Tumgik
storiefuneste · 9 years
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Ercole. Parte V - Il confine
Non c'è più confine oltre il divano bruno con sfumature di tinta giallognole, non ho occhi per pensare, né mente per vedere, ma sento ancora il battito delle ciglia finte di Margot. Bevo tazze fumanti di tè e mi accontento di poco zucchero per volta, scrivo poesie e ho chi le ama, non sento la mancanza del palazzo, della camera o della cucina, non mi importa delle notti di melograno né tanto meno delle sue abitudini diurne, ogni tanto sento la mancanza della mia tazza preferita, come posso averla scordata? Proprio lei, compagna di mille notti, veglie interminabili di solitudine infrante solo dal suo dolce tatto. Se mi guardo indietro ora, vedo solo fumo e cenere ma è davanti a me che sta spuntando il sole, ad Est posso trovare tutto quello di cui ho bisogno, mi basta solo prendere ciò che è mio.
Fine.
(M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Ercole. Parte IV - Senza ruote
    Decisi che era troppo, si, era decisamente troppo, anche per una persona come me (che tipo di persona ero poi?) andava fatto assolutamente qualcosa, in quel momento, una sorta di tubo di acciaio sostituì parte del mio corpo, sentii la rigidità partire dalla base del cranio dove risiede il cervelletto, arrivare fino all'ultimo minuscolo pezzo d'osso del mio piede, destro e sinistro. Il mio cervello aveva trovato lucidità, le mie gambe, come eserciti in attesa della battaglia, fremevano, palpitavano, dovevano assolutamente muoversi, d'altronde erano state progettate proprio per questo. 
     Andai a recuperare i vestiti nell'armadio e li portai nel soggiorno, mi vestii senza mai staccare lo sguardo dai mattoni della parete interna, mi preparai, controllai di nuovo, si c'era tutto, avevo tutto, ero pronto per uscire. Fu difficile dirigersi verso il parcheggio interrato che normalmente utilizzavo per custodire la mia auto, il mio cervello abituato alla fermata del bus faceva fatica a comprendere una variazione del tragitto. Nuvole rapide e bianche si spostavano sopra la mia testa, seguendomi nella direzione che stavo percorrendo, come un bambino davanti alla televisione, sembrava che tutto l'universo osservasse il mio comportamento, e mi seguisse passo passo.
    Arrivato al parcheggio interrato mi diressi verso la mia auto. Si trovava a metà del piazzale coperto, leggermente spostata a destra, la cosa che mi sconvolse di più fu ritrovarla priva di ruote. Si avete capito bene, la mia auto era senza ruote! Aveva perso la sua utilità in quei pochi minuti in cui qualcuno che, probabilmente aveva molta fretta di avere tra le mani 4 ruote nuove nuove le tolse per farne un uso a noi sconosciuto. Che me ne facevo ora di tutti quei chilogrammi di ferraglia e plastica e tappezzeria senza le ruote?! Le mie gambe fremevano e pulsavano ancora, quindi decisi di prendere il mezzo più economico che avevo a disposizione, ovvero il mio esercito palpitante. 
     Mi diressi verso il centro della città, con un passo che non mi apparteneva, incuriosito dal mondo come mai prima mi era successo, lampi di fuochi oscuri sferzavano il mio cervello costringendomi all'attenzione e alla veglia, ogni tre, quattro e talvolta cinque minuti parevano illuminarmi gli occhi per renderli più ricettivi. Percorsi 10 chilometri senza nemmeno accorgermene, fino ad arrivare alla stazione dei treni, scelsi la mia destinazione nel tempo che si impiega a bere un caffè (espresso naturalmente, altrimenti ci avrei messo molto più tempo!). 
     Si trattava di una cittadina a ridosso di una scogliera, dalla quale si poteva osservare tutto lo spettacolo infinito dell'orizzonte marino, mi era capitato di visitarla giusto qualche anno prima mentre attraversavo il paese per portare mia madre dal medico, si sa, certi specialisti oltre a farsi pagare si fanno pure desiderare ed è quindi buona norma che si trovino a non meno di 4 ore d'auto da casa tua, fu così che mi innamorai di quel luogo, non tanto per lo spettacolo visivo ma per quello uditivo, adoro i suoni che produce l'uomo quando trova pace con se stesso.
Segue...
