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#Arcadi di Terra d'Otranto
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Celestino Cominale (1722-1785), l'uggianese che osò sfidare Newton
di Armando Polito
Isaac Newton in una stampa del XIX secolo (disegno di Joseph Théodore Richomme (1785-1849), incisione di Ephraïm Conquy (1809-1843) e Celestino Cominale in una incisione di P. Iore tratta da Domenico Martuscelli (a cura di), Biografie degli uomini illustri del Regno di Napoli, tomo IX, Gervasi, Napoli, 1822.
  Probabilmente le giovani generazioni, salentine e non,  di Newton (1642-1726) non conoscono nemmeno il famoso aneddoto della mela, e non per colpa loro …
Taglio la testa al toro ricordando solo che Isacco Newton godette ai suoi tempi di tanto prestigio che, riferito a lui, si può benissimo usare l’ipse dixit (l’ha detto lui), che aveva sancito prima l’autorità di Pitagora (VI-V secolo a. C.) e, poi, nel Medioevo, quella di Aristotele (IV secolo a. C.).
Forse, e ripeto forse …,  la scienza è l’unico campo in cui il successo non suscita invidia e, con l’invidia, l’antipatia. Tutti, o quasi tutti, si rassegnano all’ipse dixit e si guardano bene dal dire la loro, anche quando, magari, sono attrezzati a farlo.
Con Newton, però, Celestino Cominale non si tirò indietro, attrezzato com’era, anche caratterialmente.
Nato a Uggiano la Chiesa (LE), Aveva iniziato gli studi letterari e filosofici a Lecce nel Collegio dei Padri Gesuiti. Continuò poi con la fisica, la matematica, la botanica, l’astronomia e la medicina, studi che perfezionò a Napoli. Esercitò la professione di medico con maestria tanto da essere chiamato anche a Roma per ragioni professionali. Insegnò nelle Università di Roma, Bologna, Padova e Pisa. Nel 1770 ritornò ad Uggiano continuando i suoi studi fino alla morte.
La poliedricità del suo ingegno e l’ampio spettro degli studi fatti si riflettono nelle sue pubblicazioni:
Anti-newtonianismi  in quattro tomi pubblicati da Benedetto Gessari a Napoli nel 1754, nel 1756, nel 1769 e nel 1770.
Historia physico-medica epidemiae neapolitanae anni MDCCLXIV, Francesco Morello, Napoli, 1764
Nel frontespizio della prima, sulla quale torneremo subito, si legge Anti-newtonianismi pars prima, in qua Newtoni de coloribus sistema evertitur, et nova de coloribus theoria luculentissimis experimentis demonstratur opera ac studio Caelestini Cominale m(edicinae) D(octoris) in Regio Archi-gymnasio Neapolitano Philosophiae Professoris (Prima parte dell’Antinewtonianismo, nella quale a Newton in base alla geometria viene demolito a partire dai propri principi  il sistema sui colori e una nuova teoria sui colori viene dimostrata con eccellenti esempi dall’opera e dallo studio di Celestino Cominale Dottore di Medicina, Professore di Filosofia nel Regio Archiginnasio napoletano).
In quello della seconda: Historia Phisico-medica e pidemiae neapolitanae an(no) MDCCLXIV opera ac studio Caelestini Cominale in Regio Archi-gymnasio neapolitano Philosophiae, et Matheseos Professoris elucubrata ( Storia fisico-medica dell’epidemia napoletana nell’anno 1764 elaborata ad opera e cura di Celestino Cominale Professore di Filosofia e Matematica nel Regio Archiginnasio napoletano).
Il lettore avrà già capito che connessa col titolo di questo post è la prima opera nella quale già dal titolo traspare una coraggiosa vis polemica nei confronti delle teorie dello scienziato inglese.
L’ugentino appartiene alla ristrettissima schiera di antinewtoniani1, ma è l’unico a dichiararlo senza mezzi termini a partire dal titolo. Dovette vedersela, fra l’altro, anche con un conterraneo, Oronzo Amorosi di Galatone, newtoniano sfegatato, come all’epoca erano, l’ho già detto, i più. Dello scontro tra i due nulla sapremmo,  se nel 1821 Vincenzo Lillo non avesse copiato l’autografo del galatonese e se Gabriella Guerrieri non ne avesse curato la pubblicazione (titolo: Gara letteraria inedita tra i signori Oronzo Amorosi di Galatone e Celestino Cominale di Uggiano della Chiesa copiata dall’autografo di esso Amorosi da Vincenzo Lillo, 1821) per i tipi di Conte a Lecce nel 1999.
Bisogna dire, però, che pur nella marea di critiche2 al nostro basate sulla cieca fiducia nell’Anglo che tanta ala vi stese (Ugo Foscolo, Dei sepolcri, 163), si levò qualche voce più prudente, invocando per lui una sorta di beneficio d’inventario.
La più autorevole fu senz’altro quella dell’abate Giovanni Antonio Battarra3 di Rimini in una lettera del 22 luglio 16704: … Vengo in secondo luogo a dirvi, come nel Settembre del 1754 io mi ritrovava una mattina in Cagli presso Monsig. Bertocci Vescovo degnissimo di quella Città, e che, a dirvela senza adulazione, è uno di quei Vescovi , che mi piace, perché oltre molte belle sue doti , ha quella di esser molto portato per la buona letteratura, e stima molto le persone di lettere. Discorrendo pertanto insieme di cose erudite, in compagnia dell’Abate Agostini mio amicissimo, Prevosto di quella Cattedrale, presso del quale io mi trattenni alcuni giorni, esso Monsignore mi comunicò un articolo delle Novelle Letterarie di Venezia5, in cui si dava ragguaglio, che un certo  Dottor Celestino Cominale Lettor di Fisica nell’Università di Napoli aveva pubblicato il primo Tomo d’una sua Opera intitolata Anti-Newtonianismi Pars prima, in qua Newtoni de Coloribus systema ex propriis principis geometrice evertitur, et nova de Coloribus historia luculentissimis experimentis demonstratur, etc.
In questo articolo si riferivano tutti i Capitoli dell’opera, dove con mia maraviglia veniva attaccato il Newton nelle dottrine più sode e più sublimi, e corroborate anche colle più decisive sperienze, che ha nell’opere sue. A tale avviso mi voltai a quel Prelato sorridendo e dissi: -Potrebbe il Cominale aver addentato un osso più duro de’ suoi denti? -. Due anni dopo l’Autore pubblicò la seconda Parte di questa sua opera spiritosa, e con un cambio della mia operetta de’Funghi6 feci acquisto fra altri libri anche di quest’opera da me cotanto desiderata. La lessi, e rilessi, con attenzione; e se debbo dirvela schietta, è vero che l’Autore si conosce che è un giovane intraprendente e pien di fuoco, e un po’ troppo Metafisico, che non lascia nemmeno sulle spalle del Newton  fermar le mosche; tuttavia vi ho lette molte buone cose, et quidem7 molto ben ragionate, e se si fosse contentato di distruggere soltanto, e di non edificare altrimenti, avrebbe fatto miglior colpo. Io qui mi protesto in quanto al merito della causa di parlare in aria, perciocché, come sapete, io mi trovo in una Città, che è senza presidii di macchine fisiche,e non ho potuto aver il contento di rifar quelle sperienze, che son contrarie alle conclusioni del Newton. Ho tentato di farle rifare nelle più culte Università d’Italia, e toltone una, che a stento mi è riuscito di avere per la parte di Bologna, per cui il Cominale parmi che vada al di sotto, io non ho potuto aver altro. Anzi consultati vari Lettori primari di Fisica di queste più celebri Università d’Italia per opera de’ miei amici, quattro anni dopo che l’opera del Cominale era alle stampe, chi mi facea dire che il Cominale non l’avea incentrata, chi mi dicea che, avendo letto l’uno e l’altro Autore, non cessava d’esser Newtoiiano, e chi perfino ebbe il coraggio di asserire che ancorché le sperienze del Cominale fossero vere, tanto la dottrina del Newton non sarebbe a terra; ma a certi dubbi proposti a questa assertiva, da due anni in qua, ho ancora d’aver risposta.
Ora dico io: la nostra Italia, che è la madre della Letteratura Europea, che bella figura farà presso gli Oltramontani nel lasciar correre quest’opera ingiudicata? Io ho sempre creduto che fosse principalmente dovere de’ Professori delle Università nostre esaminare somiglievol causa, e riconoscendola trattata con imposture, e vaniloqui, castigarne l’Autore con la dovuta censura; e se il Sig. Cominale è veridico nelle sue sperienze, e non sono soggette a critica, perché non inalzarlo all’onor della palma8 sopra un Eroe, le cui dottrine vengono tanto venerate da tutto il mondo letterario? Vedete un poco di risvegliare questa premura in codesti vostri Fisici, che son quasi i soli, che mi restano da stimolare in Italia. Addio. 
Ci fu pure chi stigmatizzò in versi l’audacia di Celestino. Di seguito un sonetto del salentino Leonardo Antonio Forleo9, con cui chiudo questo lavoro.
 – L’Anglo paventia – ardito uomb dicea
 – che leggi imporre all’universo ardisce:
vedrà, vedrà se il labbro mio mentisce
e il gran valor di mia sublime idea -.
– Ferma! – disse ragion. Ma quei volgea
la penna incauta, che sistemi ordisce;
ma credendo ferir ei non ferisce,
creduto vincitor vinto cadea.
Quest’inutili assalti espose al riso:
segni di suo valor furono allora,
ma d’un valor dalla ragion diviso.
Musac abbenchéd perditore l’onora,
che ad Annibale ugual vinto, e conquisof,
nelle perditeg sue fu grande ancora.
  a Newton tema
b Celestino Cominale
c la poesia
d sebbene
e perdente
f conquistato, sconfitto
g sconfitte
__________
1 Prima di lui Giovanni Rizzetti aveva pubblicato il De luminibus affectionibus (Gli stati della luce) per i tipi di Bergamo a Travisio e di Pavino a Venezia nel 1726; dopo di lui Ignazio Gajone il Nuovo sistema fisico universale per i tipi della Stamperia Raimondiana a Napoli nel 1779 e Tommaso Fasano  l’Esame della compenetrabilità della luce esposto in dialoghi, per i tipi di Raimondi a Napoli nel 1870. Una recensione dell’opera del Fasano è in Efemeridi letterarie di Roma, tomo IX, Zempel, Roma, 1780, pp. 299-301, dove alla fine si legge: Ci giova sperare che la nuova Reale Accademia delle scienze dissiperà finalmente tutti questi filosofici sogni, de’ quali sembra che siansi un po’ troppo finora pasciuti i belli, e vivaci, ma alcune volte un po’ troppo fervidi ingegni Partenopei, e che farà un po’ meglio rispettare nell’avvenire le sublimi scoperte dell’immortale Newtono (sic), troppo indegnamente state finora attaccate dall’Anti-Newtonianismo del Sig. Cominale, dal Nuovo Sistema Fisico del Sig. Gajone, dalla nuova penetrabilità della luce, e da altrettali filosofiche stravaganze.
Solo il Rizzetti era stato difeso a spada tratta dalla voce isolata di Iacopo Riccati in due sue lunghe lettere (Opere del conte Jacopo Riccati, Rocchi, Lucca, 1765, pp. 109-122).
2 In Storia letteraria d’Italia, Remondini, Modena, 1757, v. X, le pp. 143-153 sono dedicate ad un’analitica recensione dell’opera del Cominale. Fin dall’inizio appare chiara la posizione decisamente newtoniana: Noi ci congratuliamo col dotto Professore del Collegio romano [Carlo Benvenuti, convinto newtoniano, autore di Synopsis physicae generalis, e di De lumine dissertatio physica usciti entrambi per i tipi di Antonio de’ Rossi a Roma nel 1754], a cui però non è ne’ sentimenti a Newton favorevoli conforme un professore di Napoli, il quale, anziché ammirare e seguire il Newton, impugnalo con tutte le forze sue. Seguono gli estremi bibliografici della pubblicazione del Cominale del 1754 e, punto per punto, la contrapposizione tra le tesi del Newton e quelle del Cominale (con prevalenza assoluta delle prime ). Una nota (la 37 alle pp. 152-153), tuttavia, costituisce una sorta di riconoscimento delle potenziali (se indirizzate diversamente …) capacità del nostro: Preghiamo per ultimo il Nostro Autore che non voglia offendersi, se noi con filosofica libertà abbiamo alcune cose nel suo libro notate, e diciamo ingenuamente, essere presso noi di maggior peso le dottrine dei Newtoniani, che le sue impugnazioni, benché non siamo tra quelli, che credono impossibili  gli errori del Newton. Se non altro varranno a meglio rischiarare la verità, e a dare al fervido ingegno del Nostro Autore campo d’esercitarsi.  E Celestino nella prefazione della terza parte dei suoi Anti-newtonianismi (Morelli, Napoli, 1769) replicò allo Zaccaria (autore della Storia insieme con Leonardo Ximenes, Domenico Troili e Gioacchino Gabardi) dicendo che egli non poteva ergersi a giudice in questa materia e che non aveva letto neppure i titoli delle sue opere.
3 (1714-1789) Naturalista micologo, autore di Fungorum agri Ariminensis historia, Ballante, Faenza, 1755;  Pratica agraria distribuita in vari dialoghi,Casaletti, Roma, 1778; Naturalis historiae elementa, Marsonerio, Rimini, 1789.
4 In Novelle letterarie pubblicate in Firenze l’anno MDCCLX,  Albizzini, Firenze, 1760, tomo XXI, colonne 570-573.
5 Novelle della repubblica letteraria per l’anno MDCCLV, Occhi, Venezia, 1755, pp. 260-263. Fra l’altro vi si legge: Se tanto romore fece il nuovo sistema Neutoniano circa la luce ed i colori, non minor grido ottener dovrebbe la nuova confutazione data al medesimo dal Sig. Cominale, il quale nulla paventando la gran turba de’ ciechi seguaci dell’Inglese Filosofo, si protesta di atterrar colle stesse macchine o arme Neutoniane  il preteso sistema de’ Colori.
6 È la prima opera citata nella nota n. 2.
7 certamente
8 vittoria.
9 Era nato a Francavilla Fontana (BR). Il sonetto è in Vari ritratti poetici storici critici di alcuni moderni uomini di lettere sul gusto di Agatopisto Cromaziano e per servire di prosieguo all’opera del medesimo di Leonardo Antonio Forleo, Raimondi, Napoli, 1816, p. 32. Agatopisto Cromaziano è il nome pastorale del monaco celestino Appiano Bonafede che fu socio dell’accademia romana dell’Arcadia a partire dal 1791. Il Forleo, che era socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, fu autore prolificissimo. Si riportano qui solo alcune delle altre pubblicazioni: Amenità dell’etica, Rusconi, Napoli, 1827; 1827; Ragionamento critico intorno alla moderna comedia, Rusconi, Napoli, 1830; La lira Iapigia, Società Filomatica, Napoli, 1831; I politici, Cataneo, Napoli, 1832; Il manoscritto di Sterne, Cataneo, Napoli, 1832; Manfredi, Rusconi, Napoli, 1833; Certamen ad cathedram archeologiae, poesis Romamaeque eloquentiae in Regio Neapolitano Archigymnasio obtinandam perfectum, Russo, Foggia, 1834; Il Colombo, ovvero l’America ritrovata, Russo, Foggia, 1834; La statua del grande, Russo, Foggia, 1835; Il racconto di una vedova, Agianese, Lecce, 1836; L’arpa cristiana, Agianese, Lecce, 1839; Cause e ragioni che fanno classico il poema di Dante, Cannone, Bari, 1842; Liceo dantesco, Petruzzelli, Bari,1844; Napoli nel XVI secolo. S. Sebastiano, Migliaccio, Cosenza, 1846.
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L’Arcadia salentina (Tommaso Perrone, Ignazio Viva, Pasquale Sannelli, Pietro Belli e Lucantonio Personè) e la peste di Messina (2/2)
di Armando Polito
Passo ora ai tre arcadi rimasti fino ad ora, almeno per me, sconosciuti.
Il primo è PASQUALE SANNELLI del quale, sotto il nome pastorale di Alfenore (probabilmente dal nome di uno dei compagni di Ulisse in Ephemeris belli Troiani, traduzione fatta nel IV secolo d. C. da Lucio Settimio di un’opera, perduta, scritta in greco da Ditti Cretese, autore del III-II secolo d. C.) sono riportati due sonetti (A e B), rispettivamente alle pagine 54 e 57.
A
Questa, che ricomporsi al fasto usato
e riprender l’onor d’alta Reinaa
del Sebetoa si mira alla vicina
sponda, è l’Italia; e tien fra ceppi il Fato.
Dal suol più adustob, e fin dal mar gelato
ciascun’Abitator sua gloria inchina.
Ceda il Trace, o s’aspetti alta rovina,
se non compie l’onor, che gli altri han dato.
Sì gran sorte serbata al secol nostro
fu per Carlo dal Ciel. Carlo ripose
lei c i nel suo stato del primier valore.
Or se industre scalpello e dotto inchiostro
serbano ad altre Età l’opre famose,
godrà l’Italia d’eternar suo Onore.
___________
a Vedi la nota b del componimento precedente.
b caldo; dal latino adustu(m)=bruciato.
c l’Italia
  B
Mille cignia sublimi e mille Ingegni
volgan lor penne alla grand’opra e l’arte,
che più che ‘n marmi ad eternarla in carte
tutti ha mossi l’Idumeb i suoi disegni.
D’Orfeoc, d’Omerod in vece, i non men degni,
che onora il secol nostro in questa parte
faccian le Imprese del novello Marte
illustri e conteea’ più remoti Regni.
Io, cui fu il Ciel sì d’arte e ingegno avaro,
che non ispero aver dell’alta fronda
ornato il capo, e gir con quelli a paro,
son pur pago che Apollo ad essi infonda
tanta virtù per Carlo, ond’Ei sia chiaro
del nostro Idumef alla sinistra spondag.
___________
a poeti
b Vedi la nota a del componimento precedente.
c Mitico cantore che col suono della sua lira ammansiva le belve.
d L’aedo dell’Iliade e dell’Odissea.
e note
f Il nesso sembra  un ricalco dal verso iniziale (Del re de’ monti alla sinistra sponda) del petrarchista Angelo Di Costanzo (XVI secolo), che, a sua volta, può essersi ispirato, con le dovute differenze di situazione al ponsi del letto in su la sponda manca (Petrarca, Canzoniere, CCCLIX, 3)
g Vedi nella prima parte la nota b al secondo componimento di Tommaso Perrone.
  Il secondo è PIETRO BELLI (1680-1750 circa), del quale a p. 79 è riportato l’epigramma in distici elegiaci che fra poco leggeremo, mentre la nota 1 recita: Patrizio Leccese, detto tra gli Arcadi Ario Idumeneo … ci ha fatto avere il presente suo purgatissimo  Componimento, posto nel presente sito, non perché questo sia il suo propio [sic, ma la forma in passato era in uso anche in testi a stampa] luogo, ma solamente perché ci perviene in questo medesimo istante, nel quale il nostro Stampatore cerca por fine alla Stampa della presente Raccolta. Nonostante qui il Belli sia utilizzato come tappabuchi, debbo dire che non mi pare affatto un intruso, perché, come vedremo, l’epigramma riguarda sempre Carlo Borbone, con riferimento alla sfera personale non privo di valenza pubblica. Prima di passare alla lettura dell’epigramma debbo dire che il Belli fu il traduttore dell’edizione napoletana per i tipi di Parrino del 1731 (testo abbastanza raro, tant’è che l’OPAC ne registra solo dieci esemplari, di cui uno custodito nella Biblioteca comunale “Achille Vergari” di Nardò) del Syphilis sive de morbo gallico di Girolamo Fracastoro. Il volume reca la prefazione di Giambattista Vico, preceduta  dalla dedica del Belli a Monsignor Ernesto de’ Conti di Harrac Uditore della Sacra Ruota Romana. Tuttavia, a proposito di quest’ultima  Carlantonio De Rosa marchese di Villarosa nell’edizione da lui curata degli  Opuscoli di Giovanni Battista Vico, Porcelli, Napoli, 1818, a p. 7 in nota 1 scrive:  Quantunque la presente dedica si vegga impressa col nome del traduttore del Poema Pietro Belli, pure da uno squarcio di essa da me ritrovato fra le Carte del Vico deducesi esserne costui stato l’Autore. Ed oltre a ciò dallo stile, e dalle cose che contiene tutte uniformi ai pensieri del Vico, chiaramente si scorge averla egli distesa interamente. E a p. 327 ulteriormente precisa:  Il Signor Pietro Belli gentiluomo Leccese fu dotato a sufficienza di beni di fortuna, ed avendo contratta stretta dimestichezza con Vico l’aiutò bene spesso in urgenti bisogni … Grato il Vico al suo benefattore, ed amico si assunse la cura dell’edizione corredandola di una sua Prefazione, e distendendone anche la Dedica, del che io sono stato assicurato, avendo fra le Carte autografe di Vico ritrovato anche il principio di tale lettera dedicatoria scritta di suo carattere. Tradusse il Belli anche il Satyricon di Petronio, e scrisse molti altri Poetici Componimenti, le quali produzioni sono ite a male. Morì verrso la metà del secolo passato.
Per quanto riguarda il nome pastorale, se Ario potrebbe essere dal latino Ariu(m), a sua volta dal greco ᾿Αρεύς (leggi Arèus), nome di due re di Sparta (meno bene, perché poco confacente ad un arcade, dal greco  Ἄρειος, leggi Àreios, =di Marte, marziale, Idumeneo è certamente connesso con Idomeneo per quanto detto nella prima parte nella nota b al componimento A di Tommaso Perrone.                                                                                
Praesagium
Ad Amaliam
Da Natum Mundo tandem, Regina precanti,
cum Patre, qui regnet, iam seniore, senex.
En quot  regna fili Pater,et quot sceptra paravit,
et quot, vincendis hostibus, arma parat.
Nascere, parve Puer, sed maximus inde futurus,
nascere cunctorum maxime, Patre minor.
  Presagio
Ad Amaliaa
Dà, di grazia, o Regina, un figlio al mondo che lo chiede,
che regni vecchio insiemecol padre ancora più vecchio.
Ecco quanti regni e quanti scettri del figlio il padre ha apprestato
e quante armi prepara per vincere i nemici!
Nasci, fanciullo piccolo ma destinato poi a diventare grandissimo,
nasci, o il più grande di tutti, minore del padre.
_____________
a Amalia di Sassonia (1724-1760), moglie di Carlo, regina consorte di Napoli e Sicilia dal 1738 al 1759 e di Spagna dal 1759 fino alla morte.
  L’ordine di entrata, dicono, è importante e il primo e l’ultimo posto sono i più ambiti; per questo chiudo con l’ultimo arcade ritrovato, mio compaesano, LUCANTONIO PERSONÈ di Nardò, che va ad unirsi ad Antonio Caraccio, del quale mi sono occupato a più riprese1. E, per fare le cose come si deve, riproduco in formato immagine il suo componimento.
DI D(ON) LUCANTONIO PERSONÈ
Barone di Ogliastroa, tra gli Arcadi
Alcinisco Liceanitideb
  Menic i giorni ciascun lieto e sereno
più che non feo nell’aurea età d’Augustod
il Popol di Quirinoe omai vetustof,
della cui gloria il vasto Mondo è pieno.
Poiché sul Trono del sicano adustog,
di Partenopeh bella accolto in seno,
regna il gran Carlo di virtù ripieno
e di trionfi e d’alte spoglie onustoi.
E tempo è già che la Regal Sirena
rimembril i pregi avitime il priscon usatoo
verso ripigli col suo dolce canto,
or chè rimbomba in questa Piaggiap amena
il nome del gran Carlo in ogni lato,
fugati i mali, e già sbanditoq il pianto.
