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#vita religiosa
pettirosso1959 · 6 months
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Dedicato alle capre antisemite.
LA VERITA' SUGLI EBREI IN ERETZ ISRAEL, O PALESTINA
Di Indro Montanelli
Nel 1876, assai prima dunque della nascita del sionismo, vivevano a Gerusalemme 25.000 persone, delle quali 12.000, quasi la metà, erano ebrei, 7500 musulmani e 5500 cristiani. Nel 1905 gli abitanti erano saliti a 60.000. Di questi 40.000 erano ebrei, 7000 musulmani e 13.000 cristiani. Nel 1931 su 90.000 abitanti, gli ebrei erano 51.000, i musulmani 20.000 e i cristiani 19.000. Nel 1948, alla vigilia della nascita dello Stato ebraico, la popolazione di Gerusalemme era quasi raddoppiata: 165.000 persone, di cui 100.000 ebrei, 40.000 musulmani e 25.000 cristiani. La presenza ebraica a Gerusalemme ha sempre costituito il nucleo etnico numericamente più forte. Di nessun altro popolo Gerusalemme è mai stata capitale. E’ quindi una leggenda l’affermazione che gli ebrei siano stati assenti da Gerusalemme per quasi venti secoli o che costituissero una insignificante percentuale della popolazione.
Prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, il nazismo in Germania già perseguitava i suoi 500.000 cittadini ebrei. Le disperate richieste di quegli ebrei di essere accolti nei paesi democratici al fine di evitare quello che già si profilava chiaramente come il loro tragico destino, vennero respinte.
Nel luglio 1938, i rappresentanti di trentuno paesi democratici s’incontrarono a Evian, in Francia, per decidere la risposta da dare agli ebrei tedeschi. Ebbene, nel corso di quella Conferenza, la risposta fu che nessuno poteva e voleva farsi carico di tanti profughi. Dal canto suo la Gran Bretagna, potenza mandataria della Palestina, venendo meno al solenne impegno assunto verso gli ebrei nel 1917 di creare una National Home ebraica in Palestina, nel 1939 chiudeva la porta proprio agli ebrei con il suo Libro Bianco, nel vano tentativo d’ingraziarsi gli arabi.
E’ stata questa doppia chiusura a condannare a morte prima gli ebrei tedeschi e poi, via via che la Germania nazista occupava l’Europa, gli ebrei austriaci, cechi, polacchi, francesi, russi, italiani, e così via. Il costo per gli ebrei d’Europa, che contavano allora una popolazione di dieci milioni, fu di sei milioni di assassinati, inclusi un milione e mezzo di bambini. Appena finita la seconda guerra mondiale i 5/600.000 ebrei superstiti, in massima parte originari dell’Europa orientale, si trovarono senza più famiglia, senza amici, senza casa, senza poter rientrare nei loro paesi, dove l’antisemitismo divampava (in Polonia ci furono sanguinosi pogrom persino dopo la guerra, e nell’Unione Sovietica Stalin dava l’avvio a una feroce campagna antiebraica).
Tra il 1945 e il 1948 nessun paese occidentale, Gran Bretagna e Stati Uniti in testa, volle accogliere neanche uno di quel mezzo milione di ebrei “displaced persons”, come venivano definiti dalla burocrazia alleata. La Palestina, malgrado la Gran Bretagna e il suo Libro Bianco, sempre in vigore anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, non fu quindi una scelta, ma l’unica speranza, cioè quella del “ritorno” a una patria, all’antica patria, una patria dove da tempo si era già formata una infrastruttura ebraica.
Nel passato la vita degli ebrei nei paesi islamici e negli stessi paesi arabi è stata nell’insieme sopportabile. Di serie B, ma sopportabile. Gli arabi hanno incominciato a sviluppare in Palestina un odio “politico” nei confronti degli ebrei pochi anni dopo l’inizio, nel 1920, del Mandato britannico. L’odio, sapientemente fomentato dai capi arabi, primo tra i quali il Gran Muftì di Gerusalemme (che durante la seconda guerra mondiale avrebbe raccolto volontari per formare una divisione SS araba andata poi a combattere a fianco dei tedeschi contro l’Unione Sovietica), doveva culminare, dopo molti altri gravi fatti di sangue antiebraici, nella strage perpetrata a Hebron nel 1928 contro l’inerme, antica comunità religiosa ebraica.
Chiunque abbia viaggiato e vissuto nei paesi arabi durante le guerre del 1947-1973, sa che l’intera coalizione araba (Egitto, Siria, Iraq e Giordania) con il sostegno dei paesi arabi moderati, avevano un solo scopo che non veniva tenuto celato: il compito non era dare una patria ai palestinesi. Era cancellare ed annientare lo Stato di Israele. Le tragiche vicende che hanno successivamente tormentato il popolo palestinese sono state sempre per mano araba. Due i fatti impossibili da dimenticare: lo sterminio dei palestinesi in Giordania per mano di re Hussein e delle sue artiglierie, dove, solo il primo giorno del terribile “Settembre Nero” si contarono 5.000 morti; le stragi nel Libano, dove i palestinesi sono stati assediati ed attaccati, distrutti e costretti alla fuga dai miliziani sciiti di “Amal” e dai siriani.
Così scriveva Montanelli: “Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c’è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d’Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l’odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nell’altro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso.”
(Dal «Corriere della Sera», Indro Montanelli, 16 settembre 1972).
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sofysta · 5 months
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Guernica
" Un dipinto è la somma delle sue distruzioni" P.Picasso
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Questo dipinto in olio su tela (larga 783 centimetri e alta 351 è una delle opere più famose al mondo, dipinte dal pittore spagnolo) non è solo arte fine a sé stessa.
Guernica è una denuncia contro la violenza cieca del bombardamento e di tutte le guerre, che colpiscono allo stesso modo donne, uomini, bambini e animali, distruggendo ogni forma di vita.
Il fiore è simbolo di speranza in mezzo alla tragedia che si consuma. Pablo Picasso, Guernica, 1937. Particolare con il fiore e la spada spezzata. La lampada elettrica, la cui presenza è del tutto incongrua in uno spazio aperto, ha la forma di un occhio: l'occhio di Dio che dall'alto giudica la miseria dell'umanità.
