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#vita su un pianeta nervoso
knightoile · 2 years
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stai calmo. vai avanti. resta umano. continua a provarci. continua a desiderare. continua a perfezionarti. continua a guardare fuori dalla finestra. continua a concentrarti. resta libero. ignora i troll. ignora le notifiche pop-up e i pensieri pop-up. continua a rischiare il ridicolo. resta curioso. aggrappati alla verità. continua ad amare. continua a concederti il privilegio umano di commettere errori. mantieni uno spazio che sia solo tuo e proteggilo con una staccionata. continua a leggere. continua a scrivere. tieni il cellulare a debita distanza. non perdere la testa quando tutti la perdono attorno a te. continua a respirare. continua a inalare vita.
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petalidiagapanto · 1 year
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«Fate vostra la complessa eleganza di una candela che si scioglie. Siate una mappa con diecimila strade. L'arancione del tramonto che surclassa il rosa dell'alba. Il voi stesso che ha il coraggio di essere autentico»
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«Be the complex elegance of a melting candle. Be a map with 10,000 roads. Be the orange at sunset that outclasses the pink of sunrise. Be the self that dares to be true»
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(Matt Haig, Vita su un pianeta nervoso / Notes on a Nervous Planet)
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scienza-magia · 1 year
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Il sistema nervoso alieno degli ctenofori
Alle origini del sistema nervoso: i diversi modi in cui si può formare un neurone. Un nuovo studio ha scoperto in alcuni animali marini una rete nervosa con una genesi inedita rispetto agli altri esseri viventi. Dietro si nasconde sempre l'evoluzione naturale. Nel 1906, due neuroscienziati condivisero il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina per il loro lavoro sulla struttura del sistema nervoso. Sorprendentemente, i due divergevano proprio su un aspetto fondamentale di questa struttura: mentre Camillo Golgi proponeva che le cellule nervose animali formassero una rete continua e congiunta, cioè tecnicamente un sincizio, Santiago Ramón y Cajal sosteneva che i neuroni fossero cellule distinte collegate tramite sinapsi. La teoria di Cajal fu successivamente confermata dalla microscopia elettronica, ponendo fine al dibattito. Da allora, l’architettura di ogni sistema nervoso che fosse noto è stata trovata essere quella che Cajal per primo descrisse, con neuroni di diverso tipo i quali contattano specificamente altri neuroni tramite dendriti e assoni più o meno lunghi, connessi dalle sinapsi attraverso cui avviene la trasmissione di un impulso da un neurone a un altro. Oltre 100 anni dopo, tuttavia, una inattesa scoperta ha dimostrato come il modello di rete nervosa ipotizzata da Golgi, dopotutto, esiste in natura: in un lavoro appena pubblicato su Science, si è trovato che in animali marini affini a meduse, attinie e coralli, detti ctenofori, esiste una rete nervosa diffusa, parte del sistema nervoso, che ha proprio la struttura ipotizzata dal medico italiano. Essa è cioè un unico sincizio, con le cellule neuronali direttamente fuse fra di loro, invece che connesse tramite sinapsi.
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I neuroni fusi che costituiscono il sincizio sono specifici della rete nervosa diffusa: non si trovano in altre parti del sistema nervoso di uno ctenoforo, sistema che comprende cellule sensoriali e nervi tentacolari. Ora, il comportamento degli ctenofori include attività piuttosto complesse, come la fuga da specie predatorie attraverso la modulazione del nuoto in modo che questo sia più rapido ed erratico e la ricerca di un rifugio fra i coralli, senza contare sofisticati comportamenti alimentari. Abbiamo cioè in questo gruppo di animali pelagici trasparenti, che è evolutivamente basale rispetto alla maggioranza degli altri tipi di animali, comportamenti complessi, controllati da un sistema nervoso che è alieno e strutturalmente diverso, tanto da rendere probabile l’ipotesi che si sia evoluto indipendentemente da quello degli altri animali. Del resto, l’assenza di sinapsi e la fusione in unica struttura sinciziale dei neuroni sono solo l’ultima e più definitiva evidenza di questa differenza: negli ctenofori mancano la maggior parte dei neurotrasmettitori che si osservano negli altri sistemi nervosi, così come mancano o sono inattivi la maggior parte degli enzimi che servono a produrli. Questo, in sostanza, implica che, anche se non sappiamo come, il sistema nervoso alieno che tali animali possiedono non solo ha architettura profondamente diversa, ma funziona trasmettendo stimoli elettrochimici in modo totalmente diverso da quanto sin qui noto. La rete nervosa golgiana degli ctenofori porta quindi ad una interessantissima osservazione: nella storia della vita animale sul nostro pianeta, si è evoluto almeno due volte un sistema nervoso con la stessa funzione, ma basato su cellule, architetture, chimica e geni coinvolti differenti. Come esistono ali, pinne, occhi e altri sistemi fisiologici che sono emersi più volte come frutto di evoluzione convergente, cioè di un processo di selezione causato dalle stesse forze ed in presenza degli stessi vincoli che ha utilizzato materiali genetici diversi per produrre alla fine adattamenti morfologici simili, così deve essere avvenuto molto presto per i sistemi nervosi: negli ctenofori, la rete neurale che presiede a molti comportamenti si è evoluta da zero, utilizzando un diverso insieme di molecole e geni rispetto a qualsiasi altro animale conosciuto sulla Terra. Non solo: guardando ai dettagli, anche successivamente alla separazione fra ctenofori e tutti gli altri animali dotati di sistema nervoso, si contano per alcuni neuroscienziati come Leonid Moroz da nove a dodici origini evolutive indipendenti del sistema nervoso, di cui almeno una negli cnidari (il gruppo che comprende meduse e anemoni), tre negli echinodermi (il gruppo che comprende stelle marine, gigli di mare, ricci e dollari di sabbia), uno negli artropodi (il gruppo che comprende insetti, ragni e crostacei), uno nei molluschi (il gruppo che comprende vongole, lumache, calamari e polpi), uno nei vertebrati e uno, il più diverso di tutti, negli ctenofori. La conclusione, anche volendo separare solo gli ctenofori dagli altri, è che esistono più di un modo per creare un neurone e più di un modo per creare un sistema nervoso, a partire da diversi sottoinsiemi di geni, proteine e molecole, attraverso duplicazioni e mutazioni geniche casuali, su cui poi agisce la selezione naturale. La similitudine in ciò che alla fine emerge testimonia la stringenza dei vincoli selettivi e la loro costanza nel tempo in cui si è evoluto l’albero della vita, mentre la varietà del materiale di partenza utilizzato è prova della plasticità della vita stessa. Anche per quel che riguarda il sistema nervoso, l’orologiaio cieco di Dawkins ha assemblato a caso ciò che aveva a disposizione, ma sorprendentemente dal processo sono emerse molti orologi, tutti simili anche se fatti di pezzi diversi: nel caso specifico, questi orologi sono il sistema di controllo e di interazione con l’ambiente esterno che chiamiamo sistema nervoso, di cui noi, rametto darwiniano fra gli ultimi comparsi, andiamo così fieri da autonominarci “sapiens”. Read the full article
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ad-ovest-della-luna · 4 years
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Quando guardiamo il cielo non stiamo guardando qualcosa di esterno rispetto a noi stessi. Stiamo guardando, letteralmente, il luogo da cui proveniamo. Come ha scritto il fisico Carl Sagan nel suo capolavoro, Cosmo: "L'azoto del DNA, il calcio dei denti, il ferro del sangue vengono tutti dall'interno di stelle in fase di collasso. La stoffa di cui siamo fatti viene dalle stelle.
Matt Haig,Vita su un pianeta nervoso.
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idontseesunsets · 5 years
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corviescrittoi · 4 years
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Non permettete all'anonimato di trasformarvi in una persona che fuori dalla rete vi vergognereste di essere
vita su un pianeta nervoso, Matt Haig
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porzionipiccole · 4 years
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Un aspetto frustrante dell'ansia è che spesso è difficile trovarle una motivazione. Magari non esistono pericoli evidenti eppure ci sentiamo in preda a un assoluto terrore. È tutta suspense e niente azione. È come Lo squalo senza squali.
Matt Haig, Vita su un pianeta nervoso
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psycaliyathelovyan · 3 years
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07.12.2020
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(Crediti all'artista)
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Spesso, essere altamente sensibili può rivelarsi un grosso problema da affrontare durante la propria esistenza su questo pianeta:
Emozioni travolgenti e capaci di sopraffare la ragione, suoni insopportabili, difficoltà nello stare in zone molto affollate e rumorose, empatia schiacciante, soglia del dolore più bassa, e molto altro.
E non lo dico tanto per scrivere qualcosa, lo dico perché ci sono passata, ci sto passando adesso, e ci passerò per sempre.
Per farla breve, sono una PAS, ovvero, una Persona Altamente Sensibile, e per gli amanti dell'inglese, HSP: Highly Sensitive Person.
Che cosa cambia da una persona con una sensibilità nella media come l'80% della popolazione mondiale?
Credetemi, cambia moltissimo.
Noi PAS/HSP sentiamo tutto in maniera molto più amplificata rispetto agli altri, soprattutto le emozioni, quelle a volte possono essere davvero struggenti.
E a quanto pare le persone sembrano non capirlo:
"Che palle che sei, piangi per tutto!"
"Ma c'è qualcosa che sai fare oltre a lamentarti come un bambino viziato?"
"Che esagerat* che sei, non è mica una tragedia!"
"Sì ma non puoi spaventarti per ogni minima cosa, e che cazzo!"
"Non ti va mai bene niente oh!"
"Madonna se sei fragile, e cresci un po'!"
"Quanto sei debole!"
E molte altre frasi di questo tipo.
La maggior parte delle persone, pensano erroneamente che essere sensibili equivalga ad essere deboli e indifesi.
Beh mi dispiace, ma non è così, anzi, siamo anche più forti di loro.
Affrontiamo le loro stesse difficoltà ogni giorno pur avendo più problemi a farlo, ma andiamo avanti e ci riusciamo alla perfezione.
Sì ok, abbiamo bisogno di più pause e tranquillità, ma ciò non significa che la nostra forza sia inferiore alla loro, semplicemente usiamo altri metodi.
Per non parlare poi dei costanti pregiudizi che ci prendono a calci giorno per giorno, dal posto di lavoro alla famiglia stessa, e sono molto poche le persone che ci comprendono e ci supportano.
Nel caso non fosse chiaro, siamo perfettamente in grado di condurre una vita normale, dobbiamo solo prendere degli accorgimenti per alleviare il sovraccarico emotivo.
Ebbene sì, perché certe situazioni ci sovraccaricano il sistema nervoso, e ci portano ad allontanarci per ricaricare le energie.
Un esempio lampante sono le zone rumorose ed affollate, come ad esempio i concerti o gli stadi.
Un altro esempio sono gli amici, gli vogliamo un bene dell'anima, ma stando troppo tempo con loro ci stanchiamo facilmente, e abbiamo bisogno del silenzio per riposarci.
Un altro esempio ancora sono certi posti di lavoro: la velocità, le scadenze brevi, il multitasking, ecc. non fanno molto per noi, e ci affaticano emotivamente.
Perché ci stanchiamo così facilmente?
Perché il nostro cervello funziona in maniera diversa rispetto a quello di un individuo con una sensibilità normale: i neuroni specchio, la dopamina, l'emisfero destro, ecc. sono molto più attivi rispetto agli altri elementi, ecco perché siamo così sensibili.