____________
a Antico feudo di Nardò. Vedi Marcello Gaballo, Vicende della masseria e del feudo di Ogliastro in  https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/04/28/vicende-della-masseria-e-feudo-diogliastro/
b Per Alcinisco il riferimento potrebbe essere al greco Ἀλκίνοος (leggi Alkìnoos)=Alcinoo, il mitico re dei Feaci, con aggiunta del suffisso diminutivo -ίσκος (leggi –iscos); Liceanitide potrebbe essere connesso con il greco Λύκειος (leggi Lùkeios)=della Licia, epiteto di Apollo.
c trascorra                                                                                                                                                            
d più di quanto fece durante l’età dell’oro al tempo di Augusto 
e il popolo romano; Quirino era il dio romano protettore delle curie.
f vecchio
g siciliano bruciato (dal sole). Per sicano vedi nella prima parte la nota t al primo componimento di Tommaso Perrone; per adusto vedi anche la nota b al primo componimento di  Pasquale Sannelli.   
h Metonimia per Napoli. Partenope era una delle tre sirene (le altre erano Ligeia e Leucosia) che si suicidarono buttandosi in mare e tramutandosi in scogli, perché battute nel canto da Orfeo secondo una tradizione, per non essere riuscite ad ammaliare Ulisse secondo un’altra. Ad ogni modo, Partenope finì alla foce del Sebeto e lì sarebbe stata fondata Napoli.
i carico
l ricordi
m degli avi, antichi
n antico
o abituale
p paese
q messo al bando, esiliato
 _____________
1 Vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/07/antonio-caraccio-di-nardo-e-le-sue-ecfrasi/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/11/06/antonio-caraccio-nardo-1630-roma-1702-note-iconografiche/
  Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/04/13/larcadia-salentina-tommaso-perrone-ignazio-viva-pasquale-sannelli-pietro-belli-e-lucantonio-persone-e-la-peste-di-messina-1-2/?fbclid=IwAR36ToHbAWsBK3BlP0zscMfqWEStp6PD5hmmZX4DT-vcMXV_1eWFBrvMLdI
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L'Arcadia salentina (Tommaso Perrone, Ignazio Viva, Pasquale Sannelli, Pietro Belli e Lucantonio Personè) e la peste di Messina (1/2)
di Armando Polito
Della tragedia che si abbattè su Messina dal 20 febbraio 1743 fino al 23 febbraio 1745 (data in cui la città ricevette la certificazione dalla liberazione dal morbo dopo che erano passati nove mesi senza che si registrasse un solo caso di contagio) una relazione dettagliata è nella memoria di Orazio Turriano, della quale riproduco di seguito il frontespizio.
Com’era naturale, il flagello destò preoccupazione anche in continente e sul comportamento del governo centrale ecco quanto scrive il Turriano a p. 4: Lodevolissima intanto è stata la condotta del Monarca Carlo Borbone, e de’,suoi Ministri pietosissimi, che non solo scandalizzati non si mostrarono per lo fatal’avvenimento di Messina, ma più tosto ritrassero motivo d’usar seco maggiore pietà, e compassione. La soccorsero a maraviglia, tantochè fu effetto, dopo il Divino aiuto, della reale Munificenza, il non essere rimasta totalmente distrutta come più appresso diremo.
Anche se il Turriano ricopriva la carica di segretario della città e la mia diffidenza nei confronti dei gestori del potere (dal più al meno importante nella scala gerarchica, anche, forse soprattutto, nel settore burocratico) rimane sempre attiva, tuttavia, debbo credergli sulla fiducia, non avendo da esibire prove in contrario.
Se, dunque, il sovrano verosimilmente si preoccupava dei sudditi e si occupava dei loro bisogni (oltretutto il duplice cordone sanitario per impedire che l’epidemia si diffondesse in Calabria funzionò), altrettanto si può dire dei sudditi, almeno quelli leccesi, nei suoi confronti. Infatti il sindaco dell’epoca, Angelo Antonio Paladini in nome della città aveva offerto al sovrano ed a tutta la casa reale di ricoverarsi in Lecce, come Città, che con tutta la Provincia, sotto la Protezione del Gloriosissimo S. ORONZO Primo Vescovo di Lecce, era stata sempre esente dal morbo contagioso, come si legge in un rapporto sulla risposta del sovrano stilato da Francesco Saverio De Blasi Consolo dell’Accademia dei signori Spioni di Lecce a nome della medesima ed indirizzato al sindaco. Tale rapporto, del quale di seguito riproduco il titolo, è all’inizio del secondo volume del Saggio istorico della città di Lecce di Pasquale Marangio, uscito a Lecce per i tipi di Marmi nel 1817 e ristampato da Giuseppe Saverio Romano, sempre a Lecce, nel 1858.
  Il volume è importante perché una sezione intitolata Componimenti in loda di S. Maestà l’invittissimo Carlo Borbone Re delle due Sicilie comprende versi di autori salentini, tra i quali alcuni soci conosciuti della famosa accademia romana dell’Arcadia (che era stata fondata nel 1690) ed altri molto probabilmente ignorati fino ad ora non solo da me, tanto più che il loro nome non compare in nessuno dei cataloghi della detta accademia. Certo, avrei preferito parlare di loro ad integrazione, sempre provvisoria, della collana Gli Arcadi di Terra d’Otranto  fin qui pubblicata in 20 puntate su questo blog, non in coincidenza della tragedia sanitaria che stiamo vivendo; ma le poesie che presenterò, in cui la celebrazione del sovrano prende quasi il sopravvento sulla tragica esperienza di quel tempo col riferimento, direi apotropaico, a s. Oronzo, possano essere di buon, anzi migliore auspicio per tutti, ma in particolare per coloro che invocano l’aiuto divino dopo aver violentato l’ordine naturale delle cose.
Comincio da TOMMASO PERRONE, del quale, nell’ambito della collana citata, mi ero già occupato in  https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/. 
Le pagine 50-53 e 59 ospitano di lui, rispettivamente,  un carme (A) ed un sonetto (B).
  A
Questa, che miri ogn’or memoria Augusta
e tanto al suo splendor chiarore aggiunge,
città, che l’ortoa da Malenniob avesti.
è ben dover, c’alla futura etade
passi de’ Figli tuoi. Perché i tuoi Figli,
premendo l’ormec de’ Maggiorid  loro,
sieguanoe ad illustrartif in ogni tempo.
Che bel misto di glorie in lei traluce!
Glorie, che vanno a terminare al Santo
tuo Difensorg da questa Terra al Cielo,
ad emularh quella verace gloria,
ond’Eii fruisce in sì stupende guise.
Il tuo gran Santo ha in Ciel la gloria vera,
che gli cagiona la vision di Dio,
vista soave, che Beato il rende
pe ‘l diffuso piacer, che sempre abbonda.
__________
a nascita
b Secondo la tradizione, discendente di Minosse, fondò Lecce. Ebbe un figlio di nome Daunio e una figlia, Euippa, che andò sposa ad Idomeneo re di Creta.
c seguendo l’esempio
d antenati
e continuino
f darti fama
g S. Oronzo, protettore della città.
h tentare di uguagliare
i Egli (s. Oronzo)
  Ved’egli Dio, com’è in sè stesso. Vede,
che l’unità della Divina essenza
non contraddica all’esser Uno, e Trino.
Vede ingenito il Padre ed il Figliuolo
dal solo Padre generato e d’Ambo
(come da un sol Principio) procedente
lo Spirtossantok e tutto quel che sempre
a lui dispensa della gloria il lume
in quell’abisso d’infinito Bene.
Ma dalla Terra ha un’altra gloria il Divol,
gloria, c’accidental da noi si noma.
Nasce da quell’onor, dal sacro culto,
c’assi di lui, da’ Templi e sacri Altari,
dalle Colonne, dagli Archi e Colossi
eretti al nome suo: da’ dì festivi
a lui sacrati, dalle molte cere,
da’ lieti fuochi, da’ notturni lumi,
c’ardon per lui, dalle diverse lodi
che gli si danno e dall’immenso Stuolo
c’accorre ad onorarlo. Ei tutto accoglie
in lieto aspetto, e ne dimostra i segni
dal Ciel, donde largisce in copia i doni.
Quindi, se Iddio, per vendicar le offese
che l’uomo ingrato ogn’or gli fa peccando,
scuota la terra, ovver di strage l’empia,
che dal contagio, o dalla guerra nascam,
Ei supplice lassù, pregando, il placa
____________
k Ricorre, invece di Spirito Santo (quasi una resa grafica del concetto di uno e trino), anche in opere in prosa dei secoli scorsi. Qui, però, la scelta era obbligata per motivi metrici.
l divino (S. Oronzo).
m Viene qui ripresa la concezione medioevale del Dio punitore con sciagure di ogni tipo.
  in tuo favore; e tu sicura osservi
da lungi il colpo dell’ultriceo destra
altrove con furor di già vibrato.
S’avvien che il Ciel da lungo tempo nieghi
l’umor vitalep alle tue piante e accorri
divota all’Ara a lui sacrata, tosto
benigno manda lor l’attesa pioggia.
Se mai le mandre del tuo gregge assalga
spiacevol morbo, che le uccida, basta
che tu le segni con fiducia ferma
del pingue umorq che dalle olive spremi,
che sempre arde in su’ onor presso l’Altare,
e in simil guisa ne riporti lieta
grazie, e favori allor, c’a lui ricorri.
Ma la parte miglior di questa gloria,
c’or dalla Terra al tuo gran Santo ascende,
è quella, che dal Regio onor diriva.
Il Re, accogliendo con pietoso affetto
l’Olio del Santo in auree Ampolle accolto,
che il provido tuo Padre  in don gli porse,
baciolle e in sacri accenti il labbro sciolse,
per onorarlo, in sì divote forme,
che degli Astantir umoris dagli occhi estrasse,
allor che parte del Sicaniot suolo
era di peste nel malore involta.
E a te si espresse, che se il mal seguisse
ad infestar questo bel Regno, il seno
 ____________
o vendicatrice
p la pioggia
q l’olio, simbolo della grazia divina (oleum divinae gratiae)
r presenti
s lacrime
t siciliano; i Sicani, insieme con i Siculi e gli Elimi errano antichi popoli della Sicilia.
  del tuo ricinto ad onorar verrebbe,
come di tanto mal sicuro asilo.
Or chi sa dunque se invitato e mosso
dall’innata pietà, che in lui risplende,
non porti il culto del tuo Santo dove
bagna il Betiu, la Vistolav e Garonnaw,
non che al vicin suo Regno di Trinacriax?
O chi sa ancor, che non l’avesse un giorno
per la Città Regale, ov’Ei dimora,
ad ottenere in suo Padrone, e Donnoy,
che ben può farlo? e sì a tal gloria aggiunga
gloria maggiore, a sè medesmo ancora?
Ma chi di sì bel fatto e sì bell’opra
ne porta il vanto? Egli è il tuo Padre, e Duce,
che ti governa, e regge. Il Duce, e Padre
è quegli, c’or da Sindaco presiede,
vegghiando in tuo vantaggio. Ei basta solo
che sia dal sangue Paladinz disceso,
per dir che sia di nobiltade adorno.
di generosi spirti, di prudenza,
di senno, di valore e di pietade.
Viva egli dunque il tuo gran Santo in Cielo.
Viva egli in Terra dentro il cuor di Tutti,
e nella lingua. Viva il tuo gran Rege,
che tanta gloria a Lui divoto accresce
e di tal gloria la cagion pur viva.
_____________ 
u Fiume della Spagna; da Baetis, nome latino del Guadalquivir.
v Il principale fiume della Polonia.
w Fiume della Francia.
x Sicilia. Trinacria è l’antico nome, dal greco τρινακρία (γῆ)=(terra) a tre punte.
y signore, dal latino dominu(m).
z La nobile famiglia Paladini, della quale parecchi rappresentanti eccelsero nelle armi (d’altra parte, con quel cognome, sembravano predestinati …)
  B
Sia principio il gran Carlo, e fine al canto
di nostre rime, o bei cignia d’Idumeb.
Da lui prendiam, nel dir, vigore e lume,
che largo spande oltre i confin del vanto.
Cantiam com’Ei, divoto al nostro Santoc,
renda più Santo il suo Regal costume,
poiché, qual fiamma, ch’altra fiamma allumed, accresce a sua pietà pietade ahi quanto!
Per ciò, benigno, a noi volgendo il petto,
le prove del suo amor ne ha rese contee.
Or quale onor può compensarlo appieno?
Escano a schiere dall’ondoso letto,
e ‘l Regio piè per noi gli bacin pronte
Ninfe e Tritonif onor del bel Tirreno.
____________  
a poeti
b Fiume leccese; vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/04/18/alle-fonti-dellidume-idronimo-inventato/
c S. Oronzo
d illumina; francesismo, da allumer.
e cognite, note.
f creature fantastiche, metà uomo e metà pesce.
  Passo ora ad IGNAZIO VIVA, integrando quanto già registrato in https://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/
Alle  pagine 62 e 93 ii due sonetti (A e B) che seguono.
A
De’ più be’ fiori ornando il crine, e ‘l seno
surge il Sebetoa in fra gli eletti cori
dell’Almeb Ninfe e in mezzo alli splendori
di CARLO passa al mar lieto, e sereno.
Mira intorno le sponde del Tirreno
cinte di Palme, e di veraci Allori;
mira de’ Gigli d’oroc i nuovi onori
sul Po, la Dorad, e sulla Mosae e ‘l Renof.
Mira di CARLO il forte invitto Brando,
che strinse in sua difesa, e per suo vanto
là sul Tebrog in quel Giorno memorando.
Poi si riposa dolcemente a canto
(l’alte Ghirlande dell’Eroe membrandoh)
all’ombra del Reale inclitoi Manto.
 _____________
a Fiume di Napoli.
b che danno vita
c I tre gigli dello stemma.
d Nome generico di due affluenti del Po (Dora Baltea e Dora Riparia).
e Fiume che nasce in Francia e scorre attraverso il Belgio e i Paesi Bassi.
f Tra i più lunghi fiumi europei, attraversa sei stati (Svizzera, Liechtenstein, Austria, Germania, Francia, Paesi Bassi).
g Tevere, dal latino Tibri(m). Allude ai fatti primavera del 1736, quando una serie di gravi abusi commessi a Roma dagli arruolatori napoletani e la violenta reazione popolare portarono a un punto di rottura i rapporti con la Chiesa: ne seguirono l’espulsione del nunzio da Napoli e duri provvedimenti militari contro le popolazioni laziali dalle truppe spagnole di stanza nello Stato pontificio.
h illustre 
  B
A S. Eccellenza il Signor Marchese di Salasa
 Non perché in te, Signor, l’alto splendore
del Nome Illustre è di sè pago e degno,
sdegnar tu dei che ogni divoto ingegno
del nostro Idumeb offra il suo puro Amore.
Non giugnec, è ver, tanto alto un parco onore
del nostro umile Amor verace segno;
ma pur si appaga di un sincero pegno
di rispetto, e di fede il tuo gran Core.
Movesi il bel desiod che ne conduce
a spiegar l’opre eccelse e in van fa mostra
di giugnere là dove Virtù ti adduce.
Ma godiamo in pensar che l’età nostra,
or che di Astreaf tu sei la guida e il Duce
coll’età degli Eroi si agguaglia, e giostrag.  
___________ 
a Giuseppe Gioacchino di Montealegre, Segretario di Stato e di Guerra.
b Vedi la nota b al componimento B di Tommaso Perrone.
c giunge
d desiderio
e giungere
f Dea greca dell’innocenza e della purezza. Scesa sulla terra nell’età dell’oro, diffuse i sentimenti di bontà e di giustizia ma, disgustata dalla degenerazione morale del genere umano si rifugiò nelle campagne e sopraggiunta l’età del bronzo, scelse di ritornare in cielo dove oggi risplende nell’aspetto della costellazione della Vergine
g gareggia
Nella seconda parte passerò in rassegna gli arcadi salentini dei quali fino ad ora ignoravo l’esistenza, anche se, ribadisco, sarebbe stato opportuno che ben altre circostanze me ne avessero propiziato la “scoperta”. L’augurio è che, tra voglia di conoscere, tenacia, intuito, circostanze magari fortuite ma fortunate ben altri ricercatori giungano presto a conoscere completamente ed a consegnare, cancellandola, alle pagine della storia della medicina la minaccia che incombe.
CONTINUA)
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (19/x): Felice Zecca di Lecce, Tommaso Possente di Trepuzzi, Riccardo Mattei e Niccolò Arnone di Alessano
di Armando Polito
Quattro autori in un colpo solo, perché solo di qualcuno di loro son riuscito a reperire qualcosa, oltre  a scarne informazioni . Ho condensato il tutto nelle relative schede.
FELICE ZECCA
Nel volume IV dei cataloghi manoscritti dell’Arcadia custoditi nella Biblioteca Angelica di Roma, volume che si riferisce alla custodia di Michele Giuseppe Morei (dal 1743 al 1766), si legge: Altibio Elimeo, Felice Zecca da Lecce, dottore.
In Efraimo Chambers, Dizionario universale delle arti e delle scienze, Pasquali, Venezia, 1749, s. p. compare nell’elenco dei leccesi appartenenti alla Società Reale di Napoli con la dicitura: Il Signor Dottor D. Felice Zecca Med.
Per quanto riguarda il nome pastorale, se per Altibio mi sfugge qualsiasi riferimento, Elimeo potrebbe essere forma aggettivale dal greco  Ἐλιμία (leggi Elimìa), località della Macedonia.
Un suo sonetto è segnalato dal Dizionario biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto, Lacaita, Manduria, 1999 in Raccolta di componimenti de’ signori accademici Spioni di Lecce composta in occasione della natività del serenissimo primogenito reale infante D. Filippo. Intitolata alla maestà di Carlo Borbone dall’illustriss. signor D. Domenico Maria Guarini patrizio, e general sindaco della città di Lecce, Viverito, Lecce, 1747. Del volume l’OPAC registra l’esistenza di due soli esemplari: uno, mutilo, è custodito presso la Biblioteca Provinciale Nicola Bernardini di Lecce, l’altro presso  la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli. Lascio a qualche volenteroso lettore quel controllo diretto che non mi è stato possibile fare e ringrazio anticipatamente chi vorrà comunicarne l’esito e, eventualmente, trasmettere il testo del sonetto.
  TOMMASO POSSENTE
In Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 363 si legge: Larisbo Zanio. Il Padre Agostino di S. Tommaso d’Aquino Procuratore generale de’ Cherici Regolari delle Scuole Pie, al secolo Tommaso Possente da Trepuzzi. Colon(ia). Mar(iana). Viene riportata a margine come data di ingresso nell’Arcadia il 27 novembre 1704. La colonia Mariana fu fondata nella Religione dei Chierici Regolari delle Scuole Pie l’8 novembre 1703. Il suo motto era: Hinc satur (Da qui sazio).
Per Larisbo non ho individuato nessun possibile riferimento, mentre Zanio potrebbe essere una forma aggettivale da Ζάν/Ζανός (leggi Zan/Zanòs), forma dorica per Ζήν/Ζηνός (leggi Zen/Zenòs) che significa Zeus.
RICCARDO MATTEI
In Comentari del Canonico Giovanni Mario Crescimbeni Custode d’Arcadia intorno alla sua Istoria della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, volume IV, p. 376 si legge: Darelmo … Il Dottor Riccardo Mattei d’Alessano.
I puntini di sospensione dopo Darelmo significano che la seconda parte del nome pastorale (che di solito contiene un riferimento toponomastico) non risulta assegnata. Ma per Darelmo mi sfugge qualsiasi possibile riferimento.
Il Dizionario biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto, op. cit. segnala tre suoi sonetti: uno in Oronzo Carro, L’ Accademia degli spioni di Lecce, Chiriatti, Lecce, 1723, p. 15 e gli altri due in Pompa accademica celebrata nel dì orimo d’ottobre natale dell’Augustissimo Imperadore Carlo VI di Spagna per l’anno MDCCXXI, Nuova stampa del mazzei, Lecce, 1721, pp. 64-65. Della prima opera l’OPAC registra l’esistenza di un solo esemplare presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e, per i motivi già addotti per Felice Zecca, confido nell’aiuto di qualche volenteroso lettore. La rete, invece, mi consente di riprodurre quanto contenuto nella seconda.
Colmo d’alta letizia il giorno riedea,
che a noi refulseb d’almac luce, e pura,
CARLO nascendo, a cui l’eterna cura
de l’Iberiad, e Germania il freno diede.
Dì tu Signor, che d’invincibil fede
armato reggi, ed è nostra ventura,
Lecce, l’illustri, ed all’età futura
fai gire la gloria sua, ch’ogn’altra eccedef.
Ben n’avrai mertog egual, che l’oprah è tale,
che non teme del tempo ingiuria, ed ira,
ma sarà sempre chiara, ed immortale.
Un sì bel dì per te sia sacro al Tempio
del’onore, e fin dove il Sole gira
giungerà di tua Fede un vivo esempio.
_____________ 
a ritorna
b brillò
c nobile
d Spagna
e avanzare
f supera
g merito
h impresa
   Signor vorrei in queste selve anch’io
cantar le lodi di sì lieto giorno,
che nascer vide d’ogni grazia adorno
CARLO de’ regni suoi dolce desio.
Ma non s’erge tant’alto il canto mio,
che solo il gregge a questa valle intorno
ode pascendo, e quando ei fa ritorno
al chiuso loco, onde il mattino uscìo,
bensì là dove il bosco in più segreta
parte, raccoglie de’ silvestri Dei,
la turba, e delle Ninfe il sacro coro.
Pregarò, ch’al mio Regea, offrendo loro
sovraa rustico altare i voti miei
ogni ventura sia felice, e lieta.
__________
a re
b sopra
  NICCOLÒ ARNONE
In Comentari del Canonico Giovanni Mario Crescimbeni Custode d’Arcadia intorno alla sua Istoria della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, volume IV, p. 376 si legge:  Democle … Niccolò Arnone d’Alessano.
Democle potrebbe essere connesso con il greco Δημοκλῆς (leggi Democlès), variante di Δαμοκλῆς (leggi Damoclès), cioè Damocle, il cortigiano di Dioniso II di Siracusa,  che per aver adulato il suo signore fu da questi  fatto sedere sul proprio trono con sul capo sospesa una spada retta solo da un crine di cavallo, perché capisse i pericoli incombenti sui regnanti.
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (18/x): Mauro Manieri di Lecce
di Armando Polito
Nacque a Lecce nel  1687 da Angelo, medico e letterato originario di Nardò, e da Maria Grismondi.  Utriusque iuris doctor1, è più noto come architetto, meno come pittore, meno ancora come letterato, il che sicuramente è legato all’intensità con cui si dedicò ai vari settori. Per questo non stupisce che del letterato, come vedremo, non ci è rimasto quasi nulla, nonostante un altro arcade leccese, Domenico De Angelis, in una lettera al marchese Giovanni Giuseppe Orsi di Bologna, pure lui arcade (nonché accademico della Crusca e dei Gelati) col nome pastorale di Alarco Erinnidio, lo definisca come giovane di elevatissimo ingegno, e di molte aspettazione nelle lettere latine e nonostante fosse membro dell’Accademia degli Spioni2, fondata, con altri, dal padre nel 1683.
In Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 370 si legge: Liralbo …. D. Mauro Manieri Leccese e come data d’ingresso nell’Arcadia il 19 aprile 1708. Evidentemente alla data del 1711 non gli era stata ancora assegnata la seconda parte del nome pastorale, cioé Fereate come risulta nei suoi (del Crescimbeni) Comentari intorno all’Istoria della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, p. 397. Se per Liralbo non ho proposte, Fereate potrebbe essere una forma aggettivale connessa con il greco Φεραῖος (leggi Feràios), che significa di Fere, città della Tessaglia.
Un suo epigramma costituito da due distici elegiaci è in Pompa accademica celebrata nel dì primo d’ottobre natale dell’augustissimo imperadore Carlo VI re di Spagna per l’anno MDCCXXI nella sala del castello di Lecce da D. Magin De Viles preside di questa provincia consagrata all’eminentis. principe Michele Federico del titolo di S. Sabina Prete Cardin. de’ Conti d’Althann, Nuova stampa del Mazzei, Lecce, 1721, p. 56.
Austriacis CAROLI Lux aurea condita fastis
nascere, et aeternum concolor inde redi.
Audior, Alma nites Magnum Imperii incrementum
et laevum nobis Juppiter intonuit 
(O luce aurea dell’austriaco Carlo, nasci fondata sui fasti e da lì ritorna dello stesso colore come cosa eterna. Sono ascoltato: tu risplendi nobile come grande incremento dell’Impero e per noi Giove ha tuonato propizio) 
Per tradizione indiretta, come spesso è successo per tante opere perdute, ci è giunto un frammento di un’elegia in lode di Fabrizio Pignatelli, che fu vescovo di Lecce dal 1696 al 1734: due distici elegiaci citati da Iacopo Antonio Ferrari, Apologia paradossica, Mazzei, Lecce, 1728, p. 6. 
Quid referam heroas naturae arcana secutos,
qui rerum ignotos explicuere sinus
quique novo caecosa explorant lumine causas,
auspicio doctos, te praeunte, gradus.
________
a Errore per caecas.
(Perché dovrei ricordare gli eroi che hanno indagato i misteri della natura, che hanno spiegato gli ignoti cuori delle cose e quelli che con nuova luce esplorano le cieche cause, passi insegnati con autorità sotto la tua guida)
Sicuramente dopo gradus o più avanti questa parte dell’elegia, che probabilmente è l’incipit, doveva concludersi con il punto interrogativo. Gli eroi sono i membri dell’accademia degli Spioni, con riferimento ai loro interessi culturali, che erano prevalentemente quelli scientifici e filosofici. La guida è quella del vescovo e sicuramente l’elegia fu scritta dopo il 24 aprile 1719, quando il prelato rientrò in Lecce da cui si sera allontanato per Roma, su ordine del viceré, nel 1711 a causa di grandissimi contrasti con l’Università.