Lo scenario trasmette, dolore, ansia e disperazione, è rappresentato fantasticamente dal pianeta dell'Urlo in cui vive il drago, trasposizione del cavallo, che rappresenta l'incombenza della paura. Nella storia il protagonista deve superare tale emozione tramutandola in forza, mediante il coraggio.
GUEERNICA (pronunciato "ghernìca") è la capitale religiosa e storica dei paesi baschi spagnoli ed era il luogo di incontro dell'Assemblea di Biscaglia, che si riuniva sotto una quercia, la Gernikako Arbola, che fu un simbolo delle tradizionali libertà del popolo basco.
La colomba è normalmente simbolo di pace ma in questo caso, essendo priva di un'ala, vuole indicare che la pace è infranta. Il fiore è simbolo di speranza in mezzo alla tragedia che si consuma.
Quest'opera va letta da destra verso sinistra poiché il lato destro era vicino all'entrata del luogo per cui era stata progettata.
Inizialmente Picasso per il Guernica voleva usare i colori ma lo farà in bianco e nero perché l'assenza di colore simboleggia l'assenza di vita.
Il cavallo sulla sinistra richiama la pace svanita poiché straziata e sembra cadere a terra: il toro invece indica la brutalità della violenza portata dalle guerre (e dalla corrida), mentre il cavallo è il simbolo della Spagna, che nell'opera appare trafitto da una lancia (come la Spagna).
Partendo da sinistra compaiono: una donna col figlio morto tra le braccia, l'imponente testa di un toro, un guerriero caduto a terra mentre brandisce una spada spezzata, un cavallo che nitrisce di sofferenza, una lampada accesa, tre donne sulla destra; una di esse alza le braccia al cielo in segno di disperazione.
Ideato e creato in soli 33 giorni dopo il bombardamento del paese basco di Guernica nell'aprile del 1937 ed esposto all'Expo di Parigi nello stesso anno, il celebre dipinto a olio di Picasso oggi è esposto stabilmente al Museo Reina Sofia di Madrid.
Il 26 aprile 1937 gli aerei tedeschi, in appoggio alle truppe del generale Franco contro il governo repubblicano di Spagna, radono al suolo con un bombardamento la cittadina basca di Guernica. Il bombardamento a tappeto dura tre interminabili ore ed i morti furono 1.654, i feriti quasi novecento.
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crazy-so-na-sega · 5 months
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che cos'era una chiesa cristiana?
si usavano già allora queste parole? Probabilmente si. Nelle lettere Paolo parla delle sue "chiese" - che per essere meno clericali potremmo chiamare semplicemente "gruppi". E "cristiana"? Anche. La parola è nata ad Antiochia, in Siria, dove Paolo ha cominciato la sua predicazione una decina d'anni dopo la morte di Gesù. Sotto la guida di Paolo si sono moltiplicate le conversioni e si sono cominciati a chiamare christianoí i seguaci di quel Christós che parecchi, a partire dalle autorità romane, consideravano un capo ribelle ancora in vita. Questa leggenda metropolitana ha cominciato a diffondersi e nel 41 è arrivata a Roma dove per tutta risposta l'imperatore Claudio ha emanato un decreto contro gli ebrei, accusati di provocare disordini in nome del loro leader Christós.
Roma, Antiochia e Alessandria erano le capitali del mondo, ma anche in una zona periferica dell'Impero come la Macedonia, dove viveva Luca, poche decine di persone in qualche città si consideravano la Chiesa di Cristo. Queste poche decine di persone non erano poveri pescatori incolti come nella Galilea delle origini, di cui non sapevano nulla, e nemmeno uomini di potere, ma piuttosto bottegai, artigiani, schiavi. Luca mette l'accento su alcune reclute di classe più elevata, soprattutto romane, ma Luca è un po' snob, portato al name-dropping, il tipo capace di precisare che Gesù non era soltanto figlio di Dio ma discendeva anche, da parte di madre, da un'ottima famiglia.
Alcuni erano ebrei ellenizzati, la maggior parte greci giudaizzanti, ma dopo il loro incontro con Paolo tutti, ebrei e greci, pensavano di aver aderito a una delle correnti più pure e autentiche della religione d'Israele, non a una fazione di dissidenti. Continuavano ad andare in Sinagoga, se non venivano accolti con eccessiva ostilità. L'ostilità si manifestava, ovviamente, laddove c'erano una vera sinagoga, una vera colonia ebraica e veri ebrei circoncisi. Non era il caso di Filippi, mentre era il caso di Tessalonica, dove Paolo è andato subito dopo. Quando il nuovo arrivato ha attratto a sé una parte dei loro fedeli, gli ebrei non l'hanno presa bene. Lo hanno denunciato alle autorità romane come fomentatore di disordini e lo hanno costretto a fuggire; la scena si è ripetuta a Berea, la città vicina. Che cosa potevano fare allora i convertiti di Paolo? O andare come prima in sinagoga, e vedersi in privato, senza richiamare l'attenzione, per mettere in pratica le istruzioni lasciate dal nuovo guru. O aprire un'altra sinagoga.
Ma davvero? Era così semplice? Facciamo un po' di fatica a crederlo. Pensiamo subito a scismi, eresie. Il fatto è che siamo abituati a vedere in ogni religione un fenomeno più o meno totalizzante, ma nell'antichità non era affatto così. Su questo punto, come su molti altri che riguardano la civiltà greco-romana, mi rifaccio a Paul Veyne, scrittore magnifico oltre che grande storico. Ora, dice Paul Veyne, nel mondo greco-romano i luoghi di culto erano piccole imprese private; il tempio di Isis di una città non aveva più rapporti con il tempio di Isis di un'altra città di quanti non ne abbiano, per esempio, due panifici. Uno straniero poteva dedicare un tempio a una divinità del proprio paese esattamente come oggi potrebbe aprire un ristorante etnico. Era il pubblico a deciderne il futuro, andandoci o no. Se arrivava un concorrente, al massimo poteva soffiare dei clienti al tempio - rimprovero che veniva mosso spesso a Paolo.
