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#pci pds ds pd
pettirosso1959 · 8 months
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Parliamo anche della sua corrente interna al PCI: la corrente Migliorista.
Egemone fin dalla morte di Berlinguer, ma soprattutto alla guida indisturbata della CGIL con Luciano Lama (Migliorista di ferro), guida sindacale che ebbe il facile compito di affossare le uniche conquiste operaie ottenute dai lavoratori dal 1970 a 1975, culminate con il punto unico di contingenza per tutti. Conquiste che ce le hanno fatte rimangiare con gli interessi, Renzi vi ricorda qualcosa?
Se le condizioni disastrose odierne della classe lavoratrice, del mondo del lavoro tutto, sono come sono oggi lo dobbiamo principalmente alla CGIL, al PCI, PDS, DS e infine PD in mano a quella corrente nefasta.
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abr · 1 year
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Sblocco un ricordo al Bonaccini: "questo è il partito con le mani pulitte".
Detta da uno che fingeva di non sapere dei "contributi" delle Coop e dei sovietici (e si, Putin già c'era).
Dice che sono cambiati, si sono imbastarditi e corrotti mescolandosi coi Dc alla Gentiloni e Mattarella? Grazie per averlo detto, provate a ridirlo ! Comunque la risposta è NO, PER NIENTE: nulla di nuovo sotto il sole Pd, prima Ds e Pci: sono solo meno attenti, convinti di esser tutelati (dai magistrati e dai giornalai!!!!!), quindi più arroganti - e più disperati.
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giancarlonicoli · 8 months
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20 set 2023 09:48
UN LOBBISTA AL VIOLANTE – L’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA, LUCIANO VIOLANTE, “CONSIGLIORI” DI GIORGIA MELONI PER TRAMITE DI ALFREDO MANTOVANO, SUO CARO AMICO, SPONSORIZZA IL FONDO INGLESE MULTIVERSITY PER FARE ENTRARE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE GLI ATENEI ON LINE E CREA PIU' DI UN MALUMORE NELLA MAGGIORANZA - VIOLANTE CHE MANIPOLA  IL GOVERNO E' IL SEGNO CHE LA MELONI NON HA CAPITO CHI L'AIUTA E CHI LA USA... -
Simone Canettieri per "Il Foglio" - Estratti
All’inizio era accolto da un moto di stupore: “Che ci fa qui l’ex presidente della Camera?”. Poi, con il passare dei mesi, Luciano Violante è diventato uno di casa al ministero della Funzione pubblica e a quello dell’Università. L’ex magistrato, già esponente di tutta la filiera Pci-Pds-Ds-Pd con nobile quinquennio pacificatorio a capo dell’assemblea di Montecitorio, oggi presiede la fondazione Leonardo.
Trasversale per vocazione e suggeritore per sapienza, ha rapporti di consuetudine – si sa – con Giorgia Meloni. Tanto che nessuno è caduto dal pero quando la premier lo ha nominato a capo del Comitato per gli anniversari nazionali. Poi Violante ha un hobby, anzi una lobby: è portatore degli interessi delle università telematiche. E in particolare quelle controllate da Multiversity, società gestita dal fondo inglese di private equity Cvc. Niente di brutto, né di scandaloso, ma di curioso sì, eccome. L’uomo che nel 1996 con un discorso storico porse la mano ai vinti, adesso si batte per far uscire da Salò le università online.
(...)
La notizia ha colto di sorpresa Anna Maria Bernini, titolare dell’Università, e sempre in quota Forza Italia. L’accordo si inserisce nell’ambito della convenzione “Pa 110 e lode ” e prevede agevolazioni economiche per tutti i dipendenti pubblici che si iscrivono a un corso di laurea o a un master di una delle università del gruppo, fino a una riduzione della retta del 50 per cento. La norma, voluta dal governo Draghi e dai ministri di allora Renato Brunetta e Maria Cristina Messa, non includeva le telematiche per motivi legati a standard qualitativi.
(...)
La vicenda ha creato nel governo, lontano dai riflettori, più di un malumore. Cattivi pensieri sopiti però dai rapporti speciali che l’ex presidente della Camera può vantare a Palazzo Chigi: da Giorgia Meloni al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Per non parlare della stima di Ignazio La Russa, che lo citò anche nel suo discorso di insediamento a presidente del Senato. Piccola panoramica per non sembrare usciti dal paese delle meraviglie: in Italia esistono 11 università telematiche che rilasciano titoli equivalenti a quelli rilasciati dalle università tradizionali (88 in totale, di cui 68 statali).
La Crui, la conferenza dei rettori, non le rappresenta. Ma è naturale che siano un segmento in fortissima espansione, vista anche l’infornata di assunzioni nella Pa legata alla gestione dei fondi del Pnrr. Adesso c’è un altro fronte che si sta aprendo: riguarda il “decreto Uccidi telematiche” approvato dal governo Draghi nel 2021 e che prevede l’adeguamento degli standard entro il 2025, altrimenti verrà tolta loro la licenza. Sono in piedi ricorsi al Tar e guerre di pareri per cercare di far slittare e di modificare il decreto. La ministra Bernini sembra inflessibile. I legittimi portatori di interesse sono in azione. Ogni tanto nei dicasteri spunta Violante.
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acquaconlimone · 1 year
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Una cosa accomuna tutti i segretari del PCI, Pds,Ds, a tutti sono piaciute le donne.
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paoloferrario · 1 year
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"ROSSO digitale. Comunisti comaschi in rete - Presentazione del progetto di digitalizzazione e messa in rete dei documenti del PCI-PDS-DS del territorio comasco”, venerdì 17 marzo 2023, a partire dalle ore 18:00 presso Villa Gallia di via Borgovico, 154 a Como
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Partiti di centrosinistra: l'evoluzione tra scissioni, contrasti e perdita d'identità
Le elezioni politiche 2022 hanno portato alla vittoria la coalizione di centrodestra che con a capo Giorgia Meloni andranno a guidare il paese. Un voto che porta in alto la destra ma soprattutto vede la débâcle netta dei partiti di centrosinistra. Una sconfitta nata da un storia decennale fatta di scissioni e perdita d'identità della sinistra italiana. Una evoluzione della sinistra italiana che ha delle tappe ben precise, una timeline da ricordare ed esporre. 1921, la nascita del Partito Comunista d'Italia 21 Gennaio 1921, al X Congresso del Partito Socialista Italiano oltre 50mila membri del PSI decidono di lasciare il partito. La scissione, guidata da Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci, dal PSI diede vita al Partito Comunista d'Italia che fino alla sua fine nel 1991 divenne rappresentazione e partito egemone della sinistra italiana. Il PCI diede stabilità alla sinistra italiana nonostante alcune separazioni come quella che nel 1964 diede vita al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Movimento politico che ebbe fine nel 1972 dove parte dei membri tornò nella fila del PCI mentre altri decisero di dare vita al Partito di Unità Proletaria per il Comunismo (PdUP per il Comunismo) che nel 1983 confluì all'interno del Partito Comunista. 1991, la fine del PCI e l'inizio delle scissioni "croniche" Il Partito Comunista giunse alla "fine del suo cammino" il 31 Gennaio 1991 quando nel suo ultimo congresso, la mozione dell'ultimo segretario del PCI (Achille Occhetto) venne accettata. Il PCI si scoglie e si divide in due: - Il 3 Febbraio del 1991 nacque il PDS ovvero il Partito Democratico della Sinistra. Venne eletto segretario lo stesso Achille Occhetto che nel 1994 lasciò il posto a Massimo D'Alema. Il partito raggiunse come massimo risultato con le elezioni del 1996 facendo "entrare" 172 deputati e 102 senatori - Dal gruppo che si oppose alla mozione di Occhetto nel 1991 nacque Rifondazione Comunista. Partito ancora oggi in vita che ha visto come suo migliore risultato le elezioni del 2006 dove raccolse il 5,8% alla Camera e il 7,4% al Senato Inizia, quindi, l'era del "frazionismo" a sinistra con l'apertura verso il centro e l'arrivo di tanti altri partiti puramente di sinistra. Due parti della sinistra italiana che dal 1991 fino ad oggi subiranno cambiamenti, trasformazioni e scissioni. Una sorta di vetro infranto che porta la sinistra ad allontanarsi sia dagli elettori che dalle proprie idee politiche e programmi elettorali. 1998, la nascita della DS e le tante scissioni di Rifondazione Comunista Arriviamo al 1998 anno in cui avvenne l'ennesimo terremoto politico a sinistra. Partiamo da Rifondazione Comunista che tra il 1995 ed il 1998 vede due grosse scissioni prima quella post fiducia alla manovra finanziaria del Governo Dini che portò alla nascita del MCU (Movimento dei Comunisti Unitari). La seconda grande scissione in PRC avvenne nel 1998 quando in concomitanza con la crisi del Governo Prodi I venne fondato il partito dei Comunisti Italiani. Cosa accade, invece, alla PDS? Semplice, finisce il suo percorso politico per dare spazio alla DS ovvero i Democratici di Sinistra. Un partito politico che univa non solo la "vecchia" PDS nata dalla fine del PCI ma anche i Comunisti Unitari prima citati. L'universo dei Democratici di Sinistra poi nelle successive elezioni fino al 2007 è entrata nelle grandi alleanze del centrosinistra come l'Ulivo e l'Unione. 