Tanto per chiarire bene le cose, non abbiamo una malattia, un difetto genetico, una malformazione o che altro.
Ci siamo nati così, e siamo normali, come tutti gli altri.
Quindi per favore, smettetela di considerarci dei pazzi senza controllo o dei bambini viziati, perché ci ferite profondamente, più di quanto voi possiate immaginare.
~ Psycaliya
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spiritismo-italiano · 3 years
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OBIETIVO UOMO:I SEGRETI DEL CERVELLO
VITA NUOVA , OBIETTIVO UOMO:
I SEGRETI DEL CERVELLO
Farmaci, molecole fantastiche, stimolazioni elettriche e psicologia spiritica ...
verso nuove scoperte sui meccanismi e le potenzialità del cervello.
“Gli studi dimostrano che il nostro corpo produce sostanze come le "endorfine". Queste molecole fantastiche sono in grado di sopprimere il dolore, generare euforia, modificare gli stati d'animo e il tono dell'umore.”
Il cervello, questo pianeta in gran parte inesplorato, costituito da circa venti miliardi di neuroni, decine di miliardi di cellule gliali con un numero astronomico di connessioni e capacità di reazione dell'ordine di millesimi di secondo, possiede facoltà effettive e potenziali in gran parte sconosciute e forse nemmeno supposte.
La neurobiologia afferma che il cervello è utilizzato dall'uomo in misura insufficiente e in modo irrazionale. Ai neurobiologi capita spesso di rimanere sorpresi dalle enormi potenzialità del sistema nervoso e la loro attenzione per questa struttura così importante dimostra quanto sia necessario conoscerne e identificarne i meccanismi fondamentali che determinano il passaggio e la trasmissione delle informazioni al cervello.
Le informazioni, sotto forma di impulsi elettrici, captati e trasmessi dagli organi di senso, viaggiando attraverso la rete nervosa giungono al cervello per essere elaborati e analizzati. Il loro significato è valutato mediante un confronto con le esperienze precedenti e i propri programmi genetici; il risultato di questa analisi si traduce in una reazione che vede tutto l'insieme uomo (spirito, psiche e soma) impegnato ad "agire" sull'ambiente.
Questa "azione" è il meccanismo innato dell'apprendimento, dell'adattamento e dell'evoluzione che si esplica grazie al sistema nervoso. La sopravvivenza dell'uomo e della specie è garantita da questa funzione e dal successivo sforzo di "agire", plasmando e adattando tutto l'organismo alle continue e differenti situazioni. Ma l'organismo, per poter sopravvivere, deve saper resistere e fronteggiare le frequenti sollecitazioni, istante per istante; le sue strutture (sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario e cervello) devono essere sane e pronte per garantire e preservare l'equilibrio interno (l'omeostasi) di fronte a questi continui cambiamenti.
Per l'uomo, gli stimoli psicosociali, frutto dell'interscambio e della convivenza con altri individui, con il gruppo o con le strutture sociali a cui appartiene, costituiscono i fattori più importanti nel modificare e alterare l'equilibrio.
La reazione emozionale diviene quindi il mediatore tra stimoli psicosociali e l’uomo nella sua interezza, ponendosi come causa evidente delle reazioni di adattamento al proprio ambiente sociale.
Negli articoli precedenti, abbiamo esaminato alcune cause e le relative conseguenze sull'organismo, provocate dal disordine e dallo squilibrio del sistema nervoso, il peso determinante della psiche sul soma e la necessità immediata di utilizzare tecniche precise di riequilibrio psicofisico ed energetico per ripristinare l'omeostasi dell'organismo.
Queste tecniche sfruttano le capacità stesse dell'uomo e, con l'ausilio della "volontà", possono intervenire ripristinando quel naturale equilibrio, già patrimonio dell'uomo. Abbiamo introdotto il concetto di malattia o meglio di squilibrio, dovuto in gran parte allo stress, a tensioni accumulate e mai scaricate, a blocchi energetici che interessano punti precisi, i plessi somatici responsabili del corretto fluire e dell'apporto di energia agli organi. Molto spesso le basi delle malattie sono poste dall'incapacità dell'individuo a gestire in maniera adeguata e bilanciata l'emotività.
Non sono gli eventi o i problemi della vita che favoriscono l'insorgere di malattie, ma il modo di viverli e di reagire ad essi.
In questo articolo tratteremo invece alcune malattie, comunemente classificate come psichiche, in cui l'adattamento e l'interazione tra il cervello e l'ambiente sono più continui e sottili, gli sforzi attuali della neurobiologia e della psichiatria per la cura di questi disturbi e i risultati che Vita Nuova ha finora ottenuto con l'ausilio delle tecniche di riequilibrio psico-fisico ed energetico.
Tali disturbi mentali comprendono le nevrosi (come l'ansia, la depressione, l'isterismo, in cui l'individuo è in relazione con il "mondo reale" come l'individuo normale, ma non riesce ad "agire" efficacemente su di esso) e le psicosi (fra le quali la schizofrenia è l'esempio più marcato).
Nelle psicosi il mondo dell'individuo cessa di essere quello normale, almeno per periodi di tempo assai lunghi; esso è costituito da un altro mondo in cui molti elementi sono stati creati dal soggetto stesso, composti da frammenti del "mondo reale" visti attraverso uno specchio deformante a molte facce, che appaiono all'osservatore esperto sotto forma di allucinazioni o illusioni.
Lo studioso che entra in questo tenebroso territorio si trova svantaggiato, poiché comunemente la psicologia e la psichiatria studiano un uomo senza corpo, vale a dire si preoccupano, per tutti gli aspetti del comportamento, di mettere in relazione uno stato "mentale" con uno stato "cerebrale", tralasciando le interazioni con il soma. Non considerano i molteplici segnali che il soma rilancia continuamente alla psiche, generando nuove reazioni, non posseggono ancora gli strumenti per studiare nuove soluzioni e ottenere migliori risultati.
Certamente, l'effetto di alcuni farmaci sul comportamento degli animali di laboratorio sono importanti e devono essere tenuti in seria considerazione, come i trattamenti fisici e chimici che hanno lo scopo dichiarato di "alleviare o curare" certi disturbi mentali specifici, ma la gamma dei disturbi mentali dell'uomo è incomparabilmente più ricca e complessa. Comunque, la documentazione di questi trattamenti, in gran parte messi a punto in questi ultimi decenni e somministrati anche all'uomo, non è certamente un elenco di notevoli successi, benché la farmacoterapia abbia rivoluzionato grandi settori della psichiatria.
Oggi, per fortuna, sono largamente screditate quelle tecniche che consistono nel sezionare le vie che uniscono i lobi prefrontali del cervello al resto del cervello (leucotomia) o nell'asportare ampie aree della corteccia frontale (lobotomia).
La tecnica della leucotomia è stata messa a punto negli anni trenta in ,Portogallo da E. Moniz e largamente adottata in Gran Bretagna e negli U.S.A. per tutti gli anni quaranta e cinquanta.
Nel 1949 in Inghilterra e nel Galles erano stati leucotomizzati fino a 1200 pazienti e nel 1959 il numero sfiorava ancora i 400 l'anno. Nelle indagini e dai controlli che furono eseguiti per parecchi anni, non si riscontrarono significativi miglioramenti rispetto ai pazienti non sottoposti a leucotomia. Inoltre, la perdita di una regione del cervello così importante tende a provocare un ritardo emotivo e intellettivo, diminuita creatività, egoismo, grettezza e una serie infinita di altri effetti indubbiamente dannosi.
Si tentarono nuove soluzioni e l'elettroshock resta ancora oggi il trattamento standard di alcune forme di depressione, specialmente quelle che non rispondono rapidamente alla farmacoterapia. Ma applicare un simile trattamento è come tentare di aggiustare una radio che non funziona prendendola a calci, o un calcolatore guasto escludendo alcuni dei suoi circuiti. Anche se molti accettano il valore terapeutico dell'elettroshock, altri sono dell'opinione che un trattamento così violento e grossolano, diretto a modificare le strutture cerebrali, non sia in grado di direi molto sulle basi neurobiologiche dei disturbi mentali che dovrebbe guarire.
Poi è arrivato il grande boom degli psicofarmaci che possono essere divisi in quattro grandi classi: sedativi, tranquillanti, antidepressivi e psicomimetici.I sedativi somministrati a forti dosi sono ipnotici (cioè inducono il sonno) ea dosi minori vengono usati per attenuare lo stato di agitazione, di irrequietezza e di sovraeccitazione. Con i barbiturici si entra nel regno di farmaci che possono creare assuefazione fisiologica, cioè il loro uso può alterare la biochimica del corpo e del cervello a tal punto che per il suo normale funzionamento il sistema diventa dipendente dal farmaco. Si sa che l'azione biochimica dei barbiturici interviene sul sistema ossidativo che genera l'energia cellulare e deprime sia l'attività elettrica della formazione reti colare che partecipa al ciclo veglia-sonno, sia la corteccia cerebrale.
I tranquillanti, a differenza dei sedativi, esercitano un effetto calmante, attenuando l'ansia e la tensione, senza ridurre il livello di consapevolezza, anzi alcuni possono aumentare il senso di vigilanza.
Come i barbiturici, essi sono usati in grandi quantità e sembra che sopprimano l'attività elettrica a livello dell'ipotalamo e del sistema limbico, riducono la trasmissione sinaptica del sistema nervoso autonomo e abbassano la temperatura corporea. Fra le categorie di farmaci che più hanno colpito l'immaginazione popolare e che hanno raggiunto un alto grado di diffusione, troviamo le amfetamine. Esse agiscono sulla formazione reticolare ed esplicano effetti che riproducono l'azione del sistema nervoso simpatico, accelerando il battito cardiaco e provocando una sensazione di nervosismo. Moltissimi, ne fanno un uso sproporzionato: per affrontare una cattiva giornata, per sostenere un esame, per vincere una gara sportiva o recarsi ad una festa che duri tutta la notte. Le amfetamine sembrano agire più da stimolanti che da antidepressivi; esse creano un senso di vivacità, combattendo la fatica e la sonnolenza, aumentando la sicurezza di sé e la capacità di decisione.
Pare che l'entusiasmo dei medici sul loro uso si sia in questi ultimi tempi raffreddato.
I rischi potenziali della psicofarmacologia sono notevoli perché l'uso di questi proiettili chimici per modificare l'umore, il comportamento, indurre il sonno o uno stato di euforia, provocano dipendenza, tossicità, il totale annullamento della volontà, la soppressione elettrica di alcuni importanti apparati del cervello. I sistemi naturali di riequilibri o vengono alterati, a volte annullati o compressi a tal punto che l'individuo stesso diviene indifferente allo sforzo e così, inibito ad "agire", reprime quella funzione di adattamento, apprendimento, sviluppo ed evoluzione che dovrebbe essergli propria. Purtroppo il quadro dell'attuale situazione non offre soluzioni confortanti e immediate e anche l'ambito della psicologia, cosiddetta scienza dell'anima, è diviso e frammentato in scuole diverse in disaccordo fra di loro sulle cause, i metodi e le terapie per la cura dei disturbi mentali.
Ma c'è un nuovo spiraglio, una ritrovata speranza grazie alla Psiconeuroimmunologia, una nuova scienza medica che studiando le interazioni tra psiche e soma ha fatto delle interessanti scoperte.