(M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Ercole. Parte III - La libertà
Il mattino in libertà è il momento della giornata più difficile da comprendere per una mente abituata al lavoro continuativo, per i primi due o tre anni rimane una chimera, un ricordo sbiadito di quando le responsabilità delle proprie azioni e lo scandire del tempo, non erano regolati da qualcosa di più grande, da qualcosa come l'economia, il capo, il collega, il futuro, la pace nel mondo. Come un pisciatoio comunale, ero intento ad aspettare fissando nel vuoto che riempie il paesaggio fuori dalla mia finestra, che melograno si alzasse. Nel frattempo i pensieri si alzavano e si contorcevano nel mio cervello, come lunghe braccia che tentano di esplorare la volta celeste, tutto ruotava attorno alla mia situazione di libertà temporanea. Quello stesso divano dove passavo interminabili serate a fare lo slalom tra un libro o una rivista e la sempre calda ed accogliente televisione, ora non appariva più lo stesso, aveva sfumature giallognole che non avevo mai notato, appariva leggermente più sporco illuminato dalla luce dell'est (che normalmente è la luce dell'ovest ovvero del tramonto, ovvero nessuna luce). Sì, so benissimo che vi state chiedendo come sia possibile che io non abbia mai avuto un giorno libero prima d'ora, non è che io non abbia mai fatto ferie, o vacanze o semplicemente usufruito di qualche giorno libero, semplicemente erano gli impegni ludici o familiari che orientavano i miei giorni di relax, ecco perché non mi sono mai trovato nella situazione di assaporare il mio appartamento una mattina intera con nulla da fare.
    E la malattia? Che pignoli che siete! Io non mi ammalo, discorso chiuso. Ora torniamo per un attimo a melograno, riesco a vedere perfettamente l'interno della sua cucina, purtroppo solo quella stanza, ma è abbastanza per perché la mia attenzione selettiva si concentri su di lui. Tutta la stanza era illuminata dal sole, quella mattina infatti il tempo era splendido. Si trattava di una classica sala da pranzo con angolo cottura, molto tradizionale ma ben arredata e priva del disordine che caratterizza ogni metro quadrato di ogni ambiente che solitamente utilizzo, ho sempre amato l'ordine, e con ordine non intendo semplicemente i bicchieri nello scomparto cucina e il tappeto spazzolato due volte al giorno, diciamo che ho sempre amato l'idea archetipica di ordine, ovvero mente ordinata in uno spazio ordinato (possibilmente minimalista) che attraversa ambienti luminosi e privi di velleità. Purtroppo la mia mente era tutto fuorché ordinata e, per quanto riguarda gli ambienti, sappiate solo che una volta mi sono tagliato il piede col vetro rotto di un bicchiere caduto la settimana prima nel salotto vicino la televisione, che avevo dimenticato di pulire. Forse era per questo motivo che melograno era diventato la mia fissazione, egli rappresentava tutto ciò che avrei voluto essere e viveva in un modo (e in un mondo) per me misterioso, questi ingredienti uniti alla nostra passione comune per il caffè lo faceva apparire come il mio alter-ego, la casa ordinata, l'abito buono e una vita interessante erano per me un'attrattiva molto migliore rispetto alla televisione o qualche libro rubato dagli scarti della biblioteca comunale.
    L'orologio rosso appeso in salotto sopra un quadro di Klimt, (una copia cartonata ovviamente) segnava le 10,30 e di melograno non c'era ancora nessuna traccia, l'appartamento ad essere onesti sembrava quasi abbandonato. Non avevo mai pensato a come possano apparire gli ambienti dove viviamo durante il nostro riposo. Le stesse stanze animate dai nostri movimenti, oggetti e luci durante la veglia presente, sembrano cambiare colore, luce e carattere durante la nostra assenza. Così mi appariva il lato esposto della casa di melograno, senza di lui pareva essere una comunissima cucina in un comunissimo appartamento di uno dei tanti palazzi che infestavano come moderni alveari la via di casa. Quando arrivarono correndo le 15,30 del pomeriggio mi resi conto di due cose: la prima era che melograno non aveva fatto la sua apparizione, sorprendendo tutti i miei piani probabilmente si era dato alla macchia sicuramente prima che mi alzassi dal letto per esplorare il vicinato; la seconda cosa fu che, nell'esatto momento in cui spostai lo sguardo dalla finestra all'orologio, mi resi conto di come avessi male utilizzato un'intera giornata libera.
Segue...