2007 ad oggi, il Partito Democratico tra nascita ed innumerevoli scissioni L'anno di svolta per il centrosinistra italiano sembra essere il 2007. Questo l'anno di nascita del Partito Democratico che si propone come vero aggregatore di tutti quei partiti di sinistra che dal 1991 sono nati da scissioni ed uscite di scena. Il PD nasce dall'unione dei DS e della Margherita ma la prima scissione è dietro l'angolo. Anno 2009 e Rutelli lascia il PD per creare Alleanza per l'Italia che si sciolse nel 2016. Il 2015 vede l'addio di Civati che lascia il PD per creare Possibile ma anche quello di altri sei componenti del Partito Democratico per andare a creare Sinistra Italiana (prima come gruppo parlaentare poi come vero e proprio partito). Altri due anni e nuova scissione. Dal PD decidono di uscire diversi volti noti ed importanti come Roberto Speranza, Pier Luigi Bersani, Massimo D'Alema, Arturo Scotto, Enrico Rossi e Massimiliano Smeriglio. Tutti insieme danno vita ad un nuovo progetto politico dal nome Articolo 1. Il 2019 è l'ultimo anno ma segna il terremoto più grande all'interno del PD. Il "casus belli" è la formazione del Governo Conte II tra PD e Movimento 5 Stelle che incontrò la strenua contrarietà di Carlo Calenda che formò il partito Azione dalle "ceneri" di Siamo Europei ovvero il manifesto politico che portò lo stesso Calenda a diventare euro-parlamentare. Non solo Calenda ma soprattutto l'ex segretario e presidente del Consiglio Matteo Renzi decise di lasciare il PD per creare il suo partito ovvero Italia Viva. I due partiti in queste elezioni politiche hanno deciso di unirsi per proporsi come "Terzo Polo" alternativo a centrodestra e centrosinistra con un risultato molto al di sotto delle aspettative nonostante il superamento della soglia di sbarramento a Camera e Senato. La sinistra delle tante coalizioni senza successo Da una parte abbiamo visto come il centrosinistra sia diventato il vero polo dove i voti delle persone di sinistra si sono concentrati. Nonostante ciò, nel corso delle varie elezioni sono nate diverse coalizioni che hanno avuto vita brevissima: - 2008, in vista delle elezioni politiche nasce la "Sinistra Arcobaleno". Al suo interno sono confluiti Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti Italiani, Verdi e Sinistra Democratica. Alle urne, la coalizione guidata da Fausto Bertinotti ottenne un misero 3% che non permise alla Sinistra Arcobaleno di poter eleggere alcun deputato o senatore all'interno del rieletto parlamento italiano. Questo segnò l fine della Sinistra Arcobaleno. - 2009, per le elezioni europee nasce Sinistra Ecologia e Libertà che riuniva Movimento per la Sinistra, Partito Socialista Italiano, fondazione dei Verdi e Sinistra Democratica. Il partito non trovò grandi spazi all'interno della scena politica italiana e nel 2016 confluì nella neonata Sinistra Italiana nata dalla scissione col PD. - 2012, in vista delle elezioni politiche del 2013 politiche dell'anno successivo la sinistra vede la nscita della lista "Rivoluzione Civile". Alla guida della coalizione (formata da Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti Italiani, Verdi ed Italia dei Valori ) vediamo l'ex magistrato Antonio Ingroia. Così come la Sinistra Arcobaleno, anche per Rivoluzione Civile arrivò la débâcle elettorale dove i risultati non permisero il superamento della soglia di sbarramento in nessuna delle due camere. - L'ultimo caso di alleanza di sinistra è quella delle appena finite politiche 2022 con Alleanza Verdi e Sinistra. L'unione di Alleanza Verde, Sinistra Italiana (che a sua volta unisce diverse scissioni dal PD come Articolo 1 e Liberi e Uguali) e Possibile frutta un 3,63% alle urne superando per pochissimo la soglia si sbarramento. Chi è più di sinistra? La timeline finisce con le elezioni del 2022 con la sconfitta della sinistra. Dal 1991 sono state oltre 20 le scissioni, unioni e trasformazioni dei vari partiti che "fluttuavano" nell'universo della sinistra italiana. Un continuo movimento che ha portato ad una frammentazione sempre più ampi con tanti pezzi sparsi in giro per quella grande stanza di nome "politica italiana". Le ideologie sono state messe da parte, le idee ed i contenuti anche. Sarà, quindi, giunto il momento di ricomporre quel grande specchio infranto ormai 40 anni fa? Foto di Luisella Planeta da Pixabay Read the full article
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ma-pi-ma · 4 years
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CARO KOMPAGNO TU LAVORA IO MAGNO ✊🥴
Sparso ovunque e gelosamente custodito in forzieri, fondazioni e strutture territoriali, Bersani può contare su un patrimonio immobiliare che vale quasi 1 miliardo di euro. Gran parte è intestato ancora al Partito democratico della sinistra e alle sue strutture territoriali (unità di base, federazioni regionali, comunali e territoriali di varia natura), nonché alle immobiliari che risultano ancora di sua proprietà. L’emergere di tante proprietà immobiliari fa comprendere meglio di ogni altra cosa come il Pd sia il partito che ha alle sue spalle la forza economica più impressionante della politica.
Forse non lo sanno nemmeno loro, ma al catasto non hanno dubbi. La più grande immobiliare di Italia è quella della politica. E il palazzinaro per eccellenza di Palazzo è Pierluigi Bersani. Incrociando come dovrebbe Attilio Befera i dati dei registri delle Camere di commercio con quelli di Sister dell’Agenzia del Territorio, Libero è stato in grado di disegnare la prima vera e completa mappa immobiliare della politica italiana. I partiti politici, le loro organizzazioni territoriali, i circoli, le società immobiliari controllate direttamente e indirettamente hanno in mano oggi 3.805 fabbricati sparsi in tutta Italia e 928 terreni.
Le loro rendite catastali, agrarie e dominicali sommate ammontano a circa 2,8 milioni di euro, che ai fini della nuova Imu di Mario Monti indicherebbero un valore fiscale di circa 500 milioni di euro. In media per avere un valore reale di mercato bisognerebbe più che raddoppiare questa cifra, arrivando quindi a circa 1,2 miliardi di euro.
Di questa somma l’80% circa riguarda proprietà immobiliari che risultano ancora in capo alle forze politiche in cui pianta le sue radici il Pd. Significa che sparso ovunque e gelosamente custodito  in forzieri, fondazioni e strutture territoriali, Bersani può contare su un patrimonio immobiliare che vale quasi 1 miliardo di euro in caso di valorizzazione. Gran parte è intestato ancora al Partito democratico della sinistra e alle sue strutture territoriali (unità di base, federazioni regionali, comunali e territoriali di varia natura), nonché alle immobiliari che risultano ancora di sua proprietà.
Solo nell’area Pci-Pds-Ds-Margherita-Ppi-Pd sono 831 i diversi codici fiscali che risultano intestatari di fabbricati. Vecchie sezioni - Fra questi ci sono sicuramente le sezioni del vecchio PCI, che risulta ancora intestatario al catasto di ben 178 fabbricati e 15 terreni. Ma vedendo numeri di vani e caratteristiche di ciascun immobile, è difficile che proprietà accatastate come abitazioni di 12 o 14 vani o uffici di metrature ancora più ampie possano corrispondere al classico identikit delle vecchie sezioni territoriali.
I democratici di sinistra controllano gran parte del patrimonio immobiliare attraverso le nuove fondazioni che ha costituito con pazienza il tesoriere Ugo Sposetti. Particolarmente ricche quelle umbre e quella di Livorno. Fra Pds, Pd, Ds e vecchio Pci sono ben più di 3 mila i fabbricati di proprietà. E non è manco detto che ci sia una mappatura completa, e che le varie federazioni di sigle ormai in disarmo ne abbiano l’esatto controllo.
Non è escluso che qualche vecchio amministratore locale non ne abbia nemmeno fatta menzione al partito. La mappa immobiliare è comunque l’unica che rende in qualche modo tangibile il fantasma più classico di ogni partito politico: quello del bilancio consolidato. Per capire quanti soldi sono girati e girano, e quale è la forza economica bisognerebbe infatti mettere insieme i conti nazionali che vengono resi pubblici con i rendiconti delle centinaia di strutture territoriali che invece sono nascosti.
Forza economica - L’emergere di tante proprietà immobiliari fa comprendere meglio di ogni altra cosa come il Pd sia il partito che ha alle sue spalle la forza economica più impressionante della politica. L’unica cosa che non si capisce è come gli amministratori locali di Bersani continuino ad impiegare fondi che il partito gira alle strutture territoriali nell’acquisto di nuovi immobili. 
