Tumgik
#racconto pirandelliano
app-teatrodipisa · 4 years
Text
9 marzo 2020 — Yuri Lari
“Non so quale era il sogno più importante o irrealizzabile: uscire e riflettermi in quell’oblò o divenire scrittore di qualche riga strampalata e sgrammaticata”. Questo volevo scrivere da qualche parte nel mio racconto che avevo intenzione di scrivere. Volevo sembrasse un falso autentico come il “ De secretum” di Petrarca. Fa un po' meno ignorante ma non impegna.
E’ passato qualche anno da quel periodo così alienante, allucinante e strano che sembrava non finisse mai. Quell’anno esisteva pure il 29 febbraio, come se il mese non fosse abbastanza lungo per quello per cui sarebbe stato ricordato nel futuro... e non lo dico perche sono suggestionato dal detto “ anno bisesto, anno funesto” ma per la preoccupazione di quello che stava succedendo attorno a me.
Come non fossero già abbastanza dilatati i minuti e le ore della mia vita quel giorno in più aumentava la percezione del tempo di percorrenza dello spazio e da tutto ciò da cui esso ci divideva, dalle cose più banali a quelle più importanti: da coloro che incontravo per strada nelle mie passeggiate, le persone semisconosciute che vedevo a fare spesa ai miei famigliari che non erano con me.
L’innominato decideva per noi... da piccolo avevo affrontato diversi nemici: il buio.. il mio essere blu oltremare e a volte essere il finisterrae delle mie proiezioni future.. i miei sogni difficili da realizzare ma provare a continuare a sognare di arrivarci.
Volevo fare lo scrittore. Oggi si potrebbe parlare del fenomeno di sospensione della credulità.
In quel periodo che a volte percepisco come passato da poco o ancora presente e a volte lontanissimo, avevo scritto un piccolo inizio di racconto, una cosa in cui ero specializzato, come diceva pure Margherita, la protagonista del racconto di Stefano Benni “ Margherita Dolcevita”... iniziavo sempre qualcosa quando avevo la smania dei pensieri, il prurito alle mani, il battito accelerato perchè con le dita non riuscivo a tenere il tempo al cervello e al mio quinto.. sesto.. forse anche settimo chakra.. vabbè .. fa sempre molto figo mettere questi temi da medicina tradizionale cinese..
Mi ricorda anche un racconto di Natalia Ginzburg dove racconta, attraverso uno dei suoi personaggi, che quando era bambina, a scuola scriveva poesie un po naif chededicava alla sua migliore compagna di classe e poi al suo “fidanzatino” e che condivideva con la prima.
Anche se non erano opere da Nobel sentiva dentro di sé di avere un poco di talento visionario che gli altri o meglio, le altre non avevano.
Quel piccolo palco che era il suo banco era tutto suo, e aveva la platea ad ascoltarla che era seduta comodamente e in ordine sulle poltroncine delimitate dalle righe del quaderno.
Il proemio ci doveva essere.. e l’esclamazione “Oh” era universalmente riconosciuta come la più giusta per iniziare un verso o un discorso.
“ Oh, come Ciaùla mi sento adesso e come Ciaùla mi sentirò quando uscirò al più presto da questa miniera di zolfo che è divenuta la casa dove mi trovo adesso. La planimetria di questa casa è divenuto lo spazio in cui respirano le mie idee, i miei pensieri,
le mie sensazioni e i miei stati d’animo. Le pareti di questa casa sono divenute gli schermi dove proietto i miei ricordi vissuti prima di chiudermi in questa prova di clausura. E’ una proiezione con tanti intervalli fatti di musica, di chiacchiere e abbracci con il mio compagno, di scatti improvvisi come un lèmure per guardare da quale direzione provengono certi rumori sentiti là fuori”
Diciamo che qui mi ero sentito un po' verista e un po' pirandelliano.. fanno sempre molto haute couture. All’ultimo verso mi ero un po' vergognato e come diceva sempre il mio maestro di recitazione “ quando usciamo dalla motivazione diciamo cose che non c’entrano nulla”... grazie!!!
Il giorno dopo mi sembrava di avere un piccolo rimasuglio di ispirazione e la scatoletta di tonno che presi per preparare il mio pranzo mi fece venire a mente l’estate quando la uso per preparare la panzanella o l’insalata di farro. Passò del tempo. Decisi di mangiare altro quando finito di scrivere qualcuno portò a casa lasagne al ragù dalla gastronomia.
“Le proiezioni sono interrotte da continui piccoli momenti di distrazione cercati nel silenzio del panorama che non ha barriere e nel cui abbraccio, cerco il ricordo delle risate avvenute con i miei amici. Mi ricordo il rumore del sale e dell’acqua dell’estate scorsa.
Mi ricordo immagini bagnate del mio corpo appena uscito dal mare.
1 note · View note
abatelunare · 7 years
Text
Come volevasi dimostrare
Quando i ladri presero la città, il popolo fu contento, fece vacanza e bei fuochi d’artifizio. La cacciata dei briganti autorizzava ogni ottimismo e i ladri, come primo atto del loro governo riaffermarono il diritto di proprietà. Questo rassicurò i proprietari più autorevoli. Su tutti i muri scrissero: «Il furto è una proprietà» Leggi severe contro il furto vennero emanate e applicate. A un tagliaborse fu tagliata la mano destra, a un baro la mano sinistra (che serve per tenere le carte), a un ladro di cappelli la testa. Poi si sparse la voce che i ladri rubavano. Dapprincipio, questa voce parve una trovata della propaganda avversaria e fu respinta con sdegno. I ladri stessi ne sorridevano e ritennero inutile ogni smentita ufficiale. Tutto parlava in loro favore, erano stimati per gente dabbene, patriottica, ladra, onesta, religiosa. Ora, insinuare che i ladri fossero ladri sembrò assurdo. Il tempo trascorse, i furti aumentavano, un anno dopo erano già imponenti e si vide che non era possibile farli senza l’aiuto di una grossa organizzazione. E si capì che i ladri avevano quest’organizzazione. Una mattina, per esempio ci si accorgeva che era scomparso un palazzo del centro della città. Nessuno sapeva darne notizia. Poi sparirono piazze, alberi, monumenti, gallerie coi loro quadri e le loro statue, officine coi loro operai treni coi loro viaggiatori, intere aziende, piccole città. La stampa, dapprima timida, insorse: sparirono allora i giornali coi loro redattori e anche gli strilloni, e quando i ladri ebbero fatto sparire ogni cosa, cominciarono a derubarsi tra di loro e la cosa continuò finché non furono derubati dai loro figli e dai loro nipotini. Ma vissero sempre felici e contenti.
 Nota. I compilatori di un libro di lettura per le scuole elementari mi avevano chiesto una favola arguta per bambini dai sette ai dieci anni. Ho inviato loto questa favola, l’hanno respinta cortesemente, dicendo che «non era adatta». Forse non è una favola arguta. O forse non è nemmeno una favola.
