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#recessione
a-tarassia · 2 years
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I fascist* fasc*steranno?
Vorrei dire che ieri stavo riflettendo sulla situazione attuale, dell’Italia e del mondo, ma non è vero, ci penso tutti i giorni. Non scrivo più di politica, non parlo più di politica, ma come dissi già sempre qui, tutto è politica, ogni nostro atteggiamento porta una conseguenza al mondo perché siamo tutti cittadini del mondo e tutto ci riguarda, tutto è una nostra emanazione in qualche modo. Però non vale più la pena di ridurre gli argomenti ad un contenuto social perché la discussione è sempre bidimensionale, i concetti vengono tagliati con l’accetta, nessuno vede più grigio, nessuno nota le sfaccettature, nessuno legge la stanza, nessuno più si informa per davvero. Pappagalli che sbattono le ali. Ho quarantuno anni e ho militato in realtà politiche e sociali ed ero qui a manifestare quando al governo c’era Fini con B. ho avuto modo di avere un dibattito con lui sulla legalizzazione delle droghe così come con Matrapasqua quando era presidente dell’INPS ho avuto una litigata molto brusca su contratti precari flessibilità e stipendi. Così come, con alcuni di voi, ho partecipato all’ultima mia manifestazione in strada, che fu contro Fontana e la sua Family Day a Verona. Fontana che oggi è pres, della camera. Mi sono fatta picchiare dagli scagnozzi di Alemanno quando era in campagna pre elettorale per Roma (una sua campagna), mi hanno chiuso dentro Villa Ada perché delle teste nere ci anno aggredito con delle bombe carta e coltellini durante un concerto della Banda Bassotti. Ho occupato la fabbrica della Fiat aTermini Imerese. Non conosco il fascismo, so di cosa si tratta, lo so benissimo cos’è il fascismo, ma non l’ho (ancora) vissuto, conosco chi si professa fascista, questo sì, conosco le sue emanazioni che sono giunte fino a noi e si aggirano intorno a noi come uno spettro, ancora come solo spettro. Mi chiederete se secondo me siamo sotto governo fascista, ecco questo al momento non so dirlo e non so se l’attuale squadra abbia i margini di manovra per portare avanti le proprie ideologie perché boy if they have fascist intents. La Russa una volta, quando un tipo nel pubblico di un comizio elettorale gli ha dato del fascista urlando, gli ha risposto “adulatore”, mi fermo qui perché sarebbe come prendere a calci un uomo appeso a testa in giù. La Meloni ha la formazione di destra sociale MSI, fate voi, una figlia di Almirante. Loro fanno così, ti prendono da piccolo, ti promettono scalata e ti formano come un soldato che va in giro ad attaccare volantini con slogan del tipo “l’Italia o è cattolica o non è”. E tu fai la gavetta dal basso, dal pulire i cessi nei centri dei meeting, attacchini manifesti nella notte picchiando gente a caso, organizzi Atreju e poi per varie vicissitudini arrivi a diventare Pres del cons, chiaramente ha un percorso politico alle spalle, che poi sia fascista ecco, quella c’ha na tenacia che Sisifo scansate ed è un prodotto del mondo patriarcale, l’ha formata l’uomo a sua immagine e somiglianza per preservare il sistema delle cose. Di Rodolfo Graziani ha già parlato @autolesionistra molto bene nel suo ultimo post. Urso viene dall’MSI. Poi Calderoli. E Lollobrigida che è il cognato della Meloni. Fontana ha organizzato il family day per difendere la famiglia tradizionale, non dico altro. La Roccella è passata da essere Radicale ad essere antiabortista con motivazioni alquanto discutibili. Zangrillo è il medico di B. Nordio è controverso, diciamo che è sempre stato un esponente della giustizia che a me è sempre sembrato schierato e comunque era un promotore del sì nel periodo del referendum sulla giustizia. Valditara è un nome che era molto in voga durante la riforma Gelmini ed è della stessa scuola Fontana.