A Genova, dove non mancano certo proprietà delle varie sigle che stanno alle spalle del Pd, è stato comprato un appartamento da 5 vani nel 2010. A Crespino, in provincia di Rovigo, quattro fabbricati. A Montecchio, provincia di Reggio Emilia, acquistati nell’aprile 2011 addirittura due terreni erbosi. Acquistati immobili e terreni nel piacentino. Così nello spezzino, dove esisteva una celebre immobiliare del pds.
Sarà forse un buon investimento in momento di crisi, perché certo il mattone dà più soddisfazione e sicurezza dei fondi in Tanzania.
Resta difficile comprendere perché nella sinistra italiana faccia tanto ribrezzo potere prendere una sede di partito o un ufficio per i propri dirigenti in banale affitto come accade a molte altre forze politiche.
Il papa laico - Re Bersani a parte, dalla banca dati della Agenzia del Territorio emergono molte sorprese: tutti i partiti ufficialmente morti e sepolti hanno ancora appartamenti e perfino palazzine di un certo valore. Dalla Dc al partito socialista. Ne posseggono anche partiti che certo non hanno invaso le cronache politiche, come quello del Papa laico o quello dell’armonia.
Ma la sorpresa delle sorprese viene dal partito nazionale fascista, che non solo è morto, ma è stato sciolto per legge. Tutti i suoi beni sono passati al demanio pubblico, ma l’operazione non è riuscita per quattro fabbricati e due terreni. Uno di questi risulta ancora di proprietà del Pnf e dato un uso ad Anagni, nel frusinate, al Fondo edifici di culto del ministero dell’Economia.
Franco Bechis
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paneliquido · 5 years
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IN RISPOSTA A CORRADO AUGIAS
di Mario Adinolfi
Come è noto in una recente trasmissione televisiva Corrado Augias, parlamentare europeo del Pds non rieletto nel 1999 e per questo da vent’anni indennizzato con la conduzione di programmi televisivi su Raitre, ha sentenziato: “Essere di destra è facile, significa seguire gli istinti, quelli di sinistra usano di più il ragionamento”. Una frase ottima per le chiacchiere da bar, in cui Augias è in realtà specialista (basta leggere le castronerie che ha scritto sul cristianesimo) pur ammantandosi nel pronunciarle di quell’aria colta intinta nel naso arricciato tipica del ceto dirigente della sinistra attuale che si è affidata ad un perito odontotecnico ma crede di impersonificare le élites intellettuali di un Paese.
La frase di Augias è, semplicemente, falsa. Storicamente e culturalmente senza senso, è un’affermazione completamente infondata. Se Augias fosse davvero colto avrebbe trovato spiegata con tanto di diagrammi la distinzione tra destra e sinistra in un piccolo libro di un filosofo vero, non di uno che crede di esserlo perché tiene i capelli bianchi acconciati in modo bizzarro. Quel filosofo si chiamava Norberto Bobbio, è una colonna portante della cultura laica e di sinistra del secolo scorso, per vent’anni senatore a vita proprio per i meriti culturali universalmente riconosciuti.
Il piccolo libro che un finto colto come Augias non ha letto, ma che chiunque voglia disquisire di destra e sinistra non può non conoscere, si intitola semplicemente: Destra e sinistra. È un libro del 1994, dunque scritto quando la cosiddetta prima Repubblica era già marcita e le destre di Berlusconi, Fini, Bossi erano già protagoniste e vincenti. In quel clima, mentre tutta la sinistra dava come di consueto dei “rozzi e fascisti” agli avversari che avevano appena trionfato proprio contro quella sinistra (come sempre è accaduto nella storia italiana, gli amici di Augias della filiera Pci-Pds-Ds hanno sempre perso le elezioni politiche, le vittorie del 1996 e del 2006 furono dovute al volto rassicurante del ministro andreottiano e ex presidente democristiano dell’Iri, Romano Prodi, mai un uomo di matrice comunista vincerà le elezioni in Italia) Norberto Bobbio spiega la reale differenza con la destra.
Il filosofo socialista dice che la sinistra è più legata all’idea di uguaglianza, la destra a quella di libertà. Prossima all’idea di uguaglianza vi è quella di giustizia sociale, mentre la libertà ha un approccio istintivamente antistatalista. Così le destre si caratterizzano per il laissez faire, le sinistre per un intervento più pervasivo dello Stato. L’italiano, naturalmente infastidito dall’ingerenza dello Stato che nel nostro paese significa burocrazia e altissima pressione fiscale, finisce per votare a destra come reazione a questa dimensione totalitaria degli apparati.
Per Bobbio, uomo di sinistra, la battaglia per l’uguaglianza e la giustizia sociale è assolutamente fondamentale. Il filosofo immagina una sinistra schierata con i più deboli e per questo arriva ad una riflessione molto alta sul tema dell’aborto, chiedendosi perché mai la sinistra abbia lasciato ai cattolici la battaglia a tutela del diritto alla vita dei più deboli tra tutti. La sua lucidità mi ha trovato sempre concorde e quando colorai di rosso la copertina di Voglio la mamma, libro in cui Norberto Bobbio è citato, lo feci perché sono convinto che la sinistra abbracciando il radicalismo pannelliano abbia intimamente tradito se stessa. Pannella e Bonino, infatti, in quel 1994 si fecero eleggere in Parlamento con le destre a cui per impostazione naturalmente appartenevano: aborto, divorzio, eutanasia sono, nel ragionevole schema proposto da Bobbio, tipiche battaglie di destra perché legate ad una estremizzata idea di “libertà”, fondate sul concetto di autodeterminazione dell’individuo slegato da qualsiasi idea solidale.
Con Augias il dibattito va posto su questo tema: non su un ridicolo ed indimostrabile assunto di superiorità ontologica della persona di sinistra su quella di destra, ma su quanto la sinistra abbia tradito tutti i suoi presupposti per ignoranza delle proprie stesse radici, trasformandosi banalmente in un contesto di potere che prova a difenderne il diritto all’esercizio tramite un proclama insensato intriso di ingiustificata alterigia. Il ragazzotto insegnante di fresbee che guida le sardine e l’ottuagenario conduttore televisivo in quota Raitre sono i perfetti rappresentanti di questa alterigia poco dotta e molto indotta, a cui le destre reagiscono peraltro scegliendo toni analoghi per quanto opposti, quando invece potrebbero portare il confronto su un piano nettamente più alto. Vincendolo.
Per questo il nostro approccio di cristiani impegnati in politica, che nel diagramma di Bobbio scelgono di percorrere la via mediana del saper coniugare libertà e giustizia sociale senza considerarle alternative, è a mio avviso il più adatto a rispondere alle concrete complesse esigenze poste dalla società contemporanea. Noi rinunciamo volentieri al conflitto innescato dai presunti complessi di superiorità, preferendo la costruzione dal basso di una opzione politica altra che spieghi alle sinistre come alle destre che il percorso delle contrapposizioni volgari e semplificate non conduce da nessuna parte. Per questo le volgarità di Augias vanno semplicemente respinte e raccontate per quel che sono: chiacchiere poco ragionate di un ignorante al bar della tv ingiustamente occupata da questi poco colti figuri.
