrema lentezza, in punta di piedi in punta di cuore in punta di vita che con le mani non fa rumore che con lo sguardo fa da scudo
mi piace chi con la coda dell'occhio scorge tutte le tue cicatrici per conoscere la strada della tua pelle che non deve percorrere
chi fa il giro largo delle tue ferite per abbracciarti lì dove c'è ancora spazio buono dove c'è carta bianca e cute forte
mi piace chi entra nella vita degli altri come i monaci al tempio, a piedi silenziosi e voce scalza, con il cuore giunto e le mani con la tachicardia
amo quelle persone che ogni volta che le incontro ti vivono con cura così da evitare di rompere tutta la porcellana che mi porto dentro.
- Gio Evan
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Chi rischia la felicità, non muore mai
Adesso ti passo a prendere
e ti porto a mangiare
un sacco di schifezze
e se ti va
balliamo un po’
davanti agli occhi increduli
della gente seria.
Ti passo a prendere
e ti porto a non pensare
che quando non si pensa
si torna un po’ bambini.
Ti porto a sognare
quelle robe da imbecilli scalmanati
che non si possono raccontare.
Adesso ti passo a prendere
e ti porto a ridere con me
perché ho bisogno di sapere chi sei
quando non hai bisogno di apparire
quando non hai bisogno di essere.
Ti porto a sbagliare
a bruciare
a impazzire.
Come l’ultima volta che hai pianto
e non sapevi perché
ma ti sentivi viva.
Ti porto a toccare la notte
ti porto a respirare il silenzio
delle parole rimaste in gola
e che finiscono negli occhi
e dentro ai baci
dati di corsa.
Ti porto a rischiare di essere felice
perché non so se lo sai
ma chi rischia la felicità vince sempre.
Chi rischia la felicità, non muore mai.
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Andrew Faber
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kon-igi · 2 years
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I POMODORI DELLA FINE
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Una delle caratteristiche dell’età che avanza (anche se questo è un tratto che mi è sempre appartenuto fin da bambino) è essere consapevoli del tempo che passa e in particolare di percepire con sempre più largo anticipo la fine di un qualcosa.
L’altro giorno ci hanno regalato una cassetta di pomodori di un orto tardivo (il mio ha fatto un’unica buttata a fine Giugno e poi si è arreso all’attacco solare di Daitarn 3... Mai più lo rifarò! - come dico ogni Settembre) e quando stavo per finire in overdose per il mezzo chilo di perini e cipolle che mi ero scofanato pressoché da solo, sono stato raggiunto da un pensiero lancinante
Sto mangiando gli ultimi pomodori di questa estate.
Ora, mi potrete giustamente obiettare che non era affatto detto che fossero gli ultimi, che me ne potrebbero regalare ancora o che comunque i pomodori, per quanto annacquati e insapore, si possono trovare tutto l’anno ma il fatto è che dentro di me quello era lo spazio liminale di separazione tra un’esperienza vissuta e quella del futuro non noto.
Proprio qua su tumblr una volta ho letto una cosa che mi ha colpito dolorosamente e che forse serve a spiegare quello che ho provato:
C’è stata una volta in cui tua madre ti ha preso in braccio e tu non sapevi che era l’ultima.
Come esseri umani tendiamo a considerare il futuro come un’estensione in divenire immobile del presente e se questo è un tratto molto marcato dei bambini (vi ricordate la frase ‘Un bel gioco dura poco’? Personalmente quando me lo sentivo dire mi chiedevo se i grandi non fossero tutti dei tristi sadici per missione divina) è una caratteristica che perdura anche da adulti, nonostante tutti i pessimismi e i previsionismi.
Quando ho detto che per me, invece, fin da bambino è sempre stata visibile la fine di un qualcosa, mi riferivo alla sensazione improvvisa, quasi come lo scatto di un ingranaggio o dell’ultimo pezzo di un puzzle che va a posto, che quello che stavo provando era destinato a concludersi e che io avrei vissuto un futuro diverso dal presente.
La prima volta che la provai fu circa 45 anni fa.
Alllora ero un bambino felice, immerso in un sole settembrino, che aveva appena finito di costruire un castello con la sabbia fine della spiaggia di un’isola siciliana, Favignana, quando mi fermai a rimirare il castello e poi urlai a mia mamma - Mammaaaa! Vai a comprare del cemento!
Quando mia mamma mi chiese che cosa avrei dovuto farci, mi ricordo come se fosse oggi che risposi con le lacrime agli occhi - Ti prego... vallo a prendere! Devo mescolarlo alla sabbia del mio castello così poi lo porto a Viareggio! Non voglio che l’acqua lo distrugga... guarda, ci sono le onde! Lo stanno già mangiando!
Il fatto è che in quel momento presi coscienza della deciduità delle cose.
Compresi, guardando quel castello di sabbia, che le cose potevano improvvisamente non essere più e per un bambino di cinque anni vi posso assicurare che fu un peso immane.
Se salvavo quel castello, tutto sarebbe stato felice per sempre.
A occhio e croce - quarantacinque anni fa come ora - credo che la maggior parte dei genitori avrebbero liquidato la cosa come un capriccio o una sciocchezza, spaziando dalla risata fino alla sgridata, ma visto che io vivevo in una famiglia molto particolare, soprattutto per l’epoca, mia mamma si sedette sulla sabbia accanto a me e mi disse le seguenti parole:
Prendi un po’ di sabbia... ecco, li vedi quanto sono piccoli i granelli? Tra poco le onde si porteranno via tutta la sabbia ma quei granelli conserveranno il ricordo del tuo castello e ogni volta che un altro bambino ne costruirà uno, anche se sarà diverso, conterrà anche il tuo. E quando torneremo a Viareggio, sulla spiaggia la sabbia continuerà a ricordarlo, anche se saremo lontani da qua.