________
1 Dottore in diritto civile e canonico.
2 Vedi  Archivio storico per le province napoletane, Giannini, Napoli, 1878, anno III, fascicolo I, pp. 150-153.
  Per la prima parte (premessa): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/       
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/   
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/   
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/    
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/  
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/  
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/  
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/ 
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/ 
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/ 
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/ 
Per la tredicesima parte (Domenico de Angelis di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-13-x-domenico-de-angelis-di-lecce-1675-1718/ 
Per la quattordicesima parte (Giorgio e Giacomo Baglivi di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-14-x-giorgio-e-giacomo-baglivi-di-lecce/ 
Per la quindicesima parte (Andrea Peschiulli di Corigliano d’Otranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-15-x-andrea-peschiulli-di-corigliano-dotranto/
Per la sedicesima parte (Domenico Antonio Battisti di Scorrano): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/05/gli-arcadi-di-terra-dotranto-16-x-domenico-antonio-battisti-di-scorrano/
Per la diciassettesima parte (Filippo De Angelis di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/24/gli-arcadi-di-terra-dotranto-17-x-filippo-de-angelis-di-lecce/
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (17/x): Filippo De Angelis di Lecce
di Armando Polito
Comincio da alcune incongruenze emerse nel corso della ricerca riportando  la scheda presente in Francesco Casotti, Luigi De Simone, Sigismondo Castromediano e Luigi Maggiulli, Dizionario biografico degli Uomini Illustri di Terra d’Otranto, a cura di Gianni Donno, Alessandra Antonucci e Loredana Pellè, Lacaita, Manduria, 1999, p. 132.
Premesso che l’Accademia dell’Arcadia di Napoli  non può valere che come la colonia Sebezia (che era la sezione napoletana dell’Arcadia di Roma), debbo dire che il presunto nome pastorale Ficandro non compare in nessun catalogo. Preciso, inoltre, che Domenico Andrea De Milo entrò nell’Arcadia col nome pastorale di Ladinio Bembinio il 23 marzo 16991.
Passo ora in rassegna alcune pubblicazioni che del nostro parlano e comincio proprio dal fondatore dell’Arcadia,  Giovanni Mario Crescimbeni, con quattro suoi contributi:
1) L’istoria della volgar poesia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1714, p. 318: Nè meno onorato luogo avrà il cultissimo Rimatore Filippo De Angelis Leccese, allorché metterà al pubblico il suo Comento sopra il Sonetto Mentre che ‘l cor dagli amorosi vermi, il quale, siccome vien detto, è diviso in tre parti, contenenti, la prima la locuzione, la seconda l’artifizio, e la terza la sentenza. 
2) Comentari del canonico Giovanni Mario Crescimbeni custode d’Arcadia intorno alla sua Istoria della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, volume  II, parte II, p. 267: Filippo De Angelis Leccese, tra gli Arcadi Licandro Buraichiano, ha dato alle stampe, tra le altre cose, un Volume di Rime; e il saggio è preso da i Codici manoscritti d’Arcadia.  Segue il saggio costituito da un sonetto sul quale tornerò più avanti. Qui, intanto, rilevo che Licandro corregge il Ficandro del Dizionario biografico citato all’inizio.
3) La bellezza della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, p. 396: Licandro Buraichiano. D. Filippo de Angelis Napolitano. Prima aveva scritto Leccese; è vero, ma Napolitano qui sta per cittadino del Regno di Napoli.
4) L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 353: Licandro … D. Filippo De Angelis Napol.
In quest’ultimo volume il nostro risulta incluso tra gli iscritti all’Arcadia il 4 luglio 1701. Basterebbe questo dettaglio per correggere il secolo XVII della scheda del citato dizionario con XVII-XVIII, tanto più che non manca nell’elenco il simbolo relativo dell’eventuale avvenuto decesso alla data del 1711. Accanto al nome del nostro non compare, infatti, tale segno. I puntini di sospensione che seguono Licandro fanno pensare che alla data del 1711 non gli fosse stata ancora assegnata la seconda parte del nome pastorale, che di solito conteneva un riferimento topografico detto campagna.
Se Licandro fa pensare ad un composto dal greco λύκος (leggi liùcos), che significa lupo/lupa (con riferimento a Lecce2), e il tema ἀνδρ– (leggi andr-) di ἀνήρ (legi anèr), che significa uomo, per Buraichiano ipotizzerei una derivazione dal greco Βουραικός (leggi Buraikòs) fiume dell’Acaia, a sua volta dal nome della città Βούρα (leggi Bura).
Dopo aver integrato la scheda del citato Dizionario biografico … informando che le Rime uscirono per i tipi di Mutio a Napoli nel 1698, che il testo è molto raro (l’OPAC segnala la presenza di due soli esemplari:, entrambi nella  Biblioteca statale del Monumento nazionale di Montecassino a Cassino) e che il titolo originale è Prima parte delle rime di D. Filippo De Angelis dedicate al molto illustre signore il signore Paolo De Matthaeis3, Mutio, Napoli, 16984, riproduco e commento il testo del sonetto, saggio riportato dal  Crescimbeni e da me lasciato in sospeso, che sviluppa il consueto tema di una sorta di riconciliazione tra la religione pagana e la cristiana.
  Cercai, è ver, ma indarnoa, i fonti, e l’acque
del bel Parnasob, e la sacrata fronde
di monte in monte, e fra la terra, e l’onde,
ma stanco il corpo al fin dal sonno giacque.
Quando Donna regal, non so se nacque
simile al mondo ancor: – Tu cerchi altrondec
i lauri – disse – e i fonti; e l’almed sponde
del Tebroe lasci , e ‘l vero Apollof – e tacque.
E l’immago di te, Signorg sovrano,
mostrommi h tutta di piropii ardenti
fregiata, con le Muse intorno assisel.
Disse posciam: – Ogni luogo ermon, e lontano
ben riconosce le virtù splendenti
del mio gran Pietroo; ed io son Roma –  e rise.
_________
a invano
b Monte della Grecia consacrato ad Apollo ed alle nove Muse.
c altrove
d nobili
e Tevere
f dio
g Dio
h mi mostrò
i pietre preziose. Il piropo  è un minerale della famiglia dei granati; dal greco πυρωπός (leggi piuropòs) che alla lettera significa dallo sguardo di fuoco, composto da πῦρ (leggi piùr), che significa fuoco, e da ὄψ (leggi ops), che significa sguardo.
l sedute
m poi
n solitario
o S. Pietro
  Quanto al sonetto citato nel Dizionario biografico … e presente alla fine della Poesia di Lorenzo Grasso, preciso anzitutto che Grasso va corretto in Crasso,  che l’opera ebbe diverse edizioni, anche postume, con titoli diversi5 e che, comunque, Lorenzo morì nel 1681, quasi dieci anni prima che l’Arcadia fosse fondata,  ragion per cui il sonetto in questione esula, per motivi cronologici, dal taglio di questo lavoro.
Un altro sonetto ho reperito, invece, in Alcuni componimenti poetici di Giuseppe Baldassare Caputo detto fra gli Arcadi Alamande per le nozze degli Eccellentissimi Signori Pasquale Gaetano d’Aragona Conte d’Alife e la Principessa Maria Maddalena di  Croy de’ Duchi d’Aurè, sorella della Serenissima Principessa Darmstatt, dedicati alla Eccellentissima Signora la Signora D. Aurora Sanseverino de’ Principi di Bisignano, Duchessa di Laurenzano, etc., Muzio, Piedimonte, 1711, p. 15. A differenza di altri componimenti di altri autori inseriti in questa raccolta, in testa a questo c’è la dicitura Di Filippo De Angelis, senza aggiunta del nome pastorale. Tuttavia il fatto che Giuseppe Baldassare Caputo, abate napoletano, fosse arcade (col nome pastorale di Alamande  Meliasteo) dal 7 febbraio 17076 rende più probabile che si tratti proprio del leccese.
Gioisca lieto omaia il bel Tirreno
in questo giorno avventuroso, e caro;
ogni tristo pensier, fosco,  e amaro
sgombri il Sebetob dal profondo seno.
E ‘l gran Padre Ocean, la Scheldac appieno
faccian Eco gioconda al doppio, e raro
di virtù, di valor ben degno, e chiaro
essemplod, al cui lodar l’arte vien menoe.
E dove muore, e dove nasce il Sole
faccia pompaf Imeneog de l’almah, e illustre
coppia gentil, che qui s’ammira, e gode.
E risuoni con fama eccelsa, industre
Maddalena e Pascale; anzi in lor lode
s’alzi eterno trionfo, eterna molei.
__________
a ormai
b Fiume antico di Napoli. Tirreno e Sebeto sono legati alla figura dello sposo duca d’Alife (in provincia di Caserta).
c Fiume che attraversa Francia, Belgio e Paesi bassi. Ocean e Schelda qui sono legati alla figura della sposa di origine fiamminga.
d esempio
e la cui lode adeguata l’arte non è in grado di fare
f solenne celebrazione
g In origine personificazione del canto nuziale, poi dio conduttore dei cortei nuziali.
h nobile
i testimonianza
(CONTINUA)
Per la prima parte (premessa): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/   
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/   
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/   
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/      
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/  
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/  
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/  
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/  
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/  
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/  
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/ 
Per la tredicesima parte (Domenico de Angelis di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-13-x-domenico-de-angelis-di-lecce-1675-1718/
Per la quattordicesima parte (Giorgio e Giacomo Baglivi di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-14-x-giorgio-e-giacomo-baglivi-di-lecce/ 
Per la quindicesima parte (Andrea Peschiulli di Corigliano d’Otranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-15-x-andrea-peschiulli-di-corigliano-dotranto/
Per la sedicesima parte (Domenico Antonio Battisti di Scorrano): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/11/05/gli-arcadi-di-terra-dotranto-16-x-domenico-antonio-battisti-di-scorrano/
____________
1 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 348
2 Vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2014/02/17/la-terra-dotranto-ieri-e-oggi-814-lecce/
3 Non è dato sapere se e quando uscì la seconda parte.
4 Al di là della rarità del volume, anche se l’avessi reperito in rete, non sarebbe stato possibile qui riprodurne e commentarne il contenuto, che occupa 144 pagine. Di seguito, però, riporto il sonetto  da Filippo dedicato al fratello Domenico ed inserito (nell’originale è a p. 140) nella parte che raccoglie la recensione delle opere di quest’ultimo a p. 260 del secondo volume di Le vite de’ letterati salentini, Raillard, Napoli, 1713:
Domenico fra tanti Archi ed illustri/trofei, che già leggesti onde fu Roma/adorna, or vedi al variar de’ lustri/spenti, ed appena il sito oggi si noma./Ma mirando gl’ingegni alti, ed illustri,/che furo, e che di lauro ornar la chioma,/eterni, e appar di fragili ligustri/avesser sciolta la terrena soma./Teco dirai, che non in bronzi, e in marmi/s’eterna il nome,od in sepolcri alteri:/ma ‘l saper sol può rintuzzar l’obblio.Ma più Signor da’ tuoi laudati carmi,/che per istudio altrui s’attende il rio/tempo già vinto, e che la fama imperi.
5 Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano Baba, Venezia, 1655; Poesie di Lorenzo Crasso barone di Pianura, Combi e la Noù, Venezia, 1663; Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano Baba, Venezia, 1665; Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano, Combi e la Noù, Venezia, 1667; Poesie di Lorenzo Crasso (terza edizione), Conzatti, Venezia, 1668;  Epistole heroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano, Combi e la Noù, Venezia, 1678; Pistole eroiche. Poesie di Lorenzo Crasso Napoletano, Lovisa, Venezia, 1720
6 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, op. cit. p. 368
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (16/x): Domenico Antonio Battisti di Scorrano
di Armando Polito
Cominciamo con un giallo, quello del cognome.
Ne Il Catalogo degli Arcadi in coda a Prose degli Arcadi, Antonio De Rossi, Roma, 1717, tomo III, p. LXXXI si legge:
Battisti si legge pure in Giammaria Mazzucchelli, Scrittori d’Italia, Bossini, Brescia, 1758, volume II, parte I, p. 557, al quale rinvio per la biografia.
Poi le cose si complicano: Battisti diventa Battista in Eustachio d’Afflitto, Memorie degli scrittori del Regno di Napoli, Stamperia Simoniana, Napoli, 1794, tomo II, p. 79, dove pure si legge in nota che Mazzucchelli a proposito della scheda relativa al nostro in Scrittori d’Italia raccolse tutto ciò dalle notizie intorno a’ Canonici, e Cherici Beneficiari Vaticani p. 24 comunicategli manoscritte da Monsignor Garampi, Canonico allora di S. Pietro, ed ora Nunzio in Vienna. Si avverta però, che il Mazzucchelli scrive il cognome del N. A. Battisti, non Battista, come dal medesimo autore si scrisse, né seppe ciò che da noi si soggiugne. Preciso che in nota 2 il Mazzucchelli aveva espressamente citato la fonte manoscritta e, quindi, gli viene imputato un errore di lettura, il che suppone che anche il D’afflitto l’abbia letta.
Non è finita, perché in rete1 leggo che il cognome sarebbe non Battista, ma Donbattista3. Putroppo manca la fonte, ma potrebbe essere una pubblicazione citata in  bibliografia: Maurizio Marra, Domenico Antonio Donbattista (note biografiche), Serafino Arti Grafiche, 2010. Non sono riuscito a reperirla ma sarei grato a chiunque l’avesse letta o allo stesso autore di una conferma o smentita circa Donbattista.
Nell’attesa nel titolo ho optato per la forma più antica (1717) all’inizio ricordata, confermata anche dai cataloghi successivi, compresi quelli recenti che si sono rifatti agli originali manoscritti conservati nell’archivio dell’accademia oggi depositato presso la Biblioteca Angelica di Roma.
Il suo nome pastorale risulta costituito dal solo Laudeno seguito da punti di sospensione, il  che denota la mancata assegnazione della campagna, cioè della seconda parte che di solito conteneva un riferimento toponomastico. Non son riuscito a trovare nessun riferimento e il fatto che Laudeno sia stato successivamente al nostro il nome pastorale pure del cardinale Giovanni Battista Barni2 non mi ha dato, come speravo, alcun aiuto.
Dello scorranese, comunque, ci restano due sonetti2.
  Poiché Belgrado la superba, e forte
sommisea al grand’Eugeniob il capo altero,
lieta tornando al dolce antico impero,
rotte l’Arabe indegne aspre ritorte c,
oh come impaziente ancor le porte
aprire a lui Bizanziod attende, e il feroe
giogo scuoter, condotta al ver sentiero
dalle vie di Maconf fallaci, e torte!
E seco Africa , ed Asia oppresse, e domeg,
Scipioh, e Alessandroi omail posti in obblio,
eterneran suo glorioso nome.
Che né il Tebrom, né il Gange o vide, o udio
di sacri lauri altre più degne chiome,
né invitto Eroe più generoso, e pio.
____________
a sottomise
b Eugenio di Savoia  (1663-1736), generale francese al servizio del Sacro Romano Impero. Tra i migliori strateghi del suo tempo (era soprannominato Gran Capitano), diede agli Asburgo la possibilità d’imporsi in Italia e nell’Europa centrale ed orientale. Per la battaglia di Belgrado, città liberata dai Turchi il 17 agosto 1717, gli venne dedicata la canzone  Prinz Eugen, der edle Ritter (Il Principe Eugenio, il nobile cavaliere).
c La ritorta era una piccola corda con cui si legavano ai prigionieri mani e piedi; qui sta nel senso metaforico di assedio.
d Bisanzio, la capitale dell’Impero Romano d’Oriente.
e feroce
f Maometto. Macone forma letteraria: Torquato Tasso, Gerusalemme liberata,  II, 2, 1: Questi or Macone adora, e fu cristiano.
g domate
h Scipione l’Africano
i Alessandro Magno
l ormai
m Tevere
    Tu che le Greche, e le Latine cartea
volgi sovente, e in dotte prose, o in carmi
discerner sai le forti gesta, e l’armi,
ch’Asia domaro, Europa, e l’altra parte,
dimmi, eccelso Alessandrob, ove di Marte
Eroe maggior potrai saggio additarmi
del gran Eugenioc, e s’unquad aie letto in marmif
egual senno, valor, consiglio, ed arte?
L’illustri sue, e memorande imprese,
d’almag , e sola virtù partig  ben chiari,
saran mai sempre ed ammirate, e intese.
Qual sien de’ lauri i degni fregi, e rari,
e quai le vie d’onore alte, e contese,
da lui sol fiah, ch’ogni Guerriero impari.
____________
a gli scritti latini e greci
b Alessandro Albani da Urbino, nipote di Clemente XI, cardinale, arcade per acclamazione col nome pastorale di Crisalgo Acidanteo.
c Vedi la nota b nel sonetto precedente.
d qualche volta
e hai
f iscrizioni
g prodotti, frutti
h avvenga
  (CONTINUA)
  Per la prima parte (premessa): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/  
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/   
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/   
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/ 
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/ 
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/ 
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/  
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/  
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/ 
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/ 
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/  
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/ 
Per la tredicesima parte (Domenico de Angelis di Lecce): 
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-13-x-domenico-de-angelis-di-lecce-1675-1718/ 
Per la quattordicesima parte (Giorgio e Giacomo Baglivi di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-14-x-giorgio-e-giacomo-baglivi-di-lecce/
Per la quindicesima parte (Andrea Peschiulli di Corigliano d’Otranto: http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-15-x-andrea-peschiulli-di-corigliano-dotranto/
________
1 https://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Antonio_Donbattista
2 In Rime degli Arcadi alle altezze Serenissime de’Principi Filippo Maurizio e Clemente Augusto di Baviera, tomo VII, Antonio de’ Rossi, Roma, 1717, p. 363.
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (15/x): Andrea Peschiulli di Corigliano d'Otranto
di Armando Polito
L’accademia dell’Arcadia era stata fondata il 5 ottobre 1690 e Andrea (nato nel 1601) morì il 9 gennaio 1691. La sua vita da pastore arcade durò, dunque, pochissimo tempo, ma gli onori che gli furono tributati dal consesso romano mostrano chiaramente la fama già acquisita. A tal proposito basterebbe leggere la biografia tracciatane da Domenico De Angelis1, la quale è preceduta da una tavola che di seguito riproduco e per la quale, nonché per altri dati iconografici, rinvio a http://www.fondazioneterradotranto.it/2016/09/08/andrea-peschiulli-1601-1691-corigliano-dotranto-quattro-ritratti-traduzione-galeotta/.
E il ricordo rimase vivo nel tempo, come dimostra la presenza del suo nome pastorale (l’ho sottolineato), insieme con quello di altri arcadi, in un’ecloga di Viminio Delfense, nome pastorale dell’abate Giacomo Zaghetti da Roma2:
Qui recinat, qui cantet Hylam, qui cantet Alaurum,
Philemonem, Eufisium, Thaerona, Bianora, Moerim,
( … Chi potrebbe celebrare a più riprese Ila3, chi cantare Alauro4, Filemone5, Eufisio6, Terone7, Bianore8, Meri9, …) 
Meri Foloetico fu il nome pastorale assunto dal Peschiulli. Meri è da Moeris, uno dei due pastori che dialogano nell’ecloga IX di Virgilio. Foloetico è forma aggettivale dal greco Φολόη (leggi  Folòe), nome di un monte tra l’Arcadia e l’Elide.
Per le ragioni cronologiche prima dette sarebbe stato strano se il Peschiulli ci avesse lasciato un’ampia produzione “arcadica”. E infatti non ce ne resta nemmeno un verso.
(CONTINUA)
Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/      
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/  
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/  
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/     
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/ 
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/ 
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/ 
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/ 
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/ 
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/ 
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/ 
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/
Per la tredicesima parte (Domenico de Angelis di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-13-x-domenico-de-angelis-di-lecce-1675-1718/
Per la quattordicesima parte (Giorgio e Giacomo Baglivi di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-14-x-giorgio-e-giacomo-baglivi-di-lecce/
__________
1 Vita di Andrea Peschiulli da Corigliano ne’ Salentini detto Meri Foloetico scritta dall’Abate Domenico De Angelis leccese detto Arato Alalcomenio, in Giovanni Mario Crescimbeni (a cura di), Le vite degli Arcadi illustri, Antonio de’ Rossi, Roma, 1710, parte seconda, pp. 107-130.
2 In I giuochi Olimpici celebrati in Arcadia nell’ingresso dell’Olimpiade DCXXXIII in onore degli Arcadi illustri defunti, Monaldini, Roma, 1744, p. 296.
3 Ila Orestasio era il nome pastorale completo di Angelo Antonio Somai.
4 Alauro Euroteo era il nome pastorale completo di Bernardino Perfetti.
5 Filemone Clario era il nome pastorale completo di Carlo Cartari.
6 Eufisio Clitoreo era il nome pastorale completo di Pirro Maria Gabrielli.
7 Terone Filacio era il nome pastorale completo di Marcello Malpighi.
8 Bianore Craneo era il nome pastorale completo di Giuseppe Rocco Volpi.
9 Meri Foloetico, come dirò subito dopo, era il nome pastorale completo di Andrea Peschiulli.
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (14/x): Giorgio e Giacomo Baglivi di Lecce
di Armando Polito
Si dice che madre non è la donna che ti che ti ha generato ma colei che ti ha cresciuto, anche se rimane vivo quasi sempre il desiderio di conoscere la propria madre naturale. La prima parte del detto, in fondo, potrebbe valere per tutti gli autori di questa collana che fecero fortuna o trascorsero la maggior parte della loro vita lontani dal luogo natio, nel nostro caso la Terra d’Otranto. Lo stesso vale all’incontrario (anche se solo inizialmente) per Giorgio e Giacomo Baglivi  che, nativi di Ragusa in Dalmazia, vennero adottati nel 1684 da due fratelli leccesi (rispettivamente Piero Angelo e Oronzo Baglivi, il primo  medico, il secondo canonico della Cattedrale) del quale assunsero il cognome. Giorgio, che era nato nel 1668, divenne uno dei medici più famosi d’Europa e morì nel 1707.  Inizio da lui.
Dato il taglio di questa collana, tralascio di citare le numerosissime sue pubblicazioni scientifiche e a tal proposito mi limito a riprodurre le pagine iniziali di una del 1704, il cui frontespizio risulta preceduto da un’antiporta contenente il suo ritratto.
Su quest’ultimo1, che di seguito riproduco da solo, voglio spendere qualche parola.
La cornice dell’ovale appare costituita dalla doppia riproduzione del bastone di Asclepio, antico simbolo associato alla medicina, consistente in un serpente attorcigliato intorno ad una verga, qui intorno ad una corona d’alloro sormontata da un sole splendente, simboli entrambi alludenti alla chiara fama del nostro. Ma un sottile legame lega il sole al gallo rappresentato nella parte inferiore su un letto di rami ardenti: un tramite tra la notte e il giorno, tra la morte e la vita, ben oltre il valore di animale sacrificale legato alla guarigione secondo un’interpretazione non superficiale di un passo di Platone2, non sfuggita ad un attento commentatore di qualche secolo fa3.
Passo alla parte testuale della tavola:
GEORGIUS BAGLIVUS AETAT(E) 34 (Giorgio Baglivi a 34 anni)
Più in basso: a sinistra C(laude). Duflos sc(ulpsit) e a destra Parisiis. L’incisione, dunque, è del francese Claudio Duflos (1665-1727), che operò a Parigi.
Fuori campo: Carolus Maratta inv(enit), delin(eavit) et Autori amico D(ono) D(edit) D(edicavit) Romae 1703 (Carlo Maratta ideò, disegnò e all’autore amico diede in dono, dedicò Roma 1703). Sul Maratta e sui suoi legami con gli Arcadi di Terra d’Otranto rinvio a Caraccio e Maratta e ad Antonio Caraccio di Nardò           .
Qui mi preme sottolineare, in rapporto all’analisi fatta della tavola, quanto felice fu “l’idea” del Maratta ed efficace il suo disegno.
È tempo che mi occupi di Giorgio come arcade.
Entrò nell’accademia il 10 aprile 16994 col nome pastorale di Epidauro Pirgense. Se Epidauro evoca immediatamente la greca Ἐπίδαυρος (leggi Epìdauros) in Argolide, che non dev’essere stata scelta casualmente dal Baglivi, essendo essa la patria di Asclepio, il dio della medicina, Pirgense è dall’aggettivo latino Pyrgense(m), che significa relativo a Pirgi [in greco Πύργοι (leggi Piùrgoi), in latino Pyrgi], cittadina dell’Etruria.
La stima di cui godeva anche in seno all’Arcadia trova una conferma nella biografia che Giovanni Mario Crescimbeni, uno dei fondatori della stessa accademia, di lui scrisse5 e in un sonetto che un altro fondatore gli dedicò6 e che di seguito riporto.
Trasformazione in Fenicea. Di Montano Falanziob uno de’ XII colleghi. In lode d’Epidauro Pirgense
Se, come altri già ottenne, a me pur lice,
anco ad onta, e stupor di mia natura,
novamente cangiar sorte, e figura,
deh fammi, o Feboc, diventar Fenicea.
