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danielebelloli · 8 months
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Il futuro è una inaffidabile invenzione dell’uomo
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La mente umana è una macchina incredibilmente moschetto. … Sorpresa! Cos’è quel “moschetto” lì, in fondo alla frase?
Ecco, è proprio il concetto di "sorpresa" su cui mi sto arrovellando da un po’. Pare che la sorpresa sia un meccanismo cerebrale messo lì dall’evoluzione per avvisarci che le cose non vanno come previsto.
Cos’è, dunque, la sorpresa? Per rispondere a questa domanda è necessario fare una debita sagittario -oh oh, humor psicologico- … una debita premessa: il cervello umano non opera in modalità reattiva, ma predittiva. Controintuitivamente, l’atto di pensare non inizia dopo il flusso di stimoli provenienti dal sistema sensoriale, ma durante tale flusso, a cominciare dal primo accenno di stimolazione, immaginando preventivamente uno scenario mentale ricavato dall’esperienza, cioè dalla memoria, per proseguire, poi, verificando che i successivi dettagli in arrivo dai sensi si incastrino nello scenario immaginato. Esempio: tornando alla mia frase, per il cervello leggere le parole “La mente umana è …” è già più che sufficiente per immaginare una possibile conclusione, tipo “… costituita da miliardi di neuroni.” Poi, quando si aggiunge “una macchina”, il cervello completa il suo primo scenario con l’aggettivo “complessa” o “meravigliosa”, estratto dalla sua memoria; per lui il senso della frase è compiuto: “La mente umana è una macchina complessa.” Il cervello ha stabilito un senso compiuto prima ancora di aver finito di leggere la frase. Intanto, dai sensi continuano ad arrivare informazioni: si aggiunge l’avverbio “incredibilmente” che conferma pienamente la previsione del cervello, il quale, novello Nostradamus, perfeziona in “La mente umana è una macchina incredibilmente complessa.”
Alé, è fatta. Dai, stacca la spina.
Ma no, lo sguardo prosegue la lettura, arriva all’ultima parola che è “moschetto”. Il cervello è sorpreso e completamente disorientato. La sua previsione è sbagliata e per lui non c’è niente di più fastidioso che non capire cosa stia per succedere. Il dipartimento di chimica viene prontamente avviato per scatenare la produzione di microgrammi e microgrammi di sostanze, alcune proibite persino in Colombia. La chimica fa il suo lavoro e produce malessere, tensione, sensi allertati a DEFCON 1 (guerra nucleare imminente o già in corso), sudorazione copiosa: suonare il clacson al conducente in fila davanti a te che si trovasse in questo stato è una pessima idea.
Cos’è la sorpresa? Si tratta di una condizione emotiva che si manifesta quando la previsione del cervello si rivela sbagliata (cfr. Lisa Genova, Dan Gilbert e altri - molti altri). Ecco quindi perché ti sorprendono le novità e, in generale, ciò che non sapevi: il cervello non può prevedere quello che non è già presente in memoria. Il famoso adagio popolare “chi lascia la via vecchia per la nuova male si ritrova” non è dettato da banale prudenza, ma da un antico comportamento inconscio del cervello che lo pone in guardia da tutto ciò che non conosce.
Ora, trattandosi di una reazione inconscia e automatica è facile intuire come la sorpresa sia un fenomeno che può essere indotto una volta scoperto il meccanismo che la provoca. Ogni bravo titolista lo sa bene, come anche ogni bravo sceneggiatore che, nel costruire il suo film, sa come fare leva sugli automatismi del nostro cervello per provocare le emozioni del pubblico (mai letto Story di Robert McKee?). Sei mai rimasto fino a tardi a leggere il tuo giallo perché volevi scoprire chi fosse il colpevole? Oppure hai mai consumato il weekend davanti a Netflix divorando una intera serie? Cosa ti ha impedito di smettere? Il cervello non sopporta di non riuscire a prevedere e da questa sofferenza nasce la necessità di “sapere come va a finire”.
Prevedere significa immaginare il futuro. Il futuro è un’invenzione dell’uomo: siamo l’unica specie vivente in grado di immaginare il futuro. Il che si è rivelato un vantaggio competitivo, almeno fintanto che qualcuno non ha capito che è impossibile immaginare cose di cui non abbiamo alcuna memoria. La nostra immaginazione rimaneggia ricordi. Se sfogli un’opera futurista di quelle dai titoli tipo “Into the Atomic Age” oppure “The World of Tomorrow” troverai tavole e descrizioni del futuro dominate da treni nucleari e automobili antigravità che attraversano città protette da gigantesche cupole di vetro, ma mai uno skateboard, un walkman o uno smartphone. Chi immaginava il futuro negli anni ‘50 del ‘900 lo faceva combinando informazioni del presente.
Ahimé, proprio per questa ragione gli automatismi del nostro cervello offrono il fianco agli hacker della mente, quei soggetti malintenzionati a manipolare il pensiero altrui. La tristemente famosa vicenda del massivo condizionamento operato da Cambridge Analytica che portò, nel 2018, al noto scandalo e al successivo fallimento della società, ne è un fulgido esempio. L’uso combinato di dati personali sul comportamento delle persone presi dalle banche dati dei social media insieme alle indicazioni provenienti dagli studi di psicometria, la scienza che studia il comportamento umano, ha portato al condizionamento politico di grandi quantità di elettori. Studia il comportamento attuale di una persona, dipingi loro un futuro fosco basato sui suoi timori e poi offriti come alternativa: chi non ci cascherebbe?
Se dunque la nostra idea di futuro è condizionata dal passato e dal presente, per far immaginare un mondo migliore, come ha correttamente ragionato Cambridge Analytica, è sufficiente far leva sui problemi del presente. Per esempio, è possibile indurre molte persone a immaginare la terra del futuro riarsa dal sole perché molti sanno cos’è il “cambiamento climatico” ed è altrettanto possibile indurre molte persone a credere a una soluzione del problema basata sull’inversione di tale cambiamento; nella memoria ci sono questi dati e le persone prese di mira da questa comunicazione manipolativa sono certamente in grado di immaginare lo scenario indotto, e lo fanno anche senza volerlo.