La personalità è costituita dall' intelligenza, dalla memoria, dalla capacità creativa e genera il comportamento, anzi quest'ultimo è la personalità in "azione", la personalità che si realizza, che fronteggia la vita.
Sarà un comportamento equo, equilibrato, capace di affrontare gli stress, le ambiguità, le sventure, se la personalità è forte, incisiva, colta, capace di fare buon uso dei problemi della vita, di ricaricarsi, di auto criticarsi, di rivedere i propri programmi, desideri, traguardi. La reazione alle situazioni della vita può essere di due tipi: la prima è caratterizzata da sconforto, da pena, da malessere ed è contrassegnata da un aumento dell'ormone ACTH che a sua volta fa aumentare il cortisone; la seconda è caratterizzata da una pronta risposta operativa, di autocritica, di rivalutazione delle cause ambientali e personali che hanno determinato l'evento stressante. In tal caso aumenta un ormone, "l'endorfina", che dà sicurezza, stima di sé, ottimismo, voglia di vivere.
Se l'uomo imparerà a far buon uso dello stress, sarà meno soggetto a malattie psicosomatiche, avrà meno paure, meno nevrosi, meno aggressività e violenza. Gli studi dimostrano che il nostro corpo produce sostanze come le endorfine solo se il comportamento è equilibrato e in "azione", permettendo a queste molecole fantastiche di circolare nel nostro cervello, nel midollo spinale e nel sangue. Esse sono in grado di sopprimere il dolore intervenendo sul sistema nervoso centrale e periferico, nella digestione, sul sistema endocrino e sull'apparato riproduttivo, generano euforia, modificano gli stati d'animo e il tono dell'umore.
Fra le numerose ricerche sul cervello, probabilmente le più interessanti sono quelle sulle stimolazioni elettriche cerebrali. In una serie di brillanti ricerche sperimentali, che nel 1949 gli valsero il premio Nobel, Hess dimostrò che la stimolazione elettrica di specifiche strutture nervose nel gatto è in grado di influire sulle funzioni autonome, posizione, equilibrio, movimenti, sonno, re, rabbia, mettendo per la prima volta in luce la possibilità di indurre in questo modo manifestazioni psichiche come l'aggressività.
Tecniche più sofisticate hanno dimostrato scientificamente che se inviamo impulsi elettrici nel cervello di un animale, non solo siamo in grado di influire sulla motilità degli arti, sulle funzioni degli organi interni, su tatto, vista, olfatto, ma possiamo anche modificare l'umore, provocando sensazioni di ira, paura, piacere. José Delgado, che ha fatto largo uso di questo metodo, ritiene che le ricerche correnti portino alla conclusione che i movimenti, le emozioni e il comportamento di un animale e probabilmente di un uomo possano essere comandati mediante energia elettrica.
Alcune tecniche impiegate sugli animali sono state riportate sull'uomo a scopo terapeutico. Attualmente la microchirurgia è in grado, con l'ausilio di particolari attrezzature di raggiungere senza alcun danno per il paziente, qualsiasi area cerebrale con sottili elettrodi e lasciarveli per giorni e settimane. Questo procedimento non solo consente di localizzare la sede da cui si dipartono alcuni
disturbi causati da malattie del sistema nervoso, ma anche di influire favorevolmente su alcune malattie organiche e psichiche ribelli ad ogni altro trattamento quali, ad esempio, alcune forme di epilessia, alcune forme spastiche, alcuni disturbi del comportamento. A questo proposito è utile ricordare che su una rivista americana (Psychology Today) di qualche tempo fa è apparsa una notizia sensazionale che riguarda proprio la stimolazione elettrica di un centro di controllo del dolore in un'area minuscola in mezzo al cervello.
Anche se i ricercatori non hanno ancora capito fino in fondo come agisca questo centro, i medici sono in grado di stimolarlo con scariche elettriche facendogli liberare "endorfine", alleviando così i dolori cronici.
E ciò è proprio quello che è successo a Dennis Hough, infermiere nel reparto psichiatrico di un ospedale americano: nel 1976 fu colpito alla schiena da un paziente con tale violenza da ritrovarsi con tre dischi vertebrali fratturati. Cinque anni più tardi, dopo due operazioni fallite, Hough era costretto a letto, con dolori lancinanti e continui alle gambe, alla schiena e alle spalle, e soffriva di una depressione che l'aveva spinto sull'orlo del suicidio. Proprio allora i medici stavano sperimentando per la prima volta una tecnica di impianto di elettrodi nel cervello; Hough si sottopose all'impianto e mediante un segnale radio da una trasmittente collocata nella cintura, egli può ora stimolare quattro volte al giorno la produzione di endorfine. Molti sono gli esempi di strumentazione elettronica che consentono di mantenere in funzione alcuni meccanismi fisiologici essenziali come i pacemaker e gli organi artificiali che sfruttano proprio le leggi dell'elettricità e del magnetismo alle quali sottostà anche il nostro corpo.
Ricordiamo ai nostri lettori che una ampia trattazione in materia è stata pubblicati nei numeri 57 e 58 della rivista e che la Psicobiofisica ha già approfondito e sperimentato da tempo ciò che la microchirurgia e la neurobiologia stanno ora incominciando a scoprire. Le sue ricerche provano che la rete del nostro sistema nervoso è percorsa da correnti elettriche, che in obbedienza alle leggi di Ampère, producono campi magnetici circolari e concatenati. Tali campi magnetici oltrepassano la frontiera esterna dell'epidermide e investono anche i circuiti nervosi degli altri individui.
Se si vuole quindi attribuire la giusta causa fisica alle forze che scaturiscono dall'interno dell'uomo, come esige il rigore scientifico, bisogna anche considerare queste radiazioni elettromagnetiche che sono ormai una realtà comprovata.
L'intero sistema nervoso si dirama in ogni parte del corpo e innerva tutti gli organi di senso, di moto, vegetativi centrali e periferici azionandoli e regolandoli con correnti elettriche. Da ciò si deduce che la malattia implica una disfunzione elettrica e che si possono ristabilire le normali funzioni, cioè la salute, in due modi diversi: assumendo dei farmaci oppure facendo variare le correnti elettriche nervose che vanno ad eccitare le ghiandole periferiche, in modo da accelerare o ritardare la secrezione chimica di ormoni, vitamine, anticorpi, atomi o· molecole diverse. l nostri medici spirituali sostengono che il rimedio sta dunque nell'agire sul legame psiche-fisico che racchiude e invia, se sollecitato nel modo giusto, la sostanza adatta nel momento adatto.
"Non è al di fuori dell'uomo, ma nell'uomo e nella natura che lo circonda e di cui fa parte, che si possono reperire le migliori medicine. Medicine di natura bioplasmatica quando occorre agire soltanto sui plessi e gli organi fisici non sono stati ancora intaccati o logorati; medicine di origine vegetale o animale quando occorre mettere la classica "pezza"! Sempre che non sia troppo tardi. Questo per puntualizzare, se fosse necessario, che gli interventi dei medici spirituali non saranno mai miracolosi, ma risulteranno "correzioni" di certi processi naturali male incanalati. Ciò in special modo per quanto riguarda la "psicologia spiritica" che tenderà ad indirizzare le forze del paziente, traendole da canali sbagliati e incanalandole nel giusto modo; sostituendosi per il tempo necessario a forze affievolite e logorate da modi di pensare e agire errati, lo psichiatra spirituale non farà che istruire, quasi addestrare, affinché almeno certi comportamenti errati basilari vengano corretti.
Le conoscenze a disposizione dei medici spirituali non sono che il risultato di una più approfondita conoscenza delle leggi che regolano la natura e su queste si basano.
Il sistema nervoso dell'uomo, in special modo quello che regola i movimenti e i processi involontari, il sistema simpatico, è il perno sul quale i medici spirituali possono agire sia come mezzo di interscambio sia come canale energetico
attraverso il quale indirizzare certe forze".
Alle tecniche di riequilibrio psicofisico ed energetico che si studiano e si praticano a Vita Nuova, si aggiunge il trattamento con "passi energetici" che l'operatore esperto applica sostituendosi per un momento alla volontà debole o bloccata del soggetto accelerando i naturali processi di scarico alterati da un eccesso di tensioni, scaricando l'accumulo di corrente della rete e dei plessi somatici per garantire e ripristinare il normale scorrimento dell'energia agli organi. Per naturali processi di scarico si intendono quei meccanismi che consentono, attraverso il riposo, il sonno, il rilassamento di scaricare con un atto della volontà naturale, i conflitti psichici razionali e irrazionali.
l farmaci, inibendo l'attività del sistema nervoso e comprimendo il soma con processi innaturali, alterano il delicato equilibrio di questo meccanismo agendo sulla volontà nel modo opposto, cioè escludendola e bloccando le energie nei canali energetici principali dato che calmano, quasi addormentano la mente o meglio la parte del sistema nervoso che ne regola i meccanismi.
Quale rimedio-prevenzione invece suggerisce la psicologia spiritica sulla base delle conoscenze e delle esperienze fin qui raggiunte? Favorire i naturali processi di scarico orientando il pensiero in modo da affrontare con la dovuta calma mentale ogni problema si presenti e controllando il più possibile le proprie emozioni, non soffocandole, ma impedendo che coinvolgano con le loro scariche energetiche il fisico.
Attuare quelle tecniche di respirazione e rilassamento che aiutano a mantenere percorribile la rete nervosa. Educare e orientare la volontà ad esprimersi, in modo che la mente, invece di seguire schemi, di rielaborare dati visti in modo unilaterale, si apra al confronto e lasci alla volontà, attributo della personalità spirituale, spazio sufficiente per giungere veramente a mettere in atto il libero arbitrio.
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pleaseanotherbook · 4 years
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Non fiction: una selezione di saggi
Leggere più libri fuori dalla mia comfort zone è stato uno dei miei propositi per il nuovo anno, uno di quelli che faccio spesso e che cerco di mantenere nonostante tutte le possibili difficoltà che lo stress della mia vita mi mette davanti. È difficile perché sono un’abitudinaria cronica, la mia routine è quello che mi tiene salda di nervi e soprattutto oppongo una fiera resistenza ai cambiamenti. Li abbraccio alla fine della fiera, ma se dipendesse da me non farei nulla per cambiare il circo della mia vita. Ma mi rendo perfettamente conto che sono necessari e inevitabili e quindi bello strappo di cerotto e si salta nel vuoto. Al contrario di altri aspetti della mia vita però, le mie letture sono cambiate molto rispetto a quando ho aperto il blog, il mio modo di reagire alle storie è cambiato e a volte riguardo certe recensioni e mi chiedo che cosa avessi nel cervello. Quasi nove anni però mi sembrano un periodo ragionevole di tempo per rendermi conto che forse non tutte le storie sono dei capolavori, ecco (ho appena scritto davvero nove anni? Dal 2011 sono davvero passati nove anni? OMG! Chiudiamo immediatamente questa parentesi. Mayday! Mayday!).
Tutta questa premessa per dire che la quantità di non fiction che arriva tra le pile di libri che infestano il mio appartamento sta aumentando, e la lettura di saggi mi sta coinvolgendo molto. Ecco quindi perché oggi vi propongo una selezione degli ultimi saggi che ho letto, in quarantena e non:
I tre fratelli che non dormivano mai – Giuseppe Plazzi
Le disobbedienti: Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte – Elisabetta Rasy
Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici – Giulia Blasi
L'inferno è una buona memoria – Michela Murgia
Vita su un pianeta nervoso – Matt Haig
Enjoy!