(M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Ercole. Parte II - Un vizio di forma
    Avete presente quella sensazione che si prova toccando un tessuto particolare? Quel misto di emozioni e brividi che pervadono tutto il vostro corpo solamente toccando con le dita una certa superficie? E' interessante come tutto il sistema nervoso sembri, in quel momento, finalizzato a farvi provare tutto un ventaglio di emozioni differenti, che vanno dai brividi lungo la schiena al fastidio che vi prende in gola, solo ed esclusivamente attraverso il tatto. Io non sono un medico, sono sono un neurologo, certe mattine addirittura non so nemmeno che lavoro faccio, ma vi assicuro che quella sensazione mi affascina e spesso e volentieri provo il medesimo ventaglio di emozioni con svariati oggetti, non solo tastando tessuti o superfici elaborate. Il mio è un vizio, tremendo, ossessivo, quasi maniacale (quasi eh), tendo ad accarezzare la forma dell'oggetto, potrei continuare per ore e ore.
    Come si ricollega questa cosa con melograno, il caffè, il mio appartamento e la storia vi starete chiedendo! Ovviamente non serve che si colleghi in qualche modo, anche perché io decido cosa scrivere, io impagino lo scritto, io probabilmente ho contribuito in modo significativo alla stampa del foglio che avete in mano e quindi, di conseguenza posso scrivere ciò che voglio, sia che esso si colleghi al capitolo precedente, sia che non lo faccia. Va bene, per fortuna vostra e, per coerenza mia, ammetto che si collega in qualche modo, anche perché sarebbe un po' deludente, avervi fatto conoscere melograno e la mia situazione, e tutti i problemi legati alla mia terribile condizione solo per interrompere il racconto facendovi un saggio sull'emozionalità tattile. Torniamo al collegamento (o presunto tale), tutto quel discorso si connette poiché c'è un oggetto in particolare, cui sono molto legato, un oggetto che fa impazzire il mio sistema nervoso e il mio processo emozionale attraverso l'esperienza tattile.
    Si tratta di una tazza che normalmente uso per il caffè, non molto grande ma bellissima. Avrei voglia di raccontarvi di come quella tazza sia importante per me, poiché appartenuta a mio nonno che la fece imbarcare durante la lunga tempesta in modo che arrivasse a mio padre, al fronte di guerra, nella speranza che, con la sua fortuna lo riportasse sano e salvo a casa, dove avrebbe potuta consegnarla nelle mie mani, ovvero nelle mani di suo figlio. Ecco, ho detto “avrei voglia” ma non lo farò visto che è stata acquistata da me medesimo in un mercatino delle pulci, qui sotto casa circa 5 anni fa durante la lunga tempesta (2 settimane di pioggia! Terribile!) attraversando pericolosi ostacoli (c'è sempre un sacco di brutta gente in giro eh) in un momento di shopping compulsivo. So che non si tratta di una storia avvincente ma è pur sempre la storia di questa tazza. Magari, non conoscendone l'origine è possibile che abbia viaggiato per continenti prima di arrivare nelle mie mani, ma credo sia più probabile che il suo viaggio sia stato molto più breve.
    Dotata di una forma alquanto inusuale per una tazza, il suo pezzo forte rimane l'effetto superficiale, sembra costituita da una serie di reti finissime intrecciate tra loro, quasi come fosse stata costruita con del tessuto, in realtà si tratta di ceramica di colore marrone scuro, quasi Bruno, quasi Franco, quasi Ernesto, dalla forma di anfora romana, ma leggermente più chiatta nel mezzo e affusolata alle estremità. In effetti un ipotetico occhio digitale che registrasse la mia “scena del caffè” renderebbe un'immagine piuttosto ridicola di me, pantaloni della tuta e maglietta rigorosamente bianca, con in mano un antico vaso ti fattura romana con all'interno del caffè. Però vi assicuro che la medesima scena, filtrata dai miei occhi appare, se non naturale, per lo meno piuttosto normale, quasi noiosa.
    Quindi passano i minuti e le ore, mentre accarezzando la mia tazza preferita osservo melograno dalla finestra stanotte ho deciso: domani prenderò un giorno di ferie dal lavoro e osserverò casa sua tutto il giorno, voglio sapere qualcosa di più su di lui, una persona che va a letto tanto tardi, sicuramente non se ne andrà di casa troppo presto, passerà il suo tempo nel suo appartamento e io sarò lì ad osservare.
Segue...
(M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Riflessioni attorno al concetto di prospettiva
     Faccio pensieri strani, nati da una cometa bruciata alle 8.02 di un giovedì mattina come tanti altri. Da giorni il battito del mio cuore si affianca al respiro quasi come a rincorrerlo. La prospettiva è cambiata, se non su tutto, almeno su gran parte e i miei occhi vedono come attraverso filtri che eliminano il superfluo e accentuano l'essenza. Da pochi trilioni ormai mi sentivo spaesato, in una galassia di uomini che vestono come uomini, io che cerco da sempre di togliermi il vestito ma avevo indossato quello più pesante da togliere.