Allora mi parve molto consolante, oggi capisco di essermi portato dentro per tutto questo tempo una verità sul significato dell’esistenza che mi ha finalmente permesso di vivere senza paura del futuro ma solo provare una sottile malinconia al saluto di quei granelli che sicuramente ritroverò ma che oggi vedo andare via.
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P.S.
Mia mamma non è morta, non sta morendo e non ne ha neanche l’intenzione. Probabilmente in questo momento sta schiaffeggiando con la mano sinistra l’incavo del braccio destro piegato e urlando allo schermo TIE’!
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mccek · 1 year
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Come ogni anno, mi ritrovo qui a scrivere una riflessione, per il giorno del mio compleanno.
Non penso che il problema sia l’età, ma bensì ciò che mi circonda.
Più passano gli anni e più mi rendo conto che la gente si dimentica di te come nulla fosse.
E allora mi chiedo: a che serve continuare a fare del bene dalla mia piccola età se non è mai stato ricambiato nemmeno con semplice grazie?
Lo so, in molti avrebbero già mandato tutto a quel paese e, magari si sarebbe fatto contagiare dalla più grande malattia di cui soffre la nostra generazione, l’odio, che prova indifferenza verso chiunque, anche chi ti starebbe accanto nonostante tutto.
Certe volte mi vorrei lasciare andare, per diventare ciò che forse sarei sempre dovuto essere, uno dei tanti.
Vorrei usare la stessa cattiveria che in tanti hanno usufruito per frustrazione sfogandosi nei miei confronti senza una ragione, perché a casa mia il male non è mai esistito, ah…purtroppo quello c’è in effetti, ma è qualcosa che non scegli, che ti tocca subire contro la tua volontà.
Andrea, Eleonora, tutti voi lassù che vi ho conosciuti in quel reparto, Mamma, che sei ancora qui con me, e non desidero altro, ogni giorno che passa, di poterti continuare a sentire, a vedere, la tua presenza è vitale, come era la loro.
Non voglio piangermi addosso, ognuno ha perso qualcosa nella propria vita, e a volte quel qualcosa è tutto che che avevi, e i miei amici erano l’unica cosa che mi rimaneva, ma vivete dentro me, siete quella parte buona che tiene a bada il marcio che ogni giorno mastico a causa di chi non sa più fermarsi, ragionare, pensare che oltre all’idea che ci si fa sparando a zero, senza almeno provare una volta a conoscerla per quello che è davvero quella persona, c’è un abisso di tristezza, uguale alla vostra, che ci accomuna tutti, e propria essa c’ha sempre lasciato tanti messaggi mai ascoltati, un po’ come quelli in segreteria, e non sarò mai convinto che sia uno psicologo a salvarci veramente, e nemmeno noi stessi, soli, con le proprie forze, ma unendo il nostro male, cosa che da testardi cronici che siamo, mai compiremo, piuttosto godiamo nel vederci soffrire, quasi sapendo che c’è sempre qualcuno che sta peggio di noi, e questo ci rincuora no?
In questo momento mi vengono in mente solo le parole di mia nonna: “non abbandonare mai quella semplicità mista a amore verso il prossimo che hai dentro di te.”
Perché io ho un sogno, che va oltre la scrittura che accompagna le mie lacrime e ogni sera, va oltre la voglia di riscoprirmi ogni giorno, di mettere da parte i miei brevi istanti di felicità per dedicarli a chi ne ha più bisogno di me (e sono tanti), oltre il mio ballare con il mostro che mi porto dentro da fin troppo tempo.
Io sogno che un giorno o l’altro, io, te, noi tutti, ci dimenticassimo di questo maledetto telefono, che ormai c’ha resi automi, frustrati, insopportabili e più trasparenti agli occhi della gente di quanto già lo fossimo.
Chissà, sarebbe una grande conquista tornare a vivere con quel poco di spensieratezza che ci basterebbe, che sicuramente non sarebbe mai quella che avevamo da piccoli, ci sarebbero sempre gli insormontabili problemi legati al lavoro, al costo della vita, ma volete mettere in confronto a come stiamo vivendo ora?
E mi rivolgo sempre alla mia generazione e purtroppo, a quelle che verranno.
Chiedete e scrivete sempre tutti, che vi manca qualcuno che vi ascolti, che si prenda cura di voi, senza se o senza ma…e mi domando cosa stiamo aspettando ancora e quanto aspetteremo!?
Siamo il male che vediamo fare ma che tolleriamo.
Nel frattempo mando lo stesso abbraccio che mi faccio ogni sera a tutti voi, forse il più sincero di quelli che ho ricevuto finora, a te papà, che nonostante le difficoltà e i gravi problemi di lavoro non mi hai mai fatto mancare il cibo a tavola, e pur essendo totalmente diversi, ogni giorno cerchi di spronarmi, senza mai farmi sentire “arrivato”.
A te mamma, che mi hai cresciuto, lasciandomi libertà di agire e pensare, sbagliando e imparando, anche se sono ancora un puntino in questa vita,
A te che trascuri la tua malattia pur di non farmi mai mancare un sorriso, una parola di conforto, quando sprofondo nel deserto della mia depressione.
E a quelle stelle dei miei amici che da lassù illuminano ogni momento buio della mia vita,
ricordandomi che non sono solo, che c’è sempre qualcuno che ha occhi puntati su di me, e non mi lascerà solo per nessuna ragione al mondo.
Resterò sempre ciò che sono.
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