È invece impossibile immaginare un futuro in cui il clima sia effettivamente cambiato, la terra spaventosamente riarsa dal sole, eppure popolata da un'umanità serena e felice grazie a…
Personalmente non ho particolare stima del mio cervello.
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danielebelloli · 9 months
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Affronto il roundabout, addestro la concentrazione
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“Ci siamo, ecco il roundabout. 200 yard. Ma quante sono 200 yard? tipo 200 metri? Boh, tanto chi lo sa quanti sono 200 metri. Guarda il navigatore; sì, ci sono. Devo stare nella corsia interna, metti la freccia a destra. Che assurdità, se per entrare devo piegare a sinistra… Vabbè, dai, fai come gli altri. Dove devo uscire? Ah, alla seconda, che poi è come dire vado dritto. Dov’è la seconda? Merd… da qua non la vedo. Ok, sono il prossimo, devo guardare a destra ed entrare nel roundabout girando a sinistra. Senso ORARIO. Adesso. Vado. … … pronto con la freccia sinistra. Guarda le strisce per terra. Dio, ma quante sono. Sono pure coperte dal keep clear box. Ma che problema hanno gli inglesi con le strisce? Anche sulla bandiera… CONCENTRATI. Ora! Vai con la freccia sinistra. Specchietti, hai controllato gli specchietti? Eccola, è questa la seconda uscita. O no? Fesso, non le hai contate. Dai, esci. Lascia dolcemente la corsia interna e infila l’uscita. Stai a sinistra. Devi stare a sinistra. Ma non troppo a sinistra, c’è il kerb. Alé, vittoria. Adesso 40 miglia/ora. Respira.”
Guidare nel Regno Unito. Che esperienza straordinaria. Mi trovo in uno stato di tensione continua: le mani stringono il volante con forza esattamente nella posizione della dieci e dieci, come dicono i manuali di guida, le nocche sono bianche per lo sforzo, gli occhi si muovono rapidi dalla strada al cruscotto agli specchietti, ciclicamente, raccogliendo decine di informazioni che il cervello elabora diligentemente sforzandosi di prevedere le prossime circostanze: auto, pedoni, ciclisti, animali, poi curve, incroci, bivi, segnaletica verticale, orizzontale, limiti e divieti. Ah, e la direzione da seguire, naturalmente. “At the roundabout take the second exit, A4356.”
Per evitare di commettere tragici errori serve la più assoluta concentrazione per lunghi periodi, il che è biologicamente difficile da fare dato che il cervello umano si è sviluppato obbedendo all’urgenza di sopravvivere più che a quella di risolvere le parole crociate e per riuscire a sopravvivere ha privilegiato funzioni psichiche che lo rendessero sensibile e reattivo ad ogni più piccolo cambiamento del mondo attorno a lui, tipo un fruscio nell’erba alta magari prodotto da una tigre denti a sciabola. Chissà.
Perdiamo tutti facilmente la concentrazione, ma da quando guido a destra mi sono accorto di aver sviluppato la notevole capacità di percepire il momento esatto in cui mi distraggo. Cioè, non è che riesco a stare concentrato più a lungo, è solo che quando il mio pensiero comincia a vagare ne acquisto coscienza istantaneamente. E questo mi consente di riportare gentilmente la mia mente indietro sul tema primario, come dice John Cleese dei Monty Python nel suo famoso ed esilarante discorso sulla creatività: “The only other requirement is that you keep your mind gently round the subject. You're pondering your daydream, of course, but you just keep bringing your mind back.”
Mantenere la concentrazione per lunghi periodi di tempo è il modo più efficace per trovare soluzioni creative ai problemi che ci affliggono e avere idee innovative, oltre naturalmente a consentirci di svolgere il lavoro di routine nella maniera più efficiente possibile e senza sbagli. Di nuovo John: “… because, and this is the extraordinary thing about creativity, if you just keep your mind resting against the subject in a friendly but persistent way, sooner or later you will get a reward from your unconscious, probably in the shower later or at breakfast the next morning. But suddenly you are rewarded.”
Forse non è un esercizio pratico, ma guidare in Gran Bretagna addestra magnificamente la mente alla concentrazione profonda e prolungata.
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danielebelloli · 9 months
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Hercules
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Lo vedi questo motore? È più umano lui di tanti esseri umani.
Quando ti avvicini a questo gigante meccanico lui ti trasmette delle emozioni vibranti e profonde. Puoi pensare che sia solo metallo, ma se è capace di scuoterti, di farti pensare, di spingerti ad agire, se ti racconta le sue avventure, se puoi immaginare le persone che lo hanno costruito, puoi considerarlo ancora solo “metallo”?
Si chiama Hercules, come il mortale che divenne un Dio. È vecchio, è un veterano scricchiolante d’artrosi e di ferite che segnano il cambiare del tempo. E come un veterano se ne sta lì, sulla sua poltrona, ad aspettare la fine del giorno, o dei giorni, anche il mio Hercules giace immobile nella penombra a ricordare gli uomini e le donne che lo hanno intriso di umanità per consentirgli di esistere.
Hercules è compatto e potente. Hercules è complesso. All’interno, il suo meccanismo è incredibilmente complicato, come il più sofisticato degli orologi meccanici. Migliaia di parti in rapidissimo movimento, parti soggette alle condizioni più disagevoli, temperature estreme, sforzi estremi, tensioni estreme, eppure, insieme, le parti sono state così affidabili da affidargli vite umane.
Questa moderna era tecnologica in cui viviamo, invece, non mi emoziona. Le moderne meraviglie, prodigi della cognizione umana, computer, smartphone, satelliti, strumenti medicali, non mi emozionano. Nemmeno l’AI, la mente delle macchine, mi emoziona. Non riesco a vederci nessun volto dietro. È il frutto del lavoro di una coscienza indistinta, composta da migliaia di menti che nemmeno si conoscono. La moderna tecnologia è il frutto di un'intelligenza collettiva, composta da umani, ma non umana, plasmata dall’uomo eppure priva di un volto.