I tre fratelli che non dormivano mai – Giuseppe Plazzi
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Nulla è più misterioso della nostra mente quando dormiamo. Accadono infatti cose che neanche la fervida fantasia di un grande scrittore saprebbe immaginare, e molte sono le domande che tutti ci facciamo, senza però trovare risposta. Com'è possibile guidare una macchina, parlare lingue misteriose o camminare per ore durante il sonno? Da dove vengono quelle inquietanti visioni di demoni, folletti e spettri che infestano la nostra stanza? Che cosa spinge i bambini a gridare terrorizzati nel cuore della notte? Perché alcune volte abbiamo l'impressione di cadere da una sedia e ci svegliamo? Il neurologo Giuseppe Plazzi ci apre le porte del suo laboratorio, dove ogni giorno pazienti con disturbi del sonno rari e affascinanti - oppure molto diffusi, come il sonnambulismo, l'insonnia, il terrore notturno e la sindrome delle gambe senza riposo - riscrivono i limiti scientifici delle nostre conoscenze e, forse, della nostra realtà. Tre fratelli affetti da un'insonnia letale, un frate perseguitato dal diavolo, un uomo capace di volare, una donna tormentata da fantasmi col collo lungo, un giovane sonnambulo colpito da una mutazione genetica, le acrobazie sessuali di una coppia durante il sonno, un intero paese caduto in letargo: sono soltanto alcune delle molte storie raccolte in queste pagine dal dottor Plazzi, dalle quali emerge un universo notturno costellato di sogni, incubi, allucinazioni, capacità soprannaturali e imbarazzanti risvegli in cui ogni lettore, con sorpresa, non faticherà nel suo piccolo a riconoscersi. Un'opera dal ritmo romanzesco e dalla temperatura letteraria - nel solco della tradizione di Oliver Sacks -, spaventosa a volte, altre volte divertente, grazie alla quale scoprire gli angoli più bui delle nostre notti, capire i meccanismi segreti del sonno e acquisire una consapevolezza preziosa: neanche solcando tutti i mari, guadando tutti i fiumi, attraversando tutte le terre o arrampicandoci sulle più impervie cime che punteggiano questo mondo riusciremmo a vedere tante cose quante il nostro cervello è in grado di mettere in scena in una notte.
Una mia cara amica mi ha parlato di questo libro e quando Il Saggiatore lo ha messo a disposizione gratuitamente nell’ambito del progetto Solidarietà Digitale in quarantena ho colto la palla al balzo. In periodi particolarmente stressanti della mia vita soffro di insonnia, resto ore e ore a fissare il soffitto, a pensare, con la mente che va più veloce del mio respiro e i rumori della notte e ombre strane che si muovono per avvicinarsi alla mia mano a inquietarmi. Il sonno quindi è un argomento che mi ha sempre affascinata, vuoi perché spesso ne sono privata, vuoi perché è tanto fondamentale per la nostra salute. Più il sonno è frammentato e non continuo, più funzioniamo male. Il Dottor Plazzi è un esperto di disturbi del sonno e racconta alcuni dei casi più affascinanti e curiosi che ha incontrato nella sua esperienza pluriennale spiegandone le dinamiche e rassicurando il lettore che certi disturbi sono più comuni di quanto si pensi. Plazzi non scende nel tecnico e i casi clinici sono pienamente fruibili anche da chi non è un esperto in materia, e riesce sempre a tenere desta l’attenzione, anche quando sembra di leggere un romanzo e non una raccolta di casi clinici. Forse è questo che mi ha fatto perdere un po’ dell’entusiasmo iniziale, lo stile di Plazzi forse troppo divulgativo, ma che riesce sempre a descrivere in pieno l’argomento trattato. Un viaggio tra sogni e incertezze, diagnosi e sintomi, dolore e guarigione, in un dualismo che non sempre si risolve al meglio.
Le disobbedienti: Storie di sei donne che hanno cambiato l'arte – Elisabetta Rasy
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Che cosa unisce Artemisia Gentileschi, stuprata a diciotto anni da un amico del padre e in seguito protagonista della pittura del Seicento, a un'icona della bellezza e del fascino novecentesco come Frida Kahlo? Qual è il nesso tra Élisabeth Vigée Le Brun, costretta all'esilio dalla Rivoluzione francese, e Charlotte Salomon, perseguitata dai nazisti? C'è qualcosa che lega l'elegante Berthe Morisot, cui Édouard Manet dedica appassionati ritratti, alla trasgressiva Suzanne Valadon, l'amante di Toulouse-Lautrec e di tanti altri nella Parigi della Belle Époque? Malgrado la diversità di epoca storica, di ambiente e di carattere, un tratto essenziale accomuna queste sei pittrici: il talento prima di tutto, ma anche la forza del desiderio e il coraggio di ribellarsi alle regole del gioco imposte dalla società. Ognuna di loro, infatti, ha saputo armarsi di una speciale qualità dell'anima per contrastare la propria fragilità e le aggressioni della vita: antiche risorse femminili, come coraggio, tenacia, resistenza, oppure vizi trasformati in virtù, come irrequietezza, ribellione e passione. Elisabetta Rasy racconta, con instancabile attenzione ai dettagli dell'intimità che disegnano un destino, la vita delle sei pittrici nella loro irriducibile singolarità.
Sono una grande appassionata di lettura, passerei il mio tempo a visitare pinacoteche, a rimanere incantata davanti alle pennellate di grandi artisti del passato. I maestri pittori, come gran parte delle figure di spicco del passato sono uomini ma esistono delle donne che si sono imposte in ambienti prettamente maschili regalandoci delle opere straordinarie. Di Artemisia Gentileschi ho un ricordo molto bello di una mostra che sono andata a vedere con C. una delle mie amiche più care e di cui ci siamo entusiasmate particolarmente. Artemisia è figlia d’arte, ma soprattutto è una di quelle donne che non si lasciano mettere i piedi in testa da nessuno e sfida una società intera a riconoscere la sua innocenza. Non si arrende finché non viene riconosciuta come una pittrice. Berthe Morisot è la dama dell’Impressionismo (una delle mie correnti preferite): la potevi trovare impressa nelle tele ma soprattutto a dipingere dietro le tele con la creatività e la forza di Monet e Degas. La forse troppo sfruttata Frida Kahlo una donna indomita dalla forza straordinaria, tormentata da malattie debilitanti è sempre riuscita ad emergere con i suoi colori sgargianti e la sua fantasia esplosiva. Ma anche donne come Charlotte Salomon che non si è lasciata mettere in silenzio dal boia nazista, affida la sua memoria ai disegni che raccontano tutta la sua esistenza. Élisabeth Vigée Le Brun e Suzanne Valadon in modi e in tempi diversi sfidano la società del proprio tempo per emergere fulgide con le loro opere e le loro vite. È una prospettiva molto interessante quella che regala la Rasy composta da aneddoti, sfumature, impressioni, contesto storico, dei ritratti di donne a tutto tondo che non si lasciano facilmente ostacolare, che nonostante le vite difficili, le difficoltà evidenti, la disperazione innata si ribellano a tutto anche a loro stesse.
Manuale per ragazze rivoluzionarie: Perché il femminismo ci rende felici – Giulia Blasi
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Care lettrici (e cari lettori) di ogni età, questo appello appena lanciato da Giulia Blasi non è una boutade, ma un invito serio, formulato dopo anni passati a osservare come si muovono uomini e donne in Italia. Una società che oggi è tecnologica, in rapida evoluzione, ma purtroppo non ancora paritaria fra i sessi in termini di rispetto, opportunità, trattamento. Certo non si può dire che nel Novecento non siano stati fatti enormi passi avanti per le donne, basti pensare al diritto di voto o alle grandi battaglie per il divorzio e l'aborto. Ma dagli anni '80 in poi il femminismo si è come addormentato, mentre il successo nel lavoro (e in politica, nell'arte) ha continuato a essere per lo più riservato ai maschi e in tv apparivano ballerine svestite e senza voce. Per non dir di peggio: la violenza sulle donne non si è mai fermata e chi denuncia le molestie tuttora corre rischi e prova vergogna. Ecco perché oggi è giunto il momento che le ragazze di ogni età raccolgano il testimone delle loro nonne e bisnonne per proporre un cambiamento epocale, per fare una rivoluzione che ci porti tutti - maschi e femmine - a un mondo in cui ciascuno abbia le stesse occasioni per affermarsi secondo i propri talenti e non si senta più obbligato a aderire ai modelli patriarcali - cacciatori & dominatori vs angeli del focolare & muti oggetti di desiderio sessuale - che, spesso in forme subdole, continuano a esserci proposti. Sembra impossibile? Non lo è! In questo saggio profondo ed elettrizzante Giulia Blasi analizza con spietata lucidità le situazioni che le donne oggi quotidianamente vivono e offre, in una seconda parte pratica del libro, consigli concreti per mettere in atto un femminismo pieno di ottimismo e spirito di collaborazione (evviva la sorellanza!) che possa rendere tutti più sereni, rispettosi, appagati e felici. Anche gli uomini.
Siamo in una società che ancora non è riuscita a sradicare tutti i pregiudizi sociali di cui è affetta, intrinsecamente. Viviamo in una società in cui c’è ancora bisogno di parlare di accettazione delle minoranze, in cui è necessario mettere in luce i drammi che vivono le categorie meno protette di tutti gli strati sociali. Viviamo in una società in cui il femminismo è ancora un imperativo categorico. Un femminismo inclusivo, completo, che non lascia spazi a dubbi sulle motivazioni della lotta, che non si ferma a giudicare. La Blasi espone chiaramente situazioni e prospettive e poi si ferma a fornire consigli utili. Mettere in evidenza i comportamenti sbagliati, sensibilizzare su argomenti apparentemente banali o che alcuni giudicano come ormai superati. A cosa serve il femminismo se avete gli stessi diritti degli uomini? Beh non è proprio così, si continua a giudicare con due pesi e due misure ogni passo in avanti fatto ha una intercapedine in cui si infilano i precetti di consuetudini che sono dure a morire. C’è ancora bisogno di libri del genere, c’è ancora bisogno di spiegazioni, di discussioni, di volontà forti che non si lasciano intimorire, c’è ancora bisogno di puntare contro ai comportamenti maschilisti, ad un mondo che vede le donne ancora in una posizione di svantaggio. Questo mondo in cui viviamo e che dobbiamo proteggere a tutti i costi, deve essere costruito anche sulla collaborazione attiva di tutti. È un cane che si morde la coda, un circolo vizioso da spezzare, ma sono certa che prima o poi ce la faremo, inizierò a preoccuparmi quando non proverò più indignazione.
L’inferno è una buona memoria – Michela Murgia
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Quanto somiglia Cabras, Sardegna, paese natale di Michela Murgia, ad Avalon, Britannia, luogo mitico di Re Artù e della spada nella roccia? Se Morgana, Igraine e Viviana, le “Signore del Lago”, hanno il potere di sollevare le nebbie con le parole e influenzare le vite dei cavalieri della Tavola Rotonda, Michela Murgia, nata in mezzo alle acque di Cabras, ha il potere di sollevare le nebbie intorno alle storie e alle idee che ci circondano, raccontandoci la versione delle donne, nel solco ideale di Ave Mary. In un viaggio che comincia in mezzo al mare e in mezzo al mare ritorna, una delle maggiori scrittrici italiane racconta come e perché è diventata femminista, come e perché ha cominciato a temere le gerarchie religiose, come e perché non ha mai smesso di giocare di ruolo nel mondo magico di Lot, come e perché certi libri che ci hanno fatto crescere, in effetti, li abbiamo mangiati più che letti, e soprattutto come e perché creare ogni giorno il mondo che ci circonda è un gesto politico.