     Non sono catene né boe d'acciaio, ma solo le estremità dei fasci di luce che dal mio cervello entrano direttamente in quello d'altri, come un'esplosione di rocce che vanno via via frantumandosi, la mia identità e le mie ossa, vanno di pari passo. Sono molte e forti e fragili e si curano con la stessa semplicità con la quale si deteriorano. Ho visto molte volte la luce oltre il giardino di fiori, ma mai come ora ho potuto apprezzarne l'ombra del riflesso incauto che sbattendo sulle porte della mia stanza hanno creato un mondo talmente buio da poter esser definito infinito.
(M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Ercole. Parte I - Osservare
      Ogni maledetta notte, ogni stramaledetta volta che il sole calando portava con se ogni condizione di precariato e di inibizione io dovevo essere svegliato in quel modo! 
     Non c'era un orario ben preciso, non esisteva una lancetta analogica che fosse fermata proprio nel mezzo del suo cammino, nello stesso punto ogni notte. Era quasi un'attesa meditativa quella che mi induceva il sonno, proprio lì a metà tra la fase 4 e la fase REM qualcosa doveva farmi rabbrividire il cuoio capelluto e spingermi ad alzarmi dal letto di piume d'oca sintetica e marcia. Oca sintetica ammuffita che pareva complice di quel complotto atto a svegliarmi, ogni cosa si muoveva attorno a me nel modo giusto: cioè non si muoveva, fino a quando il cambiamento di luminosità dovuto all'improvviso scorgere della luna mi apriva gli occhi come un Ercole spalanca le porte del tempio. 
     Non parlo della luna vera, non sto dichiarando guerra a quel dolce satellite che culla il sonno dei terrestri e ne favorisce il vomito con le maree, la mia luna era fissa, immobile, tre piani sotto e una finestra a lato, proprio davanti la mia camera da letto, ma un po' più in basso. Era la finestra di melograno, un grazioso omuncolo che da qualche mese aveva preso in affitto l'appartamento situato nel palazzo di fronte al mio ma un po' più in giù di qualche piano, mi pareva d'aver scritto tre piani prima, ecco per onore di coerenza rimaniamo su i tre piani, quindi diciamo tre piani sotto il mio ma un pochino più a destra, proprio sotto la mia camera da letto.
     Ogni notte infatti melograno raggiungeva la sua cucina, accendeva la luce per evitare di calpestare il cestino proprio accanto al tavolo e si preparava un caffè. Nulla di ché direte voi, nient'altro che una simpatica abitudine, anche se un po' stravagante, di un uomo che, costretto a vivere la sua quotidianità si rilassava con una tazza di caffè nero nel cuore della notte. Analizzando l'animo delle persone, conoscendole e studiandole ci si accorge di quante terribili abitudini abbiano, di quanti oscuri eventi caratterizzino le loro notti, ma lui no, melograno si limitava a bere una tazza di caffè, alle una alle 3 oppure alle 5 di mattina, dipendeva dall'orario in cui rincasava. 
     Non ho mai scoperto che razza di lavoro o passione (o entrambe?) lo portasse a rincasare ogni notte ad un orario diverso, non aveva l'aria di una persona appena rincasata da un club, apriva la porta d'ingresso con la mano destra mentre con la sinistra teneva in mano la cartella da lavoro e col piede spingeva leggermente in avanti la porta di legno verniciata, per lo meno le uniche due volte che lo vidi rincasare lo fece in quel modo. 
     So che state pensando, vi state chiedendo “ma questo se ne sta sempre piazzato alla finestra come fosse un colombo sulla grondaia osservando tutto quello che fanno le altre persone?” la risposta è molto più complessa di un banale “si è vero, osservo le persone e sto sulla finestra come fossi un colombo sulla grondaia di un palazzo!” Forse è facile per voi giudicare così su due piedi e magari anche un po' gratificante poiché sicuramente i vostri hobbies sono tutti migliori del mio, che consiste nello stare alla finestra, e quindi sono sicuro che questo giudizio su di me vi riempie il cuore di gioia, ma non è così, cioè, certamente lo è ma le motivazioni che mi spingono ad osservare sono molteplici ed altrettanto variegate. 
     Il problema principale è che io sono abituato ad osservare fino ad una certa ora, quando la lancetta del mio orologio da muro si erige in alto toccando le 12, io solitamente mi preparo per dolci sogni. La mia sveglia suona alle 7,00 in punto e ho bisogno di tutte quelle 7 ore di riposo perché le mie giornate siano produttive e piuttosto loquaci, non ch'io faccia un lavoro duro, anzi, sposto fogli di carta riciclata in continuazione, stampo, scrivo, fotocopio e tutto questo lavoro pare che faccia muovere l'economia ogni giorno sempre più in fretta, ma mica l'ho mai vista muoversi questa economia, semplicemente mi affido ai pensieri dei miei colleghi del piano superiore, che loro lo sanno sicuramente come si muove, come la si fa ballare e anche come corteggiarla questa economia. 