   Ennio Flaiano stesso ha definito Favola arguta questo suo mini-racconto, intitolato I ladri. Il che, conoscendo l’autore, è per se stesso una provocazione. La favola, si sa, è una narrazione a carattere fantastico che spesso contiene una morale, un insegnamento da applicare possibilmente al proprio vivere quotidiano. Mentre l’aggettivo arguto allude a qualcosa di sottile e di penetrante, accezioni che possono sicuramente essere applicati allo scrittore abruzzese. Ora, i ladri tutto è fuor che una favola. Ma allora cos’è? Un’allegoria no di sicuro, perché qui di significati nascosti non c’è l’ombra. E c’è ben poco da leggere fra le righe. Nemmeno si tratta d’una metafora, visto che, pur non alludendo a nessuna nazione in particolare, quanto viene raffigurato presenta una certa concretezza. Nel senso che racconta eventi in qualche modo verificabili. Ecco, potrebbe essere una parodia, o meglio l’estremizzazione di una situazione. I ladri conquistano una città sui generis − della quale si tace il nome perché, a conti fatti, non è importante che la si individui – cacciando i briganti. Il che sa di paradosso: come dire, un farabutto che caccia un malandrino. Popolazione e proprietari fan festa. Poi scatta la parodia: il governo dei ladri legifera contro il furto. Flaiano parodizza, o meglio rovescia, il motto che rese celebre il francese Pierre-Joseph Proudhon. Da La proprietà è un furto si passa a Il furto è una proprietà. In questo modo, si crea una situazione dal sapore pirandelliano. I ladri, la cui ragion d’essere è rubare, legiferano contro il furto e si propongono come persone oneste. Nessuno pensa che possano rubare. Eppure i furti aumentano, e sono loro a organizzarli. Fino a che il serpente finisce per mordersi la coda. Gli intenti satirici di questa favola arguta – che oltretutto si conclude con la chiusa favolistica tipica: Ma vissero sempre felici e contenti (attenti a quel ma, che la dice lunga…) – sono fin troppo evidenti. La sua implacabile attualità non può certo sfuggire a un lettore contemporaneo, soprattutto considerando la situazione del nostro paese. (Ricordiamoci, fra parentesi, che fu proprio Flaiano a dichiarare, in tempi per noi non sospetti, la situazione in Italia è grave ma non è seria; il che la dice tutta e anche di più). Il colpo di grazia, Flaiano lo infligge nella Nota, dove in pratica racconta come e perché I ladri è stata scritta. Lasciamo perdere che sia più o meno adatta a un libro di letture per le scuole elementari. Quel che conta sono le ultime due frasi: Forse non è una favola arguta. O forse non è nemmeno una favola. Come volevasi dimostrare.
11 notes · View notes
becomixdatabase · 4 years
Text
[Imbroglio! Imbroglio! E altre divagazioni](https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/ "https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/")
Il 2019 è stato dominato da una narrazione: Multiforce di Brinkman è il fumetto weird fantasy (ovvero dove i canoni stilistici del fantasy vengono scardinati) più influente pubblicato lo scorso anno. Al di là della delusione nel leggerlo la prima volta (ne avevo sentito così tanto e magnificamente parlare per poi trovarmi con della massa enorme di carta quasi illeggibile), Multiforce ha un affascinante “stile” fine a sé stesso che va contestualizzato nella ribellione di Fort Thunder. Sinceramente vi lascio tenere a voi le pesanti “museum edition” in cui la “cura editoriale” si basa su carta spessa e copertina rigida da comprare a cifre ridicolmente alte, mentre la cura del contenuto è piuttosto trascurata. Io piuttosto, che sono una cavalla golosa di storie, personaggi costruiti bene, colpi di scena, battute sagaci, giochi di parole, collegamenti temporali comprensibili solo nella lettura incrociate di albi diversi, quando ho voglia di un bel weird fantasy, dalla libreria mi prendo il Donjon di Trondheim e Sfar. (O Cerebus di Dave Sim, ma non divaghiamo). Su quanto sia stato influente, abbiamo varie prove a disposizione. Una di queste è Adventure Time.
Di certo non sono opere che si possono paragonare. Multiforce è stato autoprodotto nella fabbrica occupata di Fort Thunder, una ventina di pagine grezze, sporche e sconclusionate (com’è giusto che siano). Mat Brinkman ha inventato un sentire del fantasy, mischiando estetica punk ed evasione da bad trip a nuovi sotterranei da esplorare. Il Donjon invece è un grande progetto editoriale che ha visto al centro due delle grandi voci della nouvelle vague fumettistica francese (Sfar & Trondheim) e che ha coinvolto una miriade di autori (tra cui citiamo Blanquet, Larcenet, Blain, Killofer, Carlos Nine, ecc ecc). Il punto di vista narrativo (almeno in Zenith) è capovolto rispetto a quello di Dungeons & Dragons: non si parla di avventurieri in manieri, ma del proprietario del maniero che si arricchisce tramite malcapitati e idioti avventurieri. Di questo grande progetto se n’è sentito parlare poco, nonostante sia recentemente ripubblicato un volume per Bao Publishing (La Fortezza, – precedentemente dei volumi erano stati pubblicati da Magic Press e Phoenix). Per concludere: non seguite le narrazioni della promozione del fumetto, perché niente è vero e tutto è permesso.
Rimangono tuttavia delle domande: perché, nonostante l’importanza e l’attesa di molti, se ne sta parlando così poco? Perché non è stato presentato come grande saga fantasy, ormai un classico in Francia, dai diversi ordini di lettura come i grandi romanzi modernisti del Novecento? Uscirà mai la traduzione del gioco di ruolo? Beh, penso proprio di no. Ragazzi, imparatevi le lingue e prendetevi i fumetti in originale. Ogni tanto, quando si fatica, si guadagna in comprensione.
Ma lasciamo perdere le polemiche e seguiamo la buona pratica di M.T. “fumetti come gli I ching”. Prendo un Donjon a caso – l’ordine di uscita in cui è andato ormai da tempo. Non guardo che quale albo ho preso e a occhi chiusi apro il volume. Esce la quinta tavola del primo numero della serie Crépuscule, Il cimitero dei draghi, disegnato da Sfar e colorato da Walter.
Chi ha letto l’albo, ha già visto nelle prime pagine una fortezza diversa, cupa, decisamente più lugubre rispetto alla “spensieratezza” dell’epoca del guardiano. Marvin il Rosso è anziano e cieco, viene chiamato dalle guardie Re Polveroso. Di Herbert neanche l’ombra. Questo primo numero, uscito grossomodo contemporanee a Zenith, pone un pesante fardello sul destino dei protagonisti. Il flashforward crea una prospettiva tragica i protagonisti dell’epoca Zenith. Chi si legge tutta la serie Zenith di seguito, quindi non in ordine di uscita degli episodi, perde, nella lettura, i rimandi temporali e le conseguenti prospettive.
Torniamo al Cimitero dei draghi. Il re polveroso vuole abbandonare la sua grotta. «Perfetto», dice Shiwømiz, «sente che sta per morire e vuole tornare al cimitero dei draghi.» (Chi avrà inventato il nome Shiwømiz, Sfar o Trondheim?) Shiwømiz ordina alla guardia di seguire il Re Polveroso fino a quel luogo leggendario per profanare le loro tombe, pe fare in modo che gli antichi draghi non tornino mai più. Ed eccoci alla tavola quinta. Nove vignette divise in tre strisce. Tre, come le strofe di un haiku.
Prima striscia: monologo di Shiwømihz, sa che non può fidarsi della guardia che ha mandato, e chiama un altro servitore, Golgoth. In due vignette Shiwømihz è rappresentato di spalle, mentre in quella centrale di fronte. La vignetta centrale è l’unica che ha come punto di fuoco l’esterno.
Seconda striscia: arriva Golgoth; Shiwømihz gli ordina di seguire i servitori e ucciderli una volta che arrivano al cimitero; nella terza vignetta della striscia Shiwømiz medita se mandare qualcuno dietro Golgoth. Da segnalare come sia l’ombra a creare la plasticità di Golgoth.