Allora io non voglio togliere nulla ad alcuni nomi che mi sembrano anche competenti, mi duole dirlo, ma qualche scelta forse non è stata avventata, altri nomi sono lì da tipo 30 anni e molti sono amici di amici e parenti di e satelliti di altri partitini e lobby, quindi diciamo che è una politica che sta politicando come in Italia accade da sempre però quello che ha mosso la mia espressione ieri (che poi ho voluto condividere con @autolesionistra) è che se in un governo c’è già solo un fascista esso è un fascista di troppo. Che abbia o no la possibilità di fascistare.
Che ci sia un gruppo di fascisti più alto della media italiana è un male? Chiaro, è male che ci siano fascisti, ma facciamo che la cultura storica e sociale e antropologica italiana produce fascisti, il fatto che questi siano un po’ troppi al governo vuol dire che abbiamo un governo che farà cose fasciste?
E questo io lo chiedo, non a voi che siete na manica di copie delle copie di slogan andati a male, ma io me lo chiedo. Perché qui entra in gioco un’altra riflessione, di cui parlavo sempre con autolesionistra qualche settimana fa, ovvero: quand’è che i governi politici al giorno d’oggi lavorano per conto della politica e non per conto dei mercati?
Ho letto un interessante testo su NOT di Mattia Salvia che tocca un punto non irrilevante del sistema di cose in cui viviamo. Siamo in un periodo storico molto complesso e delicato, finita una pandemia che è durata due anni tra picco e strascichi, una guerra in corso, in Europa, tra la Russia, una delle realtà mondiali più influenti e l’Ucraina. Il prezzo di qualsiasi cosa è aumentato in modo disumano, le birre medie costano il doppio e son diventate piccole, le famiglie avranno difficoltà enormi a passare l’inverno indenni, in UK la situa è imbarazzante, i colossi digitali stanno trasformando il modo di percepire le cose e i giovani stanno allontanandosi sempre più dalla politica e soprattutto dal mondo del lavoro che perde risorse e deve ad ogni modo gestire quelle che sono rimaste mentre linee di produzioni chiudono per i costi energetici e di gas. Nel 2023 il fondo monetario internazionale ha previsto una decrescita del PIL per l’Italia (e per il mondo) e ci sarà una stretta monetaria.
Siamo in recessione con un aumento inverosimile del costo della vita. E secondo voi perché ogni governo da tempo si somiglia sempre di più uno con l’altro? Sono tutte per caso espressioni del liberalismo? Mi chiedo io e afferma Salvia. Liberalismo soprattutto economico, ma non solo. Quanto conviene al mercato italiano, in questo periodo, decretare delle leggi contro i diritti civili? Quanto conviene alla Meloni e co. nazionalizzare il mercato? In questo periodo in cui poi il liberalismo (occidente) è nel suo punto più debole, mi chiedo è possibile temere e quanto, non tanto l’avvento nel neo fascismo, ma un accostamento alle politiche sociali ed economiche simili a quelle di un governo non occidentale? L’Italia di oggi è figlia del secondo dopo guerra, della guerra fredda. In un momento storico in cui il nuovo colonialismo vede la Cina al comando e la concorrenza del non occidente si sta facendo più forte sui mercati, in questo contesto l’Italia dove andrà a posizionarsi? Avrà margini di manovra per distaccarsi dal liberalismo e tornare alle politiche di destra o deve essere ingranaggio nel sistema capitalistico per non soccombere?
La domanda è sempre la stessa: chi pensa alle persone?