Adesso guarda questo motore: è il risultato dell’impegno fisico e intellettuale di una ristretta lista di persone, forse 100, magari 1.000, chi lo sa, persone che hanno lavorato tutte insieme, nello stesso luogo, nello stesso momento, tutte unite dall’orgogliosa determinazione a non commettere errori, motivate da un solo obiettivo: essere bravi. Ogni parte di questo motore ha un suo padre, o una sua madre. E anche una sola di queste persone saprebbe dirti come si costruisce l’Hercules, per quanto complesso.
Questo motore è il figlio degli uomini. Lo smartphone è il figlio di una entità indistinta. Mi emoziona solo il primo.
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danielebelloli · 9 months
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Mobility Scooter
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Mamma mia! Ma quanti disabili ci sono in Inghilterra. Li noto perché sono per strada, autonomi, a bordo dei loro mobility scooter. A Londra, a Bristol, a Birmingham, a Liverpool, a Portsmouth. Ovunque, in Inghilterra, vedi mobility scooter.
Il fatto mi colpisce perché in Italia è piuttosto raro incontrare questo tipo di veicoli.
E perché? Sono di più i disabili inglesi? Secondo un censimento del 2021 condotto da Office for National Statistics i disabili in Inghilterra sono circa il 17% della popolazione, suppergiù 10,4 milioni. (https://lnkd.in/deUDkKGA)
Vediamo in Italia, mi dico. Fatico un po’ a trovare il dato. Secondo ISTAT i disabili con gravi limitazioni in Italia sono 3 milioni. Solo? Poi, sempre secondo ISTAT, ci sono altri 9,7 milioni di disabili con limitazioni non gravi. Verrebbe da chiedersi perché distinguerli, ma è una domanda maliziosa. (https://lnkd.in/dGKfawps)
Insieme, comunque, i disabili italiani gravi e non gravi farebbero all'incirca 13 milioni, un dato confrontabile con quello inglese, ma comunque superiore.
Dunque, sbaglierò, ma mi par di capire che in Italia ci siano più disabili che in Inghilterra, eppure molti di meno se ne vanno in giro autonomamente grazie a dispositivi di mobilità.
Tu hai una spiegazione?
Foto: Portsmouth, Hampshire, UK A row of mobility scooters or disability scooters outside a shop on sale (Gary L Hider)
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danielebelloli · 10 months
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Vita-lavoro, in equilibrio o in compensazione?
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Se la necessità di equilibrio deriva dal bisogno di sviluppare relazioni sociali al di fuori della sfera lavorativa, oppure dal bisogno di accrescere il proprio patrimonio intellettivo con nozioni e capacità non necessarie all’attività lavorativa, allora tale equilibrio è sano.
Ma se la necessità di equilibrio deriva dal bisogno di compensare la fatica, la noia e relazioni sociali scarsamente stimolanti, allora c’è un problema a monte che non può essere risolto facendo più vacanze, con lo smart working o con gli affetti.
Il secondo scenario è tipico di chi sta svolgendo un lavoro che né lo appassiona, né per il quale abbia talento. Entrambi, passione e talento, insieme, sono la base indispensabile di un lavoro gratificante. Sir Ken Robinson, lo scrittore e consigliere internazionale sull'educazione per governi e istituzioni no-profit, lo chiama “Elemento”.
Vivere nel proprio elemento richiede di trovarlo, prima di tutto. Prova tu a rispondere: quali sono i tuoi talenti? Cosa ti appassiona veramente? Se non riesci a rispondere, non preoccuparti, sei come la stragrande maggioranza degli esseri umani. E dei giovani.
Trovare il proprio elemento è reso difficile dal sistema educativo; ecco Ken*: “Esistono tre processi fondamentali nel campo dell’educazione: il curricolo, che è ciò che il sistema scolastico si aspetta che gli studenti apprendano; la pedagogia, il processo con cui il sistema aiuta gli studenti a imparare; e la valutazione, il processo con cui si giudica la loro resa. La maggior parte delle riforme si concentra sul curricolo e sulla valutazione. Normalmente i politici cercano di avere il controllo del curricolo e specificano esattamente ciò che gli studenti dovrebbero imparare. Nel fare questo, tendono a rinforzare la vecchia gerarchia delle materie, ponendo grande enfasi sulle discipline alla sommità della scala gerarchica esistente.”
Sottovalutare gli aspetti pedagogici ha reso e rende difficile ai giovani scoprire quali siano i propri talenti e le proprie passioni, avviandoli verso una vita classificata dalla società. Che porta oggi, in determinate circostanze, ahimé piuttosto diffuse, a porre la domanda: come trovare l’equilibrio fra vita e lavoro?
*[Ken Robinson. The Element: Trova il tuo elemento cambia la tua vita. MONDADORI.]
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danielebelloli · 10 months
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Addio alle lampadine a incandescenza
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NYT: “It’s Official: Stores Can No Longer Sell Most Incandescent Lights”. Che peccato.
Ogni volta che sparisce un pezzetto del mio passato la malinconia mi assale. Ricordo quando da bambino compresi che “candele” e “watt” erano solo due modi diversi per dire la stessa cosa, quanta luce ci sarà nella stanza. Watt era moderno, candela antico. La nonna diceva “Ce ne vuole una da quaranta candele”. Io la riprendevo “Nonna! Si dice watt”, con quell’insolenza tipica dei bimbetti di dieci anni.
Le candele hanno lasciato il posto ai watt, i watt ai lumen. Malinconico, ma bello, no? Chi tornerebbe indietro? Ecco, avrei detto “nessuno”. Invece.
In reazione alla messa al bando della lampadina a incandescenza un consistente numero di consumatori americani hanno alzato la voce per protestare e sostenere il diritto di libera scelta. Ma perché protestare contro una innovazione dai così evidenti benefici?
Perché, uno, dicono i contestatori, libertà è illuminare casa mia come mi pare e, due, perché lo spiega Trump*: “They took away our light bulb. I want an incandescent light. I want to look better, OK? I want to pay less money to look better. Does that make sense? You pay much less money, and you look much better.”