Terza striscia: Shiwømihz viene chiamato dal Supremo Khan (che ancora non sappia chi o cosa sia). Quest’ultimo, che non si vede, solo il balloon viene da sgangherate scale, domanda se ci sono novità a proposito del Re polveroso. Shiwømihz mente. A decorare il muro sopra le scale un sole nero. Sfar è troppo colto per non conoscerne i riferimenti all’ano solare di Bataille (che ritroviamo anche ne Il Bambino di Dio dei Nishioka) o allo Schwarze Sonne, la runa del sole nero. Però ce l’ha ficcata. Da notare ancora che l’ultima vignetta si chiude con una menzogna.
Questa è una tavola di imbrogli. Ripeschiamo quindi Imbroglio di Trondheim edito da ProGlo e citiamo dalla postfazione di Raffaele Ventura. In francese, la parola “imbroglio” non ha il significato primario di quello che intendiamo con imbroglio in italiano. Si pronuncia imbroghliò e indica un groviglio narrativo, una macchinazione complicata o una trama confusa. […] Dal punto di vista dei difensori del teatro classico contro le derive barocche di un Shakespeare o di un Lope de Vega, un imbroghliò è un cattivo intreccio. E così torniamo al fumetto di Trondheim, che sicuramente da questo punto di vista, programmaticamente, è caratterizzato da un “cattivo intreccio”. Il portare all’estremo stratagemmi, colpi di scena, e altre meccaniche della narrazione è una delle caratteristiche della narrazione di intelletto di Trondheim, che si contrappone a quella più lunare (emotiva, romantica) di Sfar.
La forza del Donjon risiede proprio in questa incredibile sinergia, una sintesi maggiore delle due parti. Se Trondheim tuttavia è un autore che si spinge nei reami della sperimentazione selvaggia e lo stesso Sfar filtri le sue storie con la sua particolare sensibilità filosofica, i due non hanno mai dimenticato, anzi, hanno usato le proprie armi a favore della storia, servendo fedelmente i propri personaggi – assurdi, idioti, coraggiosi, pavidi – non per il lettore, ma per il racconto. Questi due elementi (personaggi e intreccio narrativo) non sono mai stati trascurati nella nouvelle vague francese.
Forse è troppo sostenere che questa quinta tavola possa essere letta di per sé, slegata dal resto del volume. Ma sicuramente la tavola ha un inizio e una conclusione narrativa: il primo imbroglio contro il re Polveroso, il secondo imbroglio contro la guardia, e il terzo imbroglio verso il Gran Khan. Una serie di sotterfugi che tuttavia smascherano con umorismo e astuzia al lettore il cuore mendace di Shiwømihz, in poche vignette. È questo il Donjon, umorismo e astuzia. Ma non l’umorismo del “meme gnegnegne”, piuttosto quello pirandelliano: un processo di riflessione critica, che scandaglia e smaschera l’imbroglio più grande, quello della maschera delle persone/personaggi.
Le Cimetière des dragons – Donjon Crépuscule 101 Joann Sfar e Lewis Trondheim Delcourt
L'originale è stato pubblicato su [https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/](https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/ "Permalink")
original post
0 notes
tmnotizie · 5 years
Link
PORTO SAN GIORGIO – Enrico Lo Verso, dopo dieci anni di assenza dalle scene, tre anni fa scelse di tornare a teatro per dar corpo e voce ai personaggi di uno dei più celebri romanzi del suo conterraneo Luigi Pirandello, Uno nessuno centomila, nell’adattamento proposto e diretto da Alessandra Pizzi (che ne è anche la produttrice, con la sua Ergo Sum).
A tre anni dal debutto (il 29 luglio 2016 a Lecce), dopo 400 repliche nei più importanti festival e teatri nazionali ed internazionali e oltre 350.000 spettatori, lo spettacolo con cui l’attore palermitano e la regista salentina rendono omaggio ad uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi, portando in scena la sua opera chiave, arriva a Porto San Giorgio dove andrà in scena nel prezioso scenario di Rocca Tiepolo.
L’appuntamento, organizzato con il patrocinio del Comune di Porto San Giorgio, è in programma lunedì 19 agosto, con ingresso alle ore 20.30 e inizio alle ore 21.00. 
Acclamato dalla critica e dal pubblico soprattutto dei più giovani, lo spettacolo, che da oltre un anno sta percorrendo l’Italia in una lunga e fortunata tournée che sino ad ora ha registrato il sold-out quasi ovunque, ha di recente ricevuto a Busto Arsizio il “Premio Delia Cajelli per il Teatro”, nell’ambito della Seconda Edizione delle Giornate Pirandelliane promosse dall’associazione Educarte in collaborazione con il Centro Nazionale Studi Pirandelliani di Agrigento. Nella scorsa stagione, invece, ha vinto il Premio Franco Enriquez per la migliore interpretazione e la migliore regia.
Uno nessuno centomila è l’adattamento teatrale della storia di un uomo che sceglie di mettere in discussione la propria vita a partire da un dettaglio minimo, insignificante. Il pretesto è un appunto, un’osservazione banale che viene dall’esterno. I dubbi di un’esistenza si dipanano attorno ad un particolare fisico. Le cento maschere della quotidianità lasciano il posto alla ricerca del Sé autentico, vero, profondo.
L’ironia della scrittura rende la situazione paradossale, grottesca, accentua gli equivoci. La vita si apre come in un gioco di scatole cinesi e nel fondo è l’essenza: abbandonare i centomila per cercare l’uno, a volte può significare fare i conti con il nessuno. Ma forse è un prezzo che conviene pagare, pur di assaporarla, la vita.
“Avrei voluto che Pirandello fosse vivo – spiega Alessandra Pizzi- per mostrargli la grandezza della sua parola e l’attualità del suo pensiero che immobilizzano il pubblico ad ogni spettacolo e chiedergli se fosse mai stato consapevole delle conseguenze che avrebbe potuto produrre la tumultuosa portata di quel suo messaggio. Di qui l’idea di una nuova ed originale messa in scena volta a rendere la perennità del pensiero pirandelliano, l’atemporalità del protagonista uomo di ieri, di oggi, di domani”.
In forma di monologo, il testo è affidato al racconto e alla bravura interpretativa di Enrico Lo Verso che, dopo anni di assenza dal teatro, è tornato sul palcoscenico per dar vita ad un contemporaneo Vitangelo Moscarda, l’uomo “senza tempo” e ai personaggi del romanzo pirandelliano, in un allestimento minimale ma mutevole in ogni contesto. Una sorta di seduta psicoterapeutica da cui si viene irrimediabilmente attratti, per affondare le mani nella propria mente, inconsapevoli degli scenari che potrebbero aprirsi.
“Non volevo fare teatro -dichiara Lo Verso-perché mi annoiava, troppo pieno di gente che piuttosto che dare al pubblico prende. Così quando Alessandra Pizzi (che non conoscevo) mi ha proposto lo spettacolo, le ho detto: no, grazie. Mi ha convinta con questa determinazione a mettere in scena un monologo, tratto addirittura da un libro. Ho letto il testo è ho sentito che, almeno per senso del dovere, andava fatto. Non mi viene mai di dire vado in Puglia, ma torno in Puglia. La sento la mia casa. E’ qui che tre anni fa questo progetto ha preso forma“. 
“Obiettivo è raccontare al pubblico il valore di un testo classico e la sua funzione di insegnamento perenne. In tre anni di tournèe abbiamo raccolto testimonianze di giovani spettatori che dopo aver visto lo spettacolo, hanno scelto di laurearsi con una tesi su Pirandello,o di librerie cittadine che giorni prima della messa in scena hanno venduto tutte le scorte (e i riassortimenti) del romanzo. Perché se il teatro non ha la presunzione di insegnare nulla a nessuno, deve almeno tendere a creare occasioni di riflessione” dice Alessandra Pizzi.