Già gli ebrei prendevano questi argomenti meno alla leggera dei pagani, ma sono stati i cristiani a creare un'organizzazione religiosa centralizzata, con la sua gerarchia, il suo Credo valido per tutti e i provvedimenti contro chi non si allineava. Nel periodo di cui parliamo questa invenzione era ancora ai suoi primi vagiti. Quello che cerco di descrivere somiglia, più che a una guerra di religione - gli antichi non sapevano nemmeno che cosa fosse -, a un fenomeno che si osserva spesso nelle scuole di yoga e di arti marziali, e di sicuro anche in altre realtà, ma io parlo di quella che conosco. Un allievo di livello avanzato decide di passare all'insegnamento e si porta dietro una parte dei condiscepoli. Il maestro ci rimane male, e lo fa più o meno vedere. Per amor di concordia alcuni allievi alternano i corsi dell'uno e dell'altro, e dicono che si trovano bene, che i due corsi si integrano. Dopo un po', la maggior parte fa una scelta.
-Emmanuel Carrère -Il Regno
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUARTO - di Gianpiero Menniti
LE RADICI DELLA CRISI
Quando si pensa al "Rinascimento" in Italia, le espressioni si fanno idillio.
Ovviamente, è un errore.
Velato dalla bellezza delle arti plastiche e pittoriche in anni di densa produzione e di "maestri" inarrivabili, paradigmi della successiva "maniera".
Ma nell'Europa del Nord, la crisi spirituale e con essa il rivolgimento delle società e degli individui, la cui collocazione al centro della vita è già indice della modernità, si afferma senza infingimenti.
Nessuna illusione, neanche qui: si tratta di un'altra forma di retorica, severa, austera, grigia.
No, ancora di più: tormentata, angosciata, ossessionata.
L'intero vecchio continente ne verrà stravolto: l'età protestante, la riforma, la reazione delle gerarchie romane, le lotte di potere, il fanatismo religioso, la guerra, fino al "Sacco di Roma", avvenimento spartiacque che segna la fine della centralità della Chiesa cattolica e, paradossalmente, anche la fine dell'Impero incarnato da Carlo V.
Entrambe le istituzioni protagoniste della storia stanno per subire l'avvento delle Nazioni.
Lunga fu la scia, si estenderà per tutto il XVI secolo fino alla Guerra dei Trent'anni tra il 1618 e il 1648 e alla pace di Vestfalia che darà un nuovo assetto all'Europa.
La Germania rimarrà frammentata in Stati che potranno trovare unità solo oltre due secoli dopo.
È il riflesso del passaggio dall'unità religiosa alla fede vissuta come traccia individuale.
Ma non regge al fanatismo della verità: questi, non conosce la tolleranza.
E incombe, dai nuovi pulpiti.
Come il cavaliere attraversa saldo nella sua armatura di fede il dramma della morte e l'incombere del male, così l'uomo che l'arte del Nord immagina, è figura della solitudine e del sacrificio, eroe della lotta: l'unico affidavit è riposto in se stesso.
Dürer intuisce, come ogni vero artista, l'avvento di un modello diverso di umanità: più libera, cosciente.
Ma sa anche che questo modello richiede la ricostruzione di principi guida, di un'identità che dall'individuo passi alla dimensione collettiva: ecco la crisi.
La città, sul picco della montagna, è un enigma lontano, silenzioso.
Il cavaliere, meditabondo nella sua dignità di spada e di obblighi, segue il cammino e i suoi pericoli.
Li attraversa, non li teme.
Perché ne riconosce l'essenza: è identica alla sua.
Uno stanco mendicare che ha solo l'apparente baldanza muscolare di un cavallo al trotto e l'incosciente vitalità di un cane.
L'esteso simbolismo dell'immagine è anch'esso un barlume che non riesce a mascherare il senso di rassegnazione delle tre figure: fiacche comparse in un circo abbandonato al "memento mori".
Come radici senza più terra, abbarbicate sulla roccia.
Dura.
Pesante.
Scenario estremo che nulla potrà accogliere.
- Albrecht Dürer (1471 - 1528): "Il cavaliere, la morte e il diavolo", 1513, Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe (Germany)
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arreton · 11 months
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[...]L’aggressività, lo stalking, il mobbing, il bullismo, la spettacolarizzazione della violenza sono forme del vivere quotidiano e l’avvento di internet ha permesso contatti sempre più vicini e frequenti creando, contemporaneamente, la possibilità di provocare «dolori» sempre più intensi e permanenti. Nell’era di internet i rapporti tra gli «umani» sono frequentemente caratterizzati dalla rabbia verso l’altro, comunicata tramite i social, e moltiplicata all’infinito. Più che parlare di «rapporto» via internet è corretto perciò parlare di sharing, condivisione globale. La condivisione globale è una forma di comunicazione, ma non è detto che sia anche una forma di relazione. Seguire un blogger, una webstar, un digital leader, e condividerne i diversi momenti della vita, seguire le storie su Instagram, i profili Facebook sono attività che si basano sulla condivisione delle informazioni da parte di chi le posta, di chi le legge e di chi le commenta, ma tutto questo è molto lontano dal rappresentare una relazione di amicizia tra le persone. È probabile che uno dei motivi per cui la rabbia, l’aggressività via internet, vada oltre ogni misura sia l’assenza di relazione e la mancanza dell’equilibrio che nasce dallo scambio emotivo-affettivo interpersonale.
Torna in mente, in modo quasi paradossale, l’apologo di Schopenhauer: «Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro». In tutto il resto del racconto se avevano freddo si avvicinavano e si pungevano, se si allontanavano sentivano nuovamente freddo. Il filosofo dirà che è necessario trovare una giusta distanza, una misura che consenta di stare in relazione, senza farsi del male. La società di oggi ha perso la misura.
Forse potremmo dire che ne conosce solo una, rispondere reattivamente in maniera violenta e scomposta all’azione che pensiamo ci abbia provocato un danno, che ci si trovi nel traffico, al lavoro, a scuola, in famiglia. Lo psichiatra Eugenio Borgna, in una sua opera del 2013, afferma che alla base dell’«ordinaria violenza alla dignità dell’uomo» che si perpetra nella società moderna, ci siano la mancanza di lavoro, le difficoltà della famiglia e le incomprensioni a scuola. A queste considerazioni possiamo ricollegare la quasi totale assenza, nella nostra società, di un altro sentimento reattivo, la riconoscenza. Nonostante sia stretta parente della rabbia, la riconoscenza sembra non solo una figlia minore, ma proprio in via di estinzione. La riconoscenza cerca il bene, la rabbia il male. La rabbia è proiettata verso il passato, la riconoscenza verso il futuro. La rabbia ha una memoria indelebile, la riconoscenza soffre di amnesia. Si parla anche di «rancore del beneficato» a sottolineare come chi, ottenuto un bene dall’altro, si arrabbi invidiosamente, in quanto sapere e sentire di essere in debito richiede una notevole maturità personale.