Né pensar, che desii Dd’esser felice
con quella vita io già, ch’eterna dura:
ch’anzi temer potrei per mia sventura
eternamente allor farmi infelice.
Ciò bramo io sol, perché in più giusti modi,
e almen con tempo al di lui merto egualee,
d’Epidauro cantar potrò le lodi.
Perch’eif, che spesso ad altrui pròg lo straleh
spezzò di morte, e ne schernìo le frodii,
mertal in Pindom a ragion vita immortale.
______________
a O araba fenice, mitico uccello che rinasceva dalle proprie ceneri.
b Nome pastorale dell’abate Pompeo Figari di Genova.  
c Epiteto di Apollo; dal greco φοῖβος (leggi fòibos), che significa lucente.
d che io desideri
e e almeno in uno spazio temporale adeguato ai suoi meriti
f egli
g vantaggio
h freccia
i e si fece beffa dei suoi inganni
l meriti
m Monte della Grecia, anticamente ritenuto sede delle Muse.
Molto probabilmente gli impegni scientifici impedirono a Giorgio di dedicare un po’ del suo tempo alla produzione letteraria, il che spiega l’esito finora negativo che hanno avuto i tentativi di trovare qualche suo componimento in raccolte altrui.
Un po’ più fruttuosa per questo aspetto è stata la stessa indagine operata su Giacomo (1670-1712) che era entrato nell’Arcadia contemporaneamente al fratello col nome pastorale di Meropo Alittorio. Parecchi personaggi mitologici ebbero il nome di Merope, ma tra essi il più candidabile per il riferimento relativo (con cambio della desinenza al maschile?) mi pare essere  una delle Eliadi, figlia di Helios e dell’oceanina Climene. Per quanto riguarda Alittorio so soloche venne assunto come seconda parte del nome pastorale pure da Giuseppe Odazzi di Atri e da Paolo Borghese di Roma, ma questo non mi ha aiutato nel reperire uno straccio di riferimento.
Di lui ho reperito7 solo un’ecloga in esametri latini.. Secondo il modello classico essa è costituita da uno scambio di battute tra due pastori, Meropo …8 (Giacomo Baglivi) e Estrio Cauntino (l’agostiniano Giovanni Battista Cotta da Tenda):
La riporto pagina per pagina  in formato immagine facendola seguire dalla mia traduzione con le opportune note.
(Ecloga di Meropo … e di Estrio Cauntino
Meropo  Estro
Quel giorno è giunto in cui è lecito stimolare con la voce, o Arcadi, ed entrare nei premi sotto un facile giudice, in cui è lecito tentare melodie e toccare l’agreste zampogna. Oh dopo che ci siamo concessi al bosco, oh se qualcuno mi si ponesse di fronte a gareggiare a versi alterni! a
ESTRIO Ci sono le forze né manca il canto e la zampogna a due fori, con i quali sarei capace non solo di gareggiare con te nel verso ma di chiamare a gara nel canto lo stesso Febo. Ma perché è necessario, tolta la pelle, mettere allo scoperto i nostri arti e cospargere le selve di vivo sangue? Celebriamo piuttosto Alnanob con alterno onore.
MEROPO Oh, Estrio, forse è adeguato canto dalla gracile zampogna esaltare un Pastore che spinto dai meriti in nobile
_________________
a Questa battuta, anche se non è indicato espressamente, è da ascrivere a Meropo.
b Alnano Melleo era il nome pastorale di Giovanni Francesco Albani di Urbino, cardinale e poi  papa  col nome di Clemente XI, socio dell’Arcadia per acclamazione dal 12 maggio 16959 e dedicatario della raccolta.   
sedea, già da tempo evitandola, infine ne accolse l’onore per dare compimento ai comandi celesti, egli che, come l’Olimpo con la vetta sta tra i monti, tanto egli si distingue in altezza tra i sacri Padri, Tuttavia, per non sottrarmi, verrò dovunque mi chiamerai. Comincia! Seguiremo quel che la Musa ci concederà.
ESTRIO Comincerò. Ho visto Alnano mentre cinto di porpora e brillante di bisso camminava nella nobile cittàb: quale regina delle api, circondato da lunga schiera, risplende di nativa maestà e brilla di oro. Così andava tra i benemeriti Padri e il sacro senato, veramente più grande del regno e più grande della tiara. E. mentre l’aria risuonava intorno di voci festose, in Arcadia i verdi colli rimbombarono di festoso mormorio, Eco che si nascondeva rispose con applausi e i campi sembrarono rivestirsi improvvisamente di fiori. Da qui ritornano le antiche arti: pronte le Camenec sollevano il collo disprezzato  e quelle che arrossirono nei campi  osando a stento di emettere un canto, a stento di toccare il plettro, mentre viene Alnano, improvvisano pubblicamente melodie e con verso non timoroso addolciscono le taciturne selve. Ma dove la musa trascina colui che canta le gesta del Pastore! Per esempio io ora canto cose più grandi di quanto ispirino i campi e il bosco. Ma le nostre selve. che sarebbero  state un tempo degne di un antico Console, ora lo sono di un Principe. Come talora il fiume abbandona il letto nativo oltrepassate le rive, così io Estrio, immemore della campagna, immemore di aver vissuto già da misero bovaro, cercando alte mete esclamo: – Voi, selva e campi, state bene! -. Ma ora guarda quanto Dio arda in un volto illustre e quanto grande sia la gradita maestà dell’eccelso pudore! Guarda le forze dell’animo, quali neppure le poesie immaginano per i semidei, guarda lo sguardo e il decoro della fronte!
____________
a il papato
b Roma
c Le Camene erano antiche divinità latine delle sorgenti, assimilate alle Muse dei Greci, e perciò assunte a simbolo dell’ispirazione poetica.
Chi poteva piegare lo scettro, chi, più degno, la città? Da solo affronta fatiche temibili per gli dei, Potente per saggezza e parola: tanta è la facoltà dell’ingegno che illustri romani ammirano i responsi . Tu, o Cinziaa, vedi lui vigile in pesanti preoccupazioni; lo vedi tu, Febo, e più ampio illumini il cielo.
MEROPO Senza dubbio egli volge queste preoccupazioni al pubblico interesse, un tempo pastore dell’Arcadia, ora della città, guidando il peso delle cose sacre e il peso di Quirinob. Si prepara a costruire tempi miti per il mondo turbato, a correggere con le leggi i costumi e le frodi e di mandare fino alle regioni più lontane e ai regni barbari i salutari riti e i diritti da rispettare, per convertire a dei migliori le genti malate affinché si faccia strada la fede per gli dei e l’onore per gli altari. Proteggerà l’Italia, l’Italia che geme sotto il crudele Marte, ora con la preghiera, ora con le lacrime, ora conciliando con nobile voce i cuori dei re con la desiderata pace, mentre il Pastore stimola premuroso l’opera di pace e mentre il Padre commiserando l’afflitto invoca un’era tranquilla. Da qui una sicura quiete e tempi che non sanno cos’è la guerra spingeranno le stragi degli uomini e l’amore del massacro al di là del Tanaic e del Tigri e dei tempestosi giacigli del sole. Così il padre e il Pastore a voce altissima insegneranno a far sentire un suono tra le sacre trombe, non tra gli accampamenti. Tu, Temid, che nel frattempo hai commiserato gli antichi Penatie, affrettati a consegnare a Clemente i piatti della bilancia affidati a vantaggio dello stato romano , della religione gemente. La gloria richiesta con tali auspici trasferirà alla gioventù latina le virtù e il coraggio consoni ai Romani e in seguito rinvigorirà le memorie degli avi. Se sotto un tale Principe è prossima la fine per lo stato di rovina e una migliore età per i secoli a venire,
____________
a Epiteto di Diana; dal monte Cinto su cui era nata.
b Nella leggenda della fondazione di Roma fu identificato con Romolo. Qui sta come il simbolo del detentore del potere amministrativo (distinto solo formalmente da quello religioso appena nominato).
c Antico nome del Don; dal latino Tanais, a sua volta dal greco Τάναις (leggi Tànais), che è probabilmente da”iranico dānu che significa fiume.
d Dea greca del diritto e delle leggi. Regge una bilancia, simbolo del giudizio.
e Divinità romane protettrici della famiglia.
chi negherebbe i pascoli al gregge, i ruscelli alle erbe assetate, il latte agli agnelli, i fiori alle api e il citiso alle caprette? La terra grazie alla diffusa rugiada concederà le messi, le mammelle della vacca produrranno latte più del solito e cresceranno già un altro gregge e un altro ovile. Se, o grande Padre, Dio ha mandato te dall’alto Olimpo a presidio per le terre, con comune dono vivi una lunga vita e dispensatore di pace e di placida quiete, vigilando nello stesso tempo sulla speranza e sul gregge e benigno sui nostri campicelli, proteggerai l’asilo del sacro boscoa.
ESTRIO Con questa guida non la volpe, il feroce leone, non il velenoso serpente e l’orsa che suscita ansia circonderà i campi parrasib.
MEROPE Con questa guida l’ombra non nuocerà ai solchi, non alle messi, né la spiga ormai gonfia avrà paura delle fredde stelle.
ESTRIO Se qualche pecora si perde per i luoghi solitari dello scosceso monte, sollevata dalle braccia si nutre di erbe migliori.
MEROPE Se qualche scabbia, quella che rovinaC i velli, colpisce il gregge, subito al contagio appone la vigile mano.
ESTRIO Se qualche albero si protende verso il cielo con gracile tronco, grazie all’agricoltore Alnano respinge  le nevi e i venti.
MEROPE Se qualche speranza di preda spinge il lupo intorno agli ovili, grazie al Pastore Alnano vanifica gli inganni e la preda.
ESTRIO Oh felice Pastore, al quale  sorridono i campi, i coloni applaudono e le nostre ninfe modulano canti!
MEROPE Oh felice Pastore, al quale Roma prepara, il Lazio raddoppia e la terra  contraccambia grandi promesse e preghiere!
ESTRIO  Intorno a te scorrano moltissime generazioni, e per te le sorelle filino concordi stami senza fine.
MEROPE Febo volge al tramonto. Tu smetti:  infatti se in te, Clemente, ci sono tante arti di un santo cuore, che hanno potuto celebrare i sibili di un’esile zampogna?
______________
a Bosco Parrasio fu il nome generico scelto dagli Arcadi per le sedi  provvisorie delle loro adunanze, passato poi definitivamente alla prima stabile inaugurata nel 1726. Parrasio è da Parrasia, regione della Grecia antica nella parte meridionale dell’Arcadia.
b Vedi la nota a.
c Nel testo originale si legge tenera, che, oltretutto, genererebbe insanabile difficoltà metrica;  è evidente che si tratta di un errore per temerat, ascrivibile, data la caratura degli autori, alla composizione tipografica.
d Sono le tre Parche, che presiedevano alla vita di ogni uomo:Cloto filava il filo simboleggiante la vita, Lachesi ne stabiliva la lunghezza, Atropo lo recideva.
_________
1 Con un’operazione scorretta, a quei tempi difficilmente scopribile e sanzionabile, lo stesso ritratto, ma senza le firme degli autori e la dedica, compare come antiporta in un’altra edizione (s. n., Anversa, 1715). Frutto di un altro rame di qualità visibilmente inferiore, come, a parte quanto detto, mostrano altri dettagli che lascio al lettore individuare.
2 Fedone, 118a (sono gli ultimi attimi di vita di Socrate): Ἥδη οὖν σχεδόν τι αὐτοῦ ἦν τὰ περὶ τὸ ἦτρον ψυχόμενα, καὶ ἐκκαλυψάμενος—ἐνεκεκάλυπτο γάρ—εἶπεν—ὃ δὴ τελευταῖον ἐφθέγξατο—‘ὦ Κρίτων, ἔφη, τῷ Ἀσκληπιῷ ὀφείλομεν ἀλεκτρυόνα· ἀλλὰ ἀπόδοτε καὶ μὴ ἀμελήσητε.’ (Ormai dunque erano fredde le parti intorno al cuore e scoperto, infatti era stato coperto, disse, furono le sue ultime parole: – O Critone, siamo debitori di un gallo ad Asclepio, ma dateglielo e non ve ne dimenticate!)
3 Sebastiano Erizzo, I dialoghi di Platone, Varisco, Venezia, 1574, pp. 243-245.
4 L’Arcadia del Canonico Giovanni Mario Crescimbeni, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 349.
5 Notizie istoriche degli Arcadi morti, Antonio de’ Rossi, Roma, 1721, tomo III, pp. 276-280.
6 I giuochi olimpici celebrati in Arcadia nell’Olimpiade DCXXII in lode degli Arcadi defunti nella precedente Olimpiade pubblicati da Giovanni Mario Crescimbeni,  Antonio de’ Rossi, Roma, 1710, p. 84.
7 I giuochi olimpici celebrati dagli Arcadi nell’Olimpiade DCCXX in lode della Santità di N. S. Papa Clemente XI e pubblicati da Giovanni Mario de’ Crescimbeni Custode d’Arcadia, Monaldi, Roma, 1701, pp. 33-36.
8 Alla data del 1710, dunque, non risulta ancora assegnata a Giacomo la seconda parte del nome pastorale (conteneva di solito un riferimento toponomastico detto campagna).
9 L’Arcadia del Canonico Giovanni Mario Crescimbeni, op. cit., p. 345.
(CONTINUA)
Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/      
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/  
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/  
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/   
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/ 
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto) : http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/ 
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/ 
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/ 
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/ 
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/ 
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/
Per la tredicesima parte (Domenico De Angelis di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-13-x-domenico-de-angelis-di-lecce-1675-1718/
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (13/x): Domenico De Angelis di Lecce (1675-1718)
di Armando Polito
Dato il taglio documentario di questa raccolta relativo ai componimenti sparsi in raccolte altrui1, per la vita ed altri dati rinvio alla biografia scritta dal tarantino Francesco Maria Dell’Antoglietta (anche lui arcade col nome pastorale di Sorasto Trisio2) ed inserita in Notizie istoriche degli Arcadi Morti , Antonio de’ Rossi, Roma, 1720, tomo II, pp. 94-100 ed a quella scritta dal gallipolino G. B. De Tommasi ed inserita in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Gervasi, Napoli, 1818, tomo V, s. pp. Da quest’ultimo volume riproduco il ritratto che segue.
Arato Alalcomenio era il suo nome pastorale. Se Arato fa pensare al poeta greco Arato di Soli (IV-III secolo a. C.) certamente Alalcomenio contiene un riferimento ad Ἀλαλκομένιον (leggi Alalcomènion), antica città della Beozia. Risulta iscritto all’Arcadia il 3 agosto 16983.
Un madrigale è in I giuochi olimpici celebrati dagli Arcadi nell’Olimpiade DCXX in lode della Santità di N. S. Papa Clemente XI e pubblicati da Giovanni Mario de’ Crescimbeni Custode d’Arcadia, Monaldi, Roma, 1701, p. 80:
Ghirlanda di Gigli, e di Viole. Madrigale d’Arato Alalcomenio
Di bei candidi Gigli, e rugiadosi
colti dal verde piano,
e di vaghe Viole
colte dal vicin Fonte
priaa che nascesse il Sole,
del glorioso ALNANOb
circonderei la sacra augusta Fronte,
per adornar dell’immortal Pastore
con sì leggiadri Fiori, et odorosi
dell’Animo il candore,
e l’umiltà del Core.
__________ 
a prima
b Alnano Melleo era il nome pastorale di Clemente XI (Francesco Albani) arcade acclamato nel 1695, prima che nel 1700 fosse eletto papa.
  Un sonetto è in Rime e prose di Francesco Maria Tresca in lode dell’Invittissimo edAugustissimo Imperadore Carlo VI e redelle Spagne, consacrate all’Augustissima Maria Elisabetta di Volfenputel  Imperadrice regnante da Fra’ Berardino Tresca Cavaliere Gerosolimitano fratello dell’auttore, Mazzei, Lecce, 1717, p. 276.
Del Canonico Domenico De Angelis Accademico degli Spioni4
O beati quei tempi, in cui l’alloro
passò de’ vati a coronar Regnantia
e con bel cambio si rendean tra loro
e questi e quelli eternità di vanti.
Servia di tromba allor plettro canoro
a rendere immortali i trionfanti,
ma del trionfo poi l’alto lavoro
tornava ai vatib, e fea felici i canti.
Per te eccelso cantor bram’io, che riedac
del’aurea etate il Secolo vetustod
e che al tuo mertoe egual mercèf conceda.
A me liceg sperarlo, e troppo è giusto,
che tua mercedef il Mondo ammiri, e veda
rinnovellatoh il secolo d’Augusto.
  Non è raro in pubblicazioni del genere che ad un componimento encomiastico segua la risposta del celebrato. Così successe per il De Angelis e, se a rispondere era un papa, l’onore diventava doppio.5 
______
a passò dai poeti a incoronare i re
b poeti
c ritorni
d il secolo antico dell’età dell’oro
e merito
f conceda pari ricompensa
g è lecito
h rinnovato
  Un sonetto è in Corona poetica rinterzata in lode della Santità di N. S. Papa Clemente XI da Giovanni Mario de’ Crescimbeni Custode d’Arcadia, Chracas, Roma, 1701, p. 30:
  D’Arato Alalcomenio. Uno de’ XII Colleghi.
Di tua mente uno sguardo almoa, e giocondo
render può sol felice, anzi beato
il nostro Pastoral ruvido stato,
ch’era a noi di gravoso inutil pondob.
L’umìl zampogna esiliar dal Mondo
volean l’Invidia, e ‘l fiero avverso Fato,
né più sentiasic il cantar dolce usato
(e s’ei fiad spento, qual sarà il secondo?).
Ma tosto si vedran d’Invidia a scorno
scortie da saggia, e gloriosa guida
far nel Parrasio Boscof al fin ritorno
dolce cantar, santa Amicizia,e fida,
di tuo splendore un gentil raggio adorno
se alle nostre Foreste avvien che arrida.
  _______
a nobile
b peso
c si sentiva
d sarà
e scortati
f Così gli Arcadi chiamavano il luogo scelto per le loro adunanze prima che tale nome venisse assunto dalla suggestiva villa che si fecero costruire su progetto dell’architetto arcade Antonio Canevari (nome pastorale: Elbasco Agroterico) e dell’allievo Nicola Salvi (nome pastorale: Lindreno Issuntino), inaugurata il 9 settembre 1926. Parrasio è dal greco Παρράσιος (leggi Parràsios), che significa di Parrasia, regione della Grecia antica nella parte meridionale dell’Arcadia.
(CONTINUA)
  Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/      
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/  
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/  
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/     
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/ 
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto) : http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/ 
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/ 
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/ 
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/ 
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/
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1 Sue opere “autonome” furono: Della patria d’Ennio, Monaldi, Roma, 1701 e s. n., Firenze, 1702; Le vite dei letterati salentini, s. n., Firenze, 1710 (v. I) e Napoli, Raillart, 1713 (v. II); Orazione in morte dell’augustissimo imperadore Gioseppe Primo d’Austria, recitata nel duomo della città di Gallipoli, s. n., Gallipoli, 1711; Lettere apologetiche istorico-legali, nelle quali rispondendosi ad alcune scritture pubbliche in nome del Governatore di Lecce, scritte intorno alle differenze, che versano tra l’illustrissimo Monsignore Vescovo, e la medesima illustrissima Città di Lecce per la giurisdizione del Casale di S. Pietro di Lama, e di S. Pietro Venotico, si dimostrano vane le pretensioni della Città, e si stabiliscono le ragioni della Vescovil Chiesa di Lecce, s. n., s. l. s. d.
2 http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/  
3 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 348.
4 Per l’Accademia degli Spioni vedi in Archivio storico per le province napoletane, Giannini, Napoli, 1878, anno III, fascicolo I, pp. 150-153.
5 Clemente XI gli rispose con questo sonetto: Trattai con dubia man plettro sonoro/strade tentando inusitate avanti/,ma quando alfin credea l’alto lavoro/conobbi i miei pensieri andar erranti./Felice te, che delle muse il coro/colmi di tutti i preggi onesti, e santi,/tal che eccelso cantor fusti per loro/e scrittor d’alme di virtuti amanti./Godi, che il tuo gran merto altro non chieda/,di pura lode e di due palme onusto/in ben sicura parte alberghi, e sieda./Ch’io se del calle faticoso e angusto/uscirò mai, dritto è che ognun ben creda/che il Real suo splendor mio stil fè augusto.
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (12/x): Giovanni Battista Carro di Lecce
di Armando Polito
Fece parte dell’Arcadia durante la custodia (oggi si direbbe presidenza) di Michele Giuseppe Morei (1743-1766) ed è questo l’unico dato di orientamento cronologico. Il suo nome pastorale era Sillano Eurinomico. Come al solito il primo nome pone seri problemi per quanto riguarda la probabile origine, tant’è che, come successo per altri, qui non azzardo alcuna proposta per Sillano. Per quanto riguarda, invece, Eurinomico potrebbe trattarsi della solita forma aggettivale derivata da un nome greco, in questo caso Εὐρυνόμη (leggi Euriunome), ninfa figlia di Oceano e di Teti1.
Sappiamo che era abate dall’indicazione data dal sonetto reperito in Adunanza tenuta dagli Arcadi per la ricuperata salute della Sacra Real Maestà di D. Giovanni V Re di Portogallo, Antonio de’ Rossi, Roma, 1744, p. 136 :
Dell’Abate Giambattista Carro detto Sillano …2 sonetto
Poiché col guardo suo, che tutto vede,
Iddio mirò nella città di Ulissea
che tetra Morte tra sue nobil prede
volea GIOVANNI, a sé chiamollab e disse:
– Non sai tu già che nobil tron, e fede
nel saggio Core del gran Rege han fissec
Giustizia, Pace, Religione, e Fede,
or che l’Europa tutta è in arme e ‘n risse?
Non vedi Arcadia mesta al Tebrod in riva
quai votie m’offre, e come egraf sen giace
e Pace, e Religion, che i votie avviva?
Gridar non senti, s’egli a me pur piace,
e viva ARETEg, il Saggio ARETE e viva,
Arcadia, il Tebro, Religione, e Pace? –
_______________ 
a Lisbona. Il Carro sembra seguire l’interpretazione di alcuni commentatori di un passo di Pomponio Mela (I secolo d. c.), De situ orbis, III, 1: Sinus intersunt et est in proximo Salacia, in altero Ulyssippo et Tagi ostium, amnis gemmas aurumque generantis (Si frappongono delle insenature e in quella più vicina c’è Salacia, nell’altra Ulissippo e la foce del Tago, fiume che genera gemme ed oro) secondo i quali Salacia sarebbe l’odierna Alcácer do Sal e Ulyssippo, fondata da Ulisse (basta il solo Ulissi– per ipotizzarlo?), l’odierna Lisbona.
b la chiamò
c hanno fissato
d Tevere
e preghiere
f sofferente
g Arete Melleo era il nome pastorale assunto da Giovanni V al suo ingresso nell’Arcadia per acclamazione nel 1721 al tempo della custodia Crescimbeni (1690-1728). Nel 1725 grazie ad una sua donazione di 4000 scudi l’Arcadia si era potuta dotare di una sede tutta sua, cioè l’Orto dei Livi alle pendici del Gianicolo, che l’architetto arcade Antonio Canevari (nome pastorale Elbasco Agroterico) trasformò nel Bosco Parrasio. A proposito del per la ricuperata salute del titolo della raccolta va ricordato che fin dalla giovane età Giovanni V aveva mostrato una salute molto cagionevole e che il recupero in questione seguì una delle tante convalescenze.
Oltre che dell’Arcadia fu socio anche dell’accademia degli Speculatori di Lecce. Un suo sonetto, infatti, è inserito in Componimenti vari degli accademici speculatori di Lecce in rendimento di grazie alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie per la concessione della sua real protezione e del Giglio d’oro, s. n., s. l., 1776, p. 73, dalla cui intestazione risulta essere archidiacono.
Agli Alessandri, ai Cesari, ai Pompei,
ch’ebber pronta alle stragi ognora la mano,
il bel titol di Eroe si diede in vano,
che ingiusti furo, micidiali e rei.
Saggio e giusto RE, il vero Eroe TU sei,
che a Pace in seno col tuo amor Sovrano
metti in catena ogni bel core umano,
e il gran trionfo solo a TE lo deib.
A Te s’alzinoc gli archi e a TE si ascrivad,
si ascriva a TE, se in più lontana parte
in avvenir la nostra fama arriva.
TU, che sei Padre d’ogni scienza, ed arte,
con lo splendor de’ tuoi GRAN GIGLIe avviva
le nostre menti nel vergar le carte.
___________
a sempre
b devi
c s’innalzino
d si attribuisca
e Lo stemma concesso all’accademia da Ferdinando IV.
