Tumgik
diariodidolore · 3 years
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pianto
Ho sempre pensato che bastasse scrivere. Ho sempre creduto che la guarigione fosse un processo spontaneo e che bisognasse solo aspettare. Ho voluto chiedere aiuto e mi sono aggrappata per almeno otto disperati anni a quello. Ho superato momenti difficili. Ho reagito, anche se con tempi ingiusti nei miei riguardi umani, al dolore. Che cosa sia poi il dolore...
Quando ero vent’enne reagivo in un modo diverso rispetto ad oggi. Se sono diventata una donna matura, dopo otto anni di psicoterapia i quali mi hanno sorretta, senza farmaci e con la sola fortuna psicologica di poterne fare a meno, e sono guarita nel senso che le mie reazioni sono più temperate, non significa essere diventata una donna invincibile ed esente dal dolore o dagli inganni. Lo scoglio resta lo scoglio e l’onda l’onda.
Ore 11.30. Nausea, malessere, peso nel petto. Ritiro sociale, questo da sempre. Cerco di interagire con un gruppo su Telegram. Mi faccio una nuova identità anonima per poter interagire su un gruppo facebook, cancello solo per tutta la notte il suo contatto dalla mia rubrica telefonica per tollerare meglio la condizione di abbandono che provo e per la quale provo un insensato senso di colpa che mi spinge a vole riparare incessantemente questo vaso di massiccia irrealtà che siamo io e lui. Ieri, siamo rimasti che mi avrebbe scritto qualora non fosse partito con gli amici. ma so perfettamente che si tratta della solita vaga sospensione con la quale mi tiene al guinzaglio. Durante questi mesi, ho pianto tutti i giorni. Capisco che la maggior parte delle persone che conosco, non lo crederebbe vero. Chi crederebbe ad una persona che afferma: “piango tutti i giorni, da Giugno ad oggi!”. Vivo da sola, sono autonoma, non assumo farmaci, non conduco una vita impulsiva o promiscua e sono moralmente sana, vigile e razionale. Tuttavia, provo disforia. E la depressione è recidiva. Qualcuno potrebbe provare ad etichettarmi incollandomi addosso il nome di una malattia mentale e forse male non farebbe. Io intanto non urlo, vivo tra il silenzio attorno a me ed un chiasso di pensieri interno. E lo stigma è già in atto per il semplice fatto che vivo come essere sociale. Mi piace leggere ma leggo tratti di racconti e mai i testi interi. Comincio a studiare per un test o un concorso che vorrei superare, e la durata dell’impegno si interrompe a causa dell’affluire del senso di solitudine. La solitudine per me è un affluente, proprio così. Io mi vergogno di dire cosa sento veramente. Temo l’aggressione emotiva e verbale, la colpevolizzazione, la situazione in cui qualcuno ti dice: “Ti stai lamentando troppo, fai la vittima, non ti assumi le tue responasabilità, non ti credo, hai sbagliato anche tu”. A questa ipotetica persona io risponderei, trovando la forza per farlo, che se io avessi una madre buona dentro di me questa non mi disprezzerebbe e non deriderebbe mai il mio dolore, tanto quanto grande e disperato il mio pianto.
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diariodidolore · 3 years
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pezzi
Questa mattina sveglia alle 8. Da giorni, sveglia alle 8. Mi sento stordita. Appena comincio a pensare a lui, provo un dolore all’utero inspiegabile dal punto di vista fisico. Non ho rapporti con lui da una settimana, non ho il ciclo, non è successo niente da questo punto di vista. Gli unici fatti sono quelli mentali. Sentirsi feriti, umiliati, ignorati, abbandonati è una scelta per la maggior parte di noi. Ma non per tutti. I processi di guarigione sono lenti. Le esperienze permettono di far luce negli spazi interiori più abissali. L’incontro con noi stessi in quegli spazi sconosciuti può essere travolgente. Nella tempesta solo pochi si salvano. Tutti però, tentiamo di fare il nostro meglio per uscirne. Non ho scelta, sto facendo del mio meglio. Ho scelta, posso non aspettare più e descrivere il mio dolore, senza perdere la possibilità di assimilare la mia responsabilità alla mia disperazione. Poiché l’incontro tra il bianco ed il nero è impossibile date certe circostanze. Io credo che la scissione sia una condizione penosa nell’essere umano. Si è portati a sentire qualcosa ma ad agire differentemente. Così, quando due persone che operano in tal modo nelle relazioni si incontrano, l’operazione è reciproca. Io non posso biasimarlo per il male che mi sta facendo. Io credo sia identico al male ricevuto. In virtù di questa identificazione del bene-bene male-male, in questi difficili mesi, ho sofferto cercando di porre rimedio alla malattia di entrambi. Ma ho condannato sia me che lui all’infelicità. Io però so perdonare. Perdono per cercare di rimettere insieme i pezzi, ma è un tormento perché i pezzi li ha lui.
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