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corallorosso · 5 years
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Ha vinto il pre-fascismo. E non sarà il Pd a ferma di Paolo Flores d’Arcais Ha vinto il pre-fascismo. Salvini e Meloni (34,26+6,45) superano da soli, la percentuale che con l’attuale legge elettorale per le politiche garantisce con altissima probabilità la maggioranza assoluta. Del resto, possono imbarcare anche ciò che si decomporrà di Forza Italia, con Berlusconi totem inoffensivo. Avranno i numeri per cambiare la Costituzione (repubblicana antifascista) che detestano. Potranno dilagare nella Corte Costituzionale e nel Csm, asservendo la magistratura. Il pre-fascismo non è il fascismo, ovviamente, e potrebbe non diventarlo. Ma ne contiene già tutti gli ingredienti costitutivi, razzismo, sciovinismo, clericalismo, rapporto diretto viscerale acritico subordinato Capo/popolo (Capo, in latino Dux, in tedesco Führer), disprezzo per le minoranze, medioevo per i diritti civili, subalternità delle donne, odio per gli intellettuali … La cecità di editorialisti e politologi si ostina a non vedere il repentaglio. Salvini con il voto di domenica è il mazziere del gioco, il padrone che dà le carte. Può decidere se andare subito alle elezioni o se gli convenga ancora l’alleanza con un M5S tappetino, su cui scaricare magari lo scontento per l’inevitabile finanziaria. ...Perché ciò che era lapalissiano non lo si è voluto vedere? Perché ci si è resi ciechi di fronte al fatto che decenni di spaventosa crescita delle diseguaglianze, di sfrenato liberismo, dove “arricchitevi!” e “guai ai vinti!” sono due facce della stessa politica, avrebbe potuto avere due soli sbocchi: una politica di radicale redistribuzione in direzione egualitaria, attraverso tassazione superprogressiva e politiche di welfare spinto, oppure una politica dei capri espiatori, dei penultimi messi in conflitto con gli ultimi e risarciti con il privilegio di cartapesta delle identità vicarie (“prima gli italiani”, “migranti a casa loro”, “spara a casa tua”). Le sinistre hanno smesso di essere i partiti dell’eguaglianza, fino a dimenticare la parola stessa e trovarla fastidiosa e financo sudicia. Del resto erano ormai ceto politico, “Casta” o “minicaste” autoreferenziali, strutturalmente parte del privilegio.... Immaginare che un argine (parlare di alternativa è oltre il ridicolo) all’attuale dominio pre-fascista possa venire dal Pd di Zingaretti è l’ultima, e forse più pericolosa, illusione. In secondo luogo, rispetto a un anno fa, il Pd ha perso 111.545 voti. L’aumento in percentuale è solo perché meno elettori in generale si sono recati alle urne. In primo luogo, il Pd è alla radice dei problemi che hanno portato all’attuale catastrofe: il Pci aveva gravissimi difetti e tare, da Togliatti a Berlinguer, ma la metamorfosi Pci>Pds>Ds>Pd, per cui una forza di sinistra è diventata una forza della destra perbenista e benpensante (chiamiamoli col loro nome, basta parlare per il Pd di sinistra) è la causa prima e cruciale di quanto avvenuto negli ultimi trent’anni. L’argine, la resistenza, l’alternativa, potranno perciò venire solo dalla nascita di una forza coerentemente “giustizia e libertà”....Egualitaria, illuminista, laicissima. Come possa nascere non è prevedibile, che esista in forma dispersa nel paese è probabilissimo. Ma dispersa, appunto, elettoralmente invisibile perché quasi tutta rifugiata nel non voto. A farla nascere potrà essere solo un catalizzatore oggi imponderabile, ma il brodo di coltura in cui si produca il big bang dobbiamo lavorare ad incrementarlo e arricchirlo ogni giorno, ciascuno nella sfera d’azione che riuscirà a crearsi. (28 maggio 2019)
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gregor-samsung · 5 years
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La vicenda delle foibe costituiva uno strumento cruciale nella strategia di riabilitazione e di normalizzazione del MSI - Destra nazionale, e poi di Alleanza Nazionale. L’area triestina e una parte del mondo degli esuli dalle terre annesse alla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale avevano sempre rappresentato un bacino elettorale privilegiato del MSI. Ma, al di là di considerazioni di natura elettoralistica, la vicenda delle foibe permetteva al MSI di presentarsi senza lo stigma della collaborazione con il nemico germanico. Anzi, in questo caso il MSI poteva presentarsi come il difensore della causa degli italiani, anche di quelli antifascisti, vittime della furia omicida del nemico «slavo», dei «titini», con la complicità dei comunisti italiani e l’indifferenza dei democristiani. Questo tipo di discorso narrativo non perse forza col passare degli anni, ma al contrario ne acquistò. Diversi fattori concorrevano nel dare maggiore credibilità a questa trasformazione dell’immagine della destra radicale italiana. E troppo facile ridurli a uno dei tanti effetti della cosiddetta «fine della prima Repubblica» (che spiega tutto e nulla nel contempo). A scanso di equivoci, non è neppure il caso di spiegare tutto con un complotto politico-mediatico per la riabilitazione della destra italiana. Al contrario, il MSI non avrebbe mai potuto realizzare questa riscoperta e revisione del giudizio storico e pubblico sulle foibe senza il ruolo attivo delle altre forze politiche italiane, e in particolare di quello che era oramai diventato l’arcipelago delle sinistre italiane. Il PCI (e i suoi partiti successori, PDS, DS, e via dicendo) accolse con grande facilità la legittimazione reciproca e simultanea di quelli che erano stati i due estremi dell’arco politico. In questa decisione confluivano diversi ordini di motivi. Il primo era l’idea (rivelatasi poi ingenua) di una facile vittoria delle sinistre alla prima prova elettorale della cosiddetta “seconda Repubblica”, e cioè le elezioni politiche del 1994, che per l’appunto portarono all’elezione di un governo di centrodestra o di destra. Il secondo era il desiderio di lasciarsi definitivamente alle spalle le eredità del passato comunista. Quale migliore modo di farlo, se non quello di riconoscere, una volta per tutte, la propria «colpa», in una vicenda così sensibile come quella delle foibe, che aveva dato ombra a quella certificazione di patriottismo sempre ricercata dal PCI (come da quasi tutti i partiti comunisti al di fuori dell’area sovietica). Fin dal 1935, dall’epoca del 7º Congresso dell’Internazionale comunista e dell’avvio dell’epoca dei Fronti popolari, i partiti comunisti occidentali avevano quasi sempre cercato di cancellare il sospetto di «nichilismo nazionale». Questa tendenza era particolarmente marcata nel PCI, che cercò ogni occasione per rimarcare la propria lealtà allo Stato nazionale italiano (ad esempio, sottolineando che Palmiro Togliatti era stato interventista, fatto che in precedenza sarebbe stato considerato imbarazzante per un comunista). A fattori di questo genere si aggiungeva una nota più specifica, che riguardava la cultura politica di sinistra dell’area del versante italiano del Litorale: la progressiva, ma inarrestabile disgregazione di una cultura comunista triestina «internazionalista», che aveva rappresentato una delle forme (non l’unica, beninteso) di integrazione sociale tra italiani e sloveni a Trieste. Questa cultura aveva certamente subito incrinature nel corso degli anni compresi tra il 1943 e il 1955 (l’anno della riconciliazione tra comunisti jugoslavi e sovietici), ma era rimasta una cultura politica significativa nella regione. La fine del comunismo esteuropeo e poi della Federazione jugoslava accelerarono il processo di disgregazione di questa cultura internazionalista, con una profonda lacerazione del tessuto politico e culturale nel mondo della sinistra triestina. In tal modo, l’operazione di riorientamento del discorso storico e politico sulla questione delle foibe, che culminò nell’incontro tra Luciano Violante e Gianfranco Fini a Trieste, nel 1998, incontrò meno ostacoli di quelli che avrebbe trovato in precedenza. Il fatto che l’occasione fosse stata promossa da Giampaolo Valdevit, a lungo figura di spicco dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, era emblematico.
Guido Franzinetti, Le riscoperte delle «foibe»; saggio raccolto in:
Jože Pirjevec (con la collaborazione di Gorazd Bajc, Darko Dukovski, Guido Franzinetti, Nevenka Troha), Foibe. Una storia d’Italia, Giulio Einaudi editore, 2009.
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pettirosso1959 · 20 days
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IL nostro amatissimo presidente ha detto che la Russia ha la responsabilità di aver riportato la guerra in Europa, io però c'ero quando lui era ministro della difesa e l'Italia , con la Nato, bombardó Belgrado per 78 giorni.
La chiamarono " missione di pace" ma a me sembrò proprio una guerra e se non lo era, somigliava bene.
Da Gramsci a Fassino, di Costanzo Preve. Capitolo dedicato alla guerra NATO contro la ex Jugoslavia:
Post lungo (ma non noioso) copiato dal mini-saggio di Costanzo Preve, l'eretico marxista chiamato nazista dai Pidioti di allora, "Da Gramsci a Fassino.", spietata analisi di come andò:
Il punto di svolta storico: la guerra contro la Jugoslavia del 1999.
La signora Rossanda si chiede spesso in modo sapienziale quando sarebbe avvenuta la rottura definitiva nella tradizione comunista e di sinistra del mastodonte PCI-PDS-DS. Eppure avrebbe la risposta sotto gli occhi. La rottura definitiva, clamorosa, irrevocabile ed irreversibile è avvenuta il 24 marzo 1999, quando gli aerei della NATO, partendo da basi italiane, hanno scatenato una guerra di aggressione contro la Jugoslavia, con l’inesistente pretesto di una inesistente pulizia etnica e di un ancor più inesistente genocidio contro la minoranza albanese (maggioritaria nel Kosovo).
Oggi sappiamo che la guerra era stata già pianificata nel 1998, e vi sono indicazioni inequivocabili di Scognamiglio e di Cossiga sul fatto che questa guerra doveva essere “venduta” alle masse ignoranti e mascalzone da qualcuno più potente di Prodi, e cioè da D’Alema stesso (cfr. R. Mordenti, La Rivoluzione, Tropea, Milano 2003, pp.150-153).
Chi vuol sapere può ormai sapere quasi tutto. Nel Kosovo non c’era nessun genocidio e non c’era nessun progetto di espulsione etnica della popolazione albanese, ma c’era una guerra secessionistica scatenata a freddo dal gruppo UCK, che invece aveva come progetto dichiarato l’espulsione della popolazione serba (come infatti avvenne). I cialtroni criminali che fecero questa guerra per conto della NATO e degli USA dovettero mentire e nasconderla sotto l’etichetta rassicurante di “operazione di polizia” come se la cosmesi terminologica potesse cambiare le cose. La guerra fu fatta contro l’ONU, che non la consentiva a causa del veto di Russia e Cina, e contro la Costituzione italiana, che non la consentiva espressamente.