Per informazioni 3279097113. La prevendita è disponibile online sul sito www.ciaotickets.com oppure c/o PREVENDITA:
TABACCHERIA MASCITELLI Via Andrea Costa, 270, Porto San Giorgio (FM) +39 0734 675665
RICEVITORIA MONTERUBBIANESI Prevendita Autorizzata Ciaotickets, Corso Giuseppe Garibaldi, 147, Porto San Giorgio (FM) +39 0734 677769
TABACCHERIA LANCIOTTI SIMONE Prevendita Autorizzata Ciaotickets Via U. Foscolo, 19 – Porto San Giorgio (FM) +39 0734 674153
MNGUS DISCHI Prevendita Autorizzata Ciaotickets Via Bruno Buozzi, Porto San Giorgio (FM) +39 0734 300022
0 notes
Questa sera si recita a soggetto a Genova
Mercoledì 6 dicembre alle ore 20.30 debutta al Teatro della Corte “QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO” di Luigi Pirandello. Lo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano è interpretato da Patrizia Milani, Carlo Simoni e da (in ordine alfabetico) Emanuele Cerra, Karoline Comarella, Corrado d’Elia, Alessio Dalla Costa, Andrea Deanesi, Stefano Detassis, Sabrina Fraternali, Jacopo Giacomoni, Paolo Grossi, Sebastiano Kiniger, Alessandra Limetti, Marta Marchi, Max Meraner, Antonella Miglioretto, Giampiero Rappa, Giovanna Rossi, Irene Villa, Riccardo Zini, diretti da Marco Bernardi. La scena è di Gisbert Jaekel, i costumi sono di Roberto Banci, le luci di Massimo Polo. “QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO” è la terza commedia del trittico pirandelliano sul teatro nel teatro, la più autoironica. Il capitolo finale che corona la sua rivoluzione teatrale, scritto da un Pirandello in versione “cervello in fuga” mentre si trovava in Germania nel 1929. Mentre il pubblico del teatro attende che cominci lo spettacolo, da dietro il sipario si sente un vociare sempre più agitato. A discutere sono il regista e gli attori che non trovano un punto d’incontro sul modo di rappresentare la commedia tratta dalla novella di Pirandello Leonora, addio! Il carismatico regista Hinkfuss vuole costruire il racconto attraverso l’improvvisazione recitativa inquadrata in rigide strutture formali, ma gli attori obbiettano che così facendo, i sentimenti dei personaggi finirebbero con l’essere soffocati e il loro talento interpretativo verrebbe enormemente sminuito. In un vorticoso gioco di teatro nel teatro in cui si passa dal tono della commedia a quello del melodramma, sfiorando anche la tragedia, l’autore premio Nobel per la letteratura, dà vita ad una spassosa disputa fra l’importanza del testo e la messa in scena, tra il lavoro dell’autore e quello degli attori chiamati a dare vita al suo mondo. Un divertimento caoticamente organizzato che è anche un J’Accuse graffiante ed ironico nei confronti dei neonati sistemi registici, rei, secondo Pirandello, di tenere in ben poca considerazione il testo. “QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO” debutta i6 dicembre e rimane alla Corte fino a domenica 10 dicembre. Lo spettacolo è in scena dal mercoledì al sabato alle ore 20.30, domenica alle ore 16. La recita del giovedì inizia alle 19.30. Per informazioni: teatrostabilegenova.it o archivolto.it http://dlvr.it/Q3p6GN
0 notes
lamilanomagazine · 3 years
Text
Sassari, il 16 settembre va in scena "Uno Nessuno Centomila" con Enrico Lo Verso, alla regia di Alessandra Pizzi
Tumblr media
Sassari, nell’ambito del Programma Sassari Estate 2021 arriva in città lo spettacolo UNO NESSUNO CENTOMILA con Enrico Lo Verso, per la regia di Alessandra Pizzi. Enrico Lo Verso, dopo dieci anni di assenza dalle scene, cinque anni fa scelse di tornare a teatro per dar corpo e voce ai personaggi di uno dei più celebri romanzi del suo conterraneo Luigi Pirandello, UNO NESSUNO CENTOMILA, nell’adattamento proposto e diretto da Alessandra Pizzi (che ne è anche la produttrice, con la sua Ergo Sum). A cinque anni dal debutto (il 29 luglio 2016 a Lecce), dopo 300 repliche nei più importanti festival e teatri nazionali ed internazionali e oltre 300.000 spettatori, continua la tournée dello spettacolo con cui l'attore palermitano e la regista salentina rendono omaggio ad uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi, portando in scena la sua opera chiave. Acclamato dalla critica e dal pubblico soprattutto dei più giovani, lo spettacolo nel 2018 ha ricevuto a Busto Arsizio il “Premio Delia Cajelli per il Teatro”, nell'ambito della Seconda Edizione delle Giornate Pirandelliane promosse dall'associazione Educarte in collaborazione con il Centro Nazionale Studi Pirandelliani di Agrigento. Nella 2017, invece, ha vinto il Premio Franco Enriquez per la migliore interpretazione e la migliore regia. UNO NESSUNO CENTOMILA, realizzato in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte di Pirandello, è l’adattamento teatrale della storia di un uomo che sceglie di mettere in discussione la propria vita a partire da un dettaglio minimo, insignificante. Il pretesto è un appunto, un’osservazione banale che viene dall’esterno. I dubbi di un’esistenza si dipanano attorno ad un particolare fisico. Le cento maschere della quotidianità lasciano il posto alla ricerca del Sé autentico, vero, profondo. L’ironia della scrittura rende la situazione paradossale, grottesca, accentua gli equivoci. La vita si apre come in un gioco di scatole cinesi e nel fondo è l’essenza: abbandonare i centomila per cercare l’uno, a volte può significare fare i conti con il nessuno. Ma forse è un prezzo che conviene pagare, pur di assaporarla, la vita. “Avrei voluto che Pirandello fosse vivo - spiega Alessandra Pizzi, per mostrargli la grandezza della sua parola e l’attualità del suo pensiero che immobilizzano il pubblico ad ogni spettacolo e chiedergli se fosse mai stato consapevole delle conseguenze che avrebbe potuto produrre la tumultuosa portata di quel suo messaggio. Di qui l’idea di una nuova ed originale messa in scena volta a rendere la perennità del pensiero pirandelliano, l’atemporalità del protagonista uomo di ieri, di oggi, di domani”. In forma di monologo, il testo è affidato al racconto e alla bravura interpretativa di Enrico Lo Verso che, dopo anni di assenza dal teatro, è tornato sul palcoscenico per dar vita ad un contemporaneo Vitangelo Moscarda, l’uomo “senza tempo” e ai personaggi del romanzo pirandelliano, in un allestimento minimale ma mutevole in ogni contesto. Una sorta di seduta psicoterapeutica da cui si viene irrimediabilmente attratti, per affondare le mani nella propria mente, inconsapevoli degli scenari che potrebbero aprirsi. “Obiettivo è raccontare al pubblico il valore di un testo classico e la sua funzione di insegnamento perenne. In questi anni di tournée abbiamo raccolto testimonianze di giovani spettatori che dopo aver visto lo spettacolo, hanno scelto di laurearsi con una tesi su Pirandello, o di librerie cittadine che giorni prima della messa in scena hanno venduto tutte le scorte (e i riassortimenti) del romanzo. Perché se il teatro non ha la presunzione di insegnare nulla a nessuno, deve almeno tendere a creare occasioni di riflessione” dice Alessandra Pizzi. UNO NESSUNO CENTOMILA sarà in scena il 16 settembre, sul palco di P.zza Monica Moretti, di Sassari, con inizio alle ore 21. L’evento si realizza, con il patrocinio del Comune di Sassari, nell’ambito della rassegna Sassari Estate 2021 biglietti acquistabili: - nei punti vendita Ciaotickets - online - A Sassari, presso POSTE E SERVIZI Viale Adua 2/d Read the full article