     Ritornando alle cose importanti, vi stavo spiegando di come una luce accesa nella cucina di melograno nel cuore della notte rovinasse ogni mio riposo, in qualche modo quella luce si riflette all'interno del mio appartamento e, in un momento di particolare sonno leggero vengo svegliato, così, senza preavviso, senza nemmeno un invito scritto. Il problema poi è che, una volta sveglio sento l'incontenibile bisogno di portarmi alla finestra ad osservare melograno nella sua cucina. Voi dovete sapere che solo due cose sono talmente importanti da avere il mio amore: la mia finestra, che mi permette uno sguardo sul mondo e un buon caffè nero.
     Ecco quindi che, una volta osservato attentamente melograno durante la preparazione del suo caffè (secondo me ne mette troppo poco, ecco perché poi riesce comunque ad addormentarsi, con una misera quantità come quella, nemmeno so se si possa chiamare caffè) improvvisamente mi assale la voglia. Rendetevi conto che sono davanti la finestra e manca solo il caffè per avere entrambe le cose che più amo, e tutto questo ragionare avviene proprio mentre osservo melograno bere il caffè, ecco l'inevitabile quindi, ecco che come una foglia portata dal vento mi muovo verso la cucina per prepararmi una bella tazza fumante, ovviamente con una certa fretta, poiché la mia curiosità non mi permette di perdermi, una volta svegliato, tutto ciò che può combinare o meno, melograno nella sua cucina illuminata a giorno. 
     Egli stava maneggiando alcuni fogli di carta, presi poco prima dalla borsa marrone scuro in finta pelle che utilizzava per andare al lavoro, alcuni venivano letti, altri semplicemente stracciati, altri ancora minuziosamente corretti con una biro. Affascinato e trasportato dall'osservazione di melograno solitamente potevo rimanere anche un'ora intera osservandolo con la mia tazza in mano.
Segue...
(M.F.)                                                                                                                                              
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storiefuneste · 9 years
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Riflessione attorno al concetto di depressione
     Era sera quando mi accorsi che nemmeno il vento mi avrebbe spostato dal corvo che stavo cavalcando. Erano settimane che, in preda all'ansia, alla paura e al panico immotivato mi aggiravo per le vie più recondite del mio subconscio aspettando una risposta ad una domanda mai fatta, ma che avrebbe, come per magia salvato il mio intero mondo. 
     Fu la mattina della terza settimana, in cui la luna sparì completamente dal ciclo che finalmente annusai odore umano. Ritrovai un piccolo uomo distrutto e ferito nell'angolo che più ricopre i miei pensieri, l'angolo più nascosto a metà tra l'intelletto e la sua conseguenza. 
     Forte di una lunga esperienza nel campo , lo sotterrai, nel campo e ci giocai.
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storiefuneste · 9 years
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A ritroso - Fiabe invertite
Le esili mani di mia moglie impugnano un coltello da cucina, si muovono velocemente, quasi il mio sguardo fatica a carpirne le intenzioni, entra veloce la lama nel mio stomaco, quasi la puntura di un insetto che mi vuole morto, infatti mi vuole morto. Le mie interiora si ricompongono mentre ritorno sui miei passi e capisco che qualcosa non funziona più tra me e la mia dolce metà, forse non è mai davvero funzionato un bel niente ma era veramente carino avere una donna accanto. Ripercorro e ripercorro fino a quel convegno nel nord dell'Inghilterra, parlando di cimici e di trappole anti-cimici, la donna rossa al terzo posto in alto sulla sinistra mi guarda e comprendo che potrei rimanere accecato da quelle dita che mimano lo schermo direzionandosi su di me ma capisco che il mio volo è in ritardo e ho paura di mancare a quell' importante conferenza che mi aspetta nel nord dell'Inghilterra, il bar dell'aeroporto è sempre molto desolato di questi tempi, nessuno si fida più dei viaggi da almeno 600 mesi e tutto procede senza un solo problema. Saltando sulla rete in giardino! È cosi' che mi si spezzò il braccio, appena 25enne senza un solo lamento, a cavallo tra le imprecazioni e l'incoscienza, a pochi anni di distanza ancora dal mio matrimonio con la donna che ora come ora si limita a guardarmi dal giardino della casa di fronte. La corsa al pronto soccorso che nei ricordi diventerà un granello di sabbia ora è una furibonda battaglia tra la vita e la morte, la paura, il dolore e i dottori e le persone che cianciano e discutono e poi urlano e sorridono e applaudono la mia vittoria in quella partita decisiva per il mini-campionato di mini-squadre di calcio formate da piccoli bimbi con maglie di grandi giocatori. Corro allontanandomi dalla porta cercano lo sguardo di mia madre, l'approvazione di mio padre (il padre non c'è, è morto) nessuna approvazione del padre quindi ma ora sto bene, bevo l'acqua e mi pulisco il volto convinto d'esser ancora uno di loro. I pianti e le urla, la vista appannata, la gioia di due persone e un destino che nasce ancor prima di esistere, mamma e papà ecco chi sono. “Guarda che bello – è proprio un amore” Si appannano i ricordi della vita n°8 ricerco invano il sentiero fuggiasco cadendo dal sole in cui sono morto, le immagini sfocate tra il vento e la calendula spariscono come una sigaretta che si consuma tra le dita di un vecchio morente e non sento le braccia e non sento la testa, capisco che forse è il momento del tuffo, speriamo vada meglio in questa n°9, la precedente mi ha lasciato l'amaro.