La nostra è una società rabbiosa, diseguale, fragile, in grado solo di assicurare un futuro precario ai giovani, poco propensa ad accogliere chi è diverso. Una società in cui prevale una «povertà vitale». Con povertà vitale s’intende non la privazione materiale, bensì una restrizione della capacità relazionale, affettiva, valoriale, morale, religiosa. La povertà vitale, sebbene teoricamente condizionata dalla povertà economica, è un concetto più ampio, che fa riferimento a un impoverimento delle qualità e delle risorse umane generali dell’individuo, a un’involuzione sociale che preclude una prospettiva a lungo respiro. Questa condizione è caratterizzata da un sentimento di vuoto interiore, da un’angosciante mancanza di significato della propria vita.
— A. Siracusano
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fridagentileschi · 10 months
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′′ Non dimenticate mai che basta una sola crisi politica, economica o religiosa per mettere a rischio i diritti delle donne. Quei diritti non sono mai da dare per scontati; devi rimanere vigile per tutta la vita."
Simone de Beauvoir
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gregor-samsung · 6 months
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“ La guerra è uno dei principali motivi di frizione tra Joyce [Lussu] e le femministe storiche. Ci sono donne che hanno sostenuto la guerra da complici parassitarie integrate nei meccanismi del capitalismo avanzato. Attorno al tema della guerra, come sappiamo, Joyce ha continuato a lavorare tutta la vita: torna in forma di breve storia antimilitarista ne L’uomo che voleva nascere donna. Diario femminista a proposito della guerra (1978). Joyce contesta la delega agli uomini del «problema della guerra» da parte dei movimenti femminili che così perpetuano «l’antica divisione secondo cui le donne si occupano delle questioni personali e gli uomini di quelle decisive». Per di più questi uomini appartengono a una particolare categoria, quella dedita alla pratica militare che, esattamente come avviene nella pratica religiosa con il clero, esclude totalmente le donne. Dopo il suo impegno in prima linea come resistente e la partecipazione alle liberazioni degli altri, dopo la militanza nel movimento dei Partigiani della pace, nel dopoguerra Joyce affronta la questione militare denunciando due fenomeni tipici dell’epoca che riguardano proprio il nostro paese: la presenza di basi americane nel nostro territorio e le servitù militari imposte alla Sardegna, oltre allo sviluppo dell’industria bellica assai fiorente nell’area del bresciano dove si producono mine, elicotteri e armi sempre più sofisticate che esportate costituiscono una delle voci principali del nostro Pil. “
Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Laterza (collana I Robinson / Letture), 2022¹; pp. 221-222.
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arcobalengo · 9 months
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🇺🇸🇺🇦 Ieri, Michael Pence, candidato alla presidenza degli Stati Uniti è stato colpito con una bottoglia d'acqua alla testa da una ragazza.
Il conduttore televisivo Tucker Carlson, ha intervistato i candidati repubblicani alla presidenza per scoprire cosa ne pensavano dell'assistenza di Washington all'Ucraina.
Michael Pence, uno dei candidati, nonostante le sue parole altisonanti sulla libertà, non vede "nulla di sbagliato" nella repressione religiosa dei cristiani ortodossi in Ucraina.
Quando Carlson chiese al politico perché si preoccupava tanto della quantità di carri armati forniti a Kiev e non delle condizioni nella città americane, Pence rispose che il deterioramento dell'economia americana, la scarsa qualità della vita e le alte statistiche sui suicidi non sono il suo problema, poiché tra le priorità della sua campagna elettorale ci sono gli aiuti militari all'Ucraina, su cui vuole concentrarsi per l'intero mandato presidenziale.
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t-annhauser · 5 months
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Don Carlo e l'on liter in quater
[cose fra me ed @egemon]
Quest'anno danno il Don Carlo e io non ne so praticamente nulla, con Verdi mi sono fermato alla trilogia popolare, avrò sentito sì e no una volta e per caso La canzone del velo ("nel giardin del bello saracino ostello", che è una fantasia spagnoleggiante molto canzonettabile, da friggere sugli organetti di strada), ma niente di più. Voi direte: chi se ne importa, solo ai vecchi, ai vips e a qualche ultimo giapponese nostalgico del melò interessa la prima della Scala. Può essere, ma io sono un passatista, un uomo attaccato a idee e costumi che hanno fatto il loro tempo, e la grandezza dell'opera lirica ancora mi tocca, sebbene non mi piacciano tutte le opere liriche... mi piacerebbe vedere un bel Le nozze di Figaro, per esempio, un bel Mozart in accoppiata con Da Ponte, il mio librettista preferito, e invece insistono con questi melodrammoni storici... che palle. C'è Anna Netrebko che i giornali ci tengono a precisare "filoputiniana", la filoputiniana Netrebko: ora, a me non è che mi abbia mai fatto impazzire al di là della presenza scenica, ma svilirla così, utilizzando questioni che esulano dall'arte, proprio mi dà l'orticaria. Viviamo tempi di maccartismo di ritorno, si sanzionano vite e carriere per insozzarle con questioni politiche... in ogni caso, anche se mi troverò con tutta probabilità in Calabria sarà un po' come essere in Piazza della Scala, fra Palazzo Marino e il monumento di Leonardo dove l'ultimo volta mi sono seduto assieme a mio papà in religiosa ammirazione.
A detta del mio amico Gigino, il simile avviene anche nel centro di Milano, ove la vita degli affari è ormai così sapientemente raccolta, che l’uomo d’affari fa a meno di tram e tassì, ma dopo poche ore cade morto ai piedi del monumento a Leonardo circondato dai suoi discepoli, che gl’intenditori chiamano on liter in quater.
Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore
Il soprannome del monumento "un litro in quattro" ("on liter in quater" in milanese), diffuso alla fine dell'Ottocento, era dovuto alla rassomiglianza tra le cinque statue del monumento a una bottiglia di vino con quattro bicchieri intorno. Diverse fonti dell'epoca attribuiscono allo scapigliato Giuseppe Rovani la creazione di tale soprannome.