0 notes
lamilanomagazine · 3 years
Text
Sassari, il 22 agosto ritorna “Uno Nessuno Centomila”, lo spettacolo con Enrico Lo Verso
Tumblr media
Sassari, a cinque anni dal debutto, dopo oltre 300 repliche nei più importanti festival e teatri nazionali ed internazionali e oltre 300.000 spettatori, continua con successo la tournée dello spettacolo “Uno Nessuno Centomila” con Enrico Lo Verso per l'adattamento e regia di Alessandra Pizzi. Enrico Lo Verso, dopo dieci anni di assenza dalle scene, cinque anni fa scelse di tornare a teatro per dar corpo e voce ai personaggi di uno dei più celebri romanzi del suo conterraneo Luigi Pirandello, UNO NESSUNO CENTOMILA, nell’adattamento proposto e diretto da Alessandra Pizzi (che ne è anche la produttrice, con la sua Ergo Sum). A cinque anni dal debutto (il 29 luglio 2016 a Lecce), dopo 300 repliche nei più importanti festival e teatri nazionali ed internazionali e oltre 300.000 spettatori, continua la tournée dello spettacolo con cui l'attore palermitano e la regista salentina rendono omaggio ad uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi, portando in scena la sua opera chiave. UNO NESSUNO CENTOMILA sarà in scena domenica 22 agosto sul palco del Cortile dell’Istituto Comprensivo “Farina San Giuseppe” di Sassari, con inizio alle ore 21. L’evento si realizza, con il patrocinio del Comune di Sassari, nell’ambito della rassegna Sassari Estate 2021. Acclamato dalla critica e dal pubblico soprattutto dei più giovani, lo spettacolo nel 2018 ha ricevuto a Busto Arsizio il “Premio Delia Cajelli per il Teatro”, nell'ambito della Seconda Edizione delle Giornate Pirandelliane promosse dall'associazione Educarte in collaborazione con il Centro Nazionale Studi Pirandelliani di Agrigento. Nella 2017, invece, ha vinto il Premio Franco Enriquez per la migliore interpretazione e la migliore regia. UNO NESSUNO CENTOMILA, realizzato in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte di Pirandello, è l’adattamento teatrale della storia di un uomo che sceglie di mettere in discussione la propria vita a partire da un dettaglio minimo, insignificante. Il pretesto è un appunto, un’osservazione banale che viene dall’esterno. I dubbi di un’esistenza si dipanano attorno ad un particolare fisico. Le cento maschere della quotidianità lasciano il posto alla ricerca del Sé autentico, vero, profondo. L’ironia della scrittura rende la situazione paradossale, grottesca, accentua gli equivoci. La vita si apre come in un gioco di scatole cinesi e nel fondo è l’essenza: abbandonare i centomila per cercare l’uno, a volte può significare fare i conti con il nessuno. Ma forse è un prezzo che conviene pagare, pur di assaporarla, la vita. “Avrei voluto che Pirandello fosse vivo - spiega Alessandra Pizzi, per mostrargli la grandezza della sua parola e l’attualità del suo pensiero che immobilizzano il pubblico ad ogni spettacolo e chiedergli se fosse mai stato consapevole delle conseguenze che avrebbe potuto produrre la tumultuosa portata di quel suo messaggio. Di qui l’idea di una nuova ed originale messa in scena volta a rendere la perennità del pensiero pirandelliano, l’atemporalità del protagonista uomo di ieri, di oggi, di domani”. In forma di monologo, il testo è affidato al racconto e alla bravura interpretativa di Enrico Lo Verso che, dopo anni di assenza dal teatro, è tornato sul palcoscenico per dar vita ad un contemporaneo Vitangelo Moscarda, l’uomo “senza tempo” e ai personaggi del romanzo pirandelliano, in un allestimento minimale ma mutevole in ogni contesto. Una sorta di seduta psicoterapeutica da cui si viene irrimediabilmente attratti, per affondare le mani nella propria mente, inconsapevoli degli scenari che potrebbero aprirsi. “Obiettivo è raccontare al pubblico il valore di un testo classico e la sua funzione di insegnamento perenne. In questi anni di tournèe abbiamo raccolto testimonianze di giovani spettatori che dopo aver visto lo spettacolo, hanno scelto di laurearsi con una tesi su Pirandello,o di librerie cittadine che giorni prima della messa in scena hanno venduto tutte le scorte (e i riassortimenti) del romanzo. Perché se il teatro non ha la presunzione di insegnare nulla a nessuno, deve almeno tendere a creare occasioni di riflessione” dice Alessandra Pizzi. Il Progetto Avrei voluto che Pirandello fosse vivo per mostrargli la grandezza della sua parola, la contemporaneità del suo messaggio più attuale che mai oggi, a 100 anni dalla sua formulazione; per fargli vedere il bisogno impellente del pubblico, necessario, autentico, di approvvigionarsi della conoscenza di sé, di leggere per provare a decodificare quei segni della quotidianità come codici di accesso ai meandri delle proprie emozioni. Mi chiedo ogni sera, osservando il pubblico che, immobile, assiste allo spettacolo, se Pirandello fosse veramente consapevole delle conseguenze che la portata della forza tumultuosa di quella giustapposizione di pensieri, di quella serie interminabile di quesiti, della ricerca smaniosa di risposte, avrebbero potuto produrre sul pubblico. O se, come spesso accade, il risultato abbia per davvero superato le intenzioni. Di certo nel suo pensiero -e nella sua opera- c’è la consegna al mondo del fardello della conoscenza che è puro peso per la presa in carica di sé stessi, ma anche leggerezza per la scoperta meravigliosa di quella bellezza che ad ognuno la vita riserva. Uno, nessuno e centomila è il romanzo chiave: non in quanto apoteosi o summa del pensiero, ma in quanto incipit per un’analisi introspettiva e macroscopica sulle dinamiche esistenziali e socio-culturali della società. Uno, nessuno e centomila “apre” la mente a riflessioni e a dubbi, il cuore alla ricerca della propria essenza, ma soprattutto apre alla vita, affinché scelga la forma migliore con cui rappresentare l’individuo. Ho raccolto l’eredità di questo pensiero più per dovere che per amore per l’arte. Il dovere di chi fa questo lavoro che è chiamato ad interpretare strumenti di conoscenza inventando specifici linguaggi in modo da renderli accessibili a tutti. Ecco che UNO NESSUNO CENTOMILA, nel riadattamento del testo reso in forma di monologo che ho voluto dargli, diventa il presupposto per un teatro che “informa”, che supera la funzione dell’intrattenimento e diventa pretesto, occasione, spunto, per la conoscenza. E in questo sta il dovere di un drammaturgo, nel trovare un codice per offrire al pubblico l’occasione per superare sé stesso. Poco importa se il pretesto sia una sera a teatro; del resto, Pirandello stesso ci insegna che il pretesto è pur sempre una banalità. Ecco che la messa in scena di UNO NESSUNO CENTOMILA segna, dopo 10 anni, il ritorno in teatro di Enrico Lo Verso. Una