Raccontare una vita a ritroso da sempre molta più soddisfazione: in qualunque modo inizi si sa che finirà sempre con la gioia.
(M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Ogni mattina nell'alzarmi mi stropiccio gli occhi e mi lavo le lame.
Cercavo di spremermi i campodiavoli nella speranza di ricordare il preciso istante in cui i miei piedi divennero lame. Niente da fare, non ricordavo assolutamente nulla della trasformazione, forse era passato un giorno, forse un anno e il mio cuore si gonfiava di terrore. Che può fare un uomo come me? Solo con il suo topo e delle lame ai piedi? Già il topo era morto ma ancora non me ne capacitavo. Era veramente orribile allo sguardo, due lame lunghe circa 30 cm fuoriuscivano dai miei pantaloni come uncini dalle braccia di un pirata. Certo al parco ultra-pattini di sicuro avrei speso meno, i 7 dollari di noleggio lame li avrei potuti barattare con 7 dollari di cibo fruZZ ma questo non cambiava di certo la mia triste situazione. Ripensandoci ora avrei potuto prendere almeno un migliaio di strade diverse ma presi quella forse piu' sbagliata: quella del lavoro. Persi il lavoro, un buon lavoro, veramente un impiego d'oro. Bhè lo persi e mi ritrovari tra i rovi di un bosco senza rovi a chiamare il nome dell'unica persona che avrebbe potuto aiutarmi in quel momento: Tenny. Tenny non era ne uomo ne donna, era semplicemente Tenny, una pietra incastrata tra i fiordi di almeno 3 universi che ora rotolava nel campo dove io stesso la feci arrivare. Tenny mi aiutò a ritrovare la strada perduta. Ritrovai la strada persa ma avevo pur sempre due lame al posto dei piedi e, per quanto mi faccia piacere stare in compagnia di Tenny, quella volta non mi fu proprio d'aiuto. Dopo aver distrutto per 3 volte il pavimento di sala, bagno e cucina il padrone di casa mi diede il benservito, anzi mi diede un pugno in bocca e mi caccio di casa. Nessun problema, pensai, posso fare a meno della casa. Fu cosi' che feci a meno della casa, dei bar, delle serate mondane, delle gite in montagna, dei bagni al mare e di tutte una serie di cose che si possono racchiudere in un'unica parola: Vivere. Un vecchio nel vedermi di notte passeggiare vicino casa sua mi sparò con l'anziana doppietta amica dei giorni più lieti, il colpo non arrivo' al mio povero fisico sorretto da due lame ma si limitò a rendermi sordo poiché i miei poveri timpani, che non erano resistenti quanto le mie lame, saltarono via non ritornando più al loro luogo d'origine. Ho sempre pensato che sarei morto cieco non sordo! Perché morto vi chiederete voi? Eh il vecchio che era veramente un signore mi avvisò: “ attento a te se non te ne vai subito questa volta non sbaglierò il colpo! “ e chi lo sentì senza timpani? Io no di sicuro! Il secondo colpo non lo sbagliò per niente.
(M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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     Cercavo e cercavo, più mi inoltravo nei feroci varchi della mia mente, più capivo d'essermi perduto. Fu in una notte insonne come molte ma gelida come questa che mi trovai a varcarmi proprio nel punto in cui varcarmi è più dura: dalla parte del cuore. 