Il cinico baffetto D’Alema credeva di essersi così legittimato presso i suoi padroni imperialisti, ma non faceva i conti con il Berlusca e con il suo bacino elettorale maggioritario. Tuttavia, l’esperienza maturata da me in quattro anni di conversazioni in tutti gli ambienti mi ha confermato sul fatto che l’operazione D’Alema è perfettamente riuscita. Il “popolo di sinistra”, sempre pronto a girotondare in nome della sua “berlusconite”, non si è praticamente accorto di questa guerra, o se se ne è accorto lo ha dimenticato in pochi mesi. Chi rivanga la guerra del Kosovo, come chi scrive, corre il rischio di passare per un monomaniaco fissato. Hanno già dimenticato tutti, per il semplice fatto che non hanno ricevuto i bombardamenti sulla loro testa.
Questa dimenticanza è forse l’esempio più scandaloso e sintomatico della decadenza morale di questo ultimo decennio. Altro che craxite e berlusconite, conflitto d’interessi e sparate idiote sui giudici e su Mussolini. Purtroppo, è storicamente poco probabile che D’Alema e Scognamiglio vengano trascinati in tribunale e condannati per alto tradimento contro la costituzione e crimini contro la pace. Gli è riuscita l’operazione di menzogna sulla pulizia etnica e sul genocidio, su Hitlerovic e sulla operazione di polizia internazionale.
Rifletta su questo la signora Rossanda. E se ci rifletterà sopra, i dubbi amletici che la tormentano troveranno finalmente una risposta. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, e peggior cieco di chi non vuol vedere. https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=1207&fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTAAAR2Mg-DfZVOUlkTILvFu5iqHOODLLva3lez_B2Mn3yZUzXSkdjB44HASVcs_aem_AQgKjUNmlttpwrH_y1QlrlxhxxbtxxPlgCoEIF8eT8_xkZ-KfUPHI3Nj2BLkpmPTY4TZlm6lKG0N59p5fjWh0ZGs
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abr · 3 years
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Guida ragionata per (non) partecipare alle celebrazioni dei 100 anni dalla nascita del Pci, Partito comunista italiano. 1 Il Pci è stato un partito costituente della prima repubblica (...) 2 Il Pci è stato l' eterno secondo dello schieramento politico, dietro la Dc. (...) 3 Il Pci ha impiegato 63 anni (..) per diventare, anche se solo per una volta, il primo partito italiano, ma gliene basteranno solo 7 (e due segretari: Alessandro Natta e Achille Occhetto) per scomparire. 4 L' auto storytelling del Pci si nutre di alcuni miti. A cominciare da quello della «guerra di Liberazione», come se la cacciata dei nazifascisti non sia stata merito degli angloamericani, ma esclusivamente dei partigiani, e manco di tutti: solo di quelli «rossi» (...).  5  (...). A risultare intollerabile è la pretesa -"egemonica» (...) del monopolio sulle battaglie contro la criminalità organizzata e negli anni di piombo. Anche perché bisognerebbe non dimenticare quanto scritto da Rossana Rossanda sul Manifesto durante il sequestro Moro: «A leggere i comunicati delle Br si ha l' impressione di sfogliare un album di famiglia» . 6 Altro mantra fondativo: la «diversità», da cui discende come corollario la «superiorità etica» di dirigenti e militanti. Diversi perché migliori, Togliatti «il Migliore» per antonomasia. A cancellare le tracce dei propri errori, di sicuro. Connivenza con lo stalinismo? Ma quando mai. Il silenzio sulla repressione in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968? Passiamo oltre. (...)   7 E la retorica sulle «mani pulite», l' onestà, il «buon governo» nelle regioni rosse? In realtà, una perfetta macchina organizzativa, anche del consenso (...). E anche sorvolando sul coinvolgimento del dirigente Primo Greganti nella Tangentopoli (..:), che dire della valigetta con un miliardo di lire di Raul Gardini entrata nella sede del partito a Roma, «e arrivata ai piani alti» (così Antonio Di Pietro)? E della sentenza di condanna per fatti antecedenti, 1987, ovvero le tangenti prese dal Pci sugli appalti per i lavori della metropolitana milanese? 8 Cosa aggiungere sul «consociativismo», la partecipazione del Pci alla spartizione di posti, leggi lottizzazione, negli enti pubblici tipo la Rai? (...) 9 Sbriciolatisi il muro di Berlino e l' Urss, sepolta dalle macerie la prima repubblica, (...) il Pci si dissolse. Per mimetizzazione. Trasformandosi prima in Pds, segretari: Occhetto e poi Massimo D' Alema. Poi in Ds, segretari: D' Alema e poi Walter Veltroni, già capo dell' ufficio propaganda del Pci, che nel 2011 negherà in una lettera a La Repubblica di essere mai stato «ideologicamente» comunista. A seguire Piero Fassino, un altro comunista della vecchia scuola (...), che accompagnerà i Ds alla fusione con la Margherita di Francesco Rutelli nel Pd, primo segretario, ça va sans dire: l' ex-non comunista Veltroni. 10 Il Pd, erede del Pci, negli ultimi 10 anni è riuscito a governare per 8  anni (...). Ma, al solito, chiamandosi fuori da ogni responsabilità: la politica è in crisi? Prevale il populismo? E che colpa abbiamo noi?, sembrano gorgheggiare molti suoi esponenti, come la band dei Rokes. In prima fila, gli ex comunisti.  Morale: Il passato di un' illusione, è stata la sentenza sul comunismo dello storico francese François Furet nel 1995. L' illusione è trapassata. I finti illusi sono ancora tra noi.
Franco Piroso su LaVerità, via https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/come-vivere-bene-senza-comunisti-ndash-antonello-piroso-scodella-257552.htm
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giancarlonicoli · 11 months
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Berlusconi e gli spot, il Pci di D’Alema lo aiutò contro i giornali, Scalfari e Caracciolo alla guerra di Segrate
Berlusconi e la pubblicità, come il Pci di D'Alema fece fallire gli sforzi di contenere la tv, Scalfari, Caracciolo e la guerra di Segrate
di Marco Benedetto Pubblicato il 18 Giugno 2023 - 10:38
I tentativi degli editori di giornali di limitare il dilagare della pubblicità televisiva furono vanificati da Berlusconi con l’appoggio dei comunisti guidati da Massimo D’Alema. Ho vissuto quei momenti da vicino.
Questa è la seconda parte di questa mia analisi su Silvio Berlusconi. La prima parte è qui:
Berlusconi, il migliore e il peggiore di tutti, analisi e testimonianze: creò un impero, fu salvato dai comunisti
La terza è qui
Come Berlusconi costrinse Cuccia a salvarlo: persa Repubblica, a fondo con Standa, la politica lo tolse dai guai
Ecco il seguito.
Era il 1998, tempo della bicamerale.
Massimo D’Alema voleva cambiare l’Italia, con gabile come presidenzialismo e elezione diretta del premier, come vent’anni dopo provò a fare Matteo Renzi. Erano in ballo sempre le stesse utopie che oggi frullano nel giro di Giorgia Meloni.
L’unica riforma che era interessante per Berlusconi era quella che avrebbe ingabbiato e subordinato a lui la Magistratura.
Per questo il dialogo saltò. Il partito di D’Alema non poteva reggere l’impatto di un massacro dei magistrati.
Ma Berlusconi qualcosa comunque ottenne, perché nel procedere, saltò anche l’ultimo tentativo di contenere il dilagare degli spot.
La speranza dei giornali era affidata a un disegno di legge noto col suo numero identificativo, 1138. Doveva ridurre contemporaneamente gli affollamenti pubblicitari di Rai e tv private rendendo disponibili per la carta stampata le risorse che non avrebbero trovato spazio nell’etere.
Andò avanti per mesi in una commissione del Senato. Taccio per carità di sinistra sulla vergognosa pantomima inscenata da comunisti illusi e perbene.
Andavo spesso a riunioni fino a quando, un giorno, uscendo, faccio un tratto di corso Rinascimento, fuori del Senato, con un collega che fu bravo direttore di giornali, persona integerrima e anche genovese seppur di adozione.
Gli dico da ingenuone: “Dai facciamo uno sforzo, questo un buon momento per una rinascita dei giornali”.
Lui mi risponde sconsolato: “Lasciate perdere, è tutto deciso”.
Berlusconi, in un angolo della Bicamerale, aveva piegato i Ds o Pds di D’Alema. Ma non se ne fidava. Così, dando una ulteriore prova della sua capacità di non lasciare aperto per l’avversario neanche uno spiraglio, convinse il relatore, un ex democristiano suo acerrimo nemico, a lasciare lo schieramento di sinistra con funambolismi democristiani.
Al di là di tutte le chiacchiere Berlusconi ebbe solo tre nemici giurati: la sinistra democristiana, il potere giudiziario e Carlo De Benedetti.
Di quest’ultimo dirò oltre, della magistratura si può solo dire che lo portò a un passo dal carcere, della sinistra Dc pochi ricordano le dimissioni in gruppo dei suoi ministri nel 1990 per ottenere l’approvazione della legge Mammi che fu la sola iniziativa politica che limitò lo strapotere del Nostro.