Wikipedia
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alle00 · 5 months
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Perché esiste una verità basata sui fatti. È accaduto questo e quest'altro, in questo o quel momento. Sono cose facili da stabilire. I fatti parlano da soli, come si suol dire, e verso la fine della vita tutti i fatti messi insieme lanciano accuse urlando a squarciagola, più forte di un imputato sottoposto a tortura. Su quanto è accaduto non possono esserci equivoci. Ma talvolta i fatti non sono altro che deplorevoli conseguenze. Non si pecca solo mediante le azioni, bensì mediante l'intenzione che ci spinge a compiere determinate azioni. L'intenzione è tutto. I grandi ordinamenti giuridici d'ispirazione religiosa del passato, che ho consultato, lo dichiarano esplicitamente. Un uomo può macchiarsi di infedeltà, di atti infami, sì, può anche toccare il fondo, commettere omicidio, e conservare tuttavia la sua purezza interiore. L'azione non corrisponde ancora alla verità. È una semplice conseguenza. Se un giorno qualcuno indossa la veste del giudice e vuole emettere un giudizio, non può accontentarsi dei fatti elencati in un rapporto di polizia, deve scoprire ciò che i giuristi chiamano il movente.
Sándor Márai, Le braci
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francyfan-bukowsky · 4 months
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JOHN MARTIN , l’editore che scopri e lancio Buk🖤wski……
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Cento dollari al mese per il resto della vita, per mollare il lavoro alle Poste e fare lo scrittore a tempo pieno. Nessuna noia, bega e seccatura con uffici stampa, reading e conferenze, o quasi. Alla distribuzione avrebbe pensato lui, la moglie Barbara avrebbe disegnato le copertine. Non ci volle molto a convincere Charles Bukowski, nel 1969, a partecipare all'impresa semifamiliare di John Martin: un atto temerario, un salto nel buio per entrambi. John si stava giocando un quarto delle sue entrate per mantenerlo e tentare una sfida dal cui esito sarebbe dipeso il loro futuro, ormai in condivisione. Per Charles non sarebbe stato facile rimettersi a bussare a 50 anni alle porte di magazzini, macelli e ditte di facchinaggio. Si dice che dietro ogni uomo di successo ci sia una grande donna (e viceversa). E questo è senz'altro vero per Bukowski, che s'accasò la sua Linda Lee dopo una lunga raccolta di Donne riassunte nel '78. Ma se oggi le frasi con cui lo scrittore americano semplicemente inframmezzava i dialoghi sono diventate aforismi stracondivisi in Rete, e se le case editrici continuano a raschiare il fondo dei cassetti delle stamberghe in cui ha soggiornato per pubblicare l'impubblicato, bisogna ringraziare un mite, sobrio, discreto ingegnere - perfino un po' bacchettone - che la sera, tornato a casa da lavoro, dopo aver cenato con moglie e figlia, si rilassava sul divano leggendo su riviste underground racconti border line che non riuscivano a vedere la luce della rilegatura. «Questo tizio è troppo bravo, non può continuare a uscire su questi giornalini amatoriali» pensava John. Finché una sera, 50 anni fa, la decisione: lasciare tutto e fondare la Black Sparrow Edition, solo per pubblicarlo. A consentirgli di realizzare il sogno, il ricavato del business messo in piedi a Los Angeles nel settore degli uffici e una maxi raccolta di prime edizioni di D.H. Lawrence, vendute alla UC Santa Barbara per 50mila dollari (era un appassionato collezionista di libri originali fin da quando aveva 20 anni). Prima di tutto però, toccava contattare il postino poeta.
«Non l'ho mai visto ubriaco» è il titolo choc di un’intervista di Jonathan Smith, l'unica mai tradotta in italiano, pubblicata online da Vice nel 2014. Per forza: i due si sono incontrati di persona una manciata di volte in tutta la loro carriera, sentendosi principalmente al telefono o scrivendosi. E in quelle occasioni, in cui bisognava parlare d'affari, Bukowski si faceva trovare evidentemente meno sbronzo del solito. L'amico ideale per il misantropo Charles, secondo cui il miglior dono che potesse fargli un fan era quello della sua assenza. Niente di più semplice, per cominciare, che prendere un po' di scritti sparsi e riordinarli in un diario. «Mi mandava il manoscritto man mano che lo scriveva, e dopo aver letto ogni capitolo dovevo sedermi, ricompormi e sperare che non fosse tutto vero - racconta in quell’intervista -. Credevo in lui quanto credevo in me stesso: una fede quasi religiosa, una cosa a cui non si può smettere di credere». Nacque così Taccuino di un vecchio porco (o sporcaccione, secondo le traduzioni), il primo vero libro di Bukowski. Fu preceduto da un piccolo opuscolo nel 66, True Story, pubblicato in appena 30 copie: una sorta di prova generale per amici e parenti. Convinto che avrebbe attirato più dei racconti, Martin si fece scrivere anche un romanzo da tenere di scorta: Post Office, in realtà un "concept" di disperate istantanee biografiche sul mortificante mestiere appena abbandonato. Potrà pubblicarlo con comodo due anni dopo: il successo del Taccuino sarà folgorante, almeno per le aspettative da cui erano partiti. Sarà sempre la moglie di Martin a escogitare anche l'originale impaginazione: il formato da 10x24 cm, più grande delle misure standard e adatto allo scaffale, divenne una nota distintiva della casa. Anche questo contribuì alla vittoria, immediata, della scommessa: quasi da subito il personaggio di Henry "Hank" Chinaski, detto "Gambe d'elefante", divenne il fenomeno letterario e culturale di livello mondiale, che ancora conosciamo. E il compenso passerà a 10mila dollari ogni due settimane.
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pettirosso1959 · 7 months
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FREEZE CORLEONE,
IL PROTOTIPO DEL NUOVO RAGAZZO EUROPEO: GENITORI DIVORZIATI CHE NON SI PARLANO, MULTIETNICO, MULTICULTURALE E CANTANTE TRAP.
Mentre in Italia si discute della pesca di Esselunga e se non sia un desiderio legittimo vedere i propri genitori tornare insieme c'è chi sta AVANTI e per trovarlo basta valicare le alpi
Ma per conoscerlo dobbiamo fare un bel passo INDIETRO, diciamo ai primissimi anni 90.