  _____________
1 Esiodo (VIII-VII secolo a. C.), Teogonia, vv. 907-908: Τρεῖς δέ οἱ Εὐρυνομη Χάριτας τέκε καλλιπαρῄους/ Ὠκεανοῦ κούρη, πολυήρατον εἶδος ἔχουσα(Eurinome, figlia di Oceano dal molto amabile aspetto, generò le tre Grazie).
2 Manca la seconda parte del nome pastorale (Eurinomico), che è presente, invece, nel catalogo del Morei. Probabilmente alla data in cui il volume uscì non gli era stato ancora assegnata.
  (CONTINUA)
Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/     
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/ 
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/ 
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)  
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/    
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto) : http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (10/x): Tommaso Perrone di Lecce
di Armando Polito
In Prose degli Arcadi, Antonio de’ Rossi, Roma, 1718, tomo III, p. XIV si legge Tommaso Perrone Leccese, Avvocato Napolitano.  Se Leccese si riferisce alla terra d’origine, Napolitano è in rapporto con il diverso ambito culturale e professionale con il quale allora, come oggi, ci si doveva confrontare.
Edisio Atteo era il suo nome pastorale. Se per Edisio mi pare poco probabile che il riferimento sia a quell’Edesio che insieme con Frumentio evangelizzò l’India secondo il racconto di Rufino di Aquileia (IV-V secolo d. C.)1, Atteo è quasi sicuramente dal greco Ἀκταῖος (leggi Actàios), che significa dell’Attica.
Di lui ho reperito i componimenti che seguono.
In Michele Federigo d’Althann vescovo di Vaccia, cardinale di Santa Chiesa, Viceré di Napoli, ecc. acclamato in Arcadia col nome di Teadalgo Miagriano. Componimenti degli Arcadi della Colonia Sebezia, e d’altri non Coloni, Mosca, Napoli, 1724, pp. 77 e 121-124:
1) 
Più che d’auroa , e di gemme in fronte sparsi,
mostri que’ fregi, onde tua mente luceb:
com’il Sol, che veggiamc d’un vetro starsi
dall’altra parte, e in questa pur traluce.
E son fra gli altri i più sublimi apparsi
Senno, Valor, Giustizia e chi n’è Duce,
soave maestà, che cercan farsi
maggiori al tuo gran Nome, a la tua luce.
Felice Arcadia! Del tuo nome adorno
s’illustra; e i regi antichi, onde solead
vantarsi, obliae e tu la fai sì altera.
Ed or che t’ha nel grembo, un più bel giorno,
ne puref allor, che Augusto la reggea,
vide l’alta Cittàg, che al Mondo imperah.
_________
a oro
b dei quali la tua mente risplende
c vediamo
d dei quali soleva
e dimentica
f Sic, per neppure.
g Roma
h comanda
  2)
O s’uguali al desio potessi l’ale
muover così, che de l’oscura notte
uscissi fuori e con altero volo,
per goder sempremai del chiaro giorno,
là mi fermassi ove s’accende il Sole,
senza mai paventara l’ira del tempo!
I’ non farei, ch’oltraggio alcun dal tempo,
e dal ratto volar di sue presteb ale
soffrisse, ma godendo eterno il Sole,
l’ombre fugasse de la cieca notte,
questo sì chiaro, e memorabil giorno,
in cui TEODALGO mi solleva a volo.
Ma come aver poss’io per tanto volo
penne ben degne se non basta il tempo
del viver mio, non che di questo giorno,
a farne inchiesta, e trasportar su l’ale
de la Fama il suo nome ove fa notte
quando l’altro Emisperoc illustrad il Sole
ed ivi ancor dove risplende il Sole
stanco non mai del suo mirabil volo?
Or se tanto non posso e pur la notte
mi tien fra l’ombre e m’è nemico il tempo,
a te felice Arcadia io drizzo l’alee
del mio vago pensiero in sì bel giorno.
Deh sorgi altera, e godi, e loda il giorno,
che i tuoi Campi feconda un nuovo Sole
maggior de l’altro, che spiegando l’alee
de’ suoi rapidi raggi, a Te col volo
giunse, recando ed ontaf, e scorno al tempo.
per far che non t’accechi invidag notte.
E quella, che ti copre, usatah notte,
sorga più lieta, e chiara al par del giorno,
e le vicende sue ti mostri il tempo
sempre felici e non ti turbi il  Sole.
E i tuoi Pastori, quasi cigni, al volo,
e al canto spieghin la lor voce, e l’alee.
E dican sempre dibattendo l’alee:
– TEODALGO è il Sole, che la notte a volo,
e ‘l Tempo fuga, e ne dà vita, e giorno.
__________
a temere
b veloci
c emisfero
d illumina
e ali
f offesa
g invidiosa
h abituale
  3) 
Questa di puro latte opra gentile,
che poco dianzi il mio Capraro avvolse
fra questi giunchi, è il frutto che raccolse
dal gregge mio qui non tenuto a vile.
Questa, TEODALGO, in don ti porgo umìle,
poiché la nostr’Arcadia in Te rivolse
l’occhio ben saggia e nel suo sen t’accolse,
come suol vagaa donna aureo monile.
Qui ci vedrai, con tuo piacer, menareb
al verde prato il gregge, ed al ruscello
e cantar lieti al suon d’umile cannac.
Ma Tu, che ti orni d’opre illustri, e chiare,
alfin sarai più gran Pastor di quello
ch’or fatto sei né il mio pensier m’inganna.
_____
a graziosa
b condurre
c siringa
  4) 
Come il raggio del Sol, che prima indora
di Pelioa, e d’Ossab le superbe cime,
scende poi ne le Valli oscure ed imec
ed esse ancor di sua presenza onora,
quivi pur chiaro, e pur benigno allora
ogni rozzo arbusceld, che non s’estimee,
e ogni altra gentil pianta sublime,
con sua rara virtù feconda, e infiora,
così TEODALGO, Tu de’ primi Eroi
l’alte Sedi rischiari ed or ne scendi
ad illustrar’i nostri bassi Campi.
Tu pien di nuovo almof splendor fra noi,
oltre l’usatog, il furor sacro accendi
e nel volto a ciascun la gioia stampi.
_________
a Monte della Tessaglia.
b Monte tra il Pelio e l’Olimpo. Quando i giganti Oto ed Efialte tentarono di scalare quest’ultimo misero l’uno sull’altro il Pelio e l’Ossa.
c profonde
d arbusto
e che non è degnato di alcuna considerazione
f nobile
g oltre l’abituale
  In Vari componimenti per le nozze degl’Illustrissimi Signori il Signor D. Niccolò Parisani-Buonanni Marchese di Caggiano etc. e la Signora D. Emmanuele Erberta Vitilio de’ Marchesi dell’Auletta etc., Mosca, Napoli, 1717, s. p.:
5) 
Queste grandi Almea (che di chiaro semeb
trasser la spogliac) furon già criate
d’ugual pensiero e furo anco dotate
d’un pungente desìo d’unirsi insieme.
or Imene d le stringe e quella spemee,
che incerta fu, le rende omaif beate,
giunta nel suo bel fine, e avventurate
faralleg fin che chiudan l’ore estremeh.
Ei dunque scaldi e accenda in sì bel nodo
l’oneste voglie, sì che ERBERTA doni
della futura prole il certo segno.
Nascan figli, e nipoti; e in alto modo
di lor Fama quinci e quindi suoni,
com’è de’ cari Sposi ora il disegno.
__________
a anime
b stirpe
c il corpo
d Nell’antichità classica era il dio delle nozze e, come nome comune, l’ epitalamio, il canto nuziale  che si cantava in coro mentre si accompagnava la sposa alla casa del marito. La voce è dal latino hymenaeu(m), che è trascrizione del greco ὑμέναιος (leggi iumènaios), a sua volta da ὑμήν (leggi iumèn), che significa membrana, imene.
e speranza
f ormai
g le farà
h fino alla fine della vita
  In Raccolta di componimenti in Lode di sua Eminenza il Cardinale D. Arrigo Enriquez per la di Lui Promozione al Cardinalato indirizzata al medesimo da Giacinto Viva Consolo dell’Accademia de’ Spioni di Lecce, Domenico Viverito, Lecce, 1754, s. p.2:
6) 
Poiché, Signor, giungesti all’alto segnoa,
ove il tuo sangue e tua Virtù sì rara
ti feanb  la via da molto tempo a gara
e ruppero il confin del tuo ritegno,
ben è dover che il nostro umile ingegno
mostri in questa occasion sì bella e cara
che tutto il lume, onde si rende chiara
nostra fama, divien dal tuo disegno.
Sì tu solevi un tempo in culto stile
con prose, e rime ornar nostra Adunanzac
e quinci nacque il ben che poi ne avvenne.
Or, perché sei tu sempre a te simile,
tì offre quei fior, che fare ha per usanza
in segno del suo amor, che in te ritenne.
____________
a alla carica cardinalizia
b facevano
c L’accademia degli Spioni di Lecce, fondata nel 1683. In  L’Accademia degli spioni di Lecce, sua origine, progressi, e leggi: dove si fa menzione nommen de’ viventi, che de’ morti accademici, fondata l’anno 1683 dedicata da Oronzio Carro vicesegretario della medesima al glorioso martire di Cristo, patrizio, e primo vescovo di Lecce, S. Oronzio, Chiriatti, Lecce, 1723, vi è un intervento dell’Enriquez dal titolo Ragionamento indiritto agli Accademici Spioni. Per altre notizie su quest’accademia vedi Archivio storico per le province napoletane, anno III, fascicolo I, Giannini, Napoli , 1878, pp. 150-153.
__________________
1 Historia ecclesiastica, libro I, cap. IX (nella Patrologia del Migne, s. n., Parigi, 1849, tomo XXI colonne 478-480).
2 Il sonetto reca l’intestazione: Sonetto dell’Arcidiacono Tommaso Perrone tra gli Arcadi detto Edisio Atteo. Nel volume è riportato pure un sonetto di un altro arcade leccese, IgnazioViva (Verino Agrotereo). Ricordo per analoga celebrazione Poesie toscane, e latine per la promozione alla Sacra Porpora dell’Eminentissimo, e Reverendissimo Principe il Signor Cardinale Arrigo Enriquez Principe di SquinzanoProtettore della Città, e del Ducato di Camerino, Gabrielli, Camerino, 1754.
  (CONTINUA)
Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/     
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/ 
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/ 
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)  
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/    
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto) : http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/
 Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (9/x): Giulio Mattei di Lecce
di Armando Polito
Salenzio Itomeo il suo nome pastorale. Abate, entrò nell’Arcadia il 20 giugno 17081. Per Salenzio non è azzardato supporre un riferimento al Salento, quasi una forma aggettivale sostitutiva di Salentino, anche in funzione distintiva rispetto al milanese Pietro Antonio Crevenna, entrato in Arcadia il 2 maggio 17042, il cui nome pastorale era Salento Elafieio. Ma non credo sia estraneo neppure il Salentium di Leadro Alberti (XV-XVI secolo), per il quale rinvio a http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/16/tuttal-piu-me-lo-bevo-ma-non-me-la-bevo/, in linea con gli stessi moderni  equivoci  rilevati per Tommaso Maria Ferrari.  Per Itomeo il riscontro è con il monte Itome in Messenia. Riporto due passi di Pausania (II secolo d. C.)3:
Καὶ γὰρ τοῦ Διὸς τὸ  ἐπὶ  τῇ  κορυφῇ  τῆς  Ἰθώμης τέμενος …
(E infatti il santuario di Giove sulla cima dell’Itome …)
Ἐς δὲ τὴν κορυφὴν ἐρχομένῳ τῆς  Ἰθώμης, ἣ δὴ Μεσσηνίοις ἐστὶν ἀκρόπολις, πηγὴ Κλεψύδρα γίνεται. Πάντας μὲν οὖν καταριθμήσασθαι καὶ προθυμηθέντι ἄπορον, ὁπόσοι θέλουσι γενέσθαι καὶ τραφῆναι παρὰ σφίσι Δία. Μέτεστι δ᾽ οὖν καὶ Μεσσηνίοις τοῦ λόγου. Φασὶ γὰρ καὶ οὗτοι τραφῆναι παρὰ σφίσι τὸν θεόν, Ἰθώμην δὲ εἶναι καὶ Νέδαν τὰς θρεψαμένας, κεκλῆσθαι δὲ ἀπὸ μὲν τῆς Νέδας τὸν ποταμόν, τὴν δὲ ἑτέραν τῷ ὄρει τὴν Ἰθώμην δεδωκέναι τὸ ὄνομα. Ταύτας δὲ τὰς νύμφας τὸν Δία, κλαπέντα ὑπὸ Κουρήτων διὰ τὸ ἐκ τοῦ πατρὸς δεῖμα, ἐνταῦθα λοῦσαι λέγουσι καὶ τὸ ὄνομα εἶναι τῷ ὕδατι ἀπὸ τῶν Κουρήτων τῆς κλοπῆς. Φέρουσί τε ἀνὰ πᾶσαν ἡμέραν ὕδωρ ἀπὸ τῆς πηγῆς ἐς τοῦ Διὸς τοῦ Ἰθωμάτα τὸ ἱερόν.
(Per chi va sulla vetta dell’Itome, che per i Messeni è la rocca, c’è la sorgente Clessidra. Cosa difficile anche per chi prende a cuore la questione è contare tutti quelli che pretendono che Zeus sia nato e cresciuto presso di loro. Il discorso riguarda pure i Messeni.  Infatti anche questi dicono che il dio è cresciuto tra loro, che nutrici sono state Itome e Neda, che da Neda è chiamato il fiume e che l’altra abbia dato il nome Itome al monte. Dicono che queste ninfe lì abbiano lavato Zeus, che era stato nascosto dai Cureti per timore del padre, e che il nome alla fonte sia derivato dall’inganno dei Cureti. E ogni giorno portano l’acqua dalla fonte al tempio di Zeus Itomata)
Di lui non ho notizia di opere singole pubblicate, ma della sua attività di poeta rimangono numerose tracce in varie raccolte.
Due sonetti sono in Michele Federigo d’Althann vescovo di Vaccia, cardinale di Santa Chiesa, Viceré di Napoli, ecc. acclamato in Arcadia col nome di Teadalgo Miagriano Componimenti degli Arcadi della Colonia Sebezia, e d’altri non Coloni, Mosca, Napoli, 1724, pp. 63 e 102: 
Signor, da l’uno a l’altro estremo Polo
andran di nostra Arcadia i pregi alteri,
e riverranno in lei que’ dì primieri, in
cui sublime ergean suoi cigni il volo.a
Se l’antico splendor tutto in Te solo
oggi riveste, e gli onorati, e veri
sentier riprende, onde un dì fia b che speri
girnec  più chiaro il nostro eletto stuolo,
or qual darem ghirlanda al tuo valore?
Ch’a sommi Eroi non basta il crin fregiarsi
di lauro, o palma, o d’altro pari onore.
Dee sol di tue Virtudi ‘l serto farsi,
onde splender vedremo ogni Pastore
più che d’auro, e di gemme in fronte sparsi.
_______
a e ritorneranno in lei quei primi giorni in cui  i poeti dell’Arcadia dettero splendida prova di sé. Michele Federico d’Althann era entrato nell’Arcadia nel 1722.
b sarà
c procedere
  Spirti d’onor, che ‘n riva al Tebroa ancora
d’Arcadia amanti intorno a lei godete,
deh sul Sebetob a rimirar movete,
qual degno Eroe le nostre selve onora!
Quel, cha Virtude il Regno orna, e ristora,
il gran TEODALGOc, or non sdegnar vedrete
un serto umil, ch’in queste piagged liete
rozza man di Pastor tesse, ed infiora.
Vedrete ancor, come la fronda e ‘l fiore
pregio racquisti a la sua fronte intorno,
e prenda qualità dal suo valore.
Ma no, restate; e ‘l rivedrete un giorno
d’altro ben degno Ovil Sommo Pastore
sul Vatican di maggior serto adorno.e
________
a Tevere
b Antico fiume di Napoli.
c Come recita pure il titolo della raccolta, Teadalgo Miagriano era il nome pastorale di Michele Federico d’Althann.
d contrade
e Questi ultimi tre versi non furono profetici, perché Federico non fu papa.
  Quattro sonetti sono in Rime degli Arcadi, Antonio de’ Rossi, Roma, 1717, tomo VI, pp. 283-285
Quell’io, ch’un tempo nell’età ferventea
vissi morendo al folgorar d’un guardo b,
che balenando ognor lume bugiardo,
fè d’impuro desioc l’anima ardente,
or d’altra etaded altro pensiero in mente
tepido accoglioe, e più d’amor non ardo,
che di ragione il moto lento, e tardo
contra il caldo d’amor fu sol possente:
così del van desio l’anima sciolse
il tempo, e fu dal tempo il fuoco spento,
che né forza, né luogo allor ritolse;
e alfin del lungo suo vaneggiamento
l’effeminato mio pensier raccolse
frutto sol di vergogna, e pentimento.
__________
a l’età giovanile
b sguardo
c desiderio
d dell’età matura
e accolgo
  Il faggio è questo, in cui Serranoa incise
sotto il nome di Fillib i vari moti
del gran Pianetac, e i corsi a lui sol noti
delle stelle da noi tanto divised:
il sasso è questo, ove talor s’assise
cantando delle cose i semi ignotie,
come il tuon si formi, e come rotif
il fulmine sul monte in varie guiseg.
Or più nol veggioh, ch’a trovar sua stella
nel Ciel è gitoi, ove spess’io rimiro,
e chiamo Morte, che m’unisca a quella,
sovente al dolce luogo il passo giro,
e poiché non poss’io l’anima bella,
mi stringo al faggio, e al sasso, e poi sospiro.
___________
a Nome di pastorello inventato.
b Pastorella amata da Serrano.
c Giove
d lontane
e le origini sconosciute
f ruoti
g in vari modi
h non lo vedo
i andato
  Di quell’ardor, che sparso in ogni parte
del petto mio, sì dolcemente appresi,
canto; e del bel, di cui forte m’accesi,
in amoroso stil vergo le cartea.
Quanto possibil sia l’ingegno, e l’arte
alzar vogl’io, per far chiari, e palesi
i raib, che dal bel volto al cor discesi,
fiamme, e dolcezze anc nel mio cor cosparted.
Ardito mio pensier dispiega l’ale,
passa le nubi omaie libero, e sciolto,
né ti sgomenti il volo, alto, e mortale,
poiché, quando da morte i’ f sarò colto,
forse avverrà, che viva, ed immortale
la mia fiamma ne resti, e ‘l suo bel volto.
____________
a scrivo versi d’amore
b raggi
c Sic per han.
d cosparse
e ormai
f io
  Poiché di tristo umor gravida il ciglio,
la Real Donna, che in Liguria impera,
vide l’Italia in quella parte, ov’era
del proprio sangue il bel terren vermiglio,
– Qual fia – proruppe – quel più saggio figlio
di tanti, e tanti infra l’eletta schiera,
ch’or nel mio soglio asceso, a me l’intera
pace riserbi nel comun periglio! -.
Indi volgendo maestoso, e tardo
in quel, che la cingea, stuolo d’Eroi,
sovra di te, Signor, fermò lo sguardo,
e rimembrando i fatti egregi tuoi,
disse: – Le giuste brame, ond’io tutt’ardo,
tu solo, o Figlio, oggi  adempir  ben puoi.
La Real Donna potrebbe essere Genova e il Signor/Figlio Giovanni Antonio Giustiniani doge dal 1715 al 1717.
Della considerazione in cui il Mattei era tenuto da Giambattista Vico è prova nella raccolta da lui pubblicata nel 1721, della quale riproduco il frontespizio.
Alle pagine 109-146 si trova un lungo componimento del Vico nel quale (vv. 324-432) sono nominati i poeti4 il cui contributo fu inserito nella raccolta e ai vv. 401-402 si legge: il Mattei che valore/ha del nome maggiore. E, quasi a compensazione del valore senza notorietà, il Vico apre la raccolta proprio con un sonetto del nostro, che precede, addirittura, la dedica nuziale del grande napoletano. Non lascia adito a dubbi la nota che si legge in calce.
Ad un Ritratto dell’Eccellentissima Signora Marchesana di Sant’Eramo. 
L’altera fronte, il bel celeste aspetto,
e ‘l volto imitator dell’alta mente
sù questa tela a noi rendon presente
Donna, ch’eccelsi spirti accoglie in petto.
Ma il grave onor, l’Angelico intelletto,
l’almo valor del senno, e la possente
forza del brio chi mai sì degnamente
ritrar potria conforme al gran Subietto?
E pur qui l’Arte la Natura hà vinta,
s’ogni virtù di lei vive, e innamora,
e vera appar, non che adombrata o finta.
Tal forte Idea compone, orna e colora,
l’eroica Immago, che se ben dipinta,
maraviglia, e rispetto esige ancora.
  Questo nobil sonetto giunto, già data fuori la Raccolta, si è stimato ben fatto qui collocarlo.
  E alle pp. 59 e 104 due sonetti del leccese.
Il laccio, ondea furb presi i cori alteric
di questi Eroi, la su nel Ciel s’ordìo
per man d’Amor, sommo Signore, e Dio
di Giove istesso, e de gli Dei più ferid,
santa Onestà lo strinse, e i suoi severi
modi a’ vezzi d’Amor soavi unìoe,
e molcef intanto un nobile desìo
i degni affetti lor casti, e sinceri.
Vieni dunque Imeneog con lieti auspici,
e su l’almeh già strette in un raccolti
versa de’ tuoi favori il bel tesoro.
Quindi vedrem da nozze sì felici
nascere i figli, e rinnovare i volti,
e i fatti egregi de’ grand’Avi loro.
__________ 
a da cui
b furono
c fieri
d fieri
e unì
f delizia
g Nell’antichità classica era il dio delle nozze e, come nome comune, l’ epitalamio, il canto nuziale  che si cantava in coro mentre si accompagnava la sposa alla casa del marito. La voce è dal latino hymenaeu(m), che è trascrizione del greco ὑμέναιος (leggi iumènaios), a sua volta da ὑμήν (leggi iumèn), che significa membrana, imene.
h anime
Io veggioa in mezzo al bel talamob d’oro
sparger nembi di gioia, e far soggiorno
Amor, sua Madrec, delle Grazie il coro,
et Imeneod col vago cinto adorno,
et accese in festivo alto lavoro
mille facie cambiar la notte in giorno,
e Donne, e Cavalier con bel decoro
muover le danze, e cento applausi intorno.
Veggioa la pompaf in apparir fastosi
Eig vinto, et Ellah del trionfo alterai
i duo ben degni, e fortunati Sposi.
Odo al suon di più Lire, e in vaga schiera
cantar nobili Cignil: Eroi famosi
o qual Germem il Sebeton attende, e spera!
__________ 
a vedo
b stanza nuziale
c Venere
d Vedi la nota g del sonetto precedente.
e fiaccole
f sfarzo
g lo sposo
h la sposa
i fiera
l poeti
m discendenza
n Antico fiume di Napoli.
  (CONTINUA)
  Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/ 
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/ 
 Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)  
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/    
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/
 Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/
  _______________
  1 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Roma, Antonio de’ Rossi, 1711, p. 371.
2 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, op. cit., p. 361; per completezza va detto che qualche decennio dopo  il pisano Carlo Lanfranchi Chiccoli assumerà il nome pastorale di  Salento Scopeo.
3 Ἑλλάδος περιήγησις, IV, 3, 9: Καὶ γὰρ τοῦ Διὸς τὸ  ἐπὶ  τῇ  κορυφῇ  τῆς  Ἰθώμης   τέμενος … (e infatti il santuario di Giove sulla cima dell’Itome …)
4 Oltre a Giulio Mattei sono (per quelli che fecero parte dell’Arcadia aggiungo il nome pastorale): Nicola Capasso, Nicola Cirillo, Nicola Galizia, Giacinto di Cristofaro, Gioacchino Poeta (Clealgo Argeateo), Matteo Egizio (Timaste Pisandeo), Francesco Manfredi, Casimiro Rossi (Vatilio Elettriano), Giuseppe di Palma, Francesco Buonocore, Gennaro Perotti (Filomato Nemesiano), Agnello Spagnuolo (Fidermo Falesio), Niccolò Sersale, Niccolò Salerno (Pirgeo Libadio), Andrea de Luna d’Aragona (Varisto Pareate), Andrea Nobilione, Vincenzo Tristano, Francesco Valletta, Giuseppe di Cesare, Silverio Giuseppe Cestari (Salvirio Tiboate), Giuseppe Aurelio di Gennaro, Vincenzo Viscini, Andrea  Corcioni, Basilio Forlosia, Giulio Mattei, Marcello Vanalesti (Spimelio), Francesco Salernitano, Giovanni Maria Puoti, Casimiro Rossi (Vatilio Elettriano), Pietro Metastasio (Artino Corasio), Casto Emilio Marmi, Anton Maria Salvini (Aristeo Cratio).