Di quella pattuglia di eroi faceva parte l’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Pochi ricordano ma Berlusconi non ha mai dimenticato. Questo spiega la trentennale ostilità di Berlusconi verso Mattarella, che solo l’astuzia valligiana di Renzi riuscì a aggirare.
Ma non dovette a nessuno il suo successo, usò tutti, P2 inclusa, li piegò ai suoi disegni. Fece tutto da solo.
Per questo va inserito fra i personaggi più importanti del panorama politico e imprenditoriale italiano dall’Unita a oggi.
Siede nell’empireo della nostra storia provinciale ma popolata di grandi come Agnelli, Valletta, Pirelli, Gualino, Ansaldo, Perrone, Rubattino, Bombrini, Faina e tanti altri, fra i pionieri che hanno trasformato l’Italia da un Paese di contadini analfabeti a una delle nazioni più ricche del mondo. 
Guai però paragonarlo con Agnelli. Giovanni Agnelli senior e gli altri che ho elencato e altri ancora erano titani. Come Agnelli fu grande nel rapporto con i dirigenti e in genere i dipendenti.
Berlusconi fu un uomo geniale che intercettò il trend degli anni ‘70, verso la tv commerciale.
Fu un grande imprenditore, visionario e anche capace, nella sua assoluta diffidenza, di ascoltare i suoi collaboratori. Non fu un industriale: fu un grandissimo venditore: di pubblicità, prima, di politica dopo. Forse per questo non fu cattivo: opportunista, anche spietato, ma non cattivo. Avrebbe potuto distruggere i suoi avversari, quando era all’apice, ma non lo fece. Lo fecero gli altri con lui, anche se non per il suo fallimento politico ma per le sue intemperanze amatorie.
Lui era uomo di pace, alla sua maniera: la guerra era inutile, quando potevi comprare gli avversari. 
Se fu un grande imprenditore, lo fu molto meno come politico. Niente lo può fare paragonare a un Cavour ma nemmeno a un Crispi o un Giolitti. E nemmeno a De Gasperi o Togliatti.
La causa del suo fallimento politico è insita nella motivazione della sua attività politica. La maggior parte dei politici è mosso, al di là della voglia di arricchirsi (marginale) o di non lavorare (oggi abbastanza evidente), da una idea. Così fu per i giganti della storia, così è per i grandi e meno grandi di oggi, Putin e perfino Trump inclusi.
Berlusconi entrò in politica non per realizzare una idea politica ma per servirsi della politica, e delle sue idee, come di un altro qualsiasi strumento a disposizione di un imprenditore, per proteggere e difendere la sua impresa, nello specifico le sue televisioni.
Tutto ruotava in funzione di Canale5, Rete4, Italia1. Il resto era attività al loro servizio. Infatti, Berlusconi fu titano nella tv, mediocre editore di giornali.
Per proteggere le sue tv spadroneggiò in Europa. Come primo ministro, la sua gestione del rapporto con la Commissione e la burocrazia europea fu nella continuità fra il pessimo di prima e il pessimo di dopo. 
Questo vizio di origine dell’attività politica di Berlusconi ha vanificato gli effetti della sua abilità e della sua superiorità rispetto a tutti i politici italiani suoi contemporanei.
Non si deve dimenticare che l’impero di Berlusconi è stato fuori legge fino al 2011, quando finalmente entrò in funzione in Italia il digitale terrestre. Racconto più avanti questo educativo e poco edificante capitoletto della storia italiana recente.
Sempre tenendo presente il peccato originale della politica di Berlusconi, non si può non riconoscere che nei suoi anni al governo l’Italia resse con onore l’onda della crisi mondiale del 2008 (il declino ebbe inizio col governo tecnico che gli succedette), fu raggiunto il pareggio del bilancio corrente (merito di Giulio Tremonti più che suo), un italiano fu posto a capo della Banca centrale europea.
Questo ultimo fatto costituisce un bell’esempio della sua eccezionale capacità di visione tattica e di manovra. Se avesse applicato davvero queste sue doti a riformare l’Italia chissà dove saremmo ora. Ma come ho detto e ripeterò, a Berlusconi importava solo delle sue tv.
E Mario Draghi presidente della Bce, allora? Ci fu costretto per levarselo di torno. Draghi litigava con Tremonti su tutto e questo era un fastidio quotidiano. In più non c’era spunto che Draghi (allora governatore della Banca d’Italia) non cogliesse per dare il tormento a Berlusconi. Se Repubblica enfatizzava, anche un po’ faziosamente e forzatamente, un aspetto negativo della economia italiana (il Governo Prodi magari aveva fatto peggio, ma la distorsione dei fatti era regola), subito la Banca d’Italia rilanciava la notizia aggravandoli col suo avallo.
Ebbi il sospetto, a quei tempi, verso il 2009-2010, che Draghi volesse fare le scarpe a Berlusconi.
Le mosse di quest’ultimo per liberarsi dell’incomodo furono magistrali.
Consapevole del fatto che il Governo italiano non sarebbe mai stato in grado di far passare la candidatura di un connazionale, Berlusconi si comprò l’appoggio francese, il cui presidente, Nicolas Sarkozy, aveva nel frattempo sposato una torinese. Il prezzo per il Paese fu salato: la Parmalat a prezzo di saldo, centrali nucleari impossibili ma carissime, soprattutto il tradimento dell’amico Gheddafi, abbandonato, pur controvoglia al fuoco dei mitra manovrati dagli interessi petroliferi anti-italiani dei francesi.
Angela Merkel, cancelliere tedesco, poteva anche avercela con gli italiani vu cumprà e traditori con l’aggravante della “culona intrombabile” con cui l’aveva bollata Berlusconi con l’aggiunta di pubbliche umiliazioni tipo quella volta che la lasciò ferma in piedi ad aspettarlo mentre lui al telefonino organizzava una serata elegante a Arcore.
Ma Angela Merkel non poteva dire di no a Italia e Francia unite. Così ebbe inizio il mito di Draghi e la sua tenuta a Francoforte.
Berlusconi politichese fu geniale quanto spregiudicato al massimo in occasione della sua discesa in campo, arruolando i post fascisti del Msi, chiudendo un pezzo di cosiddetta “guerra civile”. La definizione di guerra civile è per me forzata e profondamente errata ma certo è che con quella mossa Berlusconi scardinò il quadro politico italiano.
Fino a quel momento i post o ex fascisti del MSI erano i reietti della politica italiana. “Fascisti carogne tornate nelle fogne” era un mantra della sinistra. C’era l’arco costituzionale, che andava dai liberali ai democristiani ai comunisti, figlio del compromesso storico, escludendo i camerati dal gioco politico nonché da quello del potere reale e degli appalti.
La spregiudicatezza di Berlusconi spiazzò tutti. Quando fu annunciata la candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, sponsorizzata da Berlusconi, ricordo Scalfari urlare fremente: “Un fascista in Campidoglio”. Qualche anno dopo Scalfari coccolava Fini, arruolato fra i nemici del Cavaliere, e Roma ebbe Gianni Alemanno: non saprei scegliere fra i due).
Vista trent’anni dopo la mossa di Berlusconi appare come uno dei fatti di maggiore portata e conseguenza della sua attività politica. Bisogna però sempre ricordare che la politica non era al servizio di un ideale quale che fosse, ma di un interesse imprenditoriale ben preciso: Mediaset.
Anche il recupero dei fascisti al gioco democratico va a onore della capacità di Berlusconi di vedere sempre un metro più avanti di tutti.
Ma lui già si muoveva sotto traccia anni prima della “discesa in campo” nel 1994. Ho un ricordo diretto del 1990, dal tempo in cui ero un dipendente della Mondadori, guardato con sospetto perché di provenienza caraccioliana.
Per mia fortuna depose a mio favore Amedeo Massari, uomo di Berlusconi per la carta stampata, grande e innovativo dirigente di giornali. Lo conoscevo da Genova, nel lontano 1968, quando Massari era direttore amministrativo del Secolo XIX e io ventenne redattore dell’Ansa. E mi voleva bene.
Massari era diventato il mio referente e per essere ragguagliato mi diede appuntamento a Roma in via della Scrofa, al portone della sede del Msi e del suo quotidiano Il Secolo d’Italia. Mi spiegò: “Il Dottore mi ha mandato ai insegnargli [a quelli del Msi] un po’ di cose sui giornali”. 
Ma per quanto riguarda l’Italia non cambiò nulla, non toccò l’apparato perché erano voti, non toccò le cooperative perché erano inserzionisti. Per un po’ di anni, a fine estate partivano i rantoli minacciosi, contro le coop e contro i magistrati e sappiamo come è andata a finire.
Si parla ancora di Editto Bulgaro. Ecco le parole precise: «L’uso che Biagi… Come si chiama quell’altro? Santoro… Ma l’altro? Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga.»
Berlusconi le pronunciò mentre passeggiava con dei giornalisti durante un viaggio a Sofia, in Bulgaria. Quelle parole le ha dette ma forse il direttore generale della Rai fu un po’ troppo solerte nell’eseguire.