Siamo in Sicilia, esattamente a Palermo e la protagonista di questa storia è una ventenne centrosocialara. Erano i primi tempi della globalizzazione e tra le altre cose un po' tutti conoscono nuovi costumi e nuove culture che a sinistra vengono assunte come salvifiche e come necessarie per cambiare la società italiana in meglio: "immigrati non lasciateci soli con gli italiani" insomma, quella roba lì.
La ragazza palermitana, coerentemente col suo pensiero, ospita a casa un immigrato del Senegal con cui ovviamente fa subito un figlio che nei suoi pensieri è femminista, meticcio, di sinistra e laico.
Diciamo che non va proprio così ma questo lo vedremo dopo.
Quello che lei vede subito è il suo amato scappare dalla camera da letto per tornare nel suo paese, dove lo aspettano le sue otto mogli. D altronde è quella la sua cultura e forse la ventenne siciliana non lo sapeva cosi trovandosi da sola emigra a Parigi dove nasce il piccolo Lorenzo con la promessa che un giorno il padre sarebbe tornato mettendogli quindi il suo cognome, Dhakate.
Il padre effettivamente torna ma 11 anni dopo. Nella versione senegalese dell' islam la madre deve crescere il bambino fino a quando non c è il primo segno di pubertà. Arrivato quel momento la responsabilità dell' educazione è del padre che lo prenderà sotto la sua ala protettrice e gli insegnerà la parola del Profeta.
Lorenzo viene iscritto in un college in Canada, dove vive il ramo maschile della sua famiglia, ma sembra poco interessato allo studio dato che inizia subito la carriera che più gli interessa: lo spacciatore, in particolare di Lean ( una droga sintetica sciroppata a metà strada tra popper e cocaina inventata dai chimici inglesi per Churchill di cui era ghiotto).
A 20 anni però l'imprevisto: gli salta il carico della vita perché arrivano centinaia di litri di prodotto falso dall' Alaska.
Dopo la crepa presa non si perde d animo e si trasferisce in Francia, dato che è cittadino transalpino grazie allo ius soli, e li inizia a fare musica trap in versione "Cloud drill" , la nuova tendenza molto più ambiente filosofica proveniente da Londra. Diventa subito discretamente famoso grazie alla sua crew, i 667 ( "un numero in più di SoroSSatana con cui non scendiamo a patti") nel suo sobborgo, LES Liles, dove approfondisce la sua cultura politica e religiosa e diviene simpatizzante dell' ideologia nazionalsocialista e praticante dell' islam radicale, la versione wahabita.
E li diventa FREEZE CORLEONE, il nuovo astro nascente della trap francese e tutti scommettono sul suo futuro.
Ed a ragione perché il suo momento col destino lo vive l'undici settembre, data scelta diciamo non a caso, nel 2020, all uscita del suo primo disco, "La Menache fantome" con etichetta la major Universal.
" Determinato ed ambizioso come un giovane Adolf negli anni 30"
" La musica dei bianchi fa schifo ma noi ne@ri arriviamo sui carrarmati tedeschi e conquistiamo Parigi"
" Fratello Bin L. guidaci a New York in modalità avion"
" Vado in campo e smarco gli ebrei sulla Maserati come fa Marco Verratti"
" Israele come Babilonia, nel nome del Profeta"
Le sue canzoni diventano subito inni nelle banlieue, in particolare la sua dove detta legge ( qui vigono solo tre valori: l'Islam, il verbo di Adolf. H. e la Lean dichiarerà nella sua prima Intervista), la Universal si rende conto di aver fatto un autogol e rescinde il contratto per giusta causa. "Ma ormai è tardi" direbbe qualcuno.
Difatti Lorenzo sta già a due dischi di platino dopo solo un mese e questo fa arrabbiare non poco il ministro degli interni, il falco macroniano Gerardo Dermanin.
Quest' ultimo quindi posta su Twitter una canzone di Corleone affermando che "questa immondizia antisemita non ha diritto di cittadinanza in Francia" ricevendo svariate critiche dai giovani di seconda generazione che gli fanno presente che se Charlie Hebdo può fare certe vignette allora anche Corleone può cantare le sue canzoni in cui inneggia ai campi di concentramento, all invasione tedesca dell' Europa e all undici settembre.
Non fa una piega se non fosse che proprio Lorenzo risponde al twit affermando "che se ne frega tutti i giorni della Shoah".
Così scatta immediatamente il mandato di arresto per lui che però riesce a fuggire in Senegal dove compra proprio un carrarmato con cui giura di invadere la Francia dove torna dopo otto mesi, decaduta la pratica di arresto, e realizza insieme al suo amico Julienne Schwarzer il singolo più venduto e famoso della storia della Trap francese "Mannschaft".
Arriva a 5 dischi di platino nel frattempo e con la sua crew detta legge nei locali di mezza Europa vestiti con le tute del Psg e del City( le squadre più forti in Europa a proprietà ovviamente araba wahabita) anche se Lorenzo in particolare esibisce sempre quella della Roma di cui è tifoso, in primis nella sua foto più famosa dove usa 1kg di hashish come guancialino a destra e a sinistra.
Chissà che ne pensa la madre che voleva un bimbo aperto, di sinistra e multiculturale e si ritrova come figlio il trapper più famoso in Francia di simpatie nazionalsocialiste, islamista, misogino e maschilista.
Una pesca dell' Esselunga sciroppata alla Lean per tutti, barista.
[Dario Berardi]
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diceriadelluntore · 1 year
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Innamorati
Una festa è un periodo di tempo dedicato a celebrazioni particolari, a riti e a liturgie ben distinti dalla vita e dal lavoro quotidiani. Le feste scandiscono sia il ciclo dell'anno sia la vita individuale, nel cui ambito rappresentano a volte riti di passaggio da uno status a un altro. È anche l’occasione per rendere santo un giorno particolare, cioè secondo l’accezione etimologica (dal latino sanctus, participio passato di sancīre, sancire una patto), dargli una inviolabilità in quanto protetto da una sanzione: gli ambasciatori, i tribuni della plebe, le mura, le porte; quindi, in genere, tutto ciò che, consacrato da una legge morale o religiosa, è per ciò stesso inviolabile, o ciò che, per comune consenso degli uomini, è religiosamente venerato o è considerato degno di venerazione (Santo, Enciclopedia Treccani).
