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Accadono cose strane, a volte sono miracoli altre volte sono misteri, altre volte ancora sono entrambe le cose, come in questo caso. Dopo aver stanziato a settembre 50mila euro per sistemare i locali dell’ex Chiesa dello Spirito Santo a Cesena in vista dell’imminente apertura in quella sede del Museo Ilario Fioravanti, tira di qua e tira di là, siamo agli ultimi sgoccioli della legislatura e sabato 18 inaugureranno solo gli spazi senza alcun allestimento che, pare, viene rimandato alla prima settimana di giugno dopo le elezioni. Come mai una soluzione così bislacca e più unica che rara? Quali ritardi o difficoltà ha avuto il sindaco Lucchi e il suo fido assessore per arrivare a una “non inaugurazione”? Se lo stanno chiedendo in tanti dopo aver appreso come si sta svolgendo la faccenda. A chi fa problema questo Museo? Forse i vecchi soloni cesenati avrebbero preferito un Museo Sughi o un Museo del Novecento (per fargli poi fare la fine della Pinacoteca vicino al San Biagio, morta come il Centro cinema). Boh. Figura magra e un trattamento verso chi si impegna per far conoscere l’opera di Fioravanti, a dir poco ridicolo. Con Fioravanti non ce n’è per nessuno, è il maggiore artista cesenate del Novecento e un nome di livello nazionale. Cesena dovrebbe essere orgogliosa che nasca un museo a lui dedicato. Ma per favore non buttiamola in farsa.
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Ci sono particolari nel Cenacolo di Fioravanti che inducono alla riflessione. Intanto, come scrive Massimo Pulini nel catalogo dell’esposizione
i tredici volti dell’Ultima cena di Miramare sono ritratti istantanei, alcuni dei quali raccolti sul posto, chiedendo una rapida posa a operai del cantiere o a parrocchiani. Muratori e pescatori dunque, annotati nella loro semplice verità, con tratti fulminei, disegnati a pennello liquido sull’intonaco fresco.
Sono testimoni dell’evento nel suo stesso farsi. È come se Fioravanti dicesse: “tanto la realtà della Cena di Cristo ha visto la partecipazione di apostoli privi di potere, popolani, così la rappresentazione che qui vi posso riproporre ha anch’essa bisogno di questi protagonisti; solo a queste condizioni la rappresentazione può prendere vita e diventare memento, efficace osservatrice della celebrazione che si svolge sull’altare”. Rimane il problema di Giuda, lo zelota. Lui, il traditore, appare qui in un gesto che può essere indicato come una sorta di segno forte non tanto del tradimento in quanto tale, bensì della sua ambiguità essenziale e insuperabile: il pugno chiuso. Non alzato, come il gesto esclamativo dei movimenti politici che lo adottano (nonostante quelli fossero tempi in cui la protesta era vivissima e col passare del tempo tragica), ma portato all’altezza del cuore eppure proteso all’esterno. Indice, forse, di un ribaltarsi delle intenzioni là dove esse assumono la radicalità di una volontà troppo certa della propria correttezza e della propria verità e quindi capace, paradossalmente, di ribaltarsi nel suo contrario.
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È la volta del “Corriere di Romagna” del 19 aprile. Tra le altre osservazioni annuncia l’apertura il prossimo 18 maggio, a Cesena, del Museo Fioravanti. Ma prima di allora la mostra di Rimini è un momento importante per avvicinarsi a questa importante figura di artista.
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Su #Avvenire di oggi Alberto Asti presenta il Cenacolo ritrovato di Ilario Fioravanti, in esposizione a Rimini.
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Marino Mengozzi sul “Corriere Cesenate” di oggi.
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Il Cristo del Giovedì Santo «obbediente fino alla morte, ultima disfatta nella quale si consuma la vittoria del cristiano» (F. Mauriac, Il Giovedì Santo), trova negli “accidenti” del pane e del vino la sostanza che sorregge la materialità dell’esistenza umana. Il calice di Fioravanti possiede movenze e tratti del corpo umano, le sinuosità della carne e del sangue che ospiterà.
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Sul “Resto del Carlino” di oggi.
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MUSEO DELLA CITTÀ Via Luigi Tonini 1, 47921 Rimini 0541 793851 info: [email protected] Orari di apertura: da martedì a sabato 9:30 - 13 / 16 - 19 Domenica 10 - 19 Lunedì chiuso Progetto e organizzazione: Mac Comunicazione Milano Ufficio Stampa: Medusa - Milano 328 9447280 [email protected] blog: fioravantiilcenacolo.tumblr.com Mostra e catalogo a cura di Maurizio Cecchetti e Luca Fioravanti Testo critico di Massimo Pulini
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Accanto al grande affresco ritrovato ci saranno altre due opere, fra cui questo Autoritratto prestato per l’occasione dalla moglie dell’artista, Adele Briani, che ringraziamo. È un affresco datato come il quadro grande 1970, e raffigura il volto dell’artista come una maschera antica nelle cui fibre sono sepolti mille pensieri e considerazioni autobiografiche. È soltanto un altro fra alcune decine di affreschi realizzati da Fioravanti mai esposti, ai quali prima o poi bisognerà dare uno sguardo più specifico e approfondito, e magari allestire una mostra ad hoc.
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Cosa si vedrà nella mostra riminese? Idealmente quella che si inaugurerà ufficialmente il 17 aprile si collega alla retrospettiva dedicata all’artista cesenate nel 2015. Fu la più ampia esposizione realizzata sulla scultura e il disegno di Fioravanti. Il catalogo che accompagnava la mostra è tuttora lo strumento più ragionato sull’opera complessiva dell’artista. In qualche modo quella della prossima settimana la completa e fornisce un altro esempio del suo multiforme ingegno. Il nipote Luca, nella sua ricerca delle tracce dello zio Ilario, ha scoperto questo grande affresco su tela (quattro metri per due) dedicato all’Ultima cena. La sua storia, il suo significato, la sua originaria collocazione, saranno una sorpresa per il visitatore.
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Inizia il conto alla rovescia!
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