Della Murgia ho parlato in un post intitolato “Michela Murgia: un ritratto”, ma avevo completamente dimenticato questo breve saggio. La scrittura della Murgia è lineare e incantevole e anche se parla di un argomento che apparentemente è lontano dal lettore, pure lo irretisce, e lo accompagna alla scoperta di un nuovo mondo. In questo caso è quello de “Le nebbie di Avalon” il libro di Marion Zimmer Bradley una delle pietre miliari della letteratura fantasy e del ciclo legato ai cavalieri della Tavola Rotonda. La Murgia racconta i personaggi femminili, la strega Morgana, Igraine e Viviana, le “Signore del Lago” e ne analizza i punti di forza in un mondo dominato da figure maschili che partono, viaggiano, combattono, salvo poi tornare sempre da dove sono partiti. Un cerchio che si riunisce nella storia personale della Murgia e nei temi che di solito accompagnano le sue storie. Il femminile che si distacca dalle sue radici per esplodere con una forza eccezionale nei momenti più impensabili. Ma non solo, si esplora il misticismo e la religiosità e si racconta un libro che qualcuno potrebbe definire di serie B, è solo un libro fantasy in fondo, ma che nasconde diverse chiavi di lettura per interpretare il reale e il nostro presente.
Vita su un pianeta nervoso – Matt Haig
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Il mondo ci sta confondendo la mente. Aumentano ondate di stress e ansia. Un pianeta frenetico e nervoso sta creando vite frenetiche e nervose. Siamo più connessi, ma ci sentiamo sempre più soli. E siamo spinti ad aver paura di tutto, dalla politica mondiale al nostro indice di massa corporea. Come possiamo rimanere lucidi su un pianeta che ci rende pazzi? Come restare umani in un mondo tecnologico? Come sentirsi felici se ci spingono a essere ansiosi? Dopo anni di attacchi di panico e ansia, queste domande diventano questione di vita o di morte per Matt Haig. Che inizia a cercare il legame tra ciò che sente e il mondo intorno a lui. Vita su un pianeta nervoso è uno sguardo personale e vivace su come sentirsi felici, umani e integri nel ventunesimo secolo.
In quarantena Edizioni E/O ha messo scaricabile gratuitamente questo volume di Matt Haig ed è stato un volume illuminante. Haig ha raccontato la sua esperienza in un mondo che ci vuole sempre agili, scattanti, veloci, interattivi e di come questo atteggiamento abbia contribuito a peggiorare la sua salute mentale. Lo scrittore inglese non offre risposte, ma offre una prospettiva diversa e una serie di consigli su cosa ha funzionato per lui. Allontanarsi dalle situazioni di stress, fare un passo indietro, prendersi il proprio tempo, capire quando è arrivato il momento di alzare le mani e non andare oltre, perché non se ne hanno più i mezzi o le possibilità. Fermarsi non è una sconfitta, è solo il passo necessario per stare meglio, il passo necessario per rendersi conto che questo è si un pianeta nervoso, ma noi non siamo costretti ad esserlo. Haig esplora le situazioni più conflittuali, la presenza sui social network, lo sviluppo tecnologico che sta crescendo in maniera esponenziale, la società che vi vuole workaholic e sempre informati, il bisogno di non perdere la testa di fronte a questo mondo che si estende enorme di fronte ai nostri occhi. Prendersi il proprio tempo diventa la condizione senza la quale non possiamo davvero essere sereni. Non c’è niente di meglio che staccare tutto e rilassarsi per superare le situazioni terribili che si affastellano nella nostra quotidianità.
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g-i-u-l-y-a · 4 years
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My reading list:
Oliver Twist by Charles Dickens
The picture of Dorian Gray by Oscar Wilde
Storia di ordinaria follia by Charles Bukowski
Il vagabondo delle stelle by Jack London
Buoio oltre la siepe by Harper Lee
Narciso e Boccadoro by Hermann Hesse
L'esistensialismo è un umanismo by Jean-Paul Sartre
Una storia semplice by Sciascia
Perché la guerra by Albert Einstein & Sigmund Freud
L'amore in sé by Marco Santagata
Notti bianche by Dostoevskij
L'interpretazione dei sogni by Freud
lo e l'es by Freud
Delitto e castigo by Fedor Dostoevakij
Ciò che inferno non è by D'avenia
La mano searlatta by Cassandra Clare Psicologia della vita quotidiana by Freud
Le Cosmicomiche by Italo Calvino
Orgoglio e pregiudizio by Jane Austen
Vita su un pianeta nervoso - Matt Haig
La coscienza di Zeno - Italo Svevo
I dolori del giovane Werther - Goethe
Le ultime lettere du Jacopo Ortis - Foscolo
Guerra e Pace - Tolstoj
Better get busy.
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nichilismous · 4 years
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Consapevolezza #71
Quando all’età di 22 anni mi sono ammalato per la prima volta, quando ho “avuto un crollo”, il mondo è diventato dolorosamente più nitido. All’improvviso le ombre hanno acquistato un peso, le nuvole si sono fatte più grigie, la musica più fragorosa. Ho fatto caso a tutto ciò che prima non notavo. Sono diventato più attento a tutto ciò che mi faceva sentire male nel mondo moderno. E che probabilmente fa sentire male molto di noi. Ho avvertito la pressione estenuante della pubblicità, la pazzia frenetica delle folle e del traffico, la natura soffocante delle aspettative sociali.
Matt Haig - Vita su un pianeta nervoso
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beavakarian · 5 years
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More Than a Trickster - ATTO XVII [ITA]
Autore: maximeshepard (BeatrixVakarian)
Genere: Mature
Pairing: Loki/Thor
Sommario: questo è il mio personale Ragnarok. Si parte e si finirà alla stessa maniera, alcune scene saranno uguali, altre modificate, altre inedite. Parto subito col precisare che qui troverete un Loki che non ha nulla a che fare con il “rogue/mage” in cui è stato trasformato in Ragnarok, e un Thor che si rifà a ciò che abbiamo visto fino a TDW.
Loki e Thor sono stati da sempre su due vie diverse, ma quando il Ragnarok incomberà inesorabile su Asgard, le cose cambieranno. Molte cose cambieranno.
Capitoli precedenti: Atto I - Atto II - Atto III - Atto IV - Atto V - Atto VI - Atto VII - Atto VIII - Atto IX - Atto X - Atto XI - Atto XII - Atto XIII - Atto XIV - Atto XV - Atto XVI
@lasimo74allmyworld @piccolaromana @miharu87 @meblokison @mylittlesunshineblog
N.d.a.: Lo so, ci sto mettendo una vita. Ma davvero, me ne stanno capitando di tutti i colori ultimamente e ho veramente voglia di terminare questa storia, tuttavia la mia ispirazione e la mia concentrazione sono affidabili quanto Loki di fronte al Tesseract con un cartello scritto “Non toccare”. xD
Siccome io tumblr lo visualizzo o a lavoro in pausa o quando sono morta nel letto, tendo a dimenticarmi cose e a vederle tipo eoni dopo. Tendo anche a farmi prendere dal nervoso quando leggo determinate cose che ben sapete e quindi vedo rosso. E quando vedo rosso, voglio rimanere lontano da ciò che mi da conforto. Quindi recupero qui le risposte xD 
@miharu87: Come sempre, grazie a te! Siamo un fandom terribilmente sfigato, non c’è definizione più calzante. A fronte del fatto che ci hanno davvero tolto tutto, ci hanno distrutto Asgard in ogni sua forma, significato, lasciandoci solo gli amari ricordi (e non mi riferisco, come ben sai, unicamente al pianeta, ma a tutto il dannato franchise), bene… Ho deciso di vivere di ricordi e di farli rivivere. Per me Thor, come franchise, continuerà sempre nelle nostre storie. Che la Marvel si metta il cuore in pace. Non ci faremo derubare anche di ciò che più amiamo. Quello non ce lo possono portare via. Per cui finirò questa storia e continuerò con altre. Non mi avranno mai. 
@meblokison: Mamma mia, io non so più come risponderti. Mi… Mi lusinghi oltre modo! Addirittura farti re innamorare della Marvel? Temo ci voglia un miracolo… Ma ho capito cosa intendi e ti ringrazio veramente dal profondo del cuore! E sono terribilmente sollevata dal fatto che il mio Thor e il mio Loki piacciano, che non li troviate OOC - cosa che mi spaventa davvero moltissimo. Mi rendo conto di aver dato una fracca di spazio in più a Loki, forse fin troppo, ma qui è il mio cuore che parla e francamente me ne infischio (cit.). Alla fine, è ciò che tutti abbiamo sempre voluto. Loki al pari di Thor. Ed è anche ciò che ha fatto crollare - probabilmente - le fondamenta di questo franchise, ma questo è un altro discorso e mi fermo, prima di imprecare sonoramente e augurare notti sul water in maniera random a gente random. Grazie ancora per il supporto!
BUONA LETTURA!
- Atto XVII -
Quando Loki si calò dall’aeronave assieme a Rekis e ad un nutrito gruppo di uomini di Brunhilde, Heimdall sbucò dalla feritoia in cima alla lunga scalinata che portava nel cuore della montagna.
Diede precise istruzioni ai nuovi compagni, per poi attivare uno dei portali di Asgard e manifestarsi proprio innanzi al Guardiano. Tutte le innumerevoli persone riunite in quella stanza si voltarono sorprese – solo un mormorio indistinto nell’aria, prima che calasse il silenzio.
Loki sorrise impercettibilmente – un cenno di saluto.
“Ti ho visto arrivare” commentò Hemdall, appoggiando il peso sulla spada a due mani, puntata a terra. Loki lo superò con passi misurati, guardandosi attorno.
“Ovviamente” commentò ironico, per poi passarsi una mano alla base dei capelli e richiamare il suo seidr: al passaggio delle sue dita, l’elmo dorato cominciò a prendere forma, in un elegante scintillio.
Quando aprì gli occhi in quelli della popolazione di Asgard, scorse qualche sorriso di speranza tra sguardi di diffidenza. Erano più che spaventati: vi era un numero davvero esiguo di uomini adulti, per lo più quei rifugiati rappresentavano donne, giovani e bambini. Pochissimi anziani.
Loki strinse le labbra in una smorfia.
“Si sono battuti con onore” sussurrò il Guardiano, raggiungendo il Principe di Asgard al suo fianco.
“E’ un miracolo che così tante persone siano rimaste in vita. Tu e Sif avete fatto un ottimo lavoro. La guardia reale?”
“Si sono salvati in pochi. Sono con lei. Hela sta venendo qui”.
Loki prese un grosso respiro, facendosi largo tra la folla. Una ragazzina sui quattordici anni sfuggì di mano alla madre, correndogli incontro e aggrappandosi stretta alla sua vita.
“Aiutaci”.