Oggi è un giorno che la chiesa Santifica ad un santo, San Valentino da Terni. Comunemente, è considerato “patrono degli innamorati”. Secondo una leggenda, infatti, battezzò un giovane romano pagano, Sabino, per sposare la sua amata cristiana, Serapia, nei momenti appena precedenti la morte di lei, improvvisamente ammalatasi di tifo. Secondo la leggenda, la benedizione di Valentino, dette un sonno ristoratore e beato alla coppia, che così potette vivere insieme nell’eternità. 
Da un punto di vista più storico, la testimonianza più antica su San Valentino è contenuta nel Martirologio geronimiano scritto nel V secolo, che riporta la memoria del 14 febbraio presso la comunità cristiana di Terni; un secolo dopo la primissima citazione di Valentino del Martirologio, nella Passione di Maris, Marta, Audiface e Abacuc viene raccontata la storia di un prete di Roma che guarisce dalla cecità la figlia del principe Asterio e battezza lei, il padre e tutti i membri della famiglia, trovando la morte il 14 febbraio sulla via Flaminia, durante l’impero di Claudio II, e cioè tra il 268 e il 270. Il martire viene sepolto in quella che diventerà poi la Catacomba di San Valentino, al secondo miglio della Flaminia, sulla quale verranno edificati anche una chiesa e un monastero. La ossa del santo, tuttavia, verranno traslate nel IX secolo nella basilica di Santa Prassede. Il testo più importante riguardo alla vita di san Valentino arriva invece intorno al 725 ed è la Passio Sancti Valentini, che racconta la storia dell’oratore Cratone, il cui figlio soffre di una gravissima malattia alle ossa; un amico gli consiglia di rivolgersi a Valentino, cittadino e vescovo di Terni, che guarisce il ragazzo e converte al cristianesimo Cratone e tutti i suoi allievi, tra i quali figura anche il figlio del prefetto Furio Placido, che fa decapitare il vescovo il 14 febbraio al 68° miglio della via Flaminia. Il corpo viene recuperato da tre discepoli e sepolto in un cimitero fuori le mura di Terni, dove sorgerà poco dopo la basilica a lui intitolata. Dal racconto, tuttavia, è assente sia la data del martirio, sia qualunque riferimento che possa aiutare a collocarla. Per convenzione, si festeggia il giorno di San Valentino, il 14 Febbraio, data in cui si sa che fu martirizzato per decapitazione, anche la festa degli innamorati: tutte e due le cose sono non del tutto certe, ma la seconda lo è di più della prima.
Infatti il binomio San Valentino - Innamorati risale a tempi molto più recenti, cioè al XIV secolo, quando Geoffrey Chaucer, il grande scrittore e drammaturgo inglese, associò il giorno del santo a quello in cui gli uccelli formano le coppie. Ma c’è una distinzione: Chaucer individua il 2 Maggio, giorno di San Valentino patrono di Genova, il primo vescovo dell'arcidiocesi di Genova, carica che mantenne dal 312 alla morte nel 325, ma il culto è relegato solo all’area genovese. Nel 1391 John Clanwowe anticipa la festa degli innamorati al 14 febbraio. La fusione delle date nasce dal fatto che il San Valentino di Terni è molto più importante e venerato di quello di Genova proprio grazie alla sua celebrità.
In verità, tutto nasce da una sovrapposizione di date e di santi: nel 496, papa Gelasio I, 49° Vescovo di Roma, abolì i Lupercalia Romani, dei riti che si tenevano dal 13 al 15 Febbraio, in onore del dio Fauno nella sua accezione di Luperco (in latino Lupercus), protettore del bestiame ovino e caprino dall'attacco dei lupi. Tuttavia non sostituì nessun altra ricorrenza, se non quella storia del martirio di Valentino da Terni, che non aveva nessun legame con gli innamorati.
Ma è altrettanto vero che la fama della prima leggenda si sviluppò moltissimo nel centro e nel Nord Europa, tanto che esistono decine di reliquie del Santo sparse in Italia, Francia, Austria, Germania, Polonia e persino Dublino. Tanto è vero che Ofelia nell’Amleto (1602) dice:
Dimani è il giorno di San Valentino, e fino dal primo lume dell’alba io mi posi alla finestra per divenire la sua fidanzata. Allora egli sorse e indossò i panni e apri la porta della sua stanza e fece entrare la vergine, che tale non si dipartì più dl là.
W. Shakespeare, Amleto, Atto IV, Scena V 
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duca-66 · 2 years
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Magari
A voi, ragazze isolate del secolo
condottiere silenziose, sconosciute alla gente
voi, sulle cui labbra è morto il sorriso,
voi che siete senza voce in un angolo sperduto, piegate in due,
cariche dei ricordi, nascosti nel mucchio dei rimpianti
se tra i ricordi vedete il sorriso
ditelo:
Non avete più voglia di aprire le labbra,
ma magari tra le nostre lacrime e urla
ogni tanto facevate apparire
la parola meno limpida.
(Nadia Anjuman, da Poesie scelte, Torino, Edizioni Carta e Penna, 2008).
La poesia, di cui sopra, è di Nadia Anjuman, giovane donna uccisa in Afghanistan, massacrata di botte dal marito, nel 2005, seguace della sharia imposta dai talebani. Era madre di una bambina. Una delle tante donne uccise dal fanatismo religioso, da una serie di precetti religiosi imposti con la forza dal regime talebano. La sua morte mi ha ricordato quella di Mahsa Amini, in Iran, per mano della polizia religiosa, del regime teocratico iraniano. Morta perché non indossava adeguatamente il velo. Il foulard, infatti, non nascondeva integralmente i suoi capelli neri. Al suo funerale urla di protesta si sono presto sollevate dalla massa di donne partecipanti, che si sono liberate dell’hijab e molte di loro l’hanno innalzato su bastoni di legno come una bandiera. Nelle stesse ore, anche nella città di Teheran una folla marciava al grido degli stessi inni e con le stesse donne svelate pronte a sfidare il braccio della “polizia morale”, che a sua volta interveniva pesantemente per sedare la rivolta uccidendo, arrestando e sfigurando le "donne ribelli". Stasera il mio pensiero va a queste donne meravigliose, coraggiose, impavide, determinate. Mamme, mogli, compagne, ma soprattutto DONNE , a lettere maiuscole, simbolo di vita. Un attentato ad una donna è la negazione della vita. A loro la mia profonda ammirazione.