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t-annhauser · 2 years
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Default Europa
Come la Serenissima declinò in potenza politica e commerciale dopo che la scoperta dell'America aprì nuove rotte, così declina oggi l'Europa dopo la scoperta che il gas di Putin è immorale, e qualcosa mi dice che anche qualora la Russia diventasse un giorno una nazione perfettamente occidentale, anche allora sul gas russo continuerà a permanere la fatwa, perché il vero motivo non è legato all'attuale conflitto. L'Europa si avvantaggiava da anni della fonte di energia a basso costo e questo evidentemente non piaceva a qualcuno, quale occasione migliore, dunque, per approfittare della situazione? Questo qualcuno non lo nominiamo, è il nostro convitato di pietra. La rivoluzione green è solo un'arma di distrazione di massa per distogliere l'attenzione dall'attuale disastro, l'Unione Europea ridotta a istituto di beneficienza che distribuisce denaro a pioggia per sedare gli animi e delibera sulla lunghezza dei caricabatterie. Di questo passo l'Europa non morirà di populismo, andrà più prosaicamente in bancarotta dopo averla augurata a Putin.
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arreton · 1 year
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Bisogna iniziare a fare economia di pensiero.
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scienza-magia · 3 months
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In attesa dei dati il costo del denaro resta invariato
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Bce, quando ci sarà il taglio dei tassi? Ecco cosa ci insegna il passato. L’inflazione core sembra l’indicatore più rilevante, ma i cicli di riduzione del costo del credito sono accompagnati da moderazione salariale o una recessione in arrivo. Cosa manca, per il primo taglio? La banca centrale europea ha preso tempo in quella riunione di marzo che - secondo gli analisti più ottimisti, forse troppo ottimisti – avrebbe dovuto segnare la prima riduzione del costo ufficiale del credito. La presidente Christine Lagarde ha chiaramente detto che la Bce ha bisogno, per decidere, di nuovi dati che non arriveranno però in tempo per il prossimo appuntamento dell’11 aprile. Gli analisti puntano quindi alla riunione del 6 giugno. L’attesa dei dati I dati sono la chiave. La Bce ha a disposizione più indicatori degli osservatori esterni e, soprattutto, modelli sofisticati ed economisti di elevate competenze in grado di valutarli. Un osservatore esterno deve limitare la sua analisi, ma può essere in ogni modo interessante capire a che livello fossero alcuni indicatori economici e che quale fosse la loro tendenza. Giovedì 7 marzo, nell’immediatezza della decisione di non tagliare i tassi – per esempio – Standard & Poor’s ha pubblicato una propria laconica nota, nella quale Sylvain Broyer, capo economista per l’area Emea ricordava che «da quando la BCE si occupa di definire i tassi d’interesse per l’Eurozona, li ha abbassati 21 volte, e mai quando l’inflazione core era al di sopra del 2,2%. Oggi l’inflazione core è al 3,1% e non scenderà sotto il 2,2% prima dell’estate. A meno che non si verifichi un imprevisto che influisca sulla crescita o sulla stabilità finanziaria, un taglio dei tassi della Bce a giugno è quindi lo scenario più probabile». I cicli dei tagli dei tassi Più che le singole occasioni di tagli dei tassi è forse più interessante valutare i cicli di riduzione del costo del credito. Se si esclude il primo taglio di aprile ’99, presto corretto, ce ne sono stati tre, nella storia della Bce: il primo è iniziato a maggio 2001, quando il tasso di riferimento è stato portato dal 4,75% al 2%, livello raggiunto nel giugno 2003; il secondo a ottobre 2008, quando è calato dal 4,25% all1% di maggio 2009, e il terzo a novembre 2011, quando è sceso dall’1,5% fino a quota zero, nel marzo 2016. Ci si può chiedere, allora, quale fosse la situazione di Eurolandia in occasione di ognuno di questi punti di svolta (di cui il terzo fu, in realtà, la correzione di un rialzo “sbagliato”). Cambiamenti strutturali Una premessa è necessaria. È chiaro che la situazione di Eurolandia si è