A Loki si strinse il cuore e un nodo si formò in fondo alla gola. Per qualche istante rimase come folgorato, impietrito nel da farsi, incapace quasi di processare quel gesto, sotto gli occhi sgranati della folla. Posò quindi, delicatamente, la mano sul capo della ragazzina, accarezzandole i capelli. La sentiva tremare sotto le dita.
Le tirò il mento verso l’alto, asciugandole le lacrime. Quegli occhi chiari erano pieni di terrore e disperazione di chi ha visto cose che non doveva vedere. Non indugiò in un sorriso o in gesti plateali, bensì pronunciò parole che mai si immaginò di pronunciare.
“Sono qui. Siamo qui. E vi porteremo in salvo” rispose con tutto il volume possibile che quel nodo alla gola potesse permettere. “Heimdall, procedi con l’evacuazione. Non passerà nessuno da quella porta”.
  Thor era seduto sul trono – Gungnir stretta nella sua mano. Era seduto sullo scintillante e dorato trono di Asgard, dopo aver scavalcato le macerie delle ampie volte, disseminate nella parte superiore della navata centrale, dopo aver attraversato il corridoio vuoto e silenzioso, i colonnati, salito la grande scalinata che dava accesso alla sala del trono. Tutto era uguale a come l’aveva visto giorni fa – fatta eccezione per il soffitto, ma, allo stesso tempo, tutto pareva diverso.
L’ingombrante presenza di Hela traspariva dall’atmosfera che si respirava, benché della donna non ve ne fosse traccia. L’inquietante silenzio in cui Asgard era sprofondata, era qualcosa che riusciva a mettere i brividi pure a lui.
L’unica anima che avevano incontrato, quando erano atterrati sul Bifrost, era quella di un’enorme bestia dalle fattezze di lupo. Il suo pelo grigio scuro, color antracite, faceva spiccare le sue verdi iridi contornate di rosso: Banner aveva trovato il suo avversario, per il momento e Brunhilde aveva coperto il suo re, mentre rapido sfilava correndo verso il palazzo – i fulmini tra le dita, lo sguardo furioso, la lancia di suo padre stretta tra le mani.
Era pronto ad affrontare Hela. La rabbia del tuono era ora dalla sua parte – e non solo quella. La rabbia di tutti quelli che avevano patito le conseguenze di Hela, lo seguiva come una fumosa ombra sinistra.
Ma quando arrivò nella sala del trono, si ritrovò solo, a fissare i calcinacci a terra, dapprima, poi il soffitto, il quale mostrava affreschi del tutto diversi da ciò che ricordava.
Si era fermato, naso all’insù, il cuore che incrementava il suo battito nel vedere le raffigurazioni di Odino visibilmente più giovane ed Hela, con Mjolnir alzato verso il cielo, in segno di vittoria.
Ebbe un moto di nausea: la sola idea che il suo martello fosse appartenuto, dapprima, a quel mostro – che quel mostro fosse qualcosa di diverso, una volta… Thor non riusciva a fare mente locale, non riusciva a ragionare con lucidità: era come se fosse sprofondato in una spirale di fango. Tutto era nero, fumoso, oscuro.
Strinse la mascella con vigore, portando gli occhi sul trono di Asgard.
Cosa aveva fatto, Odino?
Con quel pensiero, si era seduto sul freddo trono, accarezzando i braccioli scolpiti e le levigature, lentamente. Quell’affresco visibilmente datato, poteva voler dire tutto e niente. Poteva essere un inganno di Hela. Tuttavia, non riusciva a togliersi dalla mente la probabilità che suo padre avesse messo, nuovamente, mano alla verità.
Sbattè tre volte la base di Gungnir al suolo: i suoi colpi, potenti, riecheggiarono per tutta Asgard – come soleva fare l’Allfather nel richiamare l’attenzione. Seduto sul trono, la mano sinistra a stringere gli ornamenti, lo sguardo tumultuoso, fisso sull’ampio portone dell’ingresso. Il viso tirato.
Sarebbe venuta da lui. Ne era certo.
 Le due pesanti porte che mantenevano sigillato il covo della montagna, vibrarono sommessamente. Si udì come un rumore metallico, prima che venissero divelte completamente.
Sif era ritornata appena in tempo con parte delle persone recuperate e i superstiti della guardia reale: si stava prodigando con Heimdall per velocizzare l’evacuazione di quella caverna, mentre Loki rimaneva in piedi, fermo, di fronte all’ingresso ancora intatto.
Le sue mani erano circondate da un’aura verde brillante, i suoi occhi serrati. Sif aveva scambiato uno sguardo con il Guardiano, mentre prendeva in braccio due bambini e accompagnava le donne ai primi scalini, verso l’esterno.
Quando le porte vennero scaraventate a terra, non avevano ancora ultimato l’evacuazione e rimase atterrita alla visione di Hela e del suo terrificante esercito alle sue spalle.
Sia lei che Heimdall estrassero le spade. Loki aprì gli occhi, incrociando lo sguardo con la sorella, la quale sorrise compiaciuta.
“Guarda chi è tornato a casa…” constatò melliflua, appoggiando un piede dopo l’altro sulla passerella che aveva creato. Un passo, due. Un terzo.
Il quarto non lo fece.
Tutt’intorno cominciarono a rimbombare i tre rintocchi di Gungnir. Hela si voltò in direzione del palazzo reale con sguardo sorpreso e quando riportò l’attenzione sulla figura di Loki, lo vide sorridere serafico.
“Già” fu la sua risposta asciutta “Temo che qualcuno ti stia cercando, Sorella”.
Loki sperò con tutto il suo cuore, che non si arrivasse a quello che si verificò poco dopo: sperava che Hela concentrasse il suo solo interesse in Thor, che lasciasse perdere la sua assurda caccia agli Asgardiani che erano riusciti a rifugiarsi dentro alla caverna per sfuggire alla disperazione che Sif e Heimdall gli avevano descritto poco prima.
Ma Hela… Hela era un’entità prevedibile quanto inesorabile.
Non proferì parola. Alzò semplicemente una mano, prima di voltare le spalle e dirigersi verso Thor. Diede un ordine con un cenno.
L’esercito di non morti incominciò a marciare sulla passerella, oscuro come una notte senza luna. Un manto nero e verde, dalle sembianze grottesche.
“Loki!” urlò Sif dietro di lui, prima che una luce verde esplodesse nella penombra di quel rifugio sicuro. Una barriera si erse di fronte a tutti loro – le braccia di Loki tese in avanti. Strinse i denti quando l’armata cozzò contro il muro invisibile.
Loki sperò davvero di essere abbastanza forte da resistere a quella furia sconosciuta.
Sperò di essere abbastanza per Asgard, questa volta.
 I grugniti di Loki echeggiavano per tutta la caverna, ormai sgombera. Le sue tempie pulsavano, gocce di sudore correvano lungo le sue guance e ogni parte del suo corpo doleva come se fosse rotta.
Heimdall e Sif erano tornati di corsa dall’ultimo giro, Rekis aveva dato l’ordine di decollare con la nave e di mantenersi in orbita per sicurezza.
“Cosa diavolo ci fate ancora qui?!” esclamò Loki, in evidente difficoltà. Il Guardiano gli si era affiancato, osservando la barriera che cominciava a dissolversi ai lati. Alcuni soldati di Hela indugiavano arti e armi attraverso le fenditure.
“Combatteremo. Con te” rispose semplicemente Hemidall, mentre Sif appoggiava una mano sul braccio destro teso di Loki.
“Usa il teletrasporto. Thor avrà bisogno di aiuto, non ce la può fare da solo contro di lei”.
Loki soffocò una risata sarcastica. Quello era l’ultimo scenario che gli sarebbe venuto in mente, fino a ieri. Si sarebbe messo a ridere al solo pensiero di figurarsi in quella caverna, con le braccia tese in avanti, il suo seidr alla massima potenza, Sif ed Heimdall pronti a sacrificarsi come esche per permettergli di salvarsi.
“Come se avessimo una possibilità” la schernì, quasi in malo modo. Sif sorrise amaramente.
“Se mi muovo, la barriera crollerà. E se la barriera crolla, l’orda di non morti ci travolgerà” sibilò, osservando i volti scavati e scheletrici di fronte a lui.
“Cercate la Valchiria. Raggiungete Thor e sconfiggete Hela. Io cercherò di resistere e di bloccarli qui: se Hela viene sconfitta, anche il suo esercito cesserà di vivere – o meglio, di animarsi, visto che ho l’impressione che questi dannati schifosi non possano morire” commentò sarcastico.
“Esattamente” sottolineò il Guardiano.
“Loki…” la donna strinse la presa sul suo braccio, la sua voce greve, ma l’occhiata gelida di Loki interruppe le sue parole immediatamente.
“Oh, Sif, per favore. Non voglio la tua pietà”.
“Non si tratta di questo. Non resisterai ancora a lungo” spiegò lei “E non ti lasceremo qui a morire”.
Loki sospirò frustrato, scuotendo la testa. Non avrebbe avuto tempo di teletrasportarsi: anche se i due compagni avessero intercettato i primi soldati che si sarebbero avventati su di loro, erano in troppi. Si sarebbero riversati come una cascata dentro la caverna.
“Non c’è altro modo” sussurrò lui e quelle parole caddero nell’eco di quel luogo impolverato, nel silenzio spezzato solamente dagli ansimi di quelle creature orrende.
Loki non poteva vederlo, ma Heimdall lo stava scrutando con i suoi occhi d’ambra da diversi istanti. Sif, arresa di fronte alle parole di Loki, incrociò il suo sguardo con una muta richiesta d’aiuto.
“Ne sei sicuro?”
La goccia di sudore sulla tempia sinistra di Loki gli rigò la guancia, procedendo veloce fino al bordo della mandibola, a ridosso del mento. Il suo respiro era corto, la fatica inverosimile.
Portò solo lo sguardo in direzione del Guardiano, inumidendosi le labbra rapidamente. Poi i suoi occhi si sgranarono.
“Dovrai essere veloce”.
“Oh… Non davanti a lei”.
“E’ l’unico modo”.
“Non davanti a lei!” urlò Loki. La barriera tremò, cedendo sul lato sinistro e due creature irruppero nell’atrio: subito, Sif ed Heimdall, si gettarono a combatterli e li atterrarono nel modo più efficace possibile.
“Non davanti a me, cosa?” esclamò la donna, lo sguardo visibilmente spazientito e contrariato. Loki guardò Heimdall, di nuovo, una volta ripresa la concentrazione necessaria a mantenere la barriera.
Il Guardiano lesse il terrore nei suoi occhi.
“Allora? Quei mostri staranno a terra ancora per pochi minuti! Spiegatemi di cosa state parlando!” chiosò Sif, puntando entrambi con la punta della spada, in un gesto secco.
“Io non me ne vado di qui, Loki!” aggiunse, quando lui si chiuse ancora di più nel suo silenzio e il suo sguardo si rivolse verso il terreno. La sua testa stava esplodendo e la sua concentrazione, di quel passo, sarebbe calata drasticamente ed inesorabilmente.
Stava per cedere.
“Temi così tanto il giudizio di Sif, ma non temetti il mio, all’epoca” constatò Heimdall, con la sua solita pacatezza nella voce. Loki sogghignò.
“Tu hai sempre saputo. Nessuno, a parte te e… Odino, mi hanno mai visto così”.
Il Guardiano non rispose. Sif fece per riprendere parola, ma Loki scosse la testa, rivolgendole uno sguardo mesto.