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Foto di donne Iraniane di Nagash Zadeh
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
IL DIPINTO PIU' CRUDELE DEL '500
Il Cinquecento: prologo della modernità che si riflette in un'espressione artistica matura e compiuta, epigone del Rinascimento in un quadro di committenza colta e diffusa? Non è così.  La visione idilliaca di quest'epoca è priva di fondamento.  In quel secolo le stridenti illusioni umaniste giungono a materializzarsi in laceranti conseguenze politiche e religiose che culmineranno con l'avvenimento più significativo del tempo: il "Sacco di Roma" del 1527, decretato dall'Imperatore cattolico per eccellenza, Carlo V, capace di vagheggiare il sogno di un potere pacificato entro l'unità religiosa e universalistica incarnata nella figura del sovrano illuminato. Invece, è un secolo di conflitti cruenti e di proto-nazionalismi favoriti da complessi processi dinastici che dilanieranno l'Europa fino a lasciare in eredità al Seicento il veleno delle lotte di religione, fermento alla devastante Guerra dei Trent'anni. Perché sorprendersi di un testo pittorico come la "Punizione di Marzia" che il vecchio Tiziano Vecellio dipinge negli anni vicini alla sua scomparsa, da artista consapevole della tragicità intrinseca nell'esistenza, della crudeltà della vita nel suo crogiolo infuocato di anime e di mondi. Così, il colore che sulla tela è manifestazione dei corpi, si sfalda, si consuma, perde materialità e compattezza, si deforma e scorre.  E con esso, le immagini mostrano il segno del flusso spietato della carnalità che è piacere sadico, eccitazione spasmodica, inquietudine dei sensi.  Ecco da cosa nasce il dipinto di Tiziano, definito a ben ragione da Augusto Gentili "il dipinto più crudele del Cinquecento".
- Tiziano Vecellio (1488-1576): "Punizione di Marsia", 1570-1576, Kromeriz, Museo Nazionale (Rep. Ceca)
- Sulla copertina del libro: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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deathshallbenomore · 1 year
Note
Potresti spiegare perché diritti civili e diritti delle persone lgbt non sono sinonimi? Non ho un'idea chiara della differenza...
eccoci buongiornissimo allora SEGUITEMI VENITE CON ME
partiamo dai diritti civili: in soldoni, essi sono i diritti di cui è titolare qualsiasi individuo in quanto tale, nonché quelli più "classici", riconosciuti per primi (nell'ottica dell'evoluzione storica dei diritti) - insieme ai diritti politici (= tutti quelli che riguardano il voto e la partecipazione politica) - dalla sensibilità giuridico-politica di società e legislatori del tempo. di base, si tratta dei diritti di libertà - molto spesso chiamati anche "libertà negative" -, poiché, per essere rispettati, richiedono fondamentalmente una astensione da parte dello stato, che si limita a non interferire con la vita dell'individuo (-> non solo libertà DI fare/essere xyz, ma anche libertà DA qualsiasi ingerenza da parte dello stato). seguendo questa ricostruzione, e avendo in mente anche l'evoluzione del pensiero filosofico, politico, giuridico, emerge che si tratta della libertà personale, religiosa, di pensiero, di riunione e associazione, di circolazione, così come l'inviolabilità del domicilio e via dicendo [v. cost. italiana, artt. 13-28, ma anche altre cost., il patto internazionale sui diritti civili e politici, la cedu, la carta dei diritti fondamentali UE etc. etc.]... [a fronte degli esempi, torna anche il discorso sulla natura "negativa" di queste libertà: affinché io ne goda, lo stato non deve fare niente*]
*ovviamente da un punto di vista molto basilare. è chiaro che i diritti non siano questioni a compartimenti stagni e quindi possiamo complicare il ragionamento quanto vogliamo, contestando l'assoluta "negatività" di tali diritti. ma rimaniamo sulle basi
inizierà ad apparire evidente, quindi, che alcuni diritti che la comunità lgbt chiede di vedersi riconosciuti - non solo formalmente, ma anche sostanzialmente - sono anche civili, ma non solo. certo, la mia libertà di far parte di un'associazione lgbt e andare al pride rientrano tra i diritti civili, così come il complesso delle "libertà individuali" (quali che siano, v. sopra), MA la questione non finisce qui. se una persona trans o non binaria va a votare, dovrà confrontarsi con il registro dell'elettorato diviso per genere, e questo incide sul pieno ed effettivo godimento dei diritti politici della persona in questione (che magari non va a votare, per esempio). tutte le questioni relative al riconoscimento delle coppie dello stesso sesso e delle famiglie omogenitoriali riguarda sì la pari dignità ed eguaglianza delle persone (e qui siamo nei princìpi fondamentali, addirittura), senz'altro la sfera della vita privata, con cui lo stato non dovrebbe interferire, ma anche il campo dei diritti sociali (welfare, sanità, istruzione...). essere lgbt può comportare discriminazioni sul lavoro, e chiedere allo stato di mettere a disposizione gli strumenti legislativi/le politiche/tutte cose necessarie affinché ciò non succeda implica un'azione a tutela dei diritti relativi al lavoro, ascrivibili all'area dei diritti sociali. i diritti relativi alla riproduzione e alle tecnologie che la rendono possibile sono tra quelli più recenti, che non hanno nemmeno un vero e proprio nome ("diritti di ultima generazione")...e così via.
quindi c'è senz'altro un nucleo duro che poggia sui diritti civili, poiché il punto è essere liberi di esistere e sviluppare la propria personalità in totale libertà "da". ma, così come i diritti di qualunque individuo, anche quelli delle persone lgbt si articolano su tutto il panorama dei diritti. pertanto, parlare di diritti civili e diritti delle persone lgbt come se fossero sinonimi è probabilmente efficace da un punto di vista comunicativo, perché ormai è entrato nell'uso intendere 9 volte su 10 diritti dei gheis quando si tirano in ballo i diritti civili (dio ti prego rivelami in sogno che questa sovrapposizione concettuale NON è nata con le unioni civili perché diritti🤝unioni -> civili TI PREGO), ma è molto riduttivo: pensala un po' come un diagramma di eulero-venn, con un'area di sovrapposizione e altre parti che vanno ciascuna per i fatti loro
spero di essere stata chiara e che la mia spiegazione sia utile! un kiss :)
NB prendetelo come un post su tumblr e non come una pubblicazione referata. ho sonno quindi i said what i said. grazie un altro kiss
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