profondamente, strutturalmente modificata, da allora. Soprattutto dopo il 2008, quando i grafici mostrano un vero e proprio smottamento, mai recuperato davvero. Nel senso che la velocità del trend di crescita è irrimediabilmente diminuita: anche il successivo recupero è stato soltanto parziale. Una circostanza, questa, rilevante anche per l’andamento dell’inflazione. La frenata strutturale della crescita, però, rende qualsiasi punto di riferimento del passato troppo generoso, e non troppo rigido, per la situazione attuale. Situazione che prevede un’inflazione di febbraio al 2,6%, un’inflazione core al 3,3%, prezzi dei servizi in rialzo del 3,9%, un deflatore del pil in crescita del 5,3% annuo e salari negoziati in crescita del 4,5% nel quarto trimestre 2023 e una disoccupazione al 6,4% a gennaio. Il primo ciclo di tagli Il primo ciclo di tagli, da maggio 2001 a giugno 2003, fu reso necessario dalla stagnazione iniziata nel secondo trimestre del 2001. L’inflazione, in quel periodo, non era bassa. Era balzata fino al 2,7% ad aprile – l’ultimo dato conosciuto al momento della decisione di ridurre i tassi - piuttosto rapidamente in seguito all’introduzione dell’euro fisico. Si portò poi al massimo del 3,1% proprio nel mese di maggio, e dopo essere calata al 2% a novembre, risalì nuovamente fino al 2,6% di gennaio 2002. Anche il deflatore del pil, la misura più ampia di inflazione “domestica” (non pesata, però, in base alla frequenza degli acquisti), era in rialzo e raggiunse il +2,8% annuo a fine 2001 per poi calare e risalire dal secondo trimestre 2003 (quando il ciclo si concluse). La Bce ignorò però l’andamento altalenante dell’inflazione e continuò a tagliare il costo ufficiale del credito. I dati “core” furono disponibili solo da gennaio 2002 e oscillarono per qualche mese attorno alla media del 2,5% per poi scendere fino al 2% e rimanerci a lungo. I prezzi dei servizi, disponibili da dicembre 2001, oscillarono invece intorno alla media del 3% durante tutto il ciclo di tagli. I salari negoziati risultavano però in crescita stabile al 2,7% - compatibile con l’inflazione e un moderato aumento strutturale della produttività - per tutto il periodo. Fu questo, probabilmente, il fattore che tranquillizzò la Bce; insieme alla disoccupazione che salì molto lentamente dall’8,5% all’8,7 per cento. Il secondo ciclo di tagli Il secondo ciclo di tagli, da ottobre 2008 a maggio 2009, coincise con la Grande recessione. La Banca centrale europea ci arrivò con un evidente errore: a luglio 2008, in seguito all’aumento del petrolio al record di 146 dollari al barile, decise di alzare i tassi convinta, anche dalle rivendicazioni salariali in Germania, che i rischi sui prezzi fossero diventati maggiori su quelli della crescita. A dominare, a ottobre, furono soprattutto considerazioni di stabilità finanziaria. L’inflazione complessiva era a settembre 2008 – l’ultimo dato disponibile al momento della decisione – al 3,6%, ma scese poi in modo rapido, e soprattutto prevedibile, in conseguenza della riduzione dell’attività economica: a dicembre era all’1,6%, a maggio 2009 a quota zero. Successivamente passò in territorio negativo, fino al -0,6% di luglio. L’inflazione core passò dal 2,6% all’1,5% al termine del ciclo di tagli ma continuò poi a calare fino a portarsi allo 0,7% a febbraio 2010. Non molto lontano l’andamento dei servizi: dal 2,6% al 2,1%, per poi calare fino all’1,2% di aprile 2010. Il deflatore del pil sembrava meno surriscaldato: era al +2,3% a giugno, prima di iniziare un rapido calo. I salari negoziati spiegano l’errore di luglio della Bce: dalla crescita del 2,9% del secondo trimestre 2008 si portarono al +3,4% nel terzo trimestre e al +3,6% nel quarto per poi scivolare al +1,4% del terzo trimestre del 2010. La disoccupazione salì costantemente dal 7,9% di ottobre 2008 (era al 7,3% a marzo), si portò fino al 9,6% di maggio 2009, alla fine del ciclo, e al 10,4% di aprile 2010. Il terzo ciclo Il terzo ciclo, iniziato nel novembre 2011 e terminato a marzo 2016, può anche essere considerato una continuazione del secondo, interrotto da un altro “errore” della Bce che, fuorviata da un rialzo del petrolio, aveva iniziato ad aprile 2011 ad alzare i tassi portandoli