Prese un grosso respiro.
“Ho bisogno di due, tre secondi, per invocare il Casket of the Ancient Winters, ma non sono sicuro di riuscire a fermarli tutti quanti”.
“Cosa c’entra la reliquia di Jotunheim?” fece eco Sif, la quale ormai si era arresa ai misteri celati da quei due. Vide Heimdall estrarre lo spadone e mimò il suo gesto, sguainando la spada e imbracciando lo scudo di fronte a sé.
Loki sorrise ai limiti dell’esasperazione. Un profondo senso di nausea si impadronì di lui.
“Qualsiasi cosa vedrai, Sif” ripose Heimdall “Pensa unicamente a fermare la corsa di quelle creature”.
“Ma-“
“Sif” Loki si voltò nuovamente “Non ce la faccio più”.
E Sif, di fronte a quello sguardo disperato e a quel tono di voce sconfitto, non poté far altro che affiancare il suo Principe, in silenzio.
 Il rumore cadenzato di passi, echeggiò nella sala del trono: Thor posò lo sguardo sulla donna che varcò la soglia, districando distrattamente i lunghi capelli neri. Il suo passo era misurato, i suoi gelidi occhi fissi sulla sua figura regale, adagiato sul trono. Sul suo trono.
Thor strinse le labbra e la lancia. Le sue dita tremarono leggermente attorno al fusto di Gungnir. Sarebbe stato falso supporre che non provasse paura, ma più la sua figura si avvicinava a lui, più il sangue dei Warriors Three riverso sul pavimento del Bifrost intensificava il suo colore.
Rosso. Il suo colore distintivo.
“Sorella”.
Hela sorrise compiaciuta, il suo tono suadente quando parlò.
“Sei ancora vivo…”
Thor sorrise di rimando. No, non era facile ammazzarlo. Né lui, né suo fratello. E, a quanto pareva, tutti e tre i figli – di sangue o meno – di Odino, erano duri a morire.
“Ho visto che hai dato un tuo tocco personale a questo posto” commentò con visibile sarcasmo, un’occhiata all’affresco sul soffitto. Hela appoggiò un piede su una delle macerie, calpestandole con viziosità, ma mantenendo lo sguardo sulla figura del fratello.
“Sembra che ad Odino piacesse… Come dire, nascondere diverse cose” gesticolò, con la mano destra.
“O bandirle”.
Hela strinse la mascella, indurendo la sua espressione per qualche istante, prima di fare un lento giro su se stessa – le braccia leggermente aperte, ad indicare tutto quel che vi era attorno a loro.
“Cosa credi che fosse Asgard, prima di te?” domandò “Dove credi che arrivi tutto questo oro, questi ornamenti, queste effigi?”
Tornò a reggere il suo sguardo. “Cosa credi che sia il tuo popolo, quali credi che siano le vere memorie Asgardiane? Chi credi che fosse Odino? Tu non sai niente, Thor… Non conosci nulla di Asgard”.
Thor non rispose: si limitò unicamente ad alzarsi e a scendere un paio di scalini, osservando Hela negli occhi – il suo volto una maschera imperturbabile.
“Io ed Nostro Padre affogammo intere civiltà nelle lacrime e nel sangue. Come credi che Asgard sia arrivata a governare indirettamente tutti i Realm?” continuò lei, avvicinandosi passo dopo passo al trono.
“Io… Ho permesso gran parte di questo. La gloria di Asgard non era mai stata così all’apice, finché…” ed Hela digrignò i denti con disprezzo “Odino non decise di rammollirsi. Di proteggere le sue conquiste con l’ipocrita pretesa di instaurare alleanze e ridare indipendenza. Di proteggere la vita”.
“E fu così che ti esiliò. Sì” commentò Thor “E’ un comportamento tipico di Nostro Padre. E capisco, credimi, la tua voglia di rivalsa. E anche la tua pretesa al trono – tecnicamente, sei la primogenita. Ma…”
Un lampo azzurro si sviluppò dal centro del petto di Thor e si estese come una ragnatela a tutto il suo corpo. Il suo occhio brillò di una luce intensa.
“Ma tu sei un mostro” continuò, mentre Hela socchiudeva gli occhi e passava le dita affusolate sulla sua nuca, trasformando i suoi capelli in corna.
“Tu hai ucciso i miei più fedeli amici. Hai trucidato il tuo popolo. Hai tentato di uccidere me e Loki”. Scese un altro paio di scalini, sprigionando il suo potere che traboccava ad ogni secondo che passava.
“Nostro Padre una volta mi disse che un re saggio non cerca mai la guerra…”
Hela si lasciò andare in un ghigno provocatorio, prima di gettarsi all’attacco e concludere per lui ciò che anche lei sapeva bene.
“Ma bisogna essere sempre pronti per affrontarla!”
nda (de novo): Ho deciso di lasciare l’incontro tra Thor ed Hela molto simile all’originale del film, perché lo reputo bello - sì, sono sincera. Non credo di approfondire più di così Hela. Non è un personaggio nelle mie corde. O meglio, lo sarebbe, se solo le avessero dato un bg più ampio - avessero approfondito cose. 
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Capitolo VI
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Mentre raccolgo da terra lo zaino e saluto i miei, intenti a godersi un film sul divano, mi rendo conto che il quadro generale della situazione in casa è abbastanza ordinato e tranquillo, il che mi sorprende. Sia chiaro, mia madre è arrabbiata con papà, ma non vuole cedere a una crisi isterica o a conseguenze legali che potrebbero rendere ancora più difficile la situazione in cui siamo stanziati ora.
Se da una parte penso che avrei potuto evitare tutto questo stress standomene in disparte, dall’altra so che non devo sentirmi in colpa perché era giusto che mia madre scoprisse della storia tra suo marito e niente di meno che la mamma di Stefano, fidanzato di Giuditta.
Trovo raccapricciante e ironico come ci sia sempre lei di mezzo, in un modo o nell’altro. E’ l’imperatrice di Cordello, non può non essere tirata in ballo ovunque ci siano degli scandali cittadini.
Se Stefano dovesse scoprire del bacio tra me e Giuditta, ora sarebbe davvero la fine.
Non so neanche se stanno ancora insieme, a dire il vero. Lei non risponde molto spesso al telefono, e la mia ansia sociale mi blocca dal tartassarla di messaggi da mattina a sera.
Mi ritrovo spesso imbarazzato nel fare ragionamenti simili. La vita sociale di Giuditta non dovrebbe interessarmi, almeno non quanto la mia. Ho una relazione a due passi dall’essere decapitata da un boia, in fondo.
Sami mi aspetta da dieci minuti nel parchetto dietro casa mia, e anche se non sono mai in ritardo, quando si tratta di chiarire con lui sono sempre un po’ intimidito perché è in grado di rigirare la frittata meglio di uno chef stellato. Mi trovo a riflettere sul se dargli buca o meno, anche perché ogni volta che stiamo per litigare ho quella piccola voce dentro la mia testa che mi consiglia di non presentarmi, o anche di non rispondergli al telefono. Allo stesso tempo, però, sono convinto che ci siano sempre molteplici versioni della stessa storia e chiuderla senza farlo parlare sarebbe dittatoriale.
Sami però mi ha mentito, e non solo, lo ha fatto davanti ad altri. Non posso neanche evitare di ignorare o addirittura negare i vari problemi che ho con lui. Sono bugiardo pure io, ma per una questione grave, non per parare il culo a un gruppo di presuntuosetti del cazzo.
Mi avvio verso il giardinetto. C’è un freddo quasi glaciale, così potente da penetrarti le dita, e sta piovigginando da stamattina.
Mentre supero gli enormi cancelli arrugginiti, mi accorgo quasi immediatamente che Sami è nervoso.
E’ seduto su una panchina verde prato, e da dietro posso solo vedere l’ombrello arcobaleno che si muove su e giù a causa della sua gamba, incapace di stare ferma. Quando picchietta il piede in quel modo, è perché è agitato.
Non lo saluto nemmeno, ma mi siedo di fianco a lui.
Non ci scrutiamo, perché probabilmente è più facile così.
Sposta l’ombrello in centro, per coprirci entrambi, sempre non degnandomi di uno sguardo.
Rimaniamo in silenzio ad ascoltare la pioggia che aumenta di intensità col lento passare dei minuti, come se ci potesse dare il tempo di organizzare i nostri pensieri. O di ritrovarli. O almeno di riuscire a vomitare frasi sensate per scappare da questa quiete scomoda.
“Com’è andato il test?” gli chiedo, dato che a questo punto saprà di già se è ammesso o meno nella sua ultima possibilità di evasione da Cordello.
Lui annuisce.
Non ricordo neanche come si chiama l’università a cui ha fatto domanda e, detto con franchezza, neanche lui ne ha mai parlato come se fosse qualcosa di eccezionale.
“Sono in waitlist. Se otto persone rifiutano il loro posto, posso entrare. Lo saprò settimana prossima.”
Annuisco, molto contento.
“Non me l’aspettavo” mi dice, bypassando il tono distaccato in un’esplosione di euforia: “cazzo, ma ci pensi? Ho superato qualcuno in cultura generale, chi l’avrebbe mai detto?”
Se esiste una cosa che tutto il mondo potrebbe urlare all’unisono riguardo Sami è che è solito per lui atteggiarsi da finto modesto.
Il suo curriculum accademico non rispecchia assolutamente la brillantezza della sua mente. Può intrattenere un discorso esistenzialista o politico per ore, spargendoci in mezzo citazioni di professoroni stranieri come se avesse sempre in tasca una manciata di coriandoli conservati apposta per impressionare il suo interlocutore.
Non è stupido e, soprattutto, lui stesso non si considera tale. E’ un intrattenitore nato, e il suo rischio maggiore è diventare un giullare di corte.
“So che non vuoi abbattere questo mio primo passo verso la conquista del mondo” mi dice, sorridendo abbastanza da far spuntare le sue adorabili fossette ai lati della bocca: “ma penso sia il momento di decidere cosa fare, anche riguardo al fatto che molto probabilmente partirò.”
Annuisco, abbassando il capo a mia volta per non perdere il suo contatto visivo.
“Non ci piacciamo più come un tempo, Sami. Questo è palese.”
Lui sbuffa, sbarrando gli occhi e rizzando la schiena. L’ombrello si muove abbastanza da non coprirmi più le spalle, che in poco tempo si bagnano come se fossi sotto alla doccia.
La faccia di Giuditta mi compare in testa con la stessa potenza e repentinità di uno schianto automobilistico frontale.
“A me piaci allo stesso modo, ma ho notato che ci infastidiamo a vicenda più del solito” mi confessa.
La pioggia si sta infittendo, ormai è simile a un’orda di gavettoni semi-ghiacciati.
“Ti sei comportato male con me, ieri” gli rispondo, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
“Per Vincenzo e gli altri?”
“Mi hai mentito e hai manipolato a tuo piacimento una delle poche giornate nelle quali mi è permesso uscire da ‘sto paesino del cazzo.”
“Se vado a Zaricci non posso non salutarli. Per coincidenza c’era tutto il gruppetto e ci hanno invitato da loro, ma neanche io mi aspettavo che monopolizzassero la nostra gitarella.”
Faccio spallucce. Mi sembra sincero.
“Non è una novità che ti metti prima di me, Sami, e mi va bene così. Questa volta però avrei voluto vedere un po’ di polso. Hai sempre questa voglia di dimostrare che non te ne fotte niente di cosa pensa la gente, ma ieri hai solo confermato che ci tieni troppo a farti piacere da tutti.”
