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#daccanto
widevibratobitch · 3 months
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two minutes into the duet and he gives you this look
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greenbor · 1 year
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La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto. I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa: “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto; il primo d’otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non toccò mai briglie. Tu che ti senti ai fianchi l’uragano, tu dai retta alla sua piccola mano. Tu c’hai nel cuore la marina brulla, tu dai retta alla sua voce fanciulla”. La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta: “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; lo so, lo so, che tu l’amavi forte! Con lui c’eri tu sola e la sua morte O nata in selve tra l’ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento; sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso: adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l’agonia…”. La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto. “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; oh! due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire.  (Pascoli)
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linebet · 1 year
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cassandrablogger · 5 years
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Aveva vissuto l’intera sua esistenza a curare e a venerare l’amabile corpo che fin dalla giovinezza l’aveva accompagnata, a muovere le più tenaci battaglie contro il tempo allorquando la sua fronte cominciava a corrugarsi definitivamente, senza più transitare per il solo volontario momento espressivo tanto caro ai pensatori. Giocò la carta della pietrificazione ricorrendo a tutti i possibili artifici chirurgici che le consentissero di valersi della visione di un mondo fittizio per se stessa, e pur tuttavia reale e palpabile negli occhi degli sconosciuti. A lei bastava questo: non l’eterna bellezza impossibile a raggiungersi per imposizione della natura, bensì possedere l’immagine estatica dell’eterna bellezza. Ma quanti e quali sacrifici le costarono quegli artifici! Anche quando la salute divenne cagionevole, la donna non volle saperne di arrestarsi. Non poteva permettere alla tremenda legge della decadenza di corrompere le sue portentose forme fisiche, quelle che mai le negarono l’approvazione di chiunque le passasse daccanto anche solo per brevi istanti. Così, ignara di essere affetta da scompenso cardiaco diastolico - inquantoché le ossessive attenzioni da devolvere ai suoi tesori estetici la esortarono a conservare il denaro per ben altri medici e non già per i cardiologi - ebbe un malore mentre si affaticava sull’istrumento dell’eterna bellezza. E il suo cuore fibrillante suonò come l’interruzione di quella corsa in tapis roulant verso l’irraggiungibile. Quando la donna vanitosa ebbe a morire, si ritrovò catapultata in una stanza senza apparenti confini, bianca, bianchissima, di un bianco che si attenuava solo nella luminescenza di un oggetto postovi al centro. Uno specchio. Eccolo finalmente, il suo fedele compagno. La donna appariva a tal segno disorientata, ignorò di essere morta finché non si specchiò.
- Come mai? Sono proprio io? La mia immaginazione onirica mi carica di vent’anni di meno? Oh, la mia meravigliosa pelle! Quanto mi era mancata! Cosa? Perché si sta spianando ancora di più? E i miei occhi stanno raggiungendo una forma tanto perfetta che non ricordo di avere avuto in tutta la vita, neanche dopo gli interventi! E come si stanno allungando le mie ciglia! E le mie gambe!
Ci fu così un attimo di esitazione.
- No no, non è un sogno. È tutto troppo reale per essere un sogno. E poi non avverto lo scorrere del tempo: dev’essere qualcosa di simile all’eternità. Devo essere morta? Beh, tanto meglio. Sono chiaramente in paradiso. Ho sentito dire che il paradiso è il luogo che più si confà ai nostri desideri. Che sublime felicità! La mia meritata eterna bellezza mi sfila dinnanzi con una naturalezza inesprimibile!
E così la donna trascorse quelli che potrebbero essere dai venti ai trent’anni terreni a rimirarsi nello specchio, ad osservare con minuzia ogni elemento del suo corpo che si piegava alla sola legge della sua volontà desiderante e assumeva tutti i caratteri da lei agognati. A un certo momento però ella sperimentò una sensazione inaspettata. Un improvviso senso di insufficienza s’interpose fra lei e lo specchio: quel vuoto segnò la fine dell’ebbrezza per ciò che credeva essere l’appagamento totalizzante del suo essere.
- Perché nessuno accorre presso di me a ingraziarsi della mia eterna bellezza?
Nessuna risposta le fu concessa. E col passare degli anni in solitudine, quella domanda capricciosa si trasformò in un piccolo tormento che da flebile, appena accennato alla coscienza, divenne un fuoco mostruoso che ardeva senza tregua le sue fattezze angeliche e lo specchio.
- Pietà! Qualcuno venga a liberarmi da questo destino disgraziato! Questo non è il paradiso, io sono all’inferno! Sono all’inferno! Pietà!
Così si contorceva nei più miserabili spasimi la donna che aveva voluto, bramato, e scelto con un tuffo euforico e ubriaco il suo paradiso e il suo inferno.
- Ti interrogasti mai sulla ragione più profonda della tua sconfinata vanità?