dall’1% fino all’1,50% di luglio per poi farli scendere di nuovo all’1% a dicembre 2011. Anche in questo caso pesarono considerazioni di stabilità finanziaria: la crisi fiscale di Eurolandia, che nel 2011 cominciò a mordere davvero, riportando Eurolandia in recessione. Al momento del primo taglio l’inflazione complessiva era al massimo locale del 3% ma successivamente scese fino al 2% di gennaio 2013 e sottozero a dicembre 2014. L’inflazione core era però decisamente più bassa: al massimo locale del 2% al momento del primo taglio, prima di iniziare la flessione. I prezzi dei servizi erano in crescita dell’1,8% e toccarono un massimo al 2% a dicembre 2011, il mese successivo al taglio. Il deflatore del pil era molto “freddo”, intorno al +1,1% all’inizio del ciclo. Sul fronte del mercato del lavoro, i salari negoziati erano in crescita del 2% nel terzo trimestre 2011 e accelerarono fino al 2,2%, un livello non preoccupante, di dicembre 2012, quando l’inflazione era già scesa al 2,2%; poi iniziarono anch’essi una lunga frenata. La disoccupazione, al 10,5%, continuò a salire: a gennaio 2013 era al 12,2 per cento. E oggi? Le conclusioni non sono difficili. L’inflazione complessiva appare meno rilevante di quella core (e persino del deflatore del pil, che però arriva in ritardo), mentre l’enfasi sui servizi che la Bce mostra oggi sembra essere legata al fatto che questi prezzi sono l’anello mancante perché l’indice di fondo si normalizzi. Una tendenza alla riduzione dell’attività economica – la recessione nel 2008 e nel 2011 – che porti con sé un raffreddamento dei prezzi e, nel tempo, dei salari permette di ignorare dati meno propizi, mentre durante una “semplice” stagnazione, come nel 2001, occorre qualcos’altro che prometta di tenere freddi i prezzi; per esempio che salari e mercato del lavoro non mostrino tensioni tra domanda e offerta. Oggi la Bce ha un’inflazione core – sostenuta dalla sola componente servizi – ancora troppo alta, e un mercato del lavoro che mostra salari troppo veloci e una disoccupazione troppo bassa. Qualcosa deve ancora cambiare perché si crei un equilibrio dinamico che favorisca una stagione di tagli. Read the full article
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magauda · 3 months
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Berlinguer da segretario si trovò davanti ad uno scenario politico-economico del tutto nuovo
Quando nel marzo del 1972 approdò alla guida del Pci Enrico Berlinguer, iniziò a soffiare nella sede del Partito comunista italiano un vento nuovo: egli non voleva solamente, dal punto di vista interno, aprire la strada della piena legittimazione al suo partito dal punto di vista governativo e parlamentare; ma voleva, sul piano esterno, cercare di allontanarsi sempre di più dall’Unione…
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botallo · 3 months
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Berlinguer da segretario si trovò davanti ad uno scenario politico-economico del tutto nuovo
Quando nel marzo del 1972 approdò alla guida del Pci Enrico Berlinguer, iniziò a soffiare nella sede del Partito comunista italiano un vento nuovo: egli non voleva solamente, dal punto di vista interno, aprire la strada della piena legittimazione al suo partito dal punto di vista governativo e parlamentare; ma voleva, sul piano esterno, cercare di allontanarsi sempre di più dall’Unione…
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sapergo · 3 months
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Berlinguer da segretario si trovò davanti ad uno scenario politico-economico del tutto nuovo
Quando nel marzo del 1972 approdò alla guida del Pci Enrico Berlinguer, iniziò a soffiare nella sede del Partito comunista italiano un vento nuovo: egli non voleva solamente, dal punto di vista interno, aprire la strada della piena legittimazione al suo partito dal punto di vista governativo e parlamentare; ma voleva, sul piano esterno, cercare di allontanarsi sempre di più dall’Unione…
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bagnabraghe · 3 months
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Berlinguer da segretario si trovò davanti ad uno scenario politico-economico del tutto nuovo