     Una veloce autostrada percorre un'arteria fantasma che dal cuore porta diritto verso l'alluce del mio piede destro incontrando ostacoli, pagine bianche e tamburi ormai privi di suono, pago al casello, percorro almeno 600 kilometri in direzione est, nella speranza di trovare un luogo dove sorgere per poi tramontare ad ovest, mi rendo conto che la velocità è massima proprio mentre esco di strada e danzando come una ballerina alla scala mi trovo tra piroette e stridor di denti proprio nel cervello. 
     Capisco che è qui che devo lavorare, con il mio martello per battere dove il ferro è più caldo fino a stravolgere ogni sputo di razionalità. Ho percorse mille strade nella speranza di trovare un martello che mi permettesse di costruirmi una casa, fu solo guardando attraverso uno specchio rotto che vidi riflessa l'immagine di un martello. Ho cercato sempre altrove ciò che era in me.
     (M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Una vita stupida - Fiaba inversa.
     Leggendo nella stessa bottiglia in cui leggeva mia madre riuscii ad intravedere una sorta di ombra di cigno, battevo i piedi forte e quasi mai riconducevo tutto ad un mio errore di valutazione. 
     Portavo i pasti alla gente sazia e non ne capivo ancora il perché, svuotavo i cassonetti di chi gettava dei diamanti e senza intascarne nemmeno uno mi ritornavo nel mio sottoscala a vivere di sogni. 
     Rimasi senza un tetto per almeno 300 stagioni, una ad una le ricordo con grande gioia, incastrato tra la clavicola e il malumore c'era sempre un pensiero anche per loro, non sapevo mai ricondurre nulla a qualcosa di più chiocciola o magari conchiglia, ma tutto aveva un senso.
     Fu nei tramonti gonfi di anestesia che ritrovavi il cammino e divenni un tessitore, la paga bassa e l'umore alto mischiati alla soddisfazione del creatore mi fornivano tutti gli strumenti adatti ad un percorso divino. 
     Lungo la riva del fiume avevo la mia casa, una casa bella, poco ordinata ma sempre pulita, un piccolo angolo di cielo, una baita senza monti ma pur sempre una baita. I primi vent'anni di vita libera trascorsero immutati, congelati, quasi eterei, una sorta di vai e vieni molto organizzato, molto definito. 
     Fu una sera che incontrai Stefy, una serata tra amici tessitori, un banchetto di sogni, quattro risate, un libro rubato insieme e diventò mia moglie. La sposai col cuore e la vendetti con l'anima, morì poco dopo la sesta luna di miele e ritornai da solo, molto più felice di prima ma pur sempre da solo. 
     Ricordo ancora quell'estate al mare quando vedendomi gettare un amo nell'acqua mi chiese di gettarne ancora, leggemmo un libro, mangiammo del sushi e l'adorai tutta la notte. Ma ora era andata, era finita ed io ero prossimo alla pensione ormai rimaneva di me nient'altro che carne prossima all'inferno.
     Condussi una vita di fumi chiusi nelle piazze e di lavori tesi tra un filo e la morte, mi sposai e seppellii mia moglie, mi addormentai e mi svegliai ogni giorno come fosse l'ultima, fui ucciso da un rapinatore, o forse era la mia stessa mano, tanto è che ormai rileggo al contrario la mia vita più stupida aspettando che arrivi la prossima. 
     Le altre mi diedero molta più emozione.
     (M.F)
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storiefuneste · 9 years
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     Fu la mattina dello stesso anno che scosse il sole e devastò le nuvole che Sarah divenne preda di una terribile felicità. Ogni movenza sanguigna parve dissolversi nel corpo di una donna ormai cambiata, ogni singola lacrima d'avorio parve riempire solo il vaso dei ricordi e non più il cuore della vita. 
     Fu lieta nell'accorgersi che tutto ciò di cui aveva bisogna era proprio lì, quasi accanto a lei, anzi dentro lei. Alle sue spalle scritte come in un libro dei ricordi rimanevano indelebili le esperienze di un presente ormai passato, mentre si accingeva con passo fermo ad iniziare il suo cammino per la vita, nulla è troppo doloroso per non essere metabolizzato, e forte di questa sensazione si mise in marcia. 
     Correndo come alla 100 metri di Monaco raggiunse d'un fiato la casa dove viveva, il portone del palazzo aperto non le fu d'ostacolo e le ripide scale ormai conosciute, percorse e ripercorse come una preghiera non le procurarono fatica, arrivò davanti alla porta d'ingresso fissando quello spioncino che molte volte aveva utilizzato come un occhio privilegiato sul mondo durante le sue crisi, si fermò impietrita.