seduta psicoterapeutica affidata alla sua magistrale bravura; tutti ne sono attratti ma in pochi sono consapevoli degli scenari che potranno profilarsi. Ecco che 70’ minuti sono il tempo necessario ad affondare le mani nella propria mente per ricercare, come in un déjà vu, gli elementi già noti, per riconoscerli e per iniziare a guardarli con una luce nuova. Ecco che lo spettacolo rompe gli schemi toccando uno dopo l’altro i conflitti dell’esistenza: il rapporto con i genitori, i dubbi sulla provenienza, il rapporto dei generi, la ricerca dell’identità e, infine, l’affermazione di sé. Ecco che il pubblico si nutre di testo, in silenzio elabora, applaude e, ogni sera, ci chiede di farlo ancora… Lo spettacolo Voluto in occasione del 150esimo anniversario della nascita di Luigi Pirandello, uno spettacolo sull’ultimo suo romanzo, quello che riesce a sintetizzare il pensiero dell’autore nel modo più completo. Pirandello stesso, in una lettera autobiografica, lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita. Uno, nessuno centomila è un’opera di lunga elaborazione, di assidua stesura, che accompagna o, per meglio dire, informa di sé, il resto della produzione pirandelliana. Da qui l’idea di una nuova e originale messa in scena, che possa ricercare nuovi specifici per lo spettacolo ma, soprattutto, che sappia ridisegnare il rapporto all’interno dello spazio scenico tra parola e gesto. Un unico testo narrativo per interpretazioni sempre diverse, affidate al racconto di Enrico Lo Verso che mette in scena un contemporaneo Vitangelo Moscarda, l’uomo “senza tempo”. Un’interpretazione naturalistica, immediata, “schietta”, volta a sottolineare la contemporaneità di un messaggio universale, univoco, perenne: la ricerca della propria essenza dentro la giungla quotidiana di omologazioni. La voglia di arrivare in fondo e di assaporare la vita, quella autentica, oltre le imposizioni sociali dei ruoli. La paura di essere soli, fuori dal grido sociale della massa. Ed infine, il piacere unico, impagabile, della scoperta del proprio “uno”: autentico, vero, necessario. Il Vitangelo Moscarda interpretato da Lo Verso diventa uomo di oggi, di ieri, di domani. Il testo diventa critica di una società che oggi, come cento anni fa (quando il testo fu concepito), tende alla partecipazione di massa a svantaggio della specificità dell’individuo. Ma la sua è una critica volta ad un finale positivo, la scoperta per ognuno di essere se stessi, dentro la propria bellezza. L’interpretazione non manca di ironia e sagacia, ricca com’è di inflessioni e note di colore tipiche siciliane, tanto care all’autore del testo, al personaggio Vitangelo Moscarda e all’attore che lo interpreta. Una messa in scena mutevole in ogni contesto, nel rapporto empatico con il luogo e con chi ascolta che dà forma ad un personaggio che è uno, centomila o nessuno, tutti per la prima volta affidati al racconto di una voce. Read the full article
0 notes
abatelunare · 7 years
Text
Clyde adesso è libero
Aspettando la propria elettrocuzione, Clyde Edy ricevette l’ultimo pasto di sua scelta. E si lasciò trasportare, e mangiò così tanto, di quel ricco menu che si era fatto portare per la soddisfazione del suo ultimo desiderio, che si procurò una gastris acuta e, prima di essere trasportato sulla sedia della morte, sfuggì all’esecuzione della sentenza, morendo. Ma a modo suo.
 Gastromorte è uno dei micro-racconti di Fredric Brown costruiti sulla base di un paradosso. Una sorta di serpente concettuale che si morde la coda fino a ingoiare tutto se stesso. La situazione descritta è piuttosto semplice: un uomo attende di essere giustiziato tramite elettrocuzione, termine che, come si può leggere su Wikipedia,
 si riferisce all'esecuzione di una sentenza di morte mediante il passaggio di una corrente elettrica attraverso il corpo del condannato.
 Non siamo in grado di stabilire se l’ambientazione sia contemporanea oppure futuristica: la cosiddetta morte per folgorazione era praticata quando il racconto è stato scritto e la è tuttora. Comunque stiano le cose, il protagonista conosce il proprio destino. E non sembra preoccuparsene più di tanto. Per lo meno, nulla ci viene comunicato circa il suo stato d’animo in proposito. Il momento dell’esecuzione non dev’essere molto distante: come da copione, gli hanno infatti portato l’ultimo pasto − particolarmente succulento: senza scendere in ulteriori dettagli, si parla genericamente di un ricco menu − affinché possa soddisfare il suo ultimo desiderio. Nel consumarlo, esagera. Mangia così tanto da procurarsi una gastris acuta. Si tratta presumibilmente di una gastrite, anche se il termine gastris sembra non esistere. Abbiamo gastritis in inglese, mentre in latino registriamo un gastēr della terza declinazione e un gastra della prima (di cui gastris sarebbe il dativo o l’ablativo plurale). Diamo per buono che l’affezione sia quella. Le conseguenze sono mortali: Clyde ci lascia le penne. È a questo punto che scatta il paradosso: prima di essere trasportato sulla sedia della morte, sfuggì all’esecuzione della sentenza, morendo. Ma a modo suo. Un finale dal sapore vagamente pirandelliano. Perché richiama alla memoria la novella Non è una cosa seria, il cui protagonista Perazzetti aveva sposato per guardarsi dal pericolo di prendere moglie. Qui, il protagonista sfugge all’esecuzione ricorrendo a una sorta di suicidio. Ma c’è di più. Impossibile non pensare, in questa circostanza, al Bushidō, il codice d’onore degli antichi samurai giapponesi. Poiché è privilegio del guerriero scegliere quando morire. Scelta vista come atto di libertà estrema. In effetti, Clyde adesso è libero.
3 notes · View notes
becomixdatabase · 4 years
Text
[Imbroglio! Imbroglio! E altre divagazioni](https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/ "https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/")
Il 2019 è stato dominato da una narrazione: Multiforce di Brinkman è il fumetto weird fantasy (ovvero dove i canoni stilistici del fantasy vengono scardinati) più influente pubblicato lo scorso anno. Al di là della delusione nel leggerlo la prima volta (ne avevo sentito così tanto e magnificamente parlare per poi trovarmi con della massa enorme di carta quasi illeggibile), Multiforce ha un affascinante “stile” fine a sé stesso che va contestualizzato nella ribellione di Fort Thunder. Sinceramente vi lascio tenere a voi le pesanti “museum edition” in cui la “cura editoriale” si basa su carta spessa e copertina rigida da comprare a cifre ridicolmente alte, mentre la cura del contenuto è piuttosto trascurata. Io piuttosto, che sono una cavalla golosa di storie, personaggi costruiti bene, colpi di scena, battute sagaci, giochi di parole, collegamenti temporali comprensibili solo nella lettura incrociate di albi diversi, quando ho voglia di un bel weird fantasy, dalla libreria mi prendo il Donjon di Trondheim e Sfar. (O Cerebus di Dave Sim, ma non divaghiamo). Su quanto sia stato influente, abbiamo varie prove a disposizione. Una di queste è Adventure Time.