Con queste parole fece il suo ingresso una voce stranamente accogliente e dall’incerta provenienza. La sua guida spirituale aveva stabilito di intervenire quando avesse sentito nella donna il vivo rischiararsi di una nuova tensione desiderante che non fosse rivolta unicamente a se stessa. Un tenue barlume di interesse verso l’Altro scaturiva dalla sua richiesta. La donna emise un grido disperato:
- Io volevo solo la bellezza eterna! E poi tutti i complimenti che mi facevano, ero così felice... Come mi guardavano! Così felice!
- Comprendi ora come ti fosti ingannata, mia cara? Il tuo desiderio non era la bellezza eterna, ma l’eterna approvazione dell’Altro. Persino il più egocentrico degli uomini non può fare a meno dell'Altro. Qualsiasi centro, per definizione, necessita di uno spazio intorno. Infatti hai potuto arguire in questo atemporale che l’essere confinata in solitudine con la risorsa della bellezza eterna è infernale. Ma tu volesti a tutti i costi conseguire questa approvazione facendo affidamento sul mezzo più vulnerabile, sciocco, declinante, fonte di malanni e dolore, che la Terra vi dispone. Non fu una mossa astuta.
Grandi erano la confusione e lo struggimento che l’attanagliavano.
- Io... Io adesso l’ho capito! Liberami da questo posto per favore!
- Orbene, io, Altro da te, dovrei fare qualcosa per te! E tu per l’Altro cosa hai fatto? In vita non ti curasti di nessuno eccetto che del tuo involucro, nemmeno del tuo corpo tu ti curasti - benché tu lo credessi. Non ti curasti del tuo debole cuore che tentò di preservarti dalla morte esteriorizzando le sue pene con quell’affanno che tanto maledicesti! Quell’affanno che tu vedevi come ostacolo alle tue acrobazie narcisistiche era in realtà la tua salvezza. Avresti dovuto ascoltare il suo richiamo spirituale, ma tu in vita non fosti mai incline all’ascolto. Osservi ora che triste condanna è la sordità spirituale.
- Non è vero... Tante volte ho ascoltato i consigli di mia madre!
- E dimmi: quando sei morta hai avuto un pensiero per la tua povera mammina che si prostrava ai piedi del tuo capezzale nel più impetuoso dolore? No. Il tuo primo e isolato pensiero fu quello di inebriarti dello specchio e delle tue rinnovate sembianze fisiche.
La donna comprese presto che l’unico specchio che poteva renderla felice era quello che mai si interessò di costruire: lo specchio della sua essenza. Così si girò verso lo specchio materiale e lo vide trasformato. Al suo posto c’era la guida spirituale che l’aveva ammonita e della quale nessuna sagoma erasi prima di allora manifestata.
- Nessuno specchio è tanto sincero e preciso quanto il sentire dell’Altro. È nell’Altro che ti immedesimi, ti conosci e ti riconosci. Ora che ti sei guardata in me e attraverso la mia Parola, hai disimparato a guardare sopra una superficie riflettente e hai imparato ad attraversarla.
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nutellapond · 4 years
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La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano, tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu c'hai nel cuore la marina brulla, tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte! Con lui c'eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l'ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l'agonia...".
La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe, con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi, seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole, perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera. Mia madre l'abbraccio' su la criniera.
"O cavallina, cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai! Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise: esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada: dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote: dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.
Giovanni Pascoli
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justcrosstheline · 7 years
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Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto. I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa: « O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto; il primo d'otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non tocco' mai briglie. Tu che ti senti ai fianchi l'uragano, tu dai retta alla sua piccola mano. Tu c'hai nel cuore la marina brulla, tu dai retta alla sua voce fanciulla». La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta: « O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; lo so, lo so, che tu l'amavi forte! Con lui c'eri tu sola e la sua morte O nata in selve tra l'ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento; sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso: adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l'agonia . . . » La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto. «O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; oh! due parole egli dove' pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire. Tu con le briglie sciolte tra le zampe, con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, con negli orecchi l'eco degli scoppi, seguitasti la via tra gli alti pioppi: lo riportavi tra il morir del sole, perché udissimo noi le sue parole». Stava attenta la lunga testa fiera. Mia madre l'abbraccio' su la criniera. « O cavallina, cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna! a me, chi non ritornerà più mai! Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai! Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! ma tu devi dirmi una una cosa! Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise: esso t'è qui nelle pupille fise. Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t'insegni, come». Ora, i cavalli non frangean la biada: dormian sognando il bianco della strada. La paglia non battean con l'unghie vuote: dormian sognando il rullo delle ruote. Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.
Pascoli
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widevibratobitch · 3 years
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Italian for beginners!
Tu resti in mia regal presenza e nulla ancora hai domandato al Re - io voglio averti a me daccanto!
means:
You're hot - we should fuck!
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