Trump spiega? O piega i fatti per ottenere un beneficio elettorale? Sorprendentemente, risulta piuttosto facile trovare il modo di risultare convincenti nell’asserire che le lampadine LED rappresentino un passo indietro dell’umanità. Anche contro ogni evidenza scientifica. Altrettanto facile sarebbe dimostrare che il sole sorge a ovest, se solo ne derivasse un qualche vantaggio.
Prova tu: cerca su Google “il sole sorge a ovest” (o su Bing, se consideri Google parte di un complotto globale volto a raddoppiare le “O” in tutte le parole del mondo, a parte zOO che va bene così); dalla prima pagina salta fuori un articolo che si intitola “Ok, ti hanno sempre mentito. Il Sole non tramonta a ovest.” 
Dirai tu, “sorgere a ovest” e “non tramontare a ovest” non è la stessa cosa! Sembra così ovvio. Ma il cervello umano ha il difetto di colmare i vuoti della sua comprensione per renderla plausibile. A qualunque costo. Significa che la cognizione umana non presuppone la ricerca della verità; la cognizione umana si accontenta della plausibilità, e questa è una fregatura per l’umanità.
Ecco cosa accade nel cervello: 1) presupposto: il cervello moderno legge solo i titoli perché, oggi, ha una montagna di robe da fare; 2) sente dire che il sole sorge a ovest; uh, che sciocchezza; 3) fact checking: il cervello cerca su Google (o Bing, naturalmente); 4) trova la frase “Ok, ti hanno sempre mentito. Il Sole non tramonta a ovest”; 5) domanda interiore: sorge a ovest = non tramonta a ovest? 6) risposta: beh, è plausibile, quindi: SÌ, che non ho mica tempo da perdere; 7) però, ulteriore fact checking (il cervello non è tonto): lo dice qualcuno di famoso, tipo un bravo influencer? SÌ? 7) apposto, il cervello fonda subito il movimento “Fratelli di Tolomeo” (FdT), che poi Tolomeo era pure un astronomo, matematico e geografo, insomma, uno scienziato. Quindi. Alé.
Quando “il famoso” certificatore di conoscenza è un bravo influencer, il danno rimane circoscritto a un solo cervello; al massimo il danno si potrebbe estendere a qualche condomino ultraottuagenario. Ma se “il famoso” certificatore di conoscenza è un politico che arringa le folle, per esempio, di Fayetteville, North Carolina, 208.501 abitanti (Trump, capito?), allora la strampalata idea del sole che sorge a ovest acchiapperebbe sufficienti menti da avviare la formazione di un bel movimento negazionista. A quel punto è solo questione di tempo e social.
 *[https://www.factcheck.org/2019/09/trump-bends-the-facts-on-lightbulbs/]
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danielebelloli · 11 months
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Sono stata stuprata e non l’ho denunciato - anche se avrei voluto farlo. Ecco perché
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5 donne su 6 che sono state stuprate non lo dicono alla polizia. Io sono una di quelle.
Non sono la perfetta vittima di stupro. Sono stata violentata dall’appuntamento di Hinge che ho invitato a casa mia per guardare un film la prima volta che ci siamo incontrati. Se la perfetta vittima di stupro esistesse (e non esiste) e io fossi lei, allora suppongo che sarei uscita a portare a spasso il cane del mio anziano vicino alle 13:00 di un piacevole pomeriggio autunnale, in una trafficata area suburbana, lungo un percorso ben conosciuto, quello che passa di fonte a un commissariato di polizia; indossando pantaloni larghi, maniche lunghe e scarpe basse; e senza aver bevuto niente da quel bicchiere di Baileys dello scorso Natale.
Non sono lei. In effetti, nei giorni precedenti al mio stupro, ho scambiato ammiccanti messaggini con il mio stupratore. Quella sera sono uscita per incontrarlo, vestita in modo sexy, sperando in una scintilla reciproca. Lo trovavo attraente, volevo baciarlo e glielo dissi, volevo persino che mi toccasse. Fino a quando non l'ho fatto. Fino a quando lo sguardo sul suo viso e le sue intenzioni sono cambiate; fino a quando il suo comportamento si è fatto aggressivo e violento e volevo che smettesse. Fino a quando gli ho detto di smetterla e lui non si è fermato.
La mattina dopo, quando la realtà di quello che mi era successo è sorta insieme al nuovo giorno, ho cercato su Google cosa avrei dovuto fare, quindi ho contattato la più vicina Clinica per la Segnalazione di Aggressioni Sessuali (SARC - Sexual Assault Referral Clinic), The Bridgeway, dove mi hanno detto che potevo essere ricoverata per un esame forense e per avere supporto, senza spingermi in alcun modo a denunciare alla polizia ciò che mi era successo. Ricordo che questa rassicurazione mi sembrò vitale.
Dal momento in cui mi sono resa conto che era stato commesso un crimine contro di me ed ero stata ferita, ho avuto paura dell'idea degli agenti di polizia; di dichiarazioni; di fornire la prova; di essere accurata al 100% sui fatti accaduti mentre riuscivo a malapena a ricordare dove mi trovavo o quando se n'era andato, tutte quelle ore dopo.
Ho fatto quello che, al telefono, mi ha detto di fare il consulente della SARC: ho messo in una borsa i vestiti e le mutandine che indossavo la sera prima. Tremavo così tanto che non sono riuscita a far entrare nella borsa i capi di abbigliamento se non dopo diversi tentativi. "Hai fatto la doccia?" Lei mi ha chiesto. Non l'avevo fatto. "Questo è un bene", ha detto, "ci dà più possibilità di ottenere qualcosa dai campioni".
Sono entrata nella SARC quella mattina non lavata e stringendo la borsa di plastica piena di vestiti indossati da un'altra versione di me. Il trattamento che ho ricevuto dallo staff è stato incredibile. Dall'inizio alla fine sono stata trattata con gentilezza, compassione, sostegno e, soprattutto, sono stata trattata come qualcuno a cui si crede. Mi hanno creduta tanto all’inizio, quando ero nella sala di consultazione mentre raccontavo loro cosa era successo, quanto in seguito, quando hanno fotografato gli affioranti echi dei profondi e scuri lividi che stavano iniziando a fiorire sul mio collo, braccia e gambe.