     Il punto di vista era diverso, mai aveva osservato quel luogo dall'esterno così a lungo, mai si era soffermata su quelle delicate venature che sul legno ora smembravano voler muoversi e dimenarsi. Iniziò a bussare e bussare con tutta la forza che aveva sputando grida di dolore, riempiendo di forza bruta tutto il 5° piano dell'edificio e la sua gola stessa. 
     Dopo venti minuti d'inferno, di urla, di odio si calmò all'improvviso, senza un apparente motivo, con calma prese le chiavi dell'appartamento, aprì la porta trovandosi immediatamente davanti se stessa, davanti lo specchio che un anno prima aveva fatto installare nel corridoio d'entrata, lo fissò esclamando "io sono libera". 
     Il suo volto madreperla fu segnato da una lacrima, l'ultima lacrima di dolore che avrebbe solcato il viso di Sarah.
     (M.F.)
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storiefuneste · 9 years
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Ode alle stagioni
PRIMAVERA
È nella primavera del mio sogno che tutto inizia e termina, non scordo ancora il suo sguardo che, come lo specchio degli ulivi mi nutriva e mi nutre ancora. È negli alberi in fiore che vedo il nascere del ritrovato sentimento, la furia delle onde marine, che stentano a risvegliarsi dal torpore invernale mi travolgono e la travolgono come sassi che spinti dalla gravità parabolano verso occidente osservando il mondo dall'orizzonte capovolto. Spingo e spingo ancora verso un futuro che sa odore di incenso e non mi accorgo del sole che sorgendo mi acceca ma poco importa, ogni mio passo è con e verso di lei, nessun filo a piombo scandisce il nostro equilibrio e sento solo il gusto del suo intelletto. Proprio ora i miei occhi abbagliati stordiscono il mio pensiero, ed è così che me ne vado con un buco grosso come una mela nella testa ed un cuore talmente pieno da contenerne a stento la bellezza.
ESTATE
Il calore che percuote le ossa, dal midollo fino al battito d'ali di farfalla, si fa sentire quando ancor la luce latita. È nei passi ormai sicuri di una strada conosciuta che ne riscopro l'importanza. Mi vedo afflitto da mille pietre ed il mio zaino pesa ancora, ma il cammino non mi spaventa, ho due gambe forti e un pensiero solo. È quella gioia di saper il mio amore maturo che durante l'estate di quest'anno mi permette di vigilare ancora, la mia attenzione è sul futuro ed i rimpianti son sostituiti dal suo volto che, come una spada mi trafigge e mi commuove. Vorrei cantare a squarciagola e vorrei gridare che l'ho nel pugno, ma il mio equilibrio non mi permette di sfidare il cattivo tempo. Ora è estate e ne sento la forza che mi sbatte come ramoscello in fiore, il mio frutto e ormai maturo mentre cado e penso a lei, una caduta di pochi metri ma che ai miei occhi è mille miglia, sto pensando ancora e ripensando ancora mentre il mio corpo sfuma al buio, lei è il mio pensiero che dorme ancora e non saprà mai che ancor la sogno.
AUTUNNO
Nel cader delle foglie ho rivisto il mio volto, ripenso spesso ai giorni in cui vivevo. Non ricordo ormai più bene e la mia vista ha una velo di umanità, corro ancora insieme a lei che l'abitudine fa chiamar amore, la mia potenza è conosciuta, entro sempre senza bussare e corro a fondo nelle sue mura con una violenza che quasi uccide. La mia gioia è la sua gioia e dentro sento calar la notte, nei miei pensieri ch'eran di seta si son formate code di cotone e prudono e stridono urtando nella gola sfogandosi nei ruscelli delle mie vene, che proprio oggi ho scoperto esser malate. Quell'acqua non arriverà mai nel mare raggiungendo i suoi fratelli, si fermerà qui, dove una diga, chiamata morte ne ha posto un freno.
INVERNO
Non sento il freddo, ne' corro più, il maglione che dalle Alpi ai mari dell'India copre ogni cosa ha coperto anche il mio copro. Non sento più il mare che un tempo mi sconvolse ma odo ancora la sua dolce sinfonia. Ora che la brina si è posata sul grano dei suoi capelli, mi cade una lacrima per ogni spiga, nella profondità della sua storia e nell'effimero del suo sorriso ritrovo la stagione del mio amore, ed è alzandomi da una vecchia sedia che mi osservo ancora parlando d'amore. Mi incammino verso oriente per terminare il mio passato ed è nella notte senza stelle che mi scopro a pensare alla prossima primavera.
(M.F.)
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