Di certo non sono opere che si possono paragonare. Multiforce è stato autoprodotto nella fabbrica occupata di Fort Thunder, una ventina di pagine grezze, sporche e sconclusionate (com’è giusto che siano). Mat Brinkman ha inventato un sentire del fantasy, mischiando estetica punk ed evasione da bad trip a nuovi sotterranei da esplorare. Il Donjon invece è un grande progetto editoriale che ha visto al centro due delle grandi voci della nouvelle vague fumettistica francese (Sfar & Trondheim) e che ha coinvolto una miriade di autori (tra cui citiamo Blanquet, Larcenet, Blain, Killofer, Carlos Nine, ecc ecc). Il punto di vista narrativo (almeno in Zenith) è capovolto rispetto a quello di Dungeons & Dragons: non si parla di avventurieri in manieri, ma del proprietario del maniero che si arricchisce tramite malcapitati e idioti avventurieri. Di questo grande progetto se n’è sentito parlare poco, nonostante sia recentemente ripubblicato un volume per Bao Publishing (La Fortezza, – precedentemente dei volumi erano stati pubblicati da Magic Press e Phoenix). Per concludere: non seguite le narrazioni della promozione del fumetto, perché niente è vero e tutto è permesso.
Rimangono tuttavia delle domande: perché, nonostante l’importanza e l’attesa di molti, se ne sta parlando così poco? Perché non è stato presentato come grande saga fantasy, ormai un classico in Francia, dai diversi ordini di lettura come i grandi romanzi modernisti del Novecento? Uscirà mai la traduzione del gioco di ruolo? Beh, penso proprio di no. Ragazzi, imparatevi le lingue e prendetevi i fumetti in originale. Ogni tanto, quando si fatica, si guadagna in comprensione.
Ma lasciamo perdere le polemiche e seguiamo la buona pratica di M.T. “fumetti come gli I ching”. Prendo un Donjon a caso – l’ordine di uscita in cui è andato ormai da tempo. Non guardo che quale albo ho preso e a occhi chiusi apro il volume. Esce la quinta tavola del primo numero della serie Crépuscule, Il cimitero dei draghi, disegnato da Sfar e colorato da Walter.
Chi ha letto l’albo, ha già visto nelle prime pagine una fortezza diversa, cupa, decisamente più lugubre rispetto alla “spensieratezza” dell’epoca del guardiano. Marvin il Rosso è anziano e cieco, viene chiamato dalle guardie Re Polveroso. Di Herbert neanche l’ombra. Questo primo numero, uscito grossomodo contemporanee a Zenith, pone un pesante fardello sul destino dei protagonisti. Il flashforward crea una prospettiva tragica i protagonisti dell’epoca Zenith. Chi si legge tutta la serie Zenith di seguito, quindi non in ordine di uscita degli episodi, perde, nella lettura, i rimandi temporali e le conseguenti prospettive.
Torniamo al Cimitero dei draghi. Il re polveroso vuole abbandonare la sua grotta. «Perfetto», dice Shiwømiz, «sente che sta per morire e vuole tornare al cimitero dei draghi.» (Chi avrà inventato il nome Shiwømiz, Sfar o Trondheim?) Shiwømiz ordina alla guardia di seguire il Re Polveroso fino a quel luogo leggendario per profanare le loro tombe, pe fare in modo che gli antichi draghi non tornino mai più. Ed eccoci alla tavola quinta. Nove vignette divise in tre strisce. Tre, come le strofe di un haiku.
Prima striscia: monologo di Shiwømihz, sa che non può fidarsi della guardia che ha mandato, e chiama un altro servitore, Golgoth. In due vignette Shiwømihz è rappresentato di spalle, mentre in quella centrale di fronte. La vignetta centrale è l’unica che ha come punto di fuoco l’esterno.
Seconda striscia: arriva Golgoth; Shiwømihz gli ordina di seguire i servitori e ucciderli una volta che arrivano al cimitero; nella terza vignetta della striscia Shiwømiz medita se mandare qualcuno dietro Golgoth. Da segnalare come sia l’ombra a creare la plasticità di Golgoth.
Terza striscia: Shiwømihz viene chiamato dal Supremo Khan (che ancora non sappia chi o cosa sia). Quest’ultimo, che non si vede, solo il balloon viene da sgangherate scale, domanda se ci sono novità a proposito del Re polveroso. Shiwømihz mente. A decorare il muro sopra le scale un sole nero. Sfar è troppo colto per non conoscerne i riferimenti all’ano solare di Bataille (che ritroviamo anche ne Il Bambino di Dio dei Nishioka) o allo Schwarze Sonne, la runa del sole nero. Però ce l’ha ficcata. Da notare ancora che l’ultima vignetta si chiude con una menzogna.
Questa è una tavola di imbrogli. Ripeschiamo quindi Imbroglio di Trondheim edito da ProGlo e citiamo dalla postfazione di Raffaele Ventura. In francese, la parola “imbroglio” non ha il significato primario di quello che intendiamo con imbroglio in italiano. Si pronuncia imbroghliò e indica un groviglio narrativo, una macchinazione complicata o una trama confusa. […] Dal punto di vista dei difensori del teatro classico contro le derive barocche di un Shakespeare o di un Lope de Vega, un imbroghliò è un cattivo intreccio. E così torniamo al fumetto di Trondheim, che sicuramente da questo punto di vista, programmaticamente, è caratterizzato da un “cattivo intreccio”. Il portare all’estremo stratagemmi, colpi di scena, e altre meccaniche della narrazione è una delle caratteristiche della narrazione di intelletto di Trondheim, che si contrappone a quella più lunare (emotiva, romantica) di Sfar.
La forza del Donjon risiede proprio in questa incredibile sinergia, una sintesi maggiore delle due parti. Se Trondheim tuttavia è un autore che si spinge nei reami della sperimentazione selvaggia e lo stesso Sfar filtri le sue storie con la sua particolare sensibilità filosofica, i due non hanno mai dimenticato, anzi, hanno usato le proprie armi a favore della storia, servendo fedelmente i propri personaggi – assurdi, idioti, coraggiosi, pavidi – non per il lettore, ma per il racconto. Questi due elementi (personaggi e intreccio narrativo) non sono mai stati trascurati nella nouvelle vague francese.
Forse è troppo sostenere che questa quinta tavola possa essere letta di per sé, slegata dal resto del volume. Ma sicuramente la tavola ha un inizio e una conclusione narrativa: il primo imbroglio contro il re Polveroso, il secondo imbroglio contro la guardia, e il terzo imbroglio verso il Gran Khan. Una serie di sotterfugi che tuttavia smascherano con umorismo e astuzia al lettore il cuore mendace di Shiwømihz, in poche vignette. È questo il Donjon, umorismo e astuzia. Ma non l’umorismo del “meme gnegnegne”, piuttosto quello pirandelliano: un processo di riflessione critica, che scandaglia e smaschera l’imbroglio più grande, quello della maschera delle persone/personaggi.
Le Cimetière des dragons – Donjon Crépuscule 101 Joann Sfar e Lewis Trondheim Delcourt
L'originale è stato pubblicato su [https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/](https://blog.becomix.me/imbroglio-imbroglio-e-altre-divagazioni/ "Permalink")
original post
0 notes
tmnotizie · 6 years
Link
GROTTAMMARE – Novecentosettantotto opere: inviate da 580 autori e suddivisi tra 721 poesie, in dialetto e in italiano, e racconti e saggio breve, e 257 libri. Sono i numeri della 9^ edizione del Concorso letterario Città di Grottammare,  promosso dall’associazione culturale Pelasgo 968, con il patrocinio del Comune di Grottammare, della Regione Marche, del prestigioso Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati e dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti.