“Che ti devo dire, io mi ci vedo troppo con loro. Sono il mio tipo di gente.”
Lo guardo con fare dubbioso, dato che sembra andarne fiero. Se ne accorge, tant’è che si sente in dovere di rettificare la sua affermazione: “non sono persone perfette, lo so. Però lo capisci, stare nelle loro grazie è come essere una celebrità. E non ti mento, Christian, a Cordello è stato troppo facile raggiungere la vetta.”
“Perché ti interessa così tanto la popolarità?” gli chiedo, schiettamente.
Lui rimane di nuovo a bocca aperta, facendo mente locale.
Sa la risposta. Nessuno conosce Sami come Sami perché Sami si considera ‘oh-così-interessante’ per non aver analizzato a fondo ogni singola sfaccettatura della sua ‘oh-così-interessante-psicologia’.
“Mi piace sentirmi apprezzato, dai. Se qualcosa va male, mi conforta sapere che la gente mi riconosce e mi apprezza.”
“Pensi che loro ti apprezzino?”
“Tu pensi di no?”
Sbuffo: “non era quello il punto.”
“Quale era? Schernirmi?”
“Farti capire che hai priorità fragili.”
Lui mormora qualcosa sottovoce, prima di estrarre il suo pacchetto di Marlboro dalla tasca.
“Cosa?”
“Io almeno ho delle priorità. Tu ti deprimi e basta” ripete, con un tono così forte che potrebbe spaccare un vetro.
“Beh, facile a dirsi per Sami Cucchi, cazzo. Io non ho niente.”
“Vedi? Lo stai facendo perfino ora!” mi risponde, scaldandosi e cominciando a gesticolare. Estrae due stizze dal pacchetto, e me ne passa una: “come se tu fossi l’unico sfigato del pianeta.”
“Non ho le opportunità che molti di voi hanno, c’è poco da negare.”
“Siamo tutti bloccati in questo buco di merda, Christian. Smettila di usare la facciata dell’essere povero per non affrontare i tuoi problemi!”
“Parli come se tu li affrontassi. Li ignori e basta” dico, alzando la voce a mia volta.
“Ma cosa cazzo stai dicendo?”
Le sue sopracciglia sono così inclinate da farlo sembrare un personaggio personalizzato della Wii.
“Dai, Sami, la tua casa potrebbe andare in fiamme e saresti comunque lì che sborri sul letto perché la tua foto ha raggiunto trecento likes su Instagram. Sei così preso dall’apparire che non senti più un cazzo.”
“Sei tu quello che non sta vivendo, non provare neanche a ribaltare i tuoi problemi su di me” mi urla addosso, puntandomi il dito sul petto con una violenza gestuale senza precedenti: “se sei uno sfigato che non fa assolutamente niente per cambiare la sua situazione è solo e soltanto colpa tua. Non di tua mamma, non di Cordello, non mia. Tua.”
“Non posso fare niente, è quello il punto. E l’unica volta che potevo fare qualcosa e mandare curriculum in giro hai deciso di fare da cagnolino a quel branco di sfigati del cazzo che ti tengono lì solo perché li diverti.”
“Se non te lo avessi proposto, tu manco avresti considerato andare a Zaricci.” Sta usando un tono di sufficienza molto fastidioso, ma ci stiamo aggredendo come due bambini che vogliono usare lo stesso gioco all’asilo, quindi penso sia lecito.
“Beh, non è la prima meta che mi viene in mente quando chiedere soldi ai miei è già un’impresa di per sé.”
“Non dire boiate, Christian. Li hai chiesti, te li hanno dati. Fatto sta che non è possibile che tu sia sempre così passivo, che siano sempre gli altri a spingerti da una parte all’altra. Dov’è l’iniziativa?” mi chiede, esasperato.
Rimango in silenzio, col collo un po’ spezzato. Mi osservo un buco nei pantaloni, in mezzo alla coscia destra.
“Se davvero la tua priorità fosse andartene da qui, staresti lavorando da mesi. Faresti il cameriere mega depresso o il fattorino delle pizze super scorbutico, ma ti metteresti una bella cifra da parte. Il fatto che tre quarti di Cordello ha i soldi del papi e può sborrare per il proprio privilegio non ti giustifica dal fare l’italiano medio che si lamenta e basta. E venire qui, ad attaccare me dicendo che non affronto i miei problemi, permettimi, è ridicolo” continua, abbattendomi ancora di più.
Mi sento come se fossi nelle sabbie mobili.
“Io so perché lo fai” conclude.
Inclino il capo, trattenendo le lacrime. Lo guardo, e vorrei incenerirlo, ma l’acqua che circonda i miei occhi come per trasformarli in un arcipelago non mi permette di farlo.
Inspira profondamente dalla sua sigaretta, chiudendo gli occhi.
“E’ anche il motivo per cui ti trovo interessante” aggiunge, come per incuriosirmi ancora di più.
Butto via il mozzicone di sigaretta, che si annacqua ancor prima di toccare il fango attorno a noi.
“E’ che conservi sempre gli scontrini” confessa, in un modo così semplice e naturale che sento un tumulto sprigionarsi tra i miei polmoni: “pensavi non me ne fossi accorto, vero?”
Nego, passandomi il polso sugli occhi per asciugarmeli.
“Li tieni in quell’agendina nera in camera tua, come se così facendo potessero essere belli come i fiori appassiti che si schiacciano tra le pagine di un diario.”
Non pensavo si accorgesse di come gelosamente rubassi dalle sue mani ogni pezzettino di carta che compariva durante le nostre uscite; lo trovavo sempre troppo impegnato a parlare di qualcosa che gli era successo o a osservarsi allo specchio per sistemarsi i capelli.
“Amo questo di te, Christian. Riesci a scovare il mondo all’interno di ogni minuscolo dettaglio. Ma lo odio allo stesso tempo, cazzo, perché prendi tutto troppo sul serio. Ti struggi su qualsiasi cosa, e sta diventando pesante. Mi innervosisce, rimani bloccato nella tua testa a osservare il tempo che passa invece di rimboccarti le maniche e smetterla di dare la colpa ad ogni cosa che ti circonda per i tuoi fallimenti.”
Non so cosa dire, quindi mi chiudo. Appoggio il busto sullo schienale della panchina, e inclino la testa all’indietro per bagnarmi la faccia.
“Vuoi venire da me?” gli chiedo.
Io e Sami potremmo essere opposti, non andare per niente d’accordo e avere pareri diversissimi su tutto, ma quel sorrisetto complice mi fa capire che non è un problema.
 Ondeggio la testa, con i timpani ipnotizzati dalla musica e gli occhi impegnati a rimanere chiusi.
Il buio lascia sfogo all’immaginazione; riesco a sentire i colori, letteralmente. E’ come se riuscissi ad assegnare a ogni tonalità un suono specifico.
Forse mi sto trasformando. Voglio solo rimanere in questo chiaroscuro mentale, nel fresco della mia carovana di pensieri rumorosi, che si inseguono così velocemente da rendermi faticoso tenere il ritmo.
La catapecchia nella quale mi trovo diventa più graziosa, calda, accogliente, così come il temporale fuori dalla finestra sembra mutare in qualcosa di più piacevole e silenzioso.
Percepisco il contatto delle dita di Sami sul mio petto nudo: i miei peli si rizzano, ritorna la pelle d’oca.
Lo guardo in faccia, stralunato. Appena incrocia il mio sguardo, ride. Ride in modo stanco, pacato, ma comunque naturale.
“Sei fatto” decreta, con due occhi così rossi che, prendendo in considerazione le pupille, sembrano due coccinelle. Nego scuotendo il capo, pensando alla possibile faccia dei miei se entrassero d’improvviso nella mia mansarda: loro figlio con una canna tra le mani, nudo, a farsi un ragazzo più fuori di lui.
Sembra quel momento magico della festa di Giuditta, quando la gente se n’è andata, o sta collassando nei luoghi più disparati, e tu rimani sveglio con la persona che ti interessa, completamente preso dal momento, consapevole di essere uno scheletro tra altri scheletri, tanto inutile quanto potenzialmente fallibile. Sai che manca poco a quel secondo in cui gli occhi li chiuderai per almeno tre o quattro ore, ma pur pensandoci costantemente riesci a fare lo sprint finale per goderti quel che rimane di una giornata che ti ha insegnato tanto e, potenzialmente, cambiato tutto.
Concentrandomi soltanto sulla pressione dell’indice di Sami sulla mia guancia, chiudo gli occhi, e decido di cancellare il mondo là fuori.
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Sondaggio: 19 Giugno, 6:00 PM
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young-brave-blood · 5 years
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Matt Haig, Vita su un pianeta nervoso.
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porzionipiccole · 4 years
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Sarai felice quando prenderai bei voti. Sarai felice quando andrai all'università. Sarai felice quando andrai all'università giusta. Sarai felice quando troverai un lavoro. Sarai felice quando otterrai un aumento. O una promozione. Sarai felice quando riuscirai a metterti in proprio. Sarai felice quando diventerai ricco. Sarai felice quando comprerai un uliveto in Sardegna. Sarai felice quando qualcuno ti guarderà in un certo modo. Sarai felice quando avrai una storia d'amore. Sarai felice quando ti sposerai. Sarai felice quando avrai figli. Sarai felice quando i tuoi figli saranno esattamente il tipo di bambini che vuoi tu. Sarai felice quando te ne andrai di casa. Sarai felice quando comprerai una casa. Sarai felice quando finirai di pagare il mutuo. Sarai felice quando avrai un giardino più grande. In campagna. Con dei vicini simpatici che ti inviteranno alle grigliate nei sabati soleggiati di luglio, mentre i bambini giocano insieme nella brezza tiepida. Sarai felice quando canterai. Sarai felice quando canterai di fronte a un sacco di pubblico. Sarai felice quando il tuo primo album vincitore di un Grammy arriverà in vetta alle classifiche di trentadue paesi, compresa la Lettonia. Sarai felice quando scriverai. Sarai felice quando verrai pubblicato. Sarai felice quando verrai ripubblicato. Sarai felice quando il tuo libro diventerà un bestseller. Sarai felice quando il tuo libro sarà al primo posto nelle classifiche di vendita. Sarai felice quando ne trarranno un film. Sarai felice quando ne trarranno un grande film. Sarai felice quando sarai J. K. Rowling. Sarai felice quando piacerai alla gente. Sarai felice quando piacerai a più gente. Sarai felice quando piacerai a tutti. Sarai felice quando la gente sognerà di te. Sarai felice quando avrai un bell'aspetto. Sarai felice quando farai girare la testa. Sarai felice con una pelle più liscia. Sarai felice quando avrai la pancia piatta. Sarai felice quando avrai l'addome scolpito. O meglio ancora la tartaruga. Sarai felie quando ogni tua foto avrà diecimila like su Instagram. Sarai felice quando avrai trasceso le preoccupazioni terrene. Sarai felice quando sarai tutt'uno con l'universo. Sarai felice quando sarai l'universo. Sarai felice quando diventerai un dio. Sarai felice quando sarai il re di tutti gli dei. Sarai felice quando sarai Zeus. Tra le nubi sopra il monte Olimpo, a dominare i cieli. Forse. Forse. Forse
Matt Haig, Vita su un pianeta nervoso
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