Di Berlusconi non ti potevi e non ti dovevi fidare. Pensava l’opposto di quello che diceva, faceva l’opposto di quel che prometteva.
Agli inizi della guerra di Segrate, quando ancora mi convocavano alle riunioni, al termine del pranzo in mensa, Berlusconi mi prende per un braccio e mi pilota all’ascensore. Mentre saliamo verso il quinto piano (mi pare proprio il quinto), soli lui e io mi fa: “Dica a Caracciolo di scaricare De Benedetti e di accordarsi direttamente con me”.
Appena all’aeroporto di Linate, mi attacco a un telefono pubblico (i telefonini erano di là da venire) e chiamo Caracciolo. Premesso che mi sembra una proposta poco credibile, riferisco parola per parola. La replica: “Ha proposto a Corrado Passera [all’epoca braccio destro di De Benedetti] la stessa cosa stamattina”.
La guerra di Segrate, cioè la contesa politica e giudiziaria per il controllo di Repubblica, all’epoca controllata dalla Mondadori, durò circa un anno fra il 1989 e il ‘90.
Causa remota fu la vendita, nella primavera del 1989, dei pacchetti azionari con cui Caracciolo, Scalfari e alcuni loro amici controllavano L’Espresso, a sua volta detentore del 50% di Repubblica. L’altro 50% era della Mondadori. Giorgio Mondadori e Mario Formenton da una parte, Caracciolo e Scalfari dall’altra, avevano fondato Repubblica, uscita in edicola nel febbraio del 1976.
A seguito della crisi provocata dal dissesto di Rete4 (si veda più sotto), De Benedetti e Berlusconi erano diventati importanti azionisti della Mondadori, accanto alle figlie del fondatore e dei loro figli.
Con una serie di abili mosse, De Benedetti si era garantito anche un cospicuo pacchetto azionario da parte degli eredi in misura tale da parlare e agire come fosse già padrone del vapore. Ma aveva fatto i conti senza l’oste Berlusconi e senza gli effetti del suo intemperante carattere.
Intanto, con la regia di De Benedetti, la Mondadori aveva acquisito il controllo dell’Espresso e quindi del 100% di Repubblica. Il giornale di Scalfari viveva i suoi momenti di gloria, vendendo 600 mila copie e più ogni giorno, una miniera d’oro e di potere.
Da un punto di vista editoriale era una prospettiva formidabile: 3 reti tv (e di nascosto anche il primo nucleo della futura Sky, Telepiù), il primo quotidiano italiano, i due grandi newsmagazines, un grandissimo editore di libri.
Si profilava una concentrazione di potenza di fuoco presso un proprietario troppo vicino al partito comunista perché il leader socialista Bettino Craxi (e alla luce dei successivi sviluppi non gli si può dare tanto torto).
Craxi era legato a Berlusconi a filo doppio e gli affidò la missione di far fuori De Benedetti.
Berlusconi agì su due fronti: gli eredi Mondadori e il duo Caracciolo-Scalfari.
I due amici e soci, avendo incassato alcune centinaia di miliardi di vecchie lire, erano destinati a un ruolo decisivo nel nuovo grande gruppo ma non credo includesse, come poi invece avvenne, la prospettiva di diventare dipendenti di De Benedetti, per snobismo e senso di superiorità intellettuale. Soprattutto cercavano di ritagliarsi un ruolo diverso e decisivo, meglio di quello quasi onorifico di presidente riservato a Caracciolo.
Così passarono estate e autunno di 1989 a trescare con Berlusconi, il quale a sua volta raccoglieva i frutti delle intemperanze caratteriali verso gli eredi Mondadori: un accordo saltò per una impuntatura su pochi miliardi, un altro, già firmato, venne stracciato come reazione ai comportamenti sconsiderati di De Benedetti.
Così Berlusconi si trovò nuovo azionista di controllo della Mondadori senza più bisogno di accordarsi con Caracciolo e Scalfari.
Caracciolo ha raccontato la sera in cui Berlusconi gettò la maschera in un libro intervista con Nello Ajello. Personalmente la storia l’ho sentita più volte.
Caracciolo arriva per cena nel pied-à-terre di Berlusconi in via Rovani a Milano.
Berlusconi lo accoglie con un brutale: “Inutile andare avanti, è tutto finito, ho preso tutto io”. Caracciolo non controlla l’ira e grida: “Mascalzone!”. L’altro tranquillo: “Se non lo facevo io lo faceva lui” cioè De Benedetti.
Caracciolo poi completava il racconto con questo seguito per lui molto divertente: Mi sono ricomposto e gli ho fatto notare che mi aveva invitato a cena. Berlusconi contava sul fatto che io me ne sarei andato via furibondo. Fu così costretto a mettere assieme un menù con grande confusione e irritazione. Io ho cenato e sono andato a dormire.
La cosa non finì lì per mia fortuna. Seguì una serie di colpi legali e tribunalizi. Ma il colpo decisivo venne dalla politica. Se tutti quei giornali in mano ad amici del Pci non andavano giù a Craxi, il loro spostamento a fianco degli alleati rivali socialisti non poteva essere gradito al leader democristiano Giulio Andreotti.
Ma come arrivare ad Andreotti, che Scalfari detestava tanto da definirlo simile a Belzebù?
Caracciolo pensò a Giuseppe Ciarrapico, editore di destra esordiente nella sanità, col quale da anni aveva stabilito un cordiale rapporto.
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Sabato 5 maggio dalle ore 19, una doppia presentazione alla presenza degli autori ( e dell’editore) .
“ Voci Possenti e Corsare”.La Livorno ribelle dagli anni ottanta a oggi 
di Luca Falorni ( Ed. Agenzia X)
Corsari, sovversivi, cattivi maestri e allievi discoli. Voci sotterranee dal porto più rumoroso del Mediterraneo.
Livorno è stata raccontata spesso in parole e in immagini, forse perché, come diceva il poeta labronico Piero Ciampi, “Livorno è un’isola, il luogo più difficile” e le storie complesse sono sempre le più interessanti. Città giovane ed ex porto franco, da sempre è animata da un popolo nato dalla fusione di gente di ogni razza, unica città europea senza ghetto, ecco perché già dalle origini Livorno non è mai stata un posto banale. È anche il luogo di nascita del Pci e la sponda per varie mitologie ribelli, nella politica, nell’arte e nello sport. C’è però una storia quasi sconosciuta, quella degli spazi e delle persone non allineate che hanno movimentato la città negli ultimi trent’anni. Il libro elabora molti racconti orali e le voci di decine di cittadini che rappresentano esperienze eterodosse rispetto all’ufficialità manipolata da Pci, Pds, Ds, Pd e dintorni, ovvero chi ha governato il comune dal dopoguerra fino al 2014, anno in cui il Movimento 5 Stelle ha sfruttato l’onda della ignominia diffusa per detronizzarli. A precedere la narrazione orale, un viaggio sentimentaledell’autore dentro il suo rapporto doloroso e difficile con la livornesità (Ciampi docet, appunto).
Illustrazione di copertina di Sara Pavan
“I Pirati dei Navigli” di Marco Philopat  (Ed. Giunti)
Esattamente vent'anni fa usciva la prima di molte edizioni di ''Costretti a sanguinare'', febbrile resoconto dei primi anni del punk italiano narrato - o ''urlato'', come recitava il sottotitolo - da Marco Philopat, che da protagonista appassionato di quella straordinaria esperienza ne diventava così anche un prezioso testimone. Non è facile raccontare una realtà in continua ebollizione, che per sua stessa natura vive underground e vuole sfuggire a ogni categoria sociale, politica, estetica: Philopat trova la chiave per farlo con un entusiasmo trascinante, in una prosa che è una corsa a perdifiato, e riprende oggi da dove si era fermato.
Siamo nel mezzo degli anni Ottanta, Milano è infestata da yuppie e zombie televisivi, la polizia ha appena sgomberato il centro sociale Virus e un'intera stagione sembra conclusa. Ma l'incontro con un libraio illuminato, una storia d'amore sorprendente e una rivista cyberpunk sono la miscela capace di dare l'innesco a un riscatto collettivo. Dallo scantinato ribattezzato Helter Skelter - che si trasforma in un luogo per sperimentazioni artistiche e tecnologiche all'avanguardia - all'esplosivo esordio del centro sociale Cox 18, sede di forte fermento culturale a due passi dalla Darsena, i Pirati dei Navigli seminano per le vie di Milano le scintille rivoluzionarie della controcultura. A voce alta, con il coraggio di chi porta su di sé molte cicatrici, Marco Philopat trasforma la storia che ha realmente vissuto in un romanzo ricco di episodi esilaranti, imprese incredibili e disavventure sconvolgenti. ''I pirati dei Navigli'' è un viaggio in un periodo poco conosciuto della cultura underground, dal 1984 al 1989, il ritratto di una figura unica come quella di Primo Moroni, e al tempo stesso un'avventura che lascia il segno e che ci regala squarci di utopia.