Numeri scaturiti alla scadenza del bando per la presentazione delle opere in concorso, suddiviso in quattro sezioni: poesia inedita in lingua italiana, poesia in dialetto, racconto breve e libro edito. A queste si aggiunge un premio speciale, oltre quello alla metrica presente fin dalla prima edizione, per una poesia o racconto breve a contenuto umoristico e/o erotico intitolato a Giuseppe Gioachino Belli. Altri Premi speciali sono un premio dedicato ad un racconto o libro giallo, thriller, noir e un premio speciale per un’opera con tema l’autismo, in collaborazione con l’associazione Omphalos.
La fase culminerà con le premiazioni, fissate a sabato 5 maggio, alle 15.30, presso la sala Kursaal del Comune di Grottammare. Come è consuetudine, farà seguito la tradizionale Cena di Gala, un appuntamento ormai fisso di cultura e spettacolo, che ogni anno culmina la cerimonia di premiazione, con momenti, appunto, culturali ma anche di spettacolo. La premiazione sarà parte importante della Festa della Scrittura, organizzata dalla Pelasgo 968, che per il secondo anno animerà Grottammare, offrendo una serie di appuntamenti, a partire dal 2 maggio.
Il ricco contenitore culturale è stato presentato al comune di Grottammare, alla presenza del sindaco di Grottammare, Enrico Piergallini, del presidente della Pelasgo 968, Gian Mario Cherubini, del Segretario del premio, Giuseppe Gabrielli e con loro Elena Malta, tra i  componenti di spicco del panorama culturale italiano della giuria che valuta le opere pervenute,  Loretta Stefoni di Civitanova Marche, vincitrice del Premio Omphalos sull’autismo, Roberto Sospetti di Ascoli Piceno, che il 5 maggio riceverà la Segnalazione speciale per il suo libro edito Veneficus – Il Gabbamondo, noto con il nome di Piko Cordis, cuore piceno, che ha scritto un romanzo storico su Cagliostro,  e uno dei concorrenti, Nazzareno Bruni. Era presente anche Gianmario Marcelli, in rappresentanza della Ernesi laboratorio cosmofarmaceutico di San Benedetto del Tronto, partner dell’iniziativa.
E’ stato il primo cittadino di Grottammare Enrico Gabrielli ad aprire la presentazione. “Tra i premi ci sono autori pubblicati dalla Feltrinelli e dalla Fara Editori, che ancora investe sulle poesie – ha detto il sindaco – e il fatto che abbiano scelto di concorrere a questo premio sta a significare il livello che lo stesso ha raggiunto. Ringrazio la Pelasgo per tutto, ma in particolare perché due anni fa ha deciso di legare il premio a Franco Loi,  che ricopre la carica di presidente onorario, unico poeta vivente degli anni trenta, la più importante voce della poesia italiana. Grazie a loro Franco Loi ha ascoltato la mia poesia, scritta in gioventù, ed è una grande soddisfazione che mi porto nel cuore”.
Quindi la parola è andata al presidente Gian Mario Cherubini, il quale ha ringraziato il sindaco per le belle parole e l’amministrazione tutta, “per il supporto che ci ha dato e che continua a darci. Grazie a tutti i soci dell’Associazione che dedicano il loro tempo alla Pelasgo e chi ha partecipato nelle varie edizioni, alla giuria, che svolge un lavoro importante per realizzare e infine a tutte le associazioni ed enti che hanno dato patrocinio. Anche a quelle che come Omphalos che ci sono vicine da diverso tempo. Per quanto riguarda il premio – ha concluso Cherubini – giungere alla nona edizione e questo numero così importante di autori è un segno della crescita del premio che nel tempo, di anno in anno abbiamo cercato sempre di rinnovare”.
Ad annunciare i vincitori è stato il segretario del premio, Giuseppe Gabrielli: “la giuria ha giudicato suddivisi tra 721 poesie, in dialetto e in italiano, e racconti e saggio breve, e 257 libri, inviate da 580 autori”.
Per la categoria “Poesia inedita in lingua italiana” hanno vinto Sonia Giannetti, di Roma, autrice di “Partenze”, seguita da Francesco Dettori, romano, con “Il Marinaio” e Carmelo Consoli di Firenze, con “L’Ultimo Viaggio”.
Per la sezione “Poesia inedita in vernacolo” saranno premiati Stefano Baldinu, di San Pietro in Casale in provincia di Bologna, con “Finza a sas jannas ‘e su chelu”. Poi Alessandro Valentini, di Roma, autore di “Indove score er fiume” e Anna Maria Amori, di Aprilia, con “La Fiaccolata”.
Per la sezione dedicata ai “Racconti brevi e inediti” ha trionfato Luigi Manca di Porto Torres, con “La Nave di Teseo”, al secondo posto Aurelio Adriani di Roma con “Hosterium 1650 D.C.” e Roberta Pianta di Magenta,  “Con le nostre mani”.
Per la categoria dedicata ad “Libro edito di poesia” hanno vinto Giuseppe Vanni (Cattolica) con “Paris Necker”, seguito Carlo Falconi di Imola con “Gramegna” e da Mario Setta di Introdacqua (L’Aquila) con “Homo, elogio di Eva”.
La sezione dedicata al “Libro edito di Narrativa” vedrò salire sul palco della Sala Kursall di Grottammare Davide Ficarra (Palermo) con Milza Blues, Verdiana Maggiorelli di Vigolzone (Pc) con “Con la polvere dell’India dentro i sandali” e Mariano Berti di Paese (Treviso) con “Il selvaggio dei Lagorai”.
Infine i vincitori della categoria “Libro edito saggio”: sono Mario Del Pero di Forlì con “Era Obama”, Felis Francesco di Genova con “La regione in Italia” e al terzo posto Carlo Maria Grillo di Cremona con “Riflessioni anodine su vendetta e… dintorni”.
La cerimonia di premiazione rappresenterà la conclusione della 2^ edizione della “Festa della Scrittura”, anche questa organizzata dalla Pelasgo 968: il taglio del nastro sarà mercoledì 2 maggio nella sala consigliare del comune di Grottammare, alle ore 17.30, con il convegno “Pirandello, il cinema e la critica, aspetti del Teatro Pirandelliano su Pirandello. Il giorno successivo, alla stessa ora e sempre nella sala consiliare, si terrà la tavola rotonda su Leopardi e Rossini, due geni marchigiani sui quali si soffermeranno Alberto Folin, Antonio Tricomi e Paolo Montanari.
Il 4 maggio invece, alle 21, quale evento speciale nell’ambito del premio letterario, l’associazione Omphalos, partner da anni della Pelasgo 968, presenterà i film Fixing Luka di Jessica Ashman e Mabul Guy Nattiv: saranno proiettati nella Sala cinema dell’Ospitale delle associazioni, alle porte del paese alto di Grottammare.
“Ringrazio la Pelasgo 968, che per il secondo anno ci darà la possibilità di sensibilizzare sul tema autismo, con l’appuntamento del 4 maggio sul Cinema Autismo, che è inserito nella,rassegna cineautismo che organizziamo con il Museo del cinema di Torino”, ha detto nel suo intervento Gianfilippo Di Benedetto, responsabile della Omphalos.
Quindi la parola è andata alla professoressa Elena Malta: “sono onorata di essere un membro della giuria di questa organizzazione, testimonianza nel territorio, che definisco prezioso cammeo, che interagisce con realtà locali, dimostrando una grande attenzione per la valorizzazione alla cultura. Inoltre, non sono importanti solo i numeri, ma il fatto che sono tutti concorrenti di grande spessore, di qualità eccezionale, con romanzi degni di essere tali”.
0 notes