Eppure, anche se le infermiere avevano fatto i tamponi e rilevato prove fotografiche dal mio corpo, ho sentito l’oppressivo peso della consapevolezza che per me, come la maggior parte delle vittime di stupro e aggressione sessuale, sarebbe stato quasi impossibile provare il mio stupro, oltre ogni ragionevole dubbio, in un tribunale. Non c'erano testimoni. Sarebbe stata la mia parola contro la sua, e la parola di una vittima, spesso, non è sufficiente.
Le statistiche confermano questa sensazione di oppressione. Nel 2022 meno di 2 stupri su 100 registrati dalla polizia hanno portato a un'accusa [nel Regno Unito - ndt.]. Ed è solo un'accusa, nemmeno una condanna. Lo staff del Bridgeway mi ha spiegato chiaramente le mie opzioni per il coinvolgimento della polizia, ma sapevo che se avessi scelto di intraprendere un procedimento giudiziario, io, come tante donne, sarei entrata in una devastante lotta contro un sistema legale che penalizza sistematicamente le vittime. E sarebbe stata una lotta che avrebbe potuto durare molti anni, minacciando la mia guarigione e la mia privacy, nonché il futuro benessere mio e dei miei figli. Che "scelta" è quella in cui una delle opzioni sembra insormontabile.
Ovviamente non dovrebbe essere così. I sopravvissuti che sopportano le conseguenze dello stupro e dell'aggressione sessuale non dovrebbero confrontarsi con statistiche e realtà così tetre e prive di speranza, e con il fatto che qualunque riforma sia stata tentata non sia risultata adeguata a combattere la condizione in cui ci troviamo.
Non mi sono sorpresa nell’apprendere che un nuovo programma, adottato, in fase pilota, da 19 distretti di polizia e che verrà presto esteso a tutti i 43 distretti di polizia in Inghilterra e Galles, porta risultati molto al di sotto del necessario. L'operazione Soteria mira a "cambiare il modo in cui le forze di polizia e il Crown Prosecution Service (CPS) rispondono ai casi di stupro e violenza sessuale". Ma le donne che hanno denunciato di essere state stuprate, anche in questi distretti pilota, affermano che la polizia e i sistemi giudiziari sono ancora “ponderati a favore dell'imputato”, e il processo che le vittime devono affrontare è ancora scoraggiantemente “duro”.
Gli ultimi dati ufficiali disponibili mostrano che tra aprile e dicembre 2022 – sono solo nove mesi, nemmeno un anno intero – ci sono stati circa 50.000 reati di stupro registrati dalla polizia in Inghilterra e Galles. Vanno aggiunti i dati statistici di Scozia e Irlanda del Nord. Di quei 50.000, circa 900 (l'1,8%) dovevano ancora produrre un'accusa o una citazione in giudizio.
Questa dovrebbe essere vista da tutti come una crisi nazionale. È difficile pensare che queste statistiche possano peggiorare. Se lo facessero, equivarrebbe ad ammettere che lo stupro è, nei fatti, legale nel Regno Unito.
I casi digustosamente bassi di procedimenti giudiziari e condanne nei casi di stupro mi spaventano, come dovrebbe spaventare tutti, perché il problema non sta riducendosi. Una donna adulta su quattro è stata violentata o aggredita sessualmente, eppure cinque donne su sei che vengono stuprate non denunciano l’abuso alla polizia. Questo numero è preoccupantemente grande.
Ma permettimi di chiederti questo: se ti proponessero di sostenere un test che richiedesse dai due ai quattro anni della tua vita per essere completato; che richiedesse di rivivere traumi passati; che implicasse la possibilità che parti intime della tua vita vengano rese pubbliche; e sapessi di avere solo il 2% di possibilità di superarlo, questo test, tu, accetteresti di sostenerlo?
Per ora, i miei campioni di DNA sono conservati in un congelatore presso la SARC a cui mi sono rivolta, cosa che trovo stranamente confortante. In assenza di un adeguato processo giudiziario, come sopravvissuta, mi conforto in modi sorprendenti.
I miei campioni rimarranno lì fino a quando nuovi campioni satureranno lo spazio per conservarli; a quel punto la clinica mi contatterà per sapere se avrò deciso di promuovere l'azione penale di un caso di stupro non recente, prima di distruggerli.
Saperlo mi regala una piccola sensazione di potere. In effetti, di fronte a un sistema legale così inadeguato, la possibilità di perseguire, a volte, risulta più confortante del processo vero e proprio. Ma forse questo non è poi così sorprendente. Alla fine, avere la scelta è tutto.
[Anonymous, The Indipendent, 12/07/2023, Original title: I was raped and didn’t report it – though I wish I had. This is why]
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danielebelloli · 11 months
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Vi sto, per caso, annoiando?
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“VI STO, PER CASO, ANNOIANDO?” Domanda rara. Richiede coraggio e ottiene, per lo più, una risposta retorica. La noia è un importante segnale del nostro cervello; sta dicendo: “Oé. Percepisco cose che non corrispondono a nessuno dei miei desideri.”
Del resto, chi desidera conoscere i fatti personali di un collega narcisista che monopolizza la conversazione per venti minuti concludendo con “Ma basta parlare di me. Adesso dimmi tu cosa pensi di me.”?
E chi desidera seguire il quotidiano meeting 20/80* cui partecipa attivamente solo chi parla?
E, ancora, come mai i corsi di aggiornamento prevedono un test finale? Qualcuno insinuerebbe mai che sono le domande finali del test l’unico motivo d’attenzione dei partecipanti?
Il mantenimento dell’attenzione è il risultato di una corretta interpretazione da parte della nostra coscienza di quel segnale inviato dal cervello comunemente chiamato “noia”.