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jgmail · 3 years
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Genealogía del Partido Comunista Italiano a los cien años de su fundación
Por Roberto De Mattei
El Partido Comunista de Italia nace en Livorno el 21 de enero de 1921 de una escisión del Partido Socialista. Sus principales fundadores fueron Antonio Gramsci (1891-1937), Palmiro Togliatti (1893-1964) y Amedeo Bordiga (1889-1970). Este último fue expulsado más tarde y condenado a la damnatio memoriae siguiendo la dialéctica interna de todo partido comunista. En 1917, el partido bolchevique se había hecho con el poder en Rusia encabezado por Vladimir Lenin y León Trotski. El Partido Comunista Italiao (PCI) fue la sección italiana del Komintern, organización internacional fundada en Moscú en 1919 con el objeto de propagar la Revolución Rusa por el mundo.
La Revolución Rusa tiene más peso en la historia del comunismo que la publicación del Manifiesto del Partido Comunista con la que Carlos Marx y Federico Engels hicieron un llamamiento en febrero de 1848 a los proletarios de todo el mundo para acabar con  la burguesía y establecer la sociedad sin clases.
El Manifiesto comunista fue encargado a Marx y Engels por la Liga de los Justos, sociedad secreta revolucionaria afiliada a la Liga de Maestros Sublimes y Perfectos de Filippo Buonarruoti y los Iluminados de Baviera de Adam Weishaupt. Engels enumera entre los precursores directos del comunismo a los anabaptistas, los niveladores de la Revolución Inglesa, los iluministas del siglo XVIII y los jacobinos (L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, Editori Riuniti, Roma 1958, pp. 15-17). Marx y Engeles recogían el legado de estas sectas, pero para lograr sus fines anunciaron un nuevo método, el socialismo científico. En la undécima de sus Tesis sobre Feuerbach, Marx sostiene que la labor de los filósofos no consiste en interpretar el mundo, sino en transformarlo (Materialismo dialettico e materialismo storico, La Scuola, Brescia 1962, pp. 81-86). Esta afirmación pareció cumplirse en 1917 en Moscú, donde por primera vez en la historia el comunismo se hizo con el poder y empezó a propagarse por el mundo. Lenin falleció en 1924 y le sucedió Stalin, eliminando la disidencia de Trotski, que lo acusaba de traicionar la Revolución. En Italia, mientras Gramsci, encarcelado por el fascismo, redactaba sus Cuadernos de la cárcel, su filosofía de la praxis, Palmiro Togliatti, el más fiel de los estalinistas, dirigió el Partido Comunista en la clandestinidad, y continuó haciéndolo durante la posguerra. Con la ayuda de la Unión Soviética, incluso económica, el Partido Comunista se convirtió en el segundo más importante de Italia, sólo superado por la Democracia Cristiana.
Para Gramsci, no era posible que triunfara el comunismo en Italia sin la colaboración de los católicos. Era necesaria la traición de los católicos demócratas, no tanto para conquistar el poder como para conservarlo. «El catolicismo democrático logra lo que no podría hacer el comunismo: amalgama, ordena, vivifica y se suicida (…) Los populares son para los socialistas como Kerenski para Lenin» (I popolari, en L’ordine nuovo, 1 de noviembre de 1919). Togliatti aplicó la lección de Gramsci, sobre todo cuando la elección de Juan XXIII y el Concilio Vaticano II que éste inauguró el 11 de octubre de 1962 brindó una oportunidad inesperada.
El 7 de marzo de 1963 Juan XXIII recibió en el Vaticano a Alexis Adjubei, yerno de Kruschef y director de la agencia Izvestia. Pocos días más tarde, en plena campaña electoral, Togliatti propuso oficialmente la colaboración entre los católicos y los comunistas (Rinascita, 30 de marzo de 1963). En las elecciones del 29 de abril, el PCI ganó un millón de votos más, provenientes en su mayoría de ambientes católicos. Togliatti murió en Yalta en 1964 mientras la Democracia Cristiana, con la bendición del nuevo pontífice Pablo VI, formaba los primeros gobiernos de centro-izquierda. El Concilio se clausuró el 8 de diciembre de 1965 sin haber pronunciado la menor palabra sobre el comunismo, y eso a pesar de que 500 padres conciliares habían pedido una condena oficial.
En 1973, tras la caída del gobierno socialcomunista de Salvador Allende en Chile, el nuevo secretario del PCI, Enrico Berlinguer, publicó en Rinascita, órgano del partido, una serie de Reflexiones sobre Italia tras los hechos de Chile, en las que proponía un acuerdo histórico que llevase a los comunistas al gobierno de forma indolora con el apoyo de la Democracia Cristiana. El interlocutor privilegiado de Berlinguer era Aldo Moro, que gozaba de la plena confianza de Pablo VI y comenzó a urdir la trama de un gobierno con los comunistas.
Los años de mayor éxito electoral del PCI fueron de 1974 a 1976, que en las elecciones del 21 de junio de 1976 obtuvieron el 34,4% de los votos. Con todo, la trágica muerte de Aldo Moro en 1978, seguida pocos meses después por la de Pablo VI, ralentizó la realización del acuerdo histórico. Mientras tanto en la Unión Soviética, azotada por una colosal crisis económica, nacía la Perestroika de Mijail Gorbachov. En 1989 se desmoronó el Muro de Berlín y la URSS inició su autodemolición. En su libro El pasado de una ilusión, Fondo de Cultura Económica, México 1995) François Furet escribió que la  descomposición  de la Unión Soviética y consecuentemente de su imperio sigue siendo un misterio por la manera en que se produjo. Sin derramamiento de sangre, la nomenklatura soviética disolvió entre 1989 y 1991 la antigua empresa y se puso a la cabeza de la nueva. El comunismo se liberó de su aparato burocrático en Rusia y en el resto del mundo permitiendo que la ideología comunista pudiera expresarse de otras maneras y por otros medios de actuación.
El 3 de febrero de 1991, el Partido Comunista Italiano también decidió su autodisolución promoviendo la creación del Partido Democrático de Izquierda (Partido Democratico della Sinistra, PDS). Y el 14 de febrero de 1998, el PDS, tras la clausura de los Estados Generales de la Izquierda, cambió su nombre por el de Demócratas de Izquierda (Democratici di Sinistra, DS), partido que a su vez fue llevó a la fundación de la coalición El Olivo, creada a iniciativa de Romano Prodi, la cual acabó por llevar a los comunistas al poder en 1996. Más tarde El Olivo se disolvió integrándose al Partido Democrático (PD), fundado en 2007, actualmente en el poder.
La matriz ideológica de estos grupos y partidos que se han aproximado en los últimos treinta años es marxixta-leninista, refinada por las enseñanzas de Antonio Gramsci y la praxis catocomunista de Enrico Berlinguer, que sigue gozando de gran popularidad incluso entre quienes tendrían que ser sus adversarios. Al celebrar el 35º aniversario del fallecimiento de Berlinguer, Eugenio Scalfari ha afirmado: «Enrico Berlinguer desempeñó en la política italiana (y en la de otros países) un papel parecido al que está cumpliendo hoy el papa Francisco en la religión católica (y no sólo en ella). Los dos han seguido un itinerario de reformas tan radicales que han tenido efectos revolucionarios; los dos han sido amados y respetados incluso por sus adversarios; y ambos comparten un carisma que capta la realidad y nutre un sueño» (La Repubblica, 9 de junio de 2019).
Tanto para el papa Francisco como para Berlinguer la praxis es más importante que la doctrina, la acción más que el pensamiento, y el resultado más que los medios para alcanzarlo. En un artículo titulado Lenin y nuestro partido, que se publicó en mayo de 1960 en Rinascita, Palmiro Togliatti sintetizaba la esencia del marxismo-leninismo en una cita de Marx y Engels: «Nuestra teoría no es un dogma, sino una guía para la acción».
El comunismo no es una teoría; es praxis revolucionaria, y la Revolución no crea sino que destruye. Lo que importa es derrotar al enemigo, que es el de siempre: la familia, la propiedad privada, el Estado y la Iglesia. Toda metamorfosis, toda alianza, es lícita. Todo el que el que colabora en esa empresa es bienvenido, sea cual sea el medio que utilice para alcanzar el fin. Estudiar el árbol genealógico del PCI ayuda a entender la continuidad que sigue existiendo entre los antepasados y los herederos.
(Traducido por Bruno de la Inmaculada)
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superfuji · 7 years
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Hanno sfasciato il Pci, poi hanno portato il Pds-Ds ad una fallimentare unificazione con i democristiani della Margherita, poi hanno perso le elezioni del 2001, 2008 e 2013 (quelle le hanno “non vinte”, quanto a quelle del 2006, le vinsero di strettissima misura per poi dare vita ad un governo che era un circo equestre, poi si sono fatti scalzare dal più democristiano dei margheritini, mugugnando hanno votato le peggiori riforme di Renzi (job act, buona scuola, riforma istituzionale…), poi, dopo aver coscienziosamente perso tutta la loro base, ridottisi a tre gatti e mezzo, hanno deciso di fare una scissione con i rimanenti parlamentari che non hanno saltato il fosso per arruolarsi fra i renziani.
Grasso, Bersani, Pisapia: ma perchè la sinistra non impara mai?
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