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (8/x): Donato Maria Capece Zurlo di Copertino
di Armando Polito
Il suo nome pastorale era Alnote Driodio e, se nella scelta di Alnote  non ho idea a chi o a cosa si sia ispirato, per Driodio posso solo ipotizzare che si tratti di un nome composto dal greco δρύς (leggi driùs) che significa quercia e ὅδιος  (leggi òdios) che significa relativo alle strade, per cui l’allusione sarebbe alla predilezione per i percorsi boschivi, abitudine più che legittima per un pastore arcade che, come vedremo, nei suoi componimenti nomina spesso la quercia. In Arcadia era entrato il 9 giugno 17051.
Di lui mi sono già occupato in http://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/04/donato-maria-capece-zurlo-di-copertino-poeta-e-agente-del-fisco/,  dove il lettore potrà trovare più dettagliate notizie biografiche. Qui si intende integrare quanto lì già detto con la riproduzione del testo, con il mio commento, di tutti i suoi componimenti sparsi in raccolte e che sono stato in grado di reperire.
Un primo, cospicuo gruppo,  è in Componimenti in lode del nome di Filippo V monarca delle Spagne, recitati dagli Arcadi della colonia Sebezia il dì 2 di maggio 1706 nel Regal Palagio e pubblicati per ordine di Sua Eccellenza dal Dottor Biagio Majola De Avitabile, Vice-Custode della stessa colonia, Parrino, Napoli, 1706, pp. 40-46 e 59-62 (la numerazione romana è mia e continuerà  anche per i componimenti di altre raccolte).
I
Che merta1, e avrà di tutto il Mondo impero
dividendo il dominio egli2 con Giove,
giust’è, Lileia3; e a me forz’è, ch’approve
de la tua saggia mente il bel pensiero.
Vanti pur chi che sia superbo, e altero,
o le passate glorie, o pur le nove;
fiso è nel Ciel, che il gran Nome rinove
del primo Augusto i giorni; altro io non chero4.
E presso ‘l fonte, ove tu bella meni
l’armento ,teco assiso a l’aura fresca,
o qual nobil corona intesser voglio;
se delle antiche idee i’ non mi spoglio,
tra quercie, olivo, mirto, e lauri ameni
farò, che ‘l Giglio d’oro5 il pregio accresca.
  1 meriti
2 Filippo V
3 Alle pp. 397-405 di Rime scelte di poeti illustri de’ nostri tempi, Frediani, Lucca, 1709, vi sono alcuni sonetti di Biagio Maioli d’  (nome pastorale Agero Nonacride) , fra i qualia p. 403 quello in risposta ad uno di Teresa Francesca Lepoz (errore per Lopez; nome pastorale: Sebetina Lileia) per la tragedia Felindo.
4 chiedo; dal latino quaero.
5 Nello stemma di Filippo V compaiono gigli inquartati d’azzurro.
  II
Farò, che ‘l Giglio d’oro6 il pregio accresca7
d’ambe l’Esperie8 a le famose genti;
e l’alloro real serto diventi
di gloria, e di valore, e seme, ed esca9;
e tanto del gran Nome il vanto cresca,
sin che foran10 del Sole i raggi spenti;
o che l’Arcade11 in fin del Ciel rallenti
l’asse12, che di rotar non già gl’incresca13.
E solcando lassuso ormai Boote14
le celesti campagne, anco rivolga
le bellicose, e le benigne stelle.
Da polo a polo separando quelle,
dal nostro ogni maligno influsso tolga,
e mandi pace chi n’è donno15, e pote.
  6 Vedi la nota 5 di II.
7 In questo, come nei sonetti successivi fino al n. VII, viene ripreso il verso del precedente.
8  Ἐσπερία (leggi Esperìa), da ἐσπέρα (leggi espèra) che significa sera, occidente,  in latino Espèria, era il nome con cui i Greci definivano l’Italia posta ad occidente della Grecia. Qui (siamo in piena guerra di successione tra Spagna e Francia) la voce ha il significato estensivo di Europa.
9 alimento
10 saranno
11 il pastore d’Arcadia
12 Insieme con il precedente sin che foran del Sole i raggi spenti è la figura retorica (consiste nel subordinare l’avverarsi di un fatto a un altro ritenuto impossibile) detta adynaton, che è dal greco ἀδύνατον (leggi adiùnaton), che significa cosa impossibile.
13 rincresca
14 Una delle costellazioni.
15 signore, padrone (in questo caso è Dio); dal latino dominu(m)>*domnu(m) per sincope>donno per assimilazione.
  III
E mandi pace chi n’è donno, e pote
a l’Europa, che giace oppressa, e geme
sotto ‘l gravoso d’armi incarco, e freme
più fiero Marte, e regni abbatte, e scote;
e la porti volando a genti ignote
ne le lungi dal Mondo isole estreme,
o dove il Sol non giunge, o dove preme
le fiere il ghiaccio, e le contrade vote.
Che dove di Filippo il Nome impera,
e va col dì girando a paro a paro,
deve il Mondo goder tranquilla pace;
qual’è16 lungo il Sebeto17, ove si giace
l’armento a l’ombra, e ‘l Pastorello caro
presso a l’amata Safirena18 altera19.
  16 Sic, ma a quel tempo era forma regolarmente in uso.
17 Antico fiume di Napoli. La sezione napoletana dell’Arcadia Romana (Sebezia) prese il nome da esso.
18  Safirena è il nome dell’autrice del componimento che chiude la raccolta; non credo, però, che sia il nome pastorale parziale di una poetessa dell’Arcadia e perché non è presente in nessun catalogo di questa accademia e perché in Rime scelte di poeti illustri de’ nostri tempi Rime scelte di poeti illustri de’ nostri tempi, op. cit., a p. 400 in un componimento di Biagio Maioli d’Avitabile si legge: Appressarsi vid’io dal lato monco/due Ninfe altere, Safirena, ed anco/Silvia, delle più belle, e più vezzose. Vedi anche la nota 20 di IV.
19 superba
   IV
Presso a l’amata Safirena altera
cerca anco Agero20 pace, e intesse il serto
al gran Monarca Ibero21, ond’è, che ‘merto
maggior suo mostri, e la sua gloria intera.
Adorni il forte crin nuova maniera
di quercia, e alloro, che salito a l’erto
colle, ove per cammin dubbioso, e incerto
seco congiunse la gran donna fiera22.
Ond’è che ‘sacro olivo al capo augusto,
di perpetuo riposo i segni apporti,
e di feconda, e gloriosa prole23;
e così di trionfi e carco, e onusto,
dopo secoli molti a le sue sorti
cedendo no, ma vivo al ciel ne vole.
  20 Dietro Agero si nasconde Biagio Maioli d’Avitabile , che pubblicò la raccolta, il cui nome pastorale, come s’è detto, era Agero (perché nativo di Agerola)  Nonacride, fondatore della colonia Sebezia. Pubblicò Lettere apologetiche-teologico-morali scritte da un dottor napoletano a un letterato veneziano, Offray, Avignone, 1709. Un suo sonetto  è in Rime e versi per le nozze degli Eccellentissimi Signori Giacomo Francesco Milano Franco d’Aragona, Principe di Ardore, ed Arrighetta Caracciolo de’ Principi di Santobuono, Ricciardo, Napoli, 1725, p. XXXIX.; un altro in Francesco Martello (a cura di) Laudi Mariane, Tipografia all’insegna dell’ancora, Napoli,  p. 84. In rapporto a quanto detto nella precedente nota 18 si ha la conferma che Safirena sarebbe un nome di fantasia, non arcadico e, dunque non corrispondente ad una persona reale.
21 Filippo V di Spagna.
22 Maria Luisa di Savoia con cui Filippo V si era sposato nel 1701 in prime nozze.
23 Dalla coppia nacquero  quattro figli (il primo, Luigi, il 25 agosto 1707 (la recita cui fa riferimento il titolo della raccolta era avvenuta il 2 maggio dell’anno precedente).
  V
Cedendo no, ma vivo al ciel ne vole
dopo secoli molti il gran BORBONE,
e vincitor in fiera aspra tenzone,
scorra per quanto scopre, e gira il Sole.
Onde fia breve spazio l’ampia mole
per le sue glorie: e poche al paragone
del gran Nome saran l’alte corone
tutte, e quante pur darne il Mondo suole:
che maggior’è del gran FILIPPO il merto
emulator de l’Avo Re24, che Grande
poggiò sul colle faticoso, ed erto;
e giunse per sentier mai non impresso
col suo saper, con l’opre memorande,
ad altri, u’25 di salir non fu concesso.
  24  Luigi XIV, di cui Filippo V era nipote.
25 dove
   VI
Ad altri, u’ di salir non fu concesso,
fu Duce al gran NIPOTE26 il gran LUIGI27,
e segnando di lui gli alti vestigi28,
poggia su de la gloria un tempo istesso:
e con un marchio eternamente impresso,
a scorno del Danubio, e del Tamigi,
faranno i cuori tutti a’ lor piè ligi
per quanto mira il Sol lungi, e da presso.
Tornerà da per tutto il secol d’oro:
stillerà mele il bosco, e nutriranno
l’erbe fresche, a l’armento ora nocive.
Ed o qual de’ Pastor sarà il ristoro?
Qual sarà la mia bella? *29 e quai saranno
le Pastorelle ora ritrose, e schive? **
  26 Filippo V
27 Luigi XIV
28 orme
29 Non riesco a comprendere la funzione di quest’asterisco e dei due successivi (che, fra l’altro, non compaiono nel verso iniziale del componimento successivo)
  VII
Le Pastorelle ora ritrose, e schive
diverran tutte miti a’ lor Pastori,
e adorneranno co’ novelli fiori
le fronti sotto l’ombre a l’aure estive.
E pronta ogn’una al suon di dolci pive30
dirà l’istoria de’ passati amori;
spargendo a l’aria i suoi più cari ardori,
de’ fiumi innamorar farà le rive.
Benché tra duri affanni il forte Alnote31,
colpa d’empio destin, molto ha sofferto,
offre in tanto col cuor fido, e sincero,
bello vie più che mai quanto esser pote
d’olivo, quercia, lauro, e mirto il serto
tra gli aurei Gigli32 al gran Monarca Ibero33.
   30 zampogne
31 Alnote Driodio era il nome pastorale dell’autore.
32 Vedi la nota 5 del componimento I.
33 Filippo V di Spagna.
   VIII
Spirto gentil, che da celeste soglia
per sentiero di luce a noi scendesti,
cui sol di fregio, onde t’adorni, e vesti
non già d’incarco34 è la corporea spoglia.
Non t’incresca or, che lungo stame avvoglia35
per Te la Parca36, e l’abitar fra questi
confini, a l’ampio ingegno tuo molesti,
soffri  anco a nostro pro37 con lieta voglia.
Ch’accio ti sia men grave, e no ‘l disdegne
diè il suo maschio fulgor Giove al tuo volto,
Marte alla man de la sua spada il pondo38:
così fornito di divine insegne
non Tu terrestre abitator, ma volto
fia39 per Te in nuovo Cielo il nostro Mondo.
  34 peso
35 avvolga
36 In origine da sola, tutelava la nascita. Poi, sulla scorta delle Moire greche (Cloto, Lachesi ed Atropo, che, rispettivamente, filavano, misuravano e recidevano il filo della vita) divennero tre.
37 vantaggio
38 peso (latinismo, da pondus).
39 sarà
  IX
Sebethe blandule, atque vos Sebethides
nymphae, et venusta collium cacumina,
quos alluit Thetis alma, Sirenum parens,
quis iste vos insuetus afflavit decor?
Ut nunc nitetis? Ut recens auctà acriùs
nunc dignitate, ac lumine ardetis novo?
Nempè ille vos invisit, à Gallia prius
Iberiam usque, et inde ab ipsa Iberià
ad nos reductus. Ipse vos, teneo probè,
collustrat, ipse nunc PHILIPPUS vos beat.
Utinam tuae illae, Urbs alma, Sirenes, quibus
alios morandi creditur canora vis
inesse, habenda si senum est dictis fides,
tam suave cantent, ille ut intellectum suae
iam postmodum incipiat pigere Hispaniae.
Neu forte probro id ille sibi verti putet,
ille, inquam, honori natus, atque gloriae
quem non voluptas frangat, illecebraque.
Hic namque virtus, atque deliciae simul
constant. Italiae proprium hoc nostrae est decus,
cui larga utrumque contulere sidera
mite solum, et acre ad inclyta ingenium. Haec domus
veraeque virtutis, voluptatumque; ut his
perfusa mens, non obruta, illi etiam vacet.
  (Amato Sebeto e voi ninfe del Sebeto e vette leggiadre dei colli, che bagna la benigna Teti, genitrice delle Sirene, che cos’è questo inconsueto decoro che si è sparso su di voi? Come ora vi fate affidamento? Come da poco tempo ardete di una dignità ora alquanto fieramente accresciuta e di una nuova luce? Evidentemente vi ha visti lui riportato prima dalla Francia fino alla Spagna e poi a noi dalla stessa Spagna. Egli, ne sono giustamente convinto, vi onora, ora lo stesso Filippo vi rende felici. Alma città, voglia il cielo che quelle tue Sirene, nelle quali si crede, se bisogna dare fiducia alle parole degli antichi, che ci sia la forza canora di ammaliare gli altri, cantino tanto soavemente che egli subito dopo cominci a provare fastidio per il concetto di Spagna. E non per caso egli potrebbe pensare che ciò gli si rivolga a vergogna, egli, dico, nato per l’onore e la gloria, che non il piacere e le lusinghe potrebbero frantumare . Qui infatti ci sono nello stesso tempo la virtù e le gioie. Questo è l’onore proprio della nostra Italia, cui le stelle donarono l’una e l’altra cosa, il suolo mite e l’ingegno pronto a cose rinomate.  Questa è la casa della vera virtù e dei piaceri,  sicché la mente pervasa, non distrutta, da questi,  ha tempo anche per  quella)
  X
Monarchia Hispana Galliam alloquitur 
Misella Gallia, heus, quid hoc tibi accidit?
Quem tu edidisti, quemque virtutum omnium
lacte imbuisti, iamque suspiciens, tuà
maturiùs spe videras adolescere,
nobis repentè vindicavimus, tuum
in nos decus transtulimus. Ἅλλοι μὲν κάμον,
ὥναντο δ’ἅλλοι, dicimus proverbio.
En ille nunc adultus in sino tuo,
magnique confirmatus exemplis AVI,
germen PHILIPPUS inclytum à stirpe inclytà,
nostras decoraturus advenit plagas.
Sed si qua nostri te invidia pulsat, malam hanc
iam mitte curam. Quidquid est, aequi, ac boni
consulere praestat. An absque praemio hoc putas
abire tibi? Foedus meherclè inibimus,
quo nemo arctius, iam animos iuvat,
sociasque vires iungere. Ecquidnam additis
posthàc, amabò, impervium nobis erit?
Iam iam trucesque Mauri, et omnis Africae
nefanda pestis, Odrysiique, et quisquis est
quem nulla iuris sanctitas, nulla, aut fides,
Deùmve tangit religio, poenas luent,
timidaque nostro colla subiicient iugo.
Utinam quod auspicatus est olim Deus,
cum et mi PHILIPPUM, tibique LODOICUM dedit,
perficiat ipse, et iusta si vota haec probat,
concipere quae nos iussit, his ille annuat.  
(La monarchia spagnola parla alla Francia
Misera Francia, che ti è successo? Colui a cui tu desti i natali40, che educasti col latte di tutte le virtù e già contemplante avevi visto troppo presto crescere con la tua speranza, lo abbiamo all’improvviso rivendicato a noi, abbiamo trasferito il tuo onore nel nostro.  Alcuni si affaticano, altri ereditano41, diciamo con un proverbio. Ecco quegli ora adulto nel seno tuo e rafforzato dagli esempi dell’avo42, Filippo, germe famoso di stirpe famosa, è giunto alle nostre terre per portare onore. Ma, se qualche nostra invidia ti turba, manda via questa cattiva preoccupazione. Checché ci sia di equo e di buono conviene decidere. O ritieni opportuno per te star lontano da questo premio? Per Ercole, daremo inizio ad un patto con il quale nessuno ancora è capace di unire più strettamente gli animi e le forze alleate. Cosa mai, per favore, sarà impervio poi per noi dopo che ci saremo aggiunti? Ormai ormai  i selvaggi Mauri ed ogni nefanda peste d’Africa e i Traci e chiunque c’è che non è toccato da alcuna santità del diritto o da nessuna fede o religione degli Dei, pagano le pene e sottomettono al nostro giogo i timidi colli. Voglia il cielo che ciò che un tempo Dio auspicò quando diede a me Filippo e a te Ludovico, lo mandi a compimento e se approva questi giusti desideri arrida a quelle cose che ci ordinò di pensare)
  40 Filippo V era nato a Versailles.
41 Proverbio greco tramandatoci da Zenobio  (grammatico del II secolo d. C.) tratto da raccolte più antiche perdute.
42 Luigi XIV
  Un gruppo ancora più cospicuo è in Rime scelte di poeti illustri de’ nostri tempi, op. cit., pp. 238-251
  XI
Altri di Mida43 l’or, di Creso44 i regni
abbia, e serva45 Fortuna alle sue voglie,
altri in campo guerriero auguste spoglie
tolga, d’immortal gloria eccelsi pegni.
Ad altro Mondo alcun drizzi i suoi legni47,
e per fregiar l’antico, il nuovo spoglie48,
di Socratiche carte altri s’invoglie49,
e ‘l vanto involi50 a’ più sublimi ingegni,
altri canti di Marte i pregi, e l’armi,
e del fiato migliore empia le trombe,
e strider faccia il luttuoso Sistro51.
Degni il mio plettro52 di più molli carmi
Amore, e lieta al gentil suon rimbombe53
di Focide54 la sponda, e del Caistro55.
  43 Mitico re della Frigia, cui Dioniso aveva dato la capacità di trasformare in oro tutto quello che toccasse, compreso il cibo. Per non morire, chiese ed ottenne da Dioniso di perdere quel nefasto potere.
44 Re di Lidia famoso per la ricchezza.
44 sottoposta
47 Per metonimia: navi.
48 spogli
49 Può stare tanto per s’avvolga (parallelo all’avvoglia della nota 35; in tal caso vale per si lasci circondare dagli studi filosofici) oppure per s’invogli (si appassioni).
50 elevi
51 Strumento musicale dell’antico Egitto.
52 Per metonimia poesia.
53 rimbombi
54 Antica regione della Grecia; la sponda è quella del fiume Cefiso.
55 Fiume della Lidia.
  XII
Le corna al Toro, ed al Lion i denti,
al Cavallo le zampe, il corso56 a’ Cervi,
a’ Pesci il nuoto diè Natura, e servi
fe57 del mobile Augello58 e l’aria, e venti,
che ale diegli a cangiar i luoghi algenti59,
e dove, o Sol, co’ dritti rai60 più fervi,
all’Uom non l’unghie dure, o forti nervi,
ma fe57 sproni d’onor caldi, e pungenti.
Alla Donna per lancia, e per iscudo
diè61 ‘l vago62  viso, che sì il Mondo apprezza.
Così son le sue sorti a ciascun fisse.
E ‘n saldo marmo sì rea legge scrisse:
il ferro, e ‘l foco, non che un petto ignudo,
vinca, chi  armata sia d’alta bellezza.
  56 la corsa
57 fece
58 uccello
59 freddi, latinismo da algentes.
60 raggi
61 diede
62 grazioso
  XIII
Narri omai63 chi per prova intende Amore64,
qual’è65, come ci assale, e punge, e coce
quel suo dardo, che sì ratto, e veloce
entra per gli occhi, e si nasconde al core.
De’ sospir, dell’angoscie, e del dolore
dica, e del pianto, e d’amarezza atroce,
com’è ‘desio66, che qual 67 veneno68 nuoce,
se nell’Inferno sia pena maggiore.
Or’io bramo la vita, or di morire
son vago, or muto resto, ed ora sgrido
contro me stesso, e non incolpo altrui.
Scorrono tarde l’ore del martire,
e di godere un dì lieto diffido69,
perché, Donna, pietà non veggio70 in vui71. 
  63 ormai
64 chi per esperienza sa cos’è l’amore
65 Vedi la nota 16 di III.
66 desiderio; desio è forse dal latino *desedium, da desidia, (da desidere, che significa stare seduto, composto da de+sedere) che significa ozio, inoperosità, accostato per il significato a desiderium, che è da desiderare composto da de+siderare; questo secondo componente (che significa essere colpito da un malore o da una paralisi, cioè da un influsso maligno degli astri) è in comune con considerare ed è da sidus=astro. Nel latino medioevale, poi, anche assiderare (da ad+siderare), da cui la voce italiana. Riassumendo il rapporto semantico con sidus:  in desiderare e considerare  è prevalso il concetto di osservare gli astri per trarne auspici, in assiderare quello dell’influsso malefico.
67 come
68 veleno, dal latino venenum.
69 non spero
70 vedo
71 voi
  XIV
Amor vidi volar nelle tue gote,
Madonna72, e nido far negli occhi tuoi;
né degna ti credei di star fra noi,
ma del più alto Ciel sull’auree rote73.
Un’immago di sé forse far pote74
l’alma75 natura, e l’ha ritratta poi,
bella in te, qual cristal de’ raggi suoi
imprime il Sol, qualora in lui percote.
Se a rimirar di te mi volgo il vago76
lume77, che con sua luce ogn’altro oscura,
non ha, credo Beltà forme più belle.
E se poi quel rigor, che avare stelle
posero ne’ tuoi sguardi, anche m’appago,
non ha, dico, Onestà legge più dura.
  72 Composto da ma (riduzione di mia) e donna, che è dal latino domina(m), che significa signora, padrona, è l’appellativo generico della donna amata particolarmente caro al Petrarca.
73 Viene ripreso il concetto stilnovistico della donna angelo (in particolare e par che sia una cosa venuta 8da cielo in terra a miracol mostrare del famoso sonetto dantesco), con inversione del percorso cielo>terra).
74 può
75 che dà vita; dal latino àlere, che significa nutrire.
76 grazioso
77 sguardo
   XV
Poiché in dura prigion di ferro grave
ebbe quel Grande 78 il suo nemico avvinto,
gittonne in mar la chiave, e certo il vinto,
già del suo mal nulla più teme, o pave79.
Tal mentr’io di catena aspra, e soave
sento legato il core, e di duol cinto,
perché non esca mai dal laberinto,
ad Amor, chi l’avea, ne diè la chiave;
ed ei gl’impose legge assai più dura,
di quante a’ suoi prigion’ 80 unqua81 prefisse,
sicché ogni amante per pietà ne pianse
e ‘l mezzo, e ‘l fin della mia vita oscura
nel saldo marmo d’una fronte scrisse
col suo dorato strale82, e poi lo franse.
  78 Difficile l’identificazione con qualche personaggio famoso, per cui quel Grande potrebbe essere nenericamente riferito ad un detentore del potere.
79 prova spavento; latinismo (da pavere, che significa aver paura).
80 prigionieri
81 mai; latinismo da unquam.
82 freccia
   XVI
Al Sig. Niccolò Amenta83
Quando lo spirto uman per gran tragitto
dall’alto suo principio84 in noi discese,
sue rare doti in numeri comprese
di celeste armonia, siccome è scritto.
Ma poiché alla ragione il suo diritto
sentiero il van desio85 rivolse, offese
tosto, e sconvolse il bell’ordine, e rese
delle potenze discordi il conflitto.
Ma sia fortuna, o sia pur’arte, o incanto,
o portata dal Ciel la nobil Cetra,
Amenta, solo è tuo, non d’altri il vanto,
il di cui suon quella pietate impetra86,
qual non sper’io da un duro cor, e intanto
coll’ordin primo ci solleva all’Etra87.
  83 Niccolò Amenta (1659-1719), avvocato, autore di numerose commedie (La Gostanza, Il Forca, La Carlotta, Le gemelle, La Fiammetta, La Giustina, La fante, La Carlotta, La somiglianza), fu arcade col nome pastorale di Pisandro Antiniano. Due sonetti e un epigramma in distici elegiaci sono in Pompe funerali celebrate in Napoli per l’Eccellentissima Signora D. Caterina d’Aragona, Roselli, Napoli, 1697, pp. 197-199. Fu autore anche di Capitoli, s. n., Firenze, 1721; ricordo qui, a riprova degli stretti rapporti di alcuni personaggi tra loro, che alle pp. 126-129 c’è un componimento (in pratica una lettera in versi) da lui dedicato a Francesco Capece Zurlo (a quest’ultimo Donato Maria dedica il componimento n. XXXVII).
84 da Dio
85 Vedi la nota 16 di III.
86 implora
87 cielo; dal latino aethra(m), a sua volta dal greco αἴϑρα (leggi  àithra), affine ad αἰϑήρ (leggi aithèr), da cui l’italiano etere, che significa aria.