James Danckert è uno neuroscienziato cognitivo e John D. Eastwood è uno psicologo. Insieme hanno lavorato a lungo sulla noia. Bizzarro, no? Tutti, e dico tutti, vorremmo vivere talentuosamente facendo ciò che ci piace, ma questi due luminari hanno senzientemente deciso di dedicarsi a ciò che annoia. Immaginate un esame psico-neurologico che registra il comportamento elettrico del cervello in preda ad un attacco di noia? Quante ore durerà? E quanto deve essere noiosa la circostanza che induce la noia nel paziente?
Allora ringrazio mille volte Danckert e Eastwood per il loro (noioso) lavoro, perché ciò che emerge dai loro studi è straordinario: la noia è un segnale d’allarme che ci permette di modificare il nostro atteggiamento e non perdere il livello di attenzione. E non parlo solo di chi si annoia, ma anche di chi annoia.
Un buon leader (insegnante, manager, genitore, oratore) non dovrebbe aver paura di chiedere: “Vi sto, per caso, annoiando?” Se la risposta, come è probabile, fosse “SÌ”, sarebbe per lui il momento di porsi la domanda fondamentale: “Posso fare un discorso non-noioso?”
Un meeting, un corso, una conferenza, una lezione, e, lo dico, alcune serate fra amici, possono essere non-noiose se entrambe le parti mettono in atto opportuni accorgimenti comunicativi. Lego® Serious Play®, tanto per fare un esempio, è un famoso e valido metodo di concettualizzazione che unisce le necessità del business al gioco per ottenere leggendarie riunioni 100/100.
Il gioco è naturalmente roba da bambini e non suggerirei mai ad adulti intelligenti ed affermati di utilizzarne i principi per rendere gli incontri interessanti, avvincenti, motivanti e quindi produttivi. Mai lo direi. Ignorate la mia scrivania coperta di mattoncini 4x2.
Piuttosto, adulti!, non appena percepite la noia potete soddisfare le esigenze del cervello aprendo compulsivamente lo smartphone; è fatto apposta per rubare l’attenzione. C’è persino una definizione del modello economico che sostiene il cyberspazio: "economia dell’attenzione”. Cioè, in Internet, la nostra attenzione è il valore da cui altri traggono il profitto.
*[meeting 20/80: il 20% dei partecipanti danno l’80% delle informazioni]
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danielebelloli · 1 year
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Too Long; Didn't Read?
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Trovo maleducato e spocchioso ignorare i messaggi lunghi. Chi li ha scritti ha dedicato un impegno che merita rispetto indipendentemente dalla pertinenza e spessore dei concetti espressi.
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danielebelloli · 1 year
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La tassa sui lamentosi
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Io dico di tassare tutti i lamentosi. Tassare chi si lamenta del traffico. Tassare chi si lamenta dei trasporti pubblici. Tassare chi si lamenta degli immigrati e chi si lamenta degli omosessuali. Tassare chi si lamenta dei troppi parcheggi per disabili. Tassare chi si lamenta dei ciclisti e delle piste ciclabili. Tassare chi si lamenta di quelli là che credono al cambiamento climatico. Tassare chi si lamenta dell’esistenza di ostacoli. Tassare chi si lamenta che non è lui, sono gli altri. Tassare chi si lamenta perché così vogliono gli italiani. Tassare chi si lamenta del suo telefono che è troppo complicato. Tassare chi si lamenta della sanità pubblica. Tassare chi si lamenta dei medici e degli infermieri. Tassare chi si lamenta per avere più like. Tassare chi si lamenta dei prezzi di Milano. Tassare chi si lamenta dell’Europa. Tassare chi si lamenta della scuola, dei presidi e degli insegnanti. Tassare chi si lamenta degli studenti. Tassare chi si lamenta dello spid, dell’Intelligenza Artificiale, della genetica e di tutto ciò che è novità. Tassare chi si lamenta degli anziani. Tassare chi si lamenta dei giovani. Tassare chi si lamenta dell’amministratore di condominio. Tassare chi si lamenta dei call center. Tassare chi si lamenta dei carnivori e chi si lamenta dei vegetariani. Tassare chi si lamenta degli autovelox. Tassare chi si lamenta dei suv. Tassare chi si lamenta delle auto elettriche, dei parchi eolici, del fotovoltaico e del nucleare. Tassare chi si lamenta della ricerca. Tassare chi si lamenta degli scienziati. Tassare chi si lamenta del premio Nobel. Tassare chi si lamenta dei programmi tv. Tassare chi si lamenta dell’Inter. Tassare chi si lamenta dei padroni di cani. Tassare chi si lamenta del prezzo della benzina. Tassare chi si lamenta dei dirigenti. Tassare chi si lamenta dei dipendenti. Tassare chi si lamenta delle minigonne. Tassare chi si lamenta delle taglie forti. Tassare chi si lamenta della giustizia. Tassare chi si lamenta della libertà di parola. Tassare chi si lamenta dei referendum. Tassare chi si lamenta delle elezioni. Tassare chi si lamenta delle cose difficili da capire.
Tassare chi si lamenta degli intolleranti.
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danielebelloli · 1 year
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Crescita = Benessere?
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Trovo curioso che, da un punto di vista naturalistico, la crescita smisurata sia considerata parassitica o cancerogena. 
Buffo no?
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danielebelloli · 1 year
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Esclusivamente ME
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ESCLUSIVAMENTE ME
Se non presto attenzione al mio stesso pensiero, se non decido consapevolmente come pensare, mi ritroverò incazzato ogni volta che devo fare la spesa, perché esiste una modalità naturale, predefinita, di pensare che considera ESCLUSIVAMENTE ME.
La mia fame, la mia stanchezza, il mio desiderio di tornare a casa, il SUV che mi sorpassa, la multa che ho preso e tutti gli altri che mi intralciano.
Ma chi sono questi altri?
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danielebelloli · 1 year
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SUPERFAKES - Copie indistinguibili
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SUPERFAKES - COPIE INDISTINGUIBILI
Nella foto: a sinistra la 11.12, Borsa Classica di Chanel creata da Karl Lagerfeld, prezzo consigliato al pubblico 9.300€; a destra, beh, …, non è Chanel, prezzo 350€.