Quando nel marzo del 1972 approdò alla guida del Pci Enrico Berlinguer, iniziò a soffiare nella sede del Partito comunista italiano un vento nuovo: egli non voleva solamente, dal punto di vista interno, aprire la strada della piena legittimazione al suo partito dal punto di vista governativo e parlamentare; ma voleva, sul piano esterno, cercare di allontanarsi sempre di più dall’Unione…
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bigarella · 3 months
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Berlinguer da segretario si trovò davanti ad uno scenario politico-economico del tutto nuovo
Quando nel marzo del 1972 approdò alla guida del Pci Enrico Berlinguer, iniziò a soffiare nella sede del Partito comunista italiano un vento nuovo: egli non voleva solamente, dal punto di vista interno, aprire la strada della piena legittimazione al suo partito dal punto di vista governativo e parlamentare; ma voleva, sul piano esterno, cercare di allontanarsi sempre di più dall’Unione…
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santeptrader · 4 months
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Wall Street e … "la lenta economia" tra FED e Recessione
Meno Probabilità di Recessione, ma è i previsione di un Rallentamento! Tra gli economisti di Wall Street c’è una riduzione significativa rispetto alla probabilità di una recessione nell’anno 2024. Tra gli esperti intervistati rispetto alla probabilità di recessione, si è passati dal 48% convinti che ciò potesse realizzarsi di ottobre 2023 al 39% di gennaio 2024. Sebbene sembri meno probabile…
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economiaconamalia · 8 months
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I consumi rallentano e l’economia trema…
Ottime notizie sul fronte dei prezzi: gli indicatori pubblicati questa settimana delle principali nazioni europee mostrano un importante rallentamento nella corsa degli indici dei prezzi. Tra queste citiamo laGermania (+4.5% in settembre in riduzione dal 6.1% di agosto) e la Francia (+4.9%). Anche negli Stati Uniti le cose sembrano andare molto bene: indice dei prezzi al consumo al 4.9% e indice…
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bumby2015 · 1 year
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L'Opec rilancia l'inflazione
La mossa dell’Opec – taglio di 1,2 mln di barili/day da maggio fino a fine anno – rilancerà i prezzi della benzina. E quindi dell’inflazione. Siamo stati troppo ottimisti? Oil prices, oil stocks surge on OPEC+ move | Reuters 👉 L’inflazione da profitti. In questa prospettiva emerge con forza l’analisi della Bce (istituzione notoriamente non comunista) che rilancia il pericolo di un impoverimento…
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ultimaedizione · 1 year
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Recessione, aspettando Godot? - di Guido Puccio
Suggestivo il titolo di ieri in prima pagina del Wall Street Journal:” la recessione di Godot”. Un più che esplicito riferimento al personaggio della più celebre opera teatrale di Samuel Beckett (“Aspettando Godot”, anni quaranta). Nella commedia, Godot è il personaggio costantemente atteso, che non appare, si preannuncia sempre, non arriva mai.  Il riferimento dell’autorevole quotidiano…
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scienza-magia · 11 months
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Tassi d'interesse banche centrali e inflazione reale
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Quelli che criticano le banche centrali. Oltre ai governi che protestano, ci sono molti economisti che stanno cercando soluzioni non convenzionali all'inflazione, con risultati incerti. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni sostiene che la Banca Centrale Europea stia sbagliando a continuare ad aumentare i tassi di interesse per fermare l’inflazione, ossia l’aumento generale del costo della vita che va avanti da quasi due anni. È la tecnica che la teoria economica tradizionale reputa più efficace per tenere sotto controllo i prezzi, ma viene spesso criticata per tutta quella serie di effetti collaterali che comporta, tra cui il consistente aumento del costo dei mutui e il rischio concreto di causare non solo un rallentamento economico, ma addirittura una recessione. Le critiche spesso sono portate avanti dalle componenti più estreme sia della destra che della sinistra, ma talvolta anche da chi è più moderato. Nel tempo vari economisti hanno sviluppato tutta una serie di idee alternative all’aumento dei tassi di interesse, che si inseriscono in un dibattito di teoria economica più ampio su tutti gli strumenti più o meno innovativi a disposizione delle banche centrali e dei governi per fermare l’aumento dei prezzi. Nei periodi storici di aumento dei tassi di interesse è piuttosto comune assistere alle critiche di una parte del mondo politico proprio per tutte le conseguenze negative di una misura di questo tipo, che ha un impatto su qualsiasi aspetto dell’economia e che ha come obiettivo deliberato quello di “raffreddare” un’economia che cresce troppo, in cui i prezzi aumentano principalmente perché l’offerta delle aziende non sta al passo della domanda dei consumatori. Le critiche però non vengono solo dal mondo politico ma talvolta anche dagli economisti: secondo alcuni gli effetti collaterali del rialzo dei tassi di interesse spesso rischiano di essere troppo gravi per l’economia e la società rispetto alla reale efficacia nel combattere l’inflazione. L’aumento dei tassi di interesse sarebbe una misura troppo generalizzata, mirata a far rallentare l’economia nel suo complesso senza la certezza di riuscire davvero a risolvere le cause dell’aumento dei prezzi.
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La presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde (AP Photo/Michael Probst, file) In un articolo sul Guardian del dicembre 2021 l’economista Isabella Weber ha detto «se la tua casa è in fiamme, non vorrai aspettare che l’incendio alla fine si estingua. Né vuoi distruggere la casa allagandola. Un abile vigile del fuoco spegne il fuoco dove sta bruciando per prevenire il diffondersi delle fiamme e salvare la casa. La storia ci insegna che un approccio così mirato è possibile anche per gli aumenti dei prezzi». L’articolo fu molto contestato da tutta la comunità accademica con toni anche molto accesi – il premio Nobel per l’economia Paul Krugman arrivò a chiamarla «davvero stupida», poi scusandosi – perché suggeriva non solo un approccio all’inflazione meno convenzionale ma anche l’uso di uno strumento che non si vede da anni nel mondo occidentale: il controllo strategico dei prezzi da parte dello stato. Nel corso della sua carriera Weber ha studiato molto questo strumento che fu applicato negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, quando l’amministrazione Roosevelt impose severi controlli sui prezzi per evitare aumenti nei settori più strategici o di necessità. Secondo lei l’economia di allora era piuttosto simile a quella durante la pandemia da coronavirus: molte materie prime erano introvabili e c’erano enormi inefficienze nelle produzioni, spesso bloccate proprio a causa dei semilavorati che non si trovavano. L’offerta non teneva il passo della domanda, proprio come durante e dopo la pandemia. Con il controllo strategico dei prezzi, per tutta la durata della Seconda guerra mondiale negli Stati Uniti l’inflazione rimase piuttosto stabile. La misura fu poi ritirata praticamente subito dopo la fine della guerra, senza dare modo alle imprese di riprendersi e di risolvere i blocchi produttivi, col risultato che aumentò tantissimo l’inflazione. Secondo Weber un controllo strategico dei prezzi nei settori in cui stavano aumentando di più avrebbe potuto essere una soluzione nella fase di transizione in cui la crisi dei commerci globali aveva creato enormi distorsioni nelle produzioni: calmierare i prezzi avrebbe consentito di tenere a bada l’inflazione per tutto il periodo necessario alle aziende per ripristinare le loro produzioni. Una sorta di controllo strategico dei prezzi è stato il price cap europeo alle importazioni di energia, uno degli strumenti più invocati nell’ultimo anno e mezzo per tenere sotto controllo il complessivo aumento dei prezzi. Dopo mesi di discussione, e forse un po’ troppo tardi, è stato introdotto un tetto massimo al prezzo di gas e petrolio: i paesi europei sono riusciti a introdurlo solo in casi eccezionali e a un valore anche piuttosto alto, per cui non ha avuto una grande efficacia. Sul controllo dei prezzi proposto da Weber e altri circola ancora comunque un grosso scetticismo, sia perché sarebbe una misura parzialmente contraria all’ortodossia economica sia perché molti esperti sostengono che il paragone fatto da Weber con il periodo della Seconda guerra mondiale non tenga: in economie estremamente complesse e globalizzate, sostengono i critici della misura, controllare adeguatamente i prezzi è impossibile e probabilmente controproducente. Il controllo dei prezzi è comunque solo uno dei vari approcci non convenzionali alla gestione dell’inflazione: alcuni economisti suggeriscono riforme della concorrenza per ridurre il monopolio di alcune imprese, che sfruttano la possibilità di aumentare i prezzi quanto vogliono senza mai sperimentare un calo della domanda; altri propongono di canalizzare gran parte del credito delle banche a tutti quei settori in cui ci sono gravi problemi produttivi; altri ancora propongono misure per incoraggiare (o addirittura forzare) il risparmio, in modo da smorzare la crescita dei consumi. Sono tutte misure con un raggio d’azione ben delimitato, quasi chirurgiche, che effettivamente comporterebbero meno rischi di un rialzo dei tassi. Non sono però mai state davvero sperimentate nella lotta all’inflazione. Il dibattito di questi anni non è stato solo su quali strumenti fossero migliori per fermare l’aumento dei prezzi, ma anche sulle cause all’origine dell’inflazione, che poi ovviamente condizionavano anche la discussione sulle possibili soluzioni. Gli economisti con una visione più tradizionale hanno ricondotto l’inflazione degli ultimi due anni a due cause principali: la pandemia, che prima ha bloccato le produzioni e i consumi e che poi quando la domanda è ripartita ha creato tutta una serie di intoppi nelle catene produttive per i prezzi di tanti semilavorati e prodotti, che sono aumentati perché introvabili; e la guerra in Ucraina, che ha provocato un aumento fortissimo dei prezzi di petrolio e gas e quindi dei costi per produrre qualsiasi cosa, dalla carta, al cibo, ai più banali prodotti di consumo. L’inflazione recente sarebbe stata quindi un misto: c’era sicuramente una componente legata a un’economia che correva, dopo l’enorme rallentamento imposto dalle restrizioni dovute alla pandemia da coronavirus, ma c’era anche un’inflazione dal lato dell’offerta, dovuta soprattutto all’aumento dei prezzi dell’energia. C’è poi una minoranza di economisti che fin dal principio ha ricondotto l’aumento dell’inflazione al fatto che le aziende stessero speculando sulla situazione generale di aumenti dei prezzi per ottenere più profitti possibili, e che per questo abbiano aumentato i prezzi dei beni e dei prodotti molto più di quanto sarebbe necessario per coprire l’aumento dei costi. Oggi c’è sempre più consenso su un intreccio delle cose: gli aumenti dei prezzi causati dalla pandemia e dalla guerra sono poi diventati strutturali nel sistema economico anche perché le aziende hanno mantenuto alti margini di guadagno nel frattempo. E questo si vede dal fatto che il costo della vita continua ad aumentare nonostante molti dei fenomeni che avevano originariamente creato un aumento dei costi per le aziende sembrino ormai essere terminati. I rincari di oggi appaiono quindi piuttosto ingiustificati ed è una convinzione ormai diffusa che le aziende stiano decidendo arbitrariamente di continuare ad aumentare i prezzi per far crescere i profitti. Read the full article
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findusinaweek · 8 months
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To whomever used to have the header "Vienna Teng Is Bi And This Is The Hill I Will Die On", here on Tumblr.com, she just mentioned you before playing Recessional. I cried.
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malaisequotes · 9 months
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“Oh, words, like rain, how sweet the sound. ‘Well, anyway,’ she says, ‘I’ll see you around.’”
Recessional by Vienna Teng
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