  Seguono cinque sonetti di tema amoroso:
  XVII
Chiaro ruscello, ove la bianca mano
bagnò la bella fronte, ond’arso ho ‘l core,88
oh se temprar89 potessi in te l’ardore90,
per cui da morte vo91 poco lontano.
Ma rinfresco trovar io spero invano,
mentre al tuo dolce, e cristallino umore
arder sento nel cor foco maggiore,
che prima, e provo altro tormento strano.
Se dentro l’acque ancor foco ritrovo,
e ‘l foco l’aura accresce, onde respiro,
l’alma e qual mai più refrigerio attende?
Ma questo non è già miracol nuovo,
perché dovunque posa, e ovunque gira,
tutto Madonna92 del suo foco accende.
  88 Riecheggia il celebre Chiare, fresche e dolci acque/ove le belle membra/pose colei che sola a me par donna/…  (Petrarca, Canzoniere, 126).
89 mitigare
90 il fuoco d’amore
91 vado
92 Vedi la nota 72 di XIV.
  XVIII
Con piacevole, vago, e bello aspetto,
dolci parole d’accortezza piene
son l’armi, con cui Amor contro me viene
spesso leggiadro, e fere93 in mezzo al petto.
Ond’ardo, e agghiaccio insieme, e giungo a stretto
varco di morte, e vivo pur mi tiene
la doglia94 no, ma, che va per le vene,
non so che di soave, e di diletto.95
Or timore m’assale, e spero, ed amo,
e ‘l corso all’alma del desio sospende96
Così della mia vita i giorni vanno.
Or piango, or taccio, e gridar’alto bramo97:
Donna, quei dardi, Amor, che da te prende,
questi, e mille altri effetti al cor mi fanno.
   93 ferisce
94 dolore
95 da mettere in costruzione così: la doglia no, ma non so che di soave e di diletto che va per le vene.
96 e sospende per l’anima il corso del desiderio
97 Riecheggia l’or muto resto, ed ora sgrido di XIII.
  XIX
Sappia, chi del mio stato ha maraviglia,
non son questi miracoli d’Amore,
che vivo io sembri (avendo entro arso il core)
nella fronte, nel volto, e nelle ciglia.
E chi perciò di amor si riconsiglia98,
sperando non perir tra tanto ardore,
vo99, che conosca, come suol di fuore
lo stato mio al vivo si assomiglia.
Che come suol dal Ciel fulmine ardente
cenere far cadendo ovunque tocchi,
qual pria  ,lassando la sembianza esterna,
così riman la scorza, e quel lucente
raggio d’Amor, ch’esce di duo100 begli occhi,
e sol si strugge l’alma, ove s’interna.
  98 riconvince
99 voglio
100 due; dal latino duo.
  XX
Per vincer l’Onestà, che io tanto esalto,
ed aprir di sua rocca Amor l’entrata,
tre volte indarno101 della porta armata
percosse col suo strale102 il duro smalto.
Venne Pietà poi nel secondo assalto,
tutta del pianto mio molle, e bagnata;
ma perché le apra l’anima indurata,
non le val pianger forte, o gridar’alto.
Sicché lor vinti, io sol rimango assiso103
presso l’amato ostello104, e parto, e torno,
qual105 chi per via dubbiosa e tema, ed erri.
E invan nel mio pensier m’interno, e fiso106,
che, per entrare in sì dolce soggiorno,
è ancor chi batta, e non è chi disserri107.
  101 invano
102 freccia
103 seduto, fermo
104 rifugio; è l’amata.
105 come
106 fisso, concludo
107 apra
   XXI
O Rosignuol108, che tra quei verdi rami
spieghi i sospiri sì soavemente,
che l’acque fermi, e l’aure fai gir109 lente,
e a pianger teco il nostro mal ne chiami,
se110 l’aspra fiamma, ond’ardi, e quei legami,
onde forse sei preso, Amor rallente111,
né turbi il verno112con sua bruma113 algente114
quel lieto nido, ov’albergar più brami,
or che Madonna115 qui sospira, e geme
deh frena alquanto le amorose note,
e dal suo pianto altre dolcezze apprendi.
Sì vedrem poi per maraviglia insieme,
come meglio pietà destar si puote,
anche in rigido cor, de’ nostri incendi.
  108 usignolo
109 andare, procedere
110 nel caso in cui
111 rallenti
112 inverno
113 nebbia
114 fredda
115 Vedi la nota 72 di XIV.
Il tre sonetti che seguono sono dedicati Al Signor Bartolomeo Ceva Grimaldi Duca di Telese.
Bartolomeo Ceva Grimaldi (1670-1707) fu arcade col nome pastorale di Clarisco Egireo; morì nel golfo del Leone per il naufragio di una nave inglese durante l’inseguimento di un vascello francese. Un suo componimento in esametri  è in Pompe funerali celebrate in Napoli per l’Eccellentissima Signora D. Caterina d’Aragona, Roselli, Napoli, 1697, p. 259-261.
  XXII
In questa selva, ove fuggì sbandita
ogni noia, ove solo albergo v’hanno
dolci Amor, dolci paci, e dolce fanno,
e più tranquilla nostra fragil vita,
teco gioir potessi, ed in romita116
parte teco sgombrar l’alma117 d’affanno,
e ristorarla dell’antico danno,
onde visse, e vivrà sempre pentita.
Di un lauro all’ombra, e non di quercia o d’elce
udirei poi, come al bel suon s’accorda
il canto tuo dell’Apollinea118 cetra.
La mia pianse al rigor di dura pietra:
ma al flebil suon trovandola più sorda
rotta a piè la gittai d’un’aspra selce119.
  116 solitaria
117 anima
118 di Apollo; la cetra, insieme con l’arco e le frecce, è un suo attributo.
119 roccia
   XXIII
Dura è la morte, e dopo lei mi pare
di mal gradito amore il colpo rio120;
pur non son, se tu volgi al viver mio
l’estreme noie, come amore, amare.
E chi tien fisi121 gli occhi, e può mirare
quel volto, onde in me il dardo, e ‘l colpo uscio,
e la candida man, che mi ferio122,
e le bellezze assai più che ‘l Sol chiare,
certo direbbe, è ben ragion, che morte
chiami ei sovente, e di costei si doglia,
che troppo a darle aita123 indugia, e tarda,
che di lei stando sulle avare porte,
non trova chi lo scacci, ed entro accoglia124;
tanto in tal pugna125 ogni difesa è tarda126.
  120 crudele
121 fissi
122 ferì
123 aiuto
124 accolga
125 battaglia
126 lenta, tardiva
  XXIV
Spesso col suo pungente acuto strale
mi sprona a gir127 sopra l’alpestre calle
Amor, che al basso oprar volger le spalle128
sforza129 chi vince, e vince ogn’un, che assale.
Non era la Beltà cosa mortale,
u’ il dardo raffinò, che mai non falle.130
Io vinto seguo; ei quasi da ima131 valle
mi scorse in suso132, e al pensier mio diè133 l’ale.
Ed ora stanco del cammin sì lungo
non torno indietro, anzi il tardar mi dole,
così caldo è lo spron, che ‘l fianco punge.
E quanto più par, che mi affretti, e vole134,
tanto dall’alta meta errando lunge
mi trovo sempre, e non so, se vi giungo.
  127 andare
128 fuggire, arrendersi
129 costringe
130 ove il dardo, che mai non sbaglia, rese più fine; u’ è dal latino ubi; falle per falla.
131 profonda, nascosta
132 su; da susum, variante di sursum.
133 diede
134 voli
Ancora quattro  sonetti sul tema dell’amore.
  XXV
Ed ancor nuovo flutto al mar ti spigne135
o Nave senza vele, e senza sarte136?
Vacilla la ragione, e manca l’arte,
soffian per ogni lato aure maligne137.
Al Nocchiero il pallor ambe dipigne
le gote: rare stelle ha il Ciel consparte138,
onde il corso si guidi, e d’ogni parte
la procella139, e l’orror ne preme, e strigne140.
Tu sei sdruscita141, e ‘l mare entro ti bagna,
e l’ancora pur cede al cieco orgoglio,
che ti mena a perir fuor di speranza,
e più d’ogni soccorso ti scompagna142,
e ‘l porto, ove tu aspiri143, è un duro scoglio.
  135 spinge
136 sartie
137 venti sfavorevoli
138 cosparse
139 tempesta
140 stringe
141 sdrucita, spaccata
142 separa, allontana
143 desideri giungere
   XXVI
Or che più non mirate il vago144 viso,
occhi miei, il vago viso, il viso altero,
ove colui145, ch’ha del mio cor l’impero146,
piantò il suo trono, e vi si adora assiso,
frenate il pianto omai, poiché diviso
a parte a parte dentro il mio pensiero,
men bello il veggo no, ma più severo,
dolce nell’ira, or qual saria147 nel riso?
Ed or la rotta148 fe par, che rammenti149,
e150quel fatal per me funesto giorno,
quando già caddi in altri lacci151 avvinto.
Deh perché non finì152gli aspri lamenti,
che all’udir tai querele, a tanto scorno
poco mancò, che io non rimasi estinto.
  144 grazioso
145 l’amore
146 dominio
147 sarebbe
148 rottura
149 ha fatto ugualmente che ricordi
150 anche
151 catene d’amore
152 pose fine a
  XXVII153
  Già mio dolce, ed amaro mio conforto,
occhi, che ‘l lungo e rio154 digiun pascete,
o fontane d’Amore, ove ascondete
quel rio152 veneno155, onde sarò alfin morto.
Che come suole Augello156 poco accorto
cader, cibo cercando, entro la rete,
mentre in voi bramo ore tranquille, e liete,
trovo lungo il penar, e ‘l piacer corto157.
Pur tal dolcezza in questo amaro io sento,
che da’ vostri bei rai158 nel cor mi piove,
che or godo del mio male, ed or mi pento.
Ma di quel, che altri scrisse, or mi rammento,
che, quando da principio il sommo Giove
creovvi, insieme unìo159 gioia, e tormento.
    153 Vedi n. XXXIX
154 crudele
155 veleno; dal latino venenum
156 uccello
157 lungo il penar/il piacer corto: chiasmo
158 raggi; gli occhi.
159 unì
  XXVIII
Spero dal tuo pennel nobil Pittore160
aver colei, che me fere161, e sovente
fugge, e seco ne porta audacemente
legata preda il tormentato core.
Via, mesci rose, e gigli, e dà colore
a fronte, a gote, a mento; ostro162 ridente
vivaci labbra esprima, e dolcemente
biancheggi il petto, ove risiede Amore.
Togli poi lo splendor di quella Stella
che gira163 il terzo Cielo, e poni a gli occhi
simile la pupilla, e questa, e quella.
D’oro il crin164, nero il ciglio, e in dubbio tocchi165
l’altro ferma ch’è dessa166. Ahi cruda, e bella
non fuggi, e più m’infiammi, e dardi scocchi.
  160 Pittore immaginario al quale affida il compito di ritrarre la sua donna.
161 ferisce
162 porpora;  ostro è dal latino  ostrum, a sua volta dal greco greco ὄστρεον (leggi òstreon), che oltre al significato  di ostrica, conchiglia aveva anche quello di porpora , perché essa veniva estratta da alcuni molluschi.
163 fa ruotare
164 biondi i capelli
165 in atteggiamento dubbioso tocchi
166 ferma com’è essa
Il sonetto che segue è dedicato Al Signor Giulio Cesare Cosma Nipote dell’Autore167
  XXIX
Se quel desio168, con cui te stesso accendi
di far tuo nome eterno, e chiaro in rime,
e gir169 di Pindo170 sulle alpestri cime,
pel cui sentier già il passo affretti, e stendi,
durerà alquanto, finché etade171 ammendi172
alcun173 difetto con più sode lime174,
vedremti 175 col gran Tosco176 andar sublime
di par col volo, che pur’alto or prendi.
E allor le tigri in Pindo170 far177 pietose,
e romper potrai un sasso per dolore,
non che in Donna destar fiamme amorose.
Se impresso ivi vedrai ‘l mio dolce errore
su qualche tronco in rime aspre, e noiose,
bacia in mio nome l’esca178, ond’arso ho il core.
  167 Difficile dire, oltretutto l’omonimia è sempre in agguato, se il dedicatario è colui che fu sindaco di Lecce negli anni 1681-1682.
168 Vedi la nota 66 di XIII.
169 andare
170 Monte della Grecia sacro ad Apollo ed alle Muse.
171 età; etade è latinismo da aetate(m).
Due sonetti del quale il primo sembra anticipare la concezione foscoliana di un’immortalità laica.
172 corregga
173 qualche
174 con un più solida revisione
175 ti vedremo
176 toscano; è il Petrarca.
177 fare, rendere.
178 la scintilla d’amore.
   XXX
Quando dopo più secoli, se tanto
viver potrà del nome mio la gloria,
su nobil marmo leggerà l’istoria
alcuno del mio amor sì puro, e santo,
bagnerà forse di soave pianto
le gote, a sì dolente, e pia memoria.
E, o beato, dirà, per cui si gloria
Pindo179, e lieto risuona al tuo gran canto.
Forse e fia180 chi di dolce invidia tinto
dica, felice te, che in stil sì terso
vivi immortale di sì chiaro spirto181.
Della morte trionfi, e ‘l tempo hai vinto;
e intanto il sasso182 mio miri consperso183
di bianci184 fiori, e di soave mirto. 
  179 Vedi la nota 170 di XXIX
180 pure ci sarà
181 spirito; spirto è per sincope.
182 la tomba; metonimia.
183 cosparso
184 bianchi
   XXXI185
Pietà, Signor, perdono al mio dolore,
onde tutt’ardo ,e al pregar mio dà loco186,
mira il mio pianto, odi i sospir, che infoco187
omai188 pentito del mio primo errore.
Di Musa giovanil mentito amore
(tu ben lo sai) fu sol trastullo, e gioco;
ma in vera fiamma presso un lento foco
poco mancò, che non ardesse il core.
Sulla tua Croce ecco il mio plettro189 appendo,
e intanto l’alma190 del suo pianto aspersa
si terge, e al vero Ben tutta si volta,
acciocché poi da quest’esilio uscendo,
dall’atro limo191, ove fu pria sommersa,
sen voli al suo Fattor192 libera, e sciolta. 
  185 Questo sonetto è presente anche in Tesoro cattolico. Scelta di opere antiche e moderne atte a sanar le piaghe religiose e politiche che affliggono l’odierna società, A spese della Società Editrice, Napoli, 1854, v. X, p. 91.
186 luogo
187 do alle fiamme
188 ormai
189 Per metonimia poesia.
190 anima
191 fango
192 creatore; Dio.
Il sonetto che segue è dedicato al Sig. Biagio Maioli de Avitabile in morte di Scipione Avitabile suo cugino. Biagio Maioli de Avitabile, come abbiamo visto, pubblicò a sue spese la raccolta in onore di Filippo V ed era arcade col nome pastorale di Agero Nonacride.
  XXXII
Quando su lance193 d’oro i fati appese
di nostre vite la Giustizia eterna,
onde parte i momenti, e giù governa
quanto ad occhio mortal non è palese194,
 Signor195 quei di Scipione a librar prese
sulla più alta region superna.
Con fisi occhi la Parca ivi s’interna196,
cui sol tanto mirar non si comprese197.
Di sua tenera età troppo era lieve198
il puro stame, onde accingeasi il fuso
di fil più lungo per far, che s’aggrave,
quando de’ suoi gran merti il pondo grave
si aggiunse, e piena di stupore in brieve
tremar vide la lance, e cader giuso.199
  193 Piatti della bilancia; dal latino lance(m); non a caso bilancia è da un latino *bilancia(m), che è dal latino tardo  bilance(m), composto da bis=due volte e lanx=piatto.
194 manifesto
195 Dio
196 Con occhi fissi qui la Parca s’introduce. Per Parca vedi la nota 36 di VIII.
197 per lei era incomprensibile guardare un sole così grande
198 leggero
199 il puro filo, per cui il fuso si accingeva a fare un filo più lungo per fare in modo che fosse più pesante, quando si aggiunse il notevole peso dei suoi (di Scipione) meriti e (la Parca) piena di stupore vide in breve oscillare un piatto e poi cadere giù 
Questo sonetto  è scritto in morte del proprio Padre.
  XXXIII
O selve, o fonti, o fosco aer, che accendo
co’ miei sospiri, o Ninfe, a cui sol noto
fu ‘l cantar mio, troppo or me indarno200 scoto201
dal grave affanno, e me stesso riprendo202.
Oimè , Spirto gentil, che te seguendo203
manca al desio ‘l vigor, la lena al moto,
onde io già torno204, e più lasso205 il mio voto206
a te consacro, e la mia cetra appendo207.
Tu alla vita mortal me generasti,
e tu all’altra immortal208  miei dubbi passi
scorgevi, u’ men periglio il corso spezzi.208
Or tu sei gito innanti, e me lasciasti
timido, incerto infra dirupi, e sassi.
O vita infausta, e pur v’è chi t’apprezzi!
  200 invano
201 scuoto
202 rimprovero
203 torno indietro
204 nel seguire te
205 stanco
206 la mia preghiera
207 e smetto di dedicarmi alla poesia
208 Tu mi generasti alla vita mortale e tu per l’altra immortale (quella del poeta)tenevi d’occhio i miei passi dubbiosi dove minor pericolo potesse spezzarne il corso
209 andato
  Segue un Epitaffio per S. Giovanni di S. Facondo morto di veleno appostogli nel  Sacro Calice.
  XXXIV
Se chiedi, o Passeggier, di chi sia l’alma
spoglia, che miri in quest’urna compresa210,
è di Giovan, non che far morte offesa
ardì all’albergo di sì ben nata alma.211
Ma Dio chiamolla212, e disse: io questa palma
vo darti, andrem’insieme a questa impresa,
e partirem213 la preda infra noi presa;
mio sia lo spirto214,tua la mortal salma.
Stupì natura, e in breve coppa accolta
vide la vita in un giunta, e la morte,
e rise il Ciel del venturoso inganno.
La morte andò, ma la noia, l’affanno,
l’orror, l’angoscia, e ‘l resto di sua corte
dietro rimase in gran spavento involta215. 
  210 sepolta
211 è di Giovanni, perché morte osò fare offesa al corpo di un’anima così ben nata
212 la chiamò
213 divideremo
214 spirito; sincope.
215 avviluppata
Questo è per l’elezione del Sommo Pontefice Innocenzo XI216.
  XXXV
Piangea la Chiesa, e in lutto vedovile
i dì traea con ansia, e con affanno,
e ‘l Lupo empio217, che veglia al comun danno,
cingea tutto d’insidie il Sacro Ovile.
Della maligna Luna anco218 il sottile
corno ingrossar tentava il fier Tiranno.
Dio scorgea il tutto, e dal superno scanno219
reggeva Ei sommo il nostro stato umile.
Sorga pur dunque l’Innocenza220, e Duce221
in mia vece ella al ver scorga222 le menti,
e ‘l Greco Imperio sia ligio al Latino223.
Sì disse e voci elle non fur224, ma accenti
di luce, e sì con note anco225 di luce
riverente a’ suoi piè scrisse il Destino.
  216 Innocenzo XI fu papa dal 1676 al 1689.
217 il demonio
218 anche
219 dal regno dei cieli
220 Gioco di parola tra innocenzo e l’innocenza divinizzata (anche per questo con l’iniziale maiuscola).
221 guida
222 illumini, metta in condizione di scorgere
223 E la Chiesa orientale sia obbediente a quella occidentale
224 e quelle non furono parole
225 anche
  Questo è dedicato a S. Orenzio primo. Protettore di Lecce.
  XXXVI
O di grazia celeste ornata, e chiara
alma226, il cui forte, e impenetrabil zelo
spunta, e rintuzza alla vendetta il telo227
che l’offesa Giustizia a noi prepara,
già non invidio il Ciel, che a questa amara
prigion228  ti tolse: era tua patria il Cielo.
Ma quel, che a noi lasciasti, il tuo bel velo,
perché ne asconde229 ancor la terra avara?
O marmo230 ancora ignoto, ancor negletto231,
ma prezioso del ricco tesoro,
che sì il nostro desio sforza, ed accende,
deh se il riveli a noi, fregiar prometto
il nome tuo di quel verace alloro232,
cui 233 nembo234 unquanco235, né saetta offende.
  226 anima
227 dardo; dal latino telu(m).
228 il corpo, la vita terrena
229 ci nasconde
230 sepoltura; metonimia
231 trascurato
232 vera gloria; alloro è metonimia.
233 che
234 nube minacciosa
235 mai
  Quest’altro è dedicato al Sig. D. Francesco Capece Zurlo236
   XXXVII
Ne’ suoi volumi eterni il gran Motore237
quando alle umane vite i fati scrisse,
agli Avi nostri alto valor prefisse,
o Francesco di lor Germe238 migliore.
Senno, e vole magnanimo d’onore
fur le sorti a ciascun segnate, e fisse;
e volle di tal’un nel cor si unisse
a quel di gloria caldo spron d’Amore.
Onde se per più secoli la bella
Partenope239 diè leggi240, e trionfante
rise, e di lauro241 ornò la sua corona,
lor fu sol vanto, e in te discese quella
Virtù242, che ora risplende in guise tante243.
E Amor per le sue vie me solo sprona.
  236 Non mi è stato possibile definire il rapporto di parentela con Donato Maria, ma di Francesco Capece Zurlo un sonetto è in Pompe funerali celebrate in Napoli per l’Eccellentissima Signora D. Caterina d’Aragona, Roselli, Napoli, 1697, p. 153 e un altro in Componimenti recitati nell’Accademia a’ dì IV di Novembre, anno MDCXCVI ragunata nel Real Palagio in Napoli per la ricuperata salute di Carlo II, Parrino. Napoli, 1697, p. 101. Questo, poi, si legge in Giovanni Bernardino Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Mosca, Napoli, 1748, tomo II, p. 74: L’altra [accademia fondata a Napoli nel 1679] fu detta de’ ROZZI … fu per qualche tempo governata da D. Francesco Capece Zurlo Cavaliere stimatissimo per l’erudizione, e per la pratica delle cose del Mondo.
237 Dio
238 discendente
239 Napoli; era inevitabile che i “meridionali” lì facessero carriera.
240 fu la culla degli studi giuridici
241 gloria poetica, letteraria
242 Allusione alla sapienza giuridica di Francesco cui nel verso successivo Donato Maria contrappone la sua, che è poetica.
243 in tanti modi
  Chiude la serie un sonetto Al Signor Cardinale Orsini Arcivescovo di Benevento244.
  XXXVIII
Spiega, e spira, Signor, soavemente
oh qual vaghezza, oh qual gradito odore
santissima Virtù, quasi bel fiore
della tua ben purgata, e nobil mente.
Onde in rubella a Dio perfida gente245
maraviglia non sol, ma desta amore,
a cui l’alma ravviva246, e il grave errore
quella scote aveduta247, e omai 248 si pente.
Oh pur si avanzi sì, che lasci addietro
quella de’ tuoi grand’Avi, e pace apporte249
al Mondo, che dall’armi oppresso geme,
da cui Regnante sopra il Tron di Pietro
di riportarne avessi anch’io la sorte
al mio torto giustizia, e grazia insieme.
  244 Vincenzo Maria Orsini (1649-1730), fu creato cardinale nel 1672, papa nel 1724 col nome di Benedetto XIII.
245 per cui in perfida gente ribelle a Dio
246 l’anima torna in vita
247 ravveduta
248 ormai
249 apporti
Per ultimo, a riprova della considerazione in cui era tenuto il nostro,  un suo sonetto è in una pubblicazione francese: Raccolta di rime italiane, tomo II, Prault, Parigi, 1744, p. 77.
  XXXIX
Esca mia dolce, ed amaro conforto,
occhi, che ‘l lungo e rio digiun pascete,
o fontane d’Amore, ove ascondete
quel rio veneno, onde sarò alfin morto.
Che come suole Augello poco accorto
cader, cibo cercando, entro la rete,
mentre in voi bramo ore tranquille, e liete,
trovo lungo il penar, e ‘l piacer corto,
Pur tal dolcezza in questo amaro io sento,
che da’ vostri bei rai nel cor mi piove,
che or godo del mio male, ed or mi pento.
Ma di quel, che altri scrisse, or mi rammento,
che, quando da principio il sommo Giove
creovvi, insieme unì gioia, e tormento.
  È il n. XXVII con queste differenze; al primo verso Già mio dolce, ed amaro mio conforto e nell’ultimo unìo. Il testo del XXXIX, è quello già presente in Comentari del Canonico Giovanni Mario Crescimbeni  custode d’Arcadia intorno alla sua istoria della volgar poesia, volume II, parte II, Basegio, Venezia, 1730, p. 263; esso dovrebbe essere quello definitivo soprattutto per l’immagine iniziale dell’esca mediata, come altre, dal Petrarca (Canzoniere, 37, 55, 90, 122, 165, 175. 181, 270 e 271). 
(CONTINUA)
 ______
1 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 365.
    Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/ 
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/ 
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/ 
 Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/    
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto) : http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/
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Gli Arcadi di Terra d'Otranto (7/x): Antonio Caraccio di Nardò
di Armando Polito
Entrò nell’Arcadia il 2 maggio 16911 ed assunse il nome pastorale di Lacone Cromizio.  Per Lacone il riferimento potrebbe essere al greco Λάκων (leggi lacon), che significa della Laconia, spartano. Tuttavia, siccome è la seconda parte del nome pastorale che di regola contiene un riferimento toponomastico (e qui, oltretutto, sarebbe in ballo la Laconia e non l’Arcadia, anche se essa confina a nord con la prima), mi pare più probabile che Lacone evochi uno dei due protagonisti pastori del  quinto idillio di Teocrito [(IV-III secolo a. C.), l’altro è Comata], che si rimproverano vicendevolmente di furto, il primo della siringa, il secondo di una pelliccia. Quanto a Cromizio credo sia un a forma aggettivale di origine latina (Cromitius) dal greco Κρῶμι (leggi Cromi), una delle cinquanta città d’Arcadia che secondo la testimonianza di Pausania2 (II secolo d. C.) furono  fondate dagli altrettanti figli di Licaone. Cromo, appunto, fondò Cromi.
Per la vita e le opere rinvio alla biografia scritta dall’arcade Domenico De Angelis (di lui tratterò nella parte 12 di questa collana), dedicata all’altro arcade Tommaso Maria Ferrari (vedi la parte 5 di questa collana) ed inserita in Giovanni Mario Crescimbeni (a cura di), Le vite degli Arcadi illustri, Antonio de’ Rossi, Roma, 1708, parte I, pp. 141-168.
Per quanto riguarda la produzione arcadica (dunque successiva al 1690, data di fondazione dell’accademia; il Caraccio vi era entrato, come sappiamo, il 2 maggio 1691) riporto i versi iniziali dei componimenti inseriti in Rime degli Arcadi, tomo IV, Antonio de’ Rossi, Roma, 1717, pp. 147-174. Da un controllo effettuato, però, è risultato che essi erano già stati pubblicati tutti meno uno in Poesie liriche del barone Antonio Caraccio dedicate all’Eminentissimo e Reverendissimo Signor Cardinale Pamphilio, Tinassi, Roma, 16893. Di seguito i versi iniziali con la doppia indicazione della pagina del volume del 1689 e di quello del 1717 e, evidenziato in rosso, quello dell’unico componimento nuovo del volume del 1717.
O degli affanni, e de’ piacer compagna (p. 164/p. 147)
Non spente già di due leggiadre gote (p. 165/p. 147)
Or che sen vien alla città del Taro (p. 248)
Libera già fuor del suo mortal pondo (p. 191/p. 148)
Qui, dove scoglio in mar sorge eminente (p. 192/p. 149)
Benché, Donna gentil. dal tuo bel viso (p. 122/p. 149)
In quella età, che al gioco intenta,  e al riso (p. 2/p. 150)
Poi che l’emula imago alfin compita  (p. 134/p. 150)
Al marmo, all’urna, or che fa il biondo Dio (p. 21/p. 151)
Due luci adoro, e un dolce irato sguardo (p.3/p. 151)
L’egro timor, che l’invisibil vede (p. 20/p. 152)
Non sentii fuoco allor, che un guardo, un riso (p. 3/p. 152)
Mentre a i zefiri molli il crin sciogliea (pp. 13-19/ pp. 153-156)
Celebre ancor sotto le sacre piante (pp. 183-187/pp. 156-158)
È d’antico romor fresca memoria (pp. 172-178/pp. 161)
Oltre le mete, che segnò del Mondo (pp. 54-79/pp. 161-1749))
Mi limiterò, perciò, a riprodurre ed a commentare il testo dell’unico componimento che, per motivi cronologici, può considerarsi arcadico. Non posso non precisare. però, che queste distinzioni sono fittizie, in quanto tutta la produzione arcadica del XVII secolo segue, sostanzialmente, le linee guida di quella barocca.
Or che sen viene alla città del Taroa
Donnab, dal cui real fecondo seno
nascer vedremo, quai  vide già l’Ismenoc,
i figli cinti di nativo acciarod,
mentre un letto raccoglie in dolce, e caro
nodo, quinci la Parmae, e quindi il Renof.
Miri i due Regi Sposi il Ciel sereno
con aspetto felice insieme, e chiaro.
Non già qual di Peleo fece, e di Tetig
ne gli imenei fatali al gran Pelide,
o pur d’Alcmena a i talami segretih.
Bastano quei, che il gran Concetto vide
d’Alessandro lor’Avo,almi Pianeti,i
né Achille a Grecia invidiarem, né Alcidel. 
a Parma.
b Dorotea Sofia di Neuburg, prima principessa e poi duchessa di Parma in quanto moglie di Francesco Farnese.
c Fiume della Beozia sulle cui sponde avvenne una celebre battaglia tra i Tebani e i sette Capi immortalata da Eschilo nella tragedia I sette contro Tebe.
d acciaio; sta in senso etimologico per arma: dal latino aciarum, a sua volta da acies=punta.
e Riferimento ai Farnese.
f Riferimento alla terra d’origine della sposa.
g non già come fece nei confronti di Peleo e di Teti dalla cui unione nacque Achille dall’infelice destino (tra una vita anonima e lunga ed una gloriosa e breve, possibilità di scelta offertagli dagli dei, Achille scelse la seconda).
h In occasione dell’assenza del marito Anfitrione, Giove ne assunse le sembianze e trascorse con lei una notte d’amore la cui conseguenza fu la nascita di Eracle.
i Basta la protezione di quei nobili pianeti che vide il concepimento del loro avo Alessandro
l Epiteto di Eracle; dal greco Ἀλκείδης (leggi Alchèides), che significa discendente di Alceo, del quale Eracle era nipote.
I sonetti che iniziano, rispettivamente, con In quella età, che al gioco intenta,  e al riso e con
Poiché l’emula imago alfin compita saranno inseriti, in ordine inverso, in Rime dell’avvocato Giovanni Battista Zappi e di Faustina Maratti sua consorte coll’aggiunta delle più scelte di alcuni rimatori del precedente secolo, Hertz, Venezia, 1723. A parte il fatto che quest’opera ebbe una serie infinita di edizioni fino a quella napoletana (manca il nome dell’editore) del 1833, il che contribuì, sia pure indirettamente,  a perpetuare la memoria del Caraccio arcade, va ricordato che Faustina Maratti (o Maratta) era la figlia di quel Carlo un dipinto del quale il Caraccio aveva celebrato nel sonetto iniziante per Poiché l’emula imago alfin compita, per il quale vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/07/antonio-caraccio-di-nardo-e-le-sue-ecfrasi/?fbclid=IwAR1c54p-fX6hDfK46_im2yti5qOFwpe3YnQQC9OkD_rV-fWvh1tBEgIz444. 
  CONTINUA
Per la prima parte (premessa) http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto:
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie) http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/   
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria, Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
_____________
1 L’Arcadia del Canonico Giovanni Mario Crescimbeni, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 331.
2 Periegesi della Grecia VIII, 3, 4.
3 L’opera reca l’imprimatur di Tommaso Maria Ferrari, altro arcade salentino, per il quale vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/.
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Antonio Caraccio di Nardò e le sue ecfrasi
di Armando Polito
Inutile arrovellarsi il cervello per tentare di ricordarsi in quali fatti di cronaca cittadina più o meno recente potrebbe essere rimasto coinvolto il personaggio nominato nel titolo. Basta considerare le date di nascita e di morte: Nardò, 1625-Roma 1713. D’altra parte nemmeno io sapevo granché su di lui prima di occuparmene…1
Di seguito quattro suoi ritratti (dov’è la differenza tra il primo e il secondo? Per scoprirlo e per saperne di più anche sugli altri, vai al link segnalato in nota 1.
Barone di Corano2, il Caraccio fu uno dei letterati più famosi del suo tempo. Bisognerà, dunque, fare un salto di parecchi secoli, complici anche le sue ècfrasi3, termine tecnico con cui i retori greci etichettavano la descrizione o la celebrazione poetica di luoghi o di opere d’arte, fatte con stile elaborato in modo da gareggiare in efficacia espressiva con l’oggetto stesso.
Le tre ecfrasi sono in Poesie liriche, che il neretino pubblicò per i tipi di Tinassi a Roma nel 1689.
Le riproduco dal volume in formato immagine con la mia trascrizione (con adattamento moderno della grafia e della punteggiatura) e le note esplicative.
1) p. 134
Per la Diana, pittura del Sig. Carlo Maratta
Poi che l’emula imago al fin compitaa
Maratta offrì de la silvestre Divab,
e si vedea dipinta nò, ma viva
la tela che il pennello hà colorita,
coleic che de la fraled, humana vita
gli stamie avvolge e lor filando avvivaf,
gittò le roccheg,e dispettosa e schiva
per tutto il ciel fu querelarsi h udita.
-Deh, Giove, deh! De l’animar si cessi
più le lane quassùi: scorger tu dei
ch’anima han colà giuso i lini istessi l -.
Giove rispose sorridendo à lei:
– Cessi il timor, ch’à far le vite elessim
sol per gli huominin voi, luio per gli Dei -.
_____________
a compiuta
b Diana, dea delle selve
c Cloto. Era una delle tre Parche.  A lei spettava filare il filo simboleggiante la vita, Lachesi ne stabiliva la lunghezza e Atropo lo tagliava al momento giusto.
d fragile
e i fili
f dà la vita
g la conocchia; l’uso del plurale fa quasi capire che rinunziava al suo compito anche per il futuro. 
h lamentarsi
i si smetta per sempre quassù di dare la vita ai fili di lana
l tu devi vedere che anima hanno laggiù gli stessi lini
m scelsi, destinai
n huomini per uomini è una sorta di latinismo grafico (da homines).
o il Maratta
  Il sonetto, dunque, celebra un quadro del Maratta avente come soggetto Diana. Nessun suo dettaglio trapela dalla poesia, se non quello, abbastanza generico, del realismo. Oltretutto la dea cacciatrice fu uno dei soggetti cari al nostro pittore (anche se certamente meno della Vergine, che gli valse l’appellativo di Carlo delle Madonne), come risulta dalle testimonianze che seguono.
Nell’Elogio di Carlo Maratti  inserito in Serie degli uomini più illustri in pittura, scultura, e architettura con i loro elogi e ritratti, Allegrini, Pisoni e C., Firenze, 1775, tomo XI, p. 157 si legge: Per il nipote poi d’Innocenzio D. Livio Odescalchi, oltre un Quadro con le due stagioni, Estate ed Autunno, poco diverse da altre due, che furono mandate in Spagna, figurò in un gran paese di boscaglia fatto da Crescenzio Onofri, una Diana, che difesa da una nuvola dà il segno della caccia, parlando ad una Ninfa, che si allaccia i coturni, mentre altre s’incamminano a rintracciar co’ cani le fiere.
Nella biografia che di Carlo scrisse Giovanni Pietro Bellori4 a p. 221 si legge:
Pel gran Contestabile Colonna D. Lorenzo dipinse le favole di Atteone e Diana in un bellissimo paese, di Gasparo in doppia altezza, e figure minori del naturale. Finse la Dea in piedi, che addita il giovine cacciatore, il quale mal cauto in rimirarla si trasmuta in Cervio spuntando le corna dalla fronte. Altre delle Ninfe si essercitano a nuoto, altre si ascondono, e si ricuoprono il seno, e le membra ignude, l’antro opaco, e selvaggio, ove soggiorna la Dea, è tutto ameno d’alberi, e d’acque cadenti, che stagnano in un lago. Oggi sì raro dipinto si trova appresso il Marchese Nicolò Maria Pallavicino, con gli altri, che qui andremo seguitando. Uno scherzo di Diana, e questo è compreso in una figura sola della Dea sedente in un bosco, e ad una fonte, ive si bagna le piante. Ma quasi di vicino senta strepito, o moto d’alcuno, che sopraggiunga, travolge la faccia, e s’inclina ascondendo con una mano il seno, ed aprendo l’altra per ripararsi, nel quale atto con raro effetto l’ignudo di questa figura soavemente si abbaglia all’ombra di un tronco, da cui pende sospeso l’arco, e la faretra, restando illuminata la spalla, il crine, e la fronte esposta al giorno.
Ipotizzo che il soggetto dell’ecfrasi sia proprio l’ultima Diana descritta nelle testimonianze appena riportate,  in virtù della sua esclusiva presenza che corrisponde perfettamente all’emula imago, che sarebbe stata meno emula se fossero state presenti altre figure, sia pure in secondo piano. Di seguito Diana al bagno che riproduco da http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/entry/work/52020/Maratta%20Carlo%2C%20Diana%20al%20bagno, indirizzo a cui rinvio per la relativa scheda.
Al di là del problema identificativo , però, questa ecfrasi ha una motivazione profonda, potrebbe essere quasi un gesto di gratitudine nei confronti del Maratta, per spiegare il quale debbo mostrare il frontespizio di un’altra opera del Caraccio e, quel che più qui interessa, l’antiporta.
In basso a sinistra si legge Carol(us) Marat(ta) Invenit, che, tradotto alla lettera, è Carlo Maratta escogitò. Invenit nelle tavole si alterna a delineavit (disegnò), per cui il Maratta fu il disegnatore. In basso a destra si legge Petr(us) Sanct(e) Bartol(i) sculp(sit), cioè  Pietro Sante Bartoli incise. Se quest’ultimo (Perugia, 1635-Roma, 1700) fu anche antiquario del Pontefice e della Regina Cristina di Svezia, il Maratta (Camerano, 1625- Roma, 1713) era considerato come il maggior pittore del suo tempo (di seguito due suoi ritratti, il primo a corredo della citata biografia del Bellori, il secondo dal citato volume del 1775).
Il Caraccio, dunque, aveva fatto ricorso sul piano editoriale (e le tavole fuori testo avevano allora un’importanza forse paragonabile a quella che oggi ha l’immagine, comunque erano un dettaglio irrinunciabile per un’edizione di pregio) a due autentici fuoriclasse. Il lettore deve sapere che nel 1690 era stata fondata a Roma da Giovanni Mario Crescimbeni l’accademia dell’Arcadia, sulla quale il lettore troverà le informazioni essenziali in http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/.  Qui basta ricordare che gli interessi dell’accademia erano letterari, ma ad essa aderirono anche letterati non in senso stretto, non esclusi i pittori. Perciò, se non desta meraviglia che pastore (così si chiamavano i soci dell’accademia) fosse il Caraccio col nome pastorale di Lacone Cromizio, non appare nemmeno strano che vi facesse parte pure il Maratta col nome pastorale di Disfilo Coriteo5.
Non ho elementi per ipotizzare che l’ecfrasi appena presentata fosse il frutto di uno sconto fruito sul costo della tavola, ragion per cui posso solo far riferimento ad una riconoscenza tutta intellettuale basata sulla stima reciproca e sulla frequentazione degli stessi ambienti culturali. Non mi rimane che sottolineare la felice invenzione del poeta, per cui, oltretutto, la risposta di Giove sembra contenere un riferimento al tema religioso, particolarmente caro al Maratta (anche se nemmeno la ritrattistica è da trascurare) e sancire una sorta di convivenza, più che di sincretismo, tra la religione pagana e quella cristiana, così ricorrente nella produzione dell’Arcadia.
2) p. 159
Mentre terra che ‘la copre, urnab che ‘la furac
del buon Natal (dico il mortal) ci ha privod,
in bei color qui effigiato al vivo
Arte ce ‘l rende ove il rapì Naturae.
E mentre stassif in ciel candida e pura
l’almag di lui, ch’ivi è beato e divoh,
gran simulacroi del suo spirtol vivo
la memoria di lui nel mondo duram.
Così tra sè come s’ei viva e come
qui segga e parli il mio pensier l’adombran
tra vera fama e simulateo chiome.
Né, morto, inver da questa vita ei sgombrap,
ché, se qui l’ombra sua resta e ‘l suo nome,
altro il viver non è che un nome e un’ombra.
______________
a lo
b tomba
c ruba, sottrae alla vista
d privato
e l’arte ci restituisce quello che la natura ci ha tolto
f se ne sta
g anima
h divino
i immagine
l spirito
m continua, sopravvive
n immagina
o rappresentate artisticamente, dipinte
p esce, va via
Se nel caso precedente il soggetto dipinto era tratto dal mito, qui, invece, il ritratto è quello di un personaggio in carne ed ossa (più che in carne, in ossa …), cioè Natale Rondanini (1628-1657), che fu segretario dei principi (sovrintendente ai rapporti epistolari con i principi) di papa Alessandro VII e uno dei membri di spicco dell’Accademia degli Umoristi, che era stata fondata a Roma il 27 marzo 1608 da Paolo Mancini e che rimase attiva fino al 16706 .
Di seguito lo stemma dell’Accademia tratto da Girolamo Aleandro, Sopra l’impresa degli Accademici Humoristi, Mascardi, Roma, 1611.
Nella cornice centrale una nube, da cui cade abbondante pioggia, e il motto REDIT AGMINE DULCI tratto da un passo di Lucrezio7.
 Se per l’ecfrasi precedente ho potuto avanzare un’ipotetica individuazione del dipinto, per questa posso solo fare le riflessioni che seguono. L’in bei color del terzo verso fa pensare inequivocabilmente ad un dipinto, per cui il che ne alzò l’accademia degli Humoristi dell’intestazione dovrebbe essere interpretato come il quale (monsignore, soggetto) elevò per noi  l’accademia degli Humoristi  (complemento oggetto) e non come il quale (ritratto, complemento oggetto) elevò (eresse) per lui l’accademia degli Humoristi (soggetto), anche se quest’ultima interpretazione, soprattutto per via di alzò potrebbe trovare riscontro nel monumento funebre al Rondanini, attribuito a Domenico Guidi (1625/ 1701), che si trova nella navata sinistra della chiesa di S. Maria del Popolo a Roma (di seguito nell’immagine tratta da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/74/Natale_Rondinini_tomb.JPG).
D(EO) O(PTIMO) M(AXIMO)
NATALI RONDININO ROMANO/ALEXANDRI FIL(IO) PAULI AEMILII CARD(INALIS) FR(ATRI)/PIETATE INGENIO ERUDITIONE/ROMANAE IUVENTUTIS FACILE PRINCIPI/QUI XXVII ANNUM AGENS/AB ALEXANDRO VII P(ONTEFICE) M(AXIMO)/PRAEFECTUS EPISTOLIS AD PRINCIPES/OPERAM SUAM PONT(IFICI) SAPIENTISSIMO ITA PROBAVIT/UT MOX AB EO CANONICATU VAT(ICANAE) BASIL(ICAE) AUCTUS FUERIT/NOVA IN DOMESTICAS IMAGINES DECORA ILLATURUS/NISI MAIORA IN DIES DE SE POLLICENTEM/REPENTINA VIS MORBI IN IPSO ROBORE AETATIS/REIP(UBLICAE) ERIPUISSET/FELIX ZACCHIA FILIO DULCISS(IMO)/CONTRA VOTUM SUPERSTES P(OSUIT)/OBIIT ANNO D(OMINI) MDCLVII AETATIS SUAE XXX
(A Dio Ottimo Massimo. A Natale Rondanini di Roma, figlio di Alessandro, fratello del cardinale Paolo Emilio, senza dubbio primo della gioventù romana per religiosità, ingegno, erudizione, che a ventisette anni, nominato prefetto alle lettere ai principi dal pontefice massimo Alessandro VII, rese tanto accetta al sapientissimo pontefice la propria opera che subito da lui fu insignito del canonicato della basilica vaticana, destinato a portare nuovo decoro alle immagini di famiglia, se la violenza della malattia8 non avesse sottratto allo stato proprio nel fiore dell’età lui che di sé prometteva cose più grandi di giorno in giorno, Felice Zacchia9 , sopravvissuta contro il desiderio, pose al figlio dolcissimo. Morì nell’anno del Signore 1657 a trent’anni)
Felice Zacchia, madre di Natale, non aveva certo bisogno di qualsiasi aiuto, tanto meno di quello economico, per erigere il monumento al figlio, per cui escluderei senz’altro qualsiasi riferimento dell’ecfrasi ad esso. Si tratterebbe, insomma, di un ritratto di anonimo (a differenza delle opere nominate nella prima e, come vedremo, nell’ultima ecfrasi) e questo rende ancor più problematica l’identificazione.
3) p. 189
Santa Caterina martire. Pittura del Signor Daniel Saiter
Vergine io veggioa, anzi beata, e divab,
al fier supplicioc di gran rota avintad,
che, da la man di Daniel dipinta,
dipinta, no, non già di senso è privae.
La turba de’ ministri horrida e schiva,
vera ella ancor più che insensata e finta,
resta non so se dall’incendio vinta
o da stupor d’imaginarla viva.
Mentre io rimiro opre sì grandi e nove,
attendo d’hor’ in hor ch’entro il suo velo
ella s’accogliaf, e volga i passi altrove.
Ma colma il sen d’inalterabil zelo,
se pur man non ritira o piè non move,
v’è che col cor tutta è rapita in cielo.
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a vedo
b divina
c supplizio
d avvinta, sottoposta
e non ha ancora perso i sensi
f si ricomponga
A differenza delle ecfrasi precedenti qui i dettagli non mancano, anche se appaiono piuttosto scontati per l’iconografia della santa e, in particolare, del suo martirio. Daniele Saiter (1642 o 1647-1705), pittore austriaco, che dopo un apprendistato a Venezia, si spostò a Roma dove lavorò presso la bottega di Carlo Maratta. Questo dettaglio è più che una coincidenza se si pensa che esso potrebbe giocare a favore dell’agevole identificazione del dipinto in questione con il Martirio di S. Caterina (di seguito nell’immagine tratta da https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Daniel_Seyter?uselang=it#/media/File:SMP_Cap_Cibo_Martirium_der_Hl_Caterina.jpg) che, insieme col Martirio di S. Lorenzo, il Saiter dipinse nella chiesa di S. Maria del Popolo a Roma, nella Cappella Cybo nella navata destra.
Ricordo, per completare il quadro,  che la pala d’altare di questa cappella con l’Immacolata Concezione e i santi Giovanni Evangelista, Gregorio, Giovanni Crisostomo e Agostino è opera di Carlo Maratta.
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1 Vedi Armando Polito, Antonio Caraccio, l’Arcade di Nardò, in Nardò e i suoi: studi in memoria di Totò Bonuso (a cura di Marcello Gaballo), Fondazione Terra d’Otranto, 2015, pp. 41-66 e, su questo blog,  http://www.fondazioneterradotranto.it/2014/11/06/antonio-caraccio-nardo-1630-roma-1702-note-iconografiche/. Avverto che, sempre su questo blog, a lui sarà dedicata la prossima puntata, la settima, della serie Gli Arcadi di Terra d’Otranto.
2 Antico feudo nel territorio di Nardò.
3 Dal greco ἔκϕρασις (leggi ècfrasis), che significa descrizione.
4 In Ritratti di alcuni celebri pittori del secolo XVII disegnati ed intagliati in rame dal Cavaliere Ottavio Lioni, con le vite de’ medesimi  tratte da vari autori, Antonio de’ Rossi, Roma, 1731, pp. 146-251.
5 Il primo vi era entrato il 2 maggio 1691, il secondo il 2 maggio 1704. Anche la figlia di Carlo, Faustina, entrò nell’Arcadia contemporaneamente al padre col nome pastorale di Aglaura Cidonia. Sposò il poeta Giambattista Felice Zappi, pure lui socio dell’Arcadia col nome pastorale di Tirsi Leucasio dal 5 ottobre 1690.
6 Suoi componimenti in latino sono in Carmina illustrium poetarum italorum, Tartino & Franchio, Firenze, 1721, v. 8 pp. 87-96.
7 De rerum natura, VI, 631-638: Postremo quoniam raro cum corpore tellus/est et coniunctast oras maris undique cingens,/debet, ut in mare de terris venit umor aquai,/in terras itidem manare ex aequore salso;/percolatur enim virus retroque remanat/materies umoris et ad caput amnibus omnis/confluit, inde super terras redit agmine dulci/qua via secta semel liquido pede detulit undas. (Infine, poiché la terra è con corpo poroso e cingendo da ogni parte le distese del mare è congiunta con esso, l’umidità dell’acqua, come defluisce nel mare dalla terra, così deve diffondersi nella terra dal mare salato; viene filtrata infatti la salsedine, e la sostanza dell’umidità  rifluisce indietro e confluisce tutta per i fiumi alla loro sorgente e da lì ritorna con dolce corrente sulle terre, per dove ove la via una volta aperta fa scendere le onde con liquido piede)
8 Probabilmente si trattò di febbre terzana o malaria, stando ai sintomi descritti in Sforza Pallavicino, Della vita di Alessandro VII, Giachetti, Prato, 1840, v. II, p. 170.
9 La madre di Natale; suo marito Alessandro era morto nel 1639.
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