Pensi di poterle distinguere? Prima di fare la figura dello/a spaccone/a considera che non ti trovi di fronte al solito falso da marciapiedi: questo è un “superfake”.
Ecco una storia sulla quale val la pena riflettere. In Virginia, il 17 di aprile, è stata processata una donna, tale Praepitcha Smatsorabudh, per aver messo in piedi una truffa da 400.000$. La donna acquistava borsette firmate per poi restituire, il giorno dopo, delle versioni “superfake”, recuperando il prezzo pagato. A quel punto la Smatsorabudh rivendeva su Instagram l’originale con il margine che puoi immaginare.
Il punto della storia è: le commesse/i dei negozi truffati non si sono mai accorte/i che la borsa restituita non era l’originale. E la truffa è andata avanti per mesi. Non ci credi? Allora leggi la notizia sul sito del Dipartimento di Giustizia del Governo degli Stati Uniti d’America:
https://www.justice.gov/usao-edva/pr/arlington-woman-sentenced-counterfeit-handbag-scheme
“Superfakes” è un nuovo prodotto della tecnologia della falsificazione. Si tratta di prodotti falsi di elevatissima qualità, davvero, davvero, difficili da distinguere dall’originale. Stessi materiali, stesse finiture, identiche dimensioni, insomma, perfetti, talvolta addirittura qualitativamente migliori dell’originale. Vengono realizzati in Cina, naturalmente, con una perizia artigiana straordinaria e con precise informazioni.
Ma, domando io, se lo stesso identico prodotto può essere venduto con soddisfazione al 5% del prezzo, cosa si compra quando si va in boutique?
Nella denegata ipotesi che tu voglia dar sfogo al tuo snobismo puoi approfondire la questione cercando “superfakes” su Reddit: è questa l’entrata della tana del Bianconiglio.
(Foto: Grant Cornett for The New York Times. Set designer: Jo Jo Li.)
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danielebelloli · 1 year
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Lezioni per doppiare sé stessi?
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Trimalcione, quello del Satyricon di Federico Fellini, è interpretato da un famoso oste romano, Mario Romagnoli detto “il Moro”, che non aveva mai recitato prima. Fellini, niente affatto preoccupato del problema, gli chiede di elencare numeri a caso: 1, 2, 43, 50, …, ma “il Moro”, angosciato, non ci riesce. Geniale, però, risolve: “Ma io potrei dire dei menù. Perché lì io vado come un treno.” E così fu.
In fase di doppiaggio, poi, Fellini incollò alle labbra del “Moro” la voce perfetta di Corrado Gaipa. Fellini era un fiero sostenitore del doppiaggio, di cui disse: “Per me, il sistema italiano di doppiaggio è perfetto. Se non ci fosse stato il doppiaggio l’avrei inventato io, per avere un miglior controllo e per essere sicuro che le facce che ho scelto abbiano la voce giusta.”
Ecco fatto: “PER AVERE UN MIGLIOR CONTROLLO”; il doppiaggio è il mezzo di controllo del potere della voce. Perché dunque non imparare i fondamenti del doppiaggio per impossessarsi di questo controllo?
Doppiare sé stessi significa guadagnare la padronanza di quelle tecniche di gestione della voce, e prima ancora del pensiero, e applicarle a sé stessi per guadagnare sicurezza, autorevolezza e autocontrollo.
Le lezioni sono gratuite per i giovani in età scolare e, vi assicuro, utilissime in vista di esami. Parola di padre.
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danielebelloli · 1 year
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Perché ti interrompe mentre parli?
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La risposta facile è: “Perché è un maleducato”, e non è del tutto sbagliato, ma alla base di questo fastidiosissimo comportamento c’è un bias cognitivo. Essendo gli errori sistematici della cognizione (i bias) atti involontari, un po’ di comprensione, l’irruento interlocutore, la merita.
Dunque, interrompere è una reazione incontrollata provocata da un pensiero sviluppato a partire da una determinata percezione. Se io dico “mare” tu non puoi impedire che un’immagine del mare appaia nella tua testa. Non appena la mente percepisce un segnale proveniente dai sensi, la nostra memoria si mette al lavoro per fornire al pensiero un'immagine che rappresenti un concetto plausibilmente compatibile con la percezione. Attenzione all’uso non casuale dell’avverbio “plausibilmente”.
Si tratta di un’azione a) involontaria e b) inevitabile. Va tenuto ben presente.
Ora, durante una discussione, mentre l’oratore parla, l’ascoltatore percepisce e lo fa progressivamente. Ogni concetto che l’oratore trasmette scatena una ridda di pensieri nella mente dell’ascoltatore. Controintuitivamente il nostro cervello non lavora affatto in modalità “reattiva”, cioè non reagisce alle percezioni. Piuttosto opera in modalità “predittiva”, cioè tenta di immaginare uno o più futuri possibili a partire da quello che percepisce. Quindi, mentre ascolta, l’ascoltatore si auto-proietta dei film mentali plausibili la cui trama ruota attorno alle informazioni ricevute fino a quel momento. Questi film, spesso, propongono in largo anticipo la conclusione del ragionamento dell’oratore. La plausibile conclusione.
Oratore: “Nell’ultimo quarto abbiamo perso quote di mercato…"; ascoltatore: “Ma cosa dici! Tu non hai letto bene il rapporto sulle vendite.”; oratore: “... quote di mercato globale, nonostante, dicevo, e se mi fai finire, gentilmente, (occhi al cielo) … i risultati in Italia siano stati buoni.” 
Nel preciso istante in cui la mente raggiunge la comprensione del pensiero altrui, la stessa mente non vede ragione di subire oltre il noioso ciarlare dell’oratore, noioso perché l’ascoltatore ha già, plausibilmente, capito dove questi voglia andare a parare. Ed ecco scattare l’irrefrenabile ricopertura: “NO! Ti sbagli…”
E non è raro che la conclusione dell’ascoltatore sia errata, aggravando la figura del maleducato con quella dell’incomptente superficiale. Come mi pare di aver detto, il cervello umano si accontenta di un risultato plausibile e non cerca affatto la “verità”. Macché, troppo complicato. Il cervello umano è campione di plausibilità: se un concetto è plausibile, va bene, e pazienza se è sbagliato. Sicché, il cervello non solo salta alle conclusioni, ma non si interessa minimamente alla qualità di queste.
Tuttavia, bisogna essere comprensivi. Non è l'ascoltatore che parla, ma un bias della cognizione denominato “Self-serving bias”, anche noto come “trappola dell’autocompiacimento”. Per via di questa devianza siamo sensibilissimi ai vizi delle persone che ci circondano, ma molto meno rispetto ai nostri, il che ci induce ad ascrivere i successi esclusivamente alle nostre personali qualità e a scaricare, invece, le responsabilità dei fallimenti sugli altri o su circostanze sciagurate. A favorirla sono meccanismi cognitivi e motivazionali abbastanza comuni, come il desiderio di apparire migliori degli altri e il bisogno di alimentare la propria autostima.
Del resto l’uomo è biologicamente competitivo. La porzione di comandi cerebrali codificati dall’evoluzione un milione d’anni fa, circa, sono tuttora presenti nella nostra mente: sopravvivere e riprodursi. Entrambi questi comandamenti ci impongono di primeggiare sui nostri concorrenti: il maschio e la femmina alfa se la passano sempre meglio degli altri.
I bias cognitivi non possono essere prevenuti, in quanto atti istintivi, ma possono essere controllati. Innanzitutto è indispensabile sapere che esistono, altrimenti non ci sarebbe modo di riconscerli in azione. Poi, con un po’ di sano esercizio meditativo, la parte razionale può accorgersi della clava che rotea e bloccarla prima di lanciarla addosso all’oratore.
Restare in silenzio e pazientare è una prova di forza.
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danielebelloli · 1 year
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Ma come fanno santoni e veggenti ad azzeccarci?
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Chi mi legge fa parte di uno strato sociale con caratteristiche condivise. I simili si attraggono. Per esempio, leggi il seguente profilo e verifica quanto ti rappresenta con un voto da 0 a 5, dove 0 è “per niente” e 5 “del tutto”. 
«Hai bisogno che gli altri ti stimino e ti apprezzino, tuttavia tendi a essere critico con te stesso. Nonostante tu abbia qualche lato debole nel tuo carattere, nella maggior parte delle situazioni sei in grado di porvi rimedio. Hai virtù inutilizzate che non sfrutti come potresti. All’apparenza sei disciplinato e sicuro, ma dentro di te tendi a essere pieno di scrupoli e indeciso. A volte ti assale il tremendo dubbio di aver fatto o detto la cosa sbagliata. Nella vita di tutti i giorni preferisci un certo grado di incertezza e sei aperto al cambiamento, sei insofferente quando hai a che fare con vincoli e limitazioni. Sei orgoglioso del fatto di possedere un pensiero autonomo, e non accetti che le opinioni degli altri non siano supportate da argomenti soddisfacenti. In passato hai provato che è poco saggio rivelarti totalmente agli altri. Per lo più sei estroverso, socievole e cordiale, ti capita di essere riservato, silenzioso e freddo. Alcune delle tue aspirazioni potrebbero essere un po’ irrealistiche.» 
Se la tua valutazione è medio-alta (3,4 o 5) non è perché i simili si attraggono, ma per un bias cognitivo denominato “effetto Forer”. L’effetto Forer si riferisce alla tendenza a considerare molto accurate quelle descrizioni della personalità che si suppone siano state elaborate specificatamente per una persona, ma che in realtà sono tanto vaghe e generali da adattarsi bene anche a individui molto diversi tra loro.
Ecco perché l’astrologia funziona.
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danielebelloli · 1 year
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Sciopero degli sceneggiatori. Hollywood preoccupata.
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E, sì, esiste la categoria degli sceneggiatori. Esiste una folta schiera di lavoratori della penna, romanticamente parlando, che scrive professionalmente per intrattenere. Dalle battute per i talk show alle sceneggiature dei film, questi professionisti della parola scritta si distinguono per la capacità di coniugare l’estro letterario alla conoscenza delle regole di ingaggio della cognizione umana.
La sceneggiatura è la trasposizione di un testo nel linguaggio visivo del cinema e della televisione. Rispetta, innanzitutto, una regola base: non dire quello che puoi mostrare.  
Ma per sceneggiare serve anche una competenza di natura psicologica; sceneggiare significa entrare nella mente degli spettatori e prevedere le loro reazioni. Come si fa a renderli curiosi e guadagnare la loro attenzione? Che differenza c’è fra sorpresa e suspence? Quali caratteristiche deve avere un protagonista affinché il pubblico vi si appassioni? Dove va posizionato il climax? Che differenza c’è tra informare e svelare? Come si chiude un’opera?
Non si tratta di un lavoro banale. Per costruire a tavolino un plot che funzioni è richiesta una conoscenza che dilaga nelle scienze comportamentali. In effetti, la sceneggiatura è una scienza, più che un'arte. Per conquistare il pubblico non basta il messaggio: serve una tecnica per montarlo correttamente e le regole alla base di questa tecnica sono descritte dalla psicologia cognitiva.
Ma tanta conoscenza è ampiamente sottovalutata, e lo si può osservare oggi che viviamo l’era dell’abbondanza della comunicazione (noiosa, aggiungerei). Conoscenza sottovalutata e sottopagata. Così 11.500 sceneggiatori che operano dello showbusiness made in USA, martedì 2 giugno 2023, sono entrati in sciopero contro i major studios come Universal e Paramount e contro le tech industry come Netflix, Amazon e Apple. L'ultima volta che gli scrittori hanno scioperato, per 100 giorni nel 2007, l'economia di Los Angeles ha perso circa 2,1 miliardi di dollari. Non è un ruolo secondario quello dello sceneggiatore, eppure ampiamente sottovalutato dal grande pubblico